1 Analisi dinamica del provino
Il lavoro inizia con lo studio della dinamica del provino; tale studio viene condotto sia analiticamente che mediante il metodo agli elementi finiti per permettere un confronto dei risultati ottenuti.
L’obiettivo è quello di determinare la configurazione ottimale del provino per il funzionamento sulla macchina di prova; particolare attenzione viene posta a questa fase in quanto l’obiettivo è quello di riuscire a bilanciare la sollecitazione (nominale) sui due lati del giunto in modo da ottenere lo stesso livello di tensione. Questo costituisce un notevole miglioramento della prova rispetto all’impostazione iniziale, che prevedeva di avere un determinato livello di carico soltanto su un lato del giunto, con la conseguenza di svolgere un numero di prove doppio per riuscire a testare i due lati del tool-joint ai vari livelli di carico.
1.1 Introduzione alle batterie di perforazione
In questo paragrafo si vuole fornire alcune nozioni sull’ambito applicativo del componente oggetto di studio. Si procede innanzi tutto ad una veloce descrizione dei componenti di una stazione per perforazione petrolifera, descrizione della varie parti e discussione delle aste di perforazione.
1.1.1 Perforazione petrolifera
Questo campo della tecnica è in continua espansione in quanto la ricerca di nuove zone di estrazione viene estesa ad ambiti sempre più difficoltosi come zone impervie, impianti off-shore e soprattutto a profondità sempre più elevate (oggigiorno la profondità media è superiore ai 2000m, arrivando sino a 6000m).
Da queste esigenze deriva la necessità di migliorare le tecniche di perforazione, di sviluppare nuovi materiali ed in generale l’intero processo.
La realizzazione di un nuovo pozzo richiede preliminarmente una analisi geologica per individuare la presenza di giacimenti; in caso di esito positivo si procede alla perforazione del pozzo ed alla successiva estrazione del greggio.
La realizzazione del pozzo impiega strutture portanti a torre “derrik”, costituita da tralicci in acciaio a cui viene appesa tutta l’apparecchiatura per la perforazione, la quale viene messa in rotazione da potenti motori posti a terra, visibile nella figura successiva, dove è riportato un esempio di piattaforma con le sue parti costitutive. Alla struttura portante è appesa tramite cavi o catene, l’intera batteria di perforazione (drill string), i cui componenti verranno discussi successivamente. Durante la fase di foratura, man mano che si scende in profondità, si esegue l’operazione denominata “tripping” ovvero si aggiungono all’intera batteria di perforazione le aste poste a lato (drill pipe). Per lubrificare l’intera drill string e ridurre gli attriti dovuti al contatto di quest’ultima con le pareti del pozzo, per prevenire un eccessivo riscaldamento della stessa si iniettano all’interno del pozzo o della drill string dei fanghi a pressione elevata.
Per quanto riguarda il percorso che segue la batteria di perforazione, attualmente le perforazioni vengono suddivise nel seguente modo:
• Perforazione verticali; • Perforazioni direzionali; • Perforazioni orizzontali.
Figura 1-1 Piattaforma per perforazione petrolifera
Nelle perforazioni verticali la bocca del pozzo è posta sopra il bacino e la perforazione avviene in direzione verticale; nella pratica questo succede raramente infatti volontariamente o no le perforazioni subiscono delle variazioni di percorso; il pozzo pertanto non è più verticale e spesso neppure rettilineo. Un caso tipico di perforazione direzionale, come si nota nella figura seguente, si ha quando l’area sopra il bacino è difficile da raggiungere ( ad esempio per la presenza di una collina) oppure quando la roccia soprastante il bacino si presenta eccessivamente dura,
pertanto si esegue il foro del bacino e poi con dei tratti più o meno orizzontali si arriva alla falda.
Figura 1-2 Configurazioni di perforazione
A volte le deviazioni del percorso di un pozzo non sono previste ma avvengono comunque, la drill string infatti attraversa strati geologici non omogenei con caratteristiche di durezza variabili, questo fa si che la perforazione inavvertitamente venga deviata. Nella pratica tutti questi tratti curvi che la batteria di perforazione è costretta ad attraversare prendono il nome di “dog-leg” ed hanno un ruolo importante nei meccanismi di rottura della drill string, come è facile capire infatti le aste che attraversano i tratti curvilinei, seguendo l’andamento del pozzo, sono soggetti a sollecitazioni di flessione rotante che in molti casi è la prima causa di rottura per il suo andamento ciclico, comportando rotture per fatica del componente. E’ evidente che la rottura di una drill string comporta eccessivi costi di recupero della parte che sta sotto la rottura e nella maggior parte dei casi si ha l’abbandono del pozzo stesso e la necessità di procedere ad una nuova trivellazione.
1.1.2 Componenti della drillstring
La batteria di perforazione, o drill string, è il costituente più importante dell’intero apparato di realizzazione di un pozzo petrolifero. La drill string è quella colonna di tubi che tramite cavi o catene è appesa al derrick ed ha lo scopo principale di
trasferire il moto al drill bit per la frantumazione delle rocce e la realizzazione del foro; essa consta di diversi componenti, i principali sono:
• Kelly • Drill pipe • Tool-joint • Dril lcollars • Drill bit • Accessori vari
Il Kelly è situato nella parte più alta della batteria di perforazione e serve a trasmettere il moto rotatorio e il peso al drill bit attraverso le drill pipe e il drill collars, il peso e la rotazione sono infatti le principali cause di frantumazione della roccia e di conseguenza di formazione del foro. Come è facile capire sul kelly grava buona parte del peso della drill string, pertanto per la realizzazione di esso si usano barre estruse in acciaio ad alta resistenza con alto grado di molibdeno e cromo. Si predilige usare barre a sezione rettangolare cava o esagonale cava.
La principale funzione della stringa di drill pipe è quella di trasmettere il moto rotatorio e il fango di perforazione (“drilling mud”) ad alta pressione al drill bit. Le drill pipe sono soggette a diversi tipi di carichi, come ad esempio l’elevato carico assiale dovuto al peso proprio e al peso dei fanghi di perforazione all’interno, inoltre durante le fasi di lavoro sono soggette anche ad un momento torcente dovuto alla rotazione, ma i carichi più gravosi su di esse si hanno in presenza dei dog-leg infatti per effetto dell’inflessione a cui sono soggetti si trovano a lavorare sotto carichi affaticanti di flessione rotante.
Le drill pipe sono assemblate tra loro mediante i tool-joint, ovvero dei componenti cilindrici saldati alle due estremità delle drill pipe. I tool-joint sono filettati internamente e esternamente, la parte filettata all’esterno è detta “pin”, la parte filettata all’ interno è detta “box”. L’assemblaggio, man mano che si perfora, avviene avvitando il pin di una giunzione nel box dell’altra e successivamente stretta mediante una potente pinza (operazione di tripping).
Il drill collars (o asta pesante) è usato per fornire il peso necessario al drill bit per frantumare la roccia e tenere in tensione le drillpipe. Le drillpipe, hanno infatti, una bassa rigidezza, tendono quindi ad instabilizzare per effetto del loro stesso peso, ripetute instabilità potrebbero perciò portare alla rottura di questi componenti Per eliminare l’instabilità delle drillpipe si fa in modo che l’ 85% del peso del drill collar si trasferisce al drill bit, mentre il restante si usa per mantenere in trazione le drill pipe ed evitare che esse instabilizzino; si può facilmente notare come il punto neutro ovvero dove le tensioni di compressione e di trazione sono nulle è all’interno del drill collar.
Il drill bit rappresenta il “cuore” della drill string, esso è posto all’estremità della batteria di perforazione e tramite l’azione combinata del peso che grave su di esso e del moto rotatorio frantuma la roccia e forma il foro. Esistono vari tipi di drill bit i
più usati sono i modelli a coni, come quello mostrato in Figura 1-3, si può notare come nei tre coni sono innestati i taglienti che possono essere in acciaio, in carburi di tungsteno o in diamante.
Figura 1-3 Drill bit a 3 coni
1.1.3 Drillpipe in alluminio (ADP)
Un campo di sviluppo di nuovi prodotti per la perforazione riguarda l’utilizzo dell’alluminio per la costruzione delle drill pipe al posto dell’acciaio utilizzato correntemente. La richiesta di migliori prestazioni di perforazione ha spinto la ricerca verso nuovi materiali come titanio ed alluminio per finire all’ultima applicazione dei compositi.
Un crescente numero di applicazioni in perforazioni direzionali, soprattutto nell’ambito offshore, con elevate estensioni, per pozzi verticali ed elevate profondità e in ambienti ostili oltre all’esigenza di trovare nuovi giacimenti ha spinto le industrie del settore ad eseguire perforazioni in ambienti difficilmente raggiungibili, per cui anche il trasporto è divenuto un problema importante. Con queste nuove condizioni di lavoro l’acciaio ha messo in evidenza i suoi svantaggi, ovvero una scarsa resistenza alle sollecitazioni affaticanti in presenza di forti curvature, bassa resistenza specifica e maggiori costi di trasporto dei componenti per l’elevato peso. Come detto in precedenza negli ultimi anni si è fatto spazio nell’ambito delle batterie di perforazione un nuovo materiale, l’alluminio; di seguito sono mostrate le principali differenze tra l’uso dell’alluminio e l’uso dell’acciaio in questo settore. La differenza che balza subito all’occhio quando si parla di queste due leghe, indipendentemente dal campo di impiego, è la densità; l’alluminio ha infatti una
densità di 2,7 Kg/dm3mentre l’acciaio presente una densità quasi tre volte superiore,
7,8 Kg/dm3, questo comporta un’ elevata riduzione del peso in aria delle drill pipe a
parità di dimensioni. La differenza di peso si tramuta in una minor difficoltà nel trasporto e di conseguenza di costi, ma è molto importante anche in fase di lavoro. Quando la batteria di perforazione è immersa nel fango di perforazione ad alta densità l’effetto del galleggiamento è maggiore nei materiali con basso peso specifico, quantitativamente, per esempio, se in aria una drill string ha una riduzione del peso rispetto all’equivalente in acciaio del 40%, immersa nel fango di perforazione questa differenza può arrivare al 50%. Come è noto l’alluminio ha una resistenza statica mediamente inferiore rispetto all’acciaio, ma l’effetto del peso specifico più basso fa si che la resistenza specifica dell’alluminio sia all’incirca 2,5 volte la resistenza specifica dell’acciaio, questo fa si che si abbia una forte riduzione delle tensioni di lavoro della drill string a parità di profondità di perforazione ed è in pratica il vantaggio principale legato all’utilizzo dell’alluminio rispetto all’acciaio. Nella figura seguente è riportato l’andamento teorico della profondità di perforazione verticale in funzione della tensione di snervamento per tre diversi materiali: l’acciaio, l’alluminio e le leghe di titanio; è facile notare come l’alluminio abbia le prestazioni più elevate.
Figura 1-4 Confronto materiali drillpipe
L’effetto di un peso specifico relativamente basso consente alle batterie di perforazione in alluminio, soprattutto nelle perforazioni orizzontali, di ridurre le forze ed i momenti d’attrito che nascono nel contatto con le pareti del pozzo e di conseguenza di avere un notevole incremento delle estensioni di perforazione. Siccome le forze centrifughe sono proporzionali alla densità, le leghe di alluminio consentono velocità critiche più elevate rispetto all’acciaio.
Un più basso modulo di Young nei confronti dell’ acciaio (72000MPa per l’alluminio e210000 MPa per l’acciaio) consente una più facile deformabilità delle drill pipe e diconseguenza di affrontare facilmente dog-leg più severi e di ridurre le interazioni tra le paretidel pozzo e la drill string; questo comporta una riduzione del danneggiamento ad usura ed unapiù bassa probabilità che insorgano degli intaglio da cui possano innescarsi delle cricche perfatica.
Relativamente alla resistenza a fatica, negli anni sono stati eseguiti vari test che hanno dimostrato che, a parità di sezione in prova, l’alluminio fornisce delle migliori prestazioