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Academic year: 2021

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5.1. Conclusioni.

Dopo aver seguito questo complesso percorso di analisi del fenomeno dell’influenza costante della tragedia classica antica nella produzione drammatica del XX secolo con particolare attenzione ad alcuni dei contributi più significativi e originali del teatro inglese della seconda metà del Novecento, è ora opportuno cercare di trarre alcune conclusioni nel tentativo di conferire maggiore ordine ai numerosi spunti di riflessione incontrati nel corso di questa indagine.

Come ho avuto modo di notare nella sezione conclusiva del mio elaborato, dedicata all’analisi di due importanti rifacimenti del mito di Fedra e Ippolito negli ultimi due decenni del secolo scorso, la produzione teatrale inglese di questi anni si associa in linea generale alle principali tendenze che ho individuato come tratti caratteristici sia dal punto di vista dei contenuti che da una prospettiva più strettamente formale, del fenomeno della riscrittura dei classici del teatro antico nel secondo Novecento. Come spero di essere riuscita a mettere in luce nella sezione dedicata all’analisi testuale dei contributi di Timberlake Wertenbaker e Sarah Kane, questi due rifacimenti fra le numerose produzioni che avrei potuto selezionare nel panorama teatrale del secondo Novecento inglese, legate alle operazioni di riscrittura del teatro classico antico, esemplificano con efficacia alcuni degli aspetti più caratteristici di questo fenomeno. Questi elementi-chiave vanno dalla trattazione di tematiche politiche legate al movimento femminista, alla centralità della dimensione della performance, dall’adozione degli spunti più innovativi e radicali del teatro postmoderno come la frammentazione, l’espediente metateatrale, l’ibridazione fra i generi, i meccanismi di parodizzazione e così via, alla volontà sempre presente nei rifacimenti recenti - al di là dei singoli e delle personali modalità di rappresentazione – di riflettere sulla realtà contemporanea. Proprio quest’ultimo spunto di riflessione ha rappresentato il punto di partenza della mia indagine, alla luce del quale ho cercato di valutare e comprendere le ragioni che hanno spinto registi e drammaturghi contemporanei ad accettare la sfida di portare sulla scena testi teatrali dell’antichità, così profondamente diversi non solo per convenzioni sceniche, ma anche per temi e presupposti teorici.

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L’approccio comune del teatro inglese e non solo nei confronti della produzione drammatica tragica della classicità, assunta come termine di paragone privilegiato attraverso il quale confrontarsi con la contemporaneità, può essere compreso solo se posto in relazione con l’attualità dei ‘classici’ – e quindi della tragedia classica – recuperata alla luce della teoria della ricezione.

Il contributo di maggior rilievo fornito da queste posizioni teoriche è costituito dalla necessità di un ripensamento del processo di trasmissione e consegna dei testi della tradizione alla modernità, alla luce di un rapporto dialogico fra i due estremi temporali coinvolti nel processo di interpretazione e riappropriazione del patrimonio classico. È soltanto mettendo in atto questa relazione dialettica che coinvolga in ugual misura passato e presente che diventa possibile rintracciare contenuti e significati validi e vitali in testi così profondamente lontani sia temporalmente che culturalmente dalla nostra sensibilità. In questa prospettiva, il concetto di ‘fedeltà’ al testo classico, imposto da una certa corrente della critica ‘tradizionalista’ non può in alcun modo porsi come criterio efficace per giudicare i rifacimenti moderni. Questo aspetto emerge con chiarezza dalle parole del regista indiano Suresh Awasthi, che col suo rifacimento dell’Antigone di Sofocle del 1984, ricopre un ruolo di grande importanza nella prospettiva del diffuso riutilizzo da parte delle culture post-coloniali del materiale proveniente dalla tradizione classica, e che quindi esemplifica efficacemente l’atteggiamento con cui le nuove generazioni di drammaturghi si sono poste nei confronti del patrimonio della tradizione:

The very claim for authority and the attempt for its realization in doing classics, foreign or our own, is a self-defeating objective. It negates the very purpose of doing a classic, which by its nature lends itself to different kinds of interpretations and approaches in accordance with contemporary tastes and values of theatre practice.1

1 Suresh Awasati, Greek Drama in Performance in India, International Meeting of Ancient Greek

drama, Delphi 8-12 April 1984 and Delphi 4-25 June 1985, European Cultural Center of Delphi, Athens, pp. 117-123.

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La teoria della ricezione ha avuto il merito di portare alla ribalta nuovi parametri di valutazione, fra i quali si collocano a pieno titolo tutti quei processi di ‘messa in questione’, ‘sfida’ e ‘sovversione’ del patrimonio classico con i suoi generi formali e contenuti, che sembrano rappresentare la marca caratteristica dell’approccio attraverso il quale la sensibilità contemporanea affronta il suo rapporto con il passato, senza per questo delegittimare né il valore del testo-fonte, né dell’operazione di riscrittura.2 Le nuove produzioni possono essere create da atti di rifiuto di determinate convenzioni tradizionali, così come da operazioni di reazione e risposta nei confronti delle opere classiche come l’appropriazione, assimilazione, adattamento, che fanno leva sui mezzi espressivi del passato per veicolari significati presenti, nell’ottica secondo la quale “every encounter with artworks of the past is really an exploration of current concerns”.3 Solo se inteso in questi termini, ossia come polo dinamico all’interno di uno scambio dialettico fra passato e presente, il testo antico e nella fattispecie il genere della tragedia classicadimostra la sua intrinseca abilità di riattivare quei significati inclusi nel suo orizzonte concettuale e formale. Esso rivela la capacità cioè, di recuperare in un contesto profondamente diverso rispetto a quello originario, quella struttura ‘permanente’- veicolata nel caso preso in esame del teatro antico dal suo contenuto mitico - che codifica conflitti, esperienze e percezioni sociali e culturali che l’uomo ha avuto di se stesso e del mondo che lo circonda nel corso della sua storia e che costituiscono un patrimonio vivo e vitale nella memoria e nelle identificazioni della collettività.

Riprendendo le fila di quanto detto fino a questo punto, dovrebbe risultare chiaro che l’impianto di base della tragedia, testo classico per eccellenza, fornisce al

2 Lorna Hardwick, op. cit. '(Why) Do Reception Studies Matter?’, cap.VI, p. 112. (“In these

‘faithfulness’ to a unified interpretation of an ancient text is no longer a defining criterion. Instead, investigating the nature of the relationship between ancient and modern and between these and other mediating texts and contexts, may generate other kinds of evaluative terms: ‘questioning’, ‘challenging’, ‘unexpected’, ‘celebratory’, ‘selective’, ‘subversive’ may partner with ‘profound’ and ‘revealing’. In the reception vocabulary of the future, appreciation of formal technique may be match by appreciation of cultural ibridity and energy and an awareness of cultural fragmentation and regrouping. […] The vocabulary of the reception studies has moved on from the notions of ‘legacy’ to include also and practice of the present and future creativity of classical culture”).

3 Fiona Macintosh, ‘Tragedy in performance. Nineteenth- and twentieth-century productions’, in

Pat Easterling (editor), The Cambridge Companion to Greek Tragedy, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, p. 284.

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drammaturgo una struttura estremamente flessibile capace di accogliere quei contenuti condivisi anche da contesti storici e culturali contemporanei, mantenendo costante quella funzione di interrogare la realtà umana, nelle sue pieghe più profonde. In quest’ultima definizione risiede forse il vero significato dell’operazione di riscrittura della tragedia classica nella contemporaneità. L’aspetto che si conserva in modo costante tanto nel passato quanto nel presente e che giustifica la possibilità di appropriarsi del patrimonio letterario classico per veicolare contenuti attuali è rappresentato proprio dalla funzione-cardine della tragedia antica, quella cioè di porre interrogativi sul valore dell’esistenza umana e sul significato di cosa significhi essere uomo.

Timberlake Wertenbaker, autrice in prima persona di rifacimenti e traduzioni di tragedie classiche e insieme acuta osservatrice di questo fenomeno, interviene proponendo la propria originale interpretazione. L’autrice suggerisce l’ipotesi secondo cui l’attrazione dei drammaturghi moderni per i personaggi tragici del mito deriva dalla rappresentazione in tutti i drammi dell’antichità dell’inconoscibilità e dell’irrazionalità della condizione umana che relega l’uomo in una condizione di dolorosa estraneità a se stesso, nonostante i suoi sforzi di definizione razionale e di controllo della realtà che lo circonda.4 Wertenbaker afferma:

As always, in moments of crisis, we return to the Greek playwrights and we find they have already sketched the terrain. If we are indeed unknowable, endlessly unknowable, it was those ghostly voices of long ago who first whispered the warning: Electra, Ecuba, Medea. And when we tune in once again to the Greek plays it is to hear those voices calling out of us – across centuries, across history – those voices which first sang of the endless, haunting, unappeased, stalking mystery of the human being.5

4

Cfr. Timberlake Wertenbaker, ‘The voices we hear’, in Edith Hall et al., Dionysus 69. Greek Tragedy at the Dawn of the third Millenium, cit., pp. 361-368; l’autrice descrivendo I protagonisiti delle tragedie classiche sostiene: “[…] they remained incomprehensible, blinded to themselves, irrational and forever unresolved, haunting the rational mind” (p. 362). In un passaggio successivo del suo intervento aggiunge: “The human being may perhaps be unknowable - unknowable and ultimately irrational. Because if unknowable, if irrational, then no amount of science, philosophy, or politics will make us better, will make us behave better. It was one of the frightening conclusions of the twentieth century, after the horrors of the second World War, Chile, and the sores of the Balkan wars and Afghanistan, that we do not seem to progress morally as human being” (p. 366).

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La presa di coscienza del mistero più cupo e inquietante della natura umana alla base del genere tragico acquista ulteriore importanza, come postula la stessa Wertenbaker, in tutti quei momenti storici di crisi come quello attuale in cui la società umana avverte con maggior forza il senso della precarietà della vita umana che si colloca al centro della riflessione del critico Freddy Decreus nella sua analisi del rapporto fra sentimento del ‘tragico’ e riemergere delle tragedie classiche in particolari contesti storici e culturali. Secondo Decreus:

It (the tragic) depends on a Western and originally Greek vision of the world and presents a fundamental idea of life and death which is not Christian and neither chthonic nor matriarchal. Nonetheless, it is deeply religious (in the old sense of ‘re-ligio’) and as complex as the Christian message of faith, a necessary existential condition for the kind of cultural being that has been living in the West. The tragic feeling discusses the finiteness of the human being, the constant threat of losing presumed security[…] Therefore, the tragic condition and the endeavour it inspires to undertakes actions, to make choices and thus to assume responsibility, leads necessarily to ‘acting’ in a fundamental way, away from nature.6

In quest’ottica, il genere tragico si pone nel passato come nel presente come vero e proprio commento sulla condizione esistenziale, politica, filosofica e culturale dell’uomo in ogni epoca e particolarmente sentito soprattutto nelle fasi di transizione dominate da una maggiore incertezza e inquietudine come avviene nella contemporaneità.

Per concludere, è possibile riallacciare queste riflessioni alla celebre immagine del filosofo tedesco Friederich Nietzsche che coglie con straordinaria efficacia questo aspetto della tragedia classica, spiegando la sua inalterata fortuna nel corso dei secoli. Come Nietzsche afferma con grande efficacia, ricorrendo all’immagine dell’eroe greco Perseo che riuscì a sconfiggere la Gorgone, il mostro feroce che pietrificava chiunque avesse osato fissarla negli occhi, guardandone l’immagine riflessa nello scudo donatogli da Atena, la tragedia classica allo stesso modo ci permette di guardare in faccia le nostre paure più profonde e di continuare a vivere con esse. Ed è forse proprio attraverso questa celebre immagine che è

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Freddy Decreus, ‘About Western man and the gap that is constantly threatening him. Or how to deal with the tragic when staging Greek tragedy today?’ in Euphrosyne 31, 2003, p. 62.

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possibile spiegare la straordinaria “attualità” della tragedia classica, la cui vitalità si è mantenuta inalterata fino alla contemporaneità. 7

7 Cfr. Nietzsche, Friederich, Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik, Leipzig, E.

Fritzsch, 1872, (ed.it. La nascita della tragedia, edizione commentata da Vincenzo Vitello e Ettore Fagioli, trad. it di Umberto Ladini, Milano Bruno Mondatori, 2003).

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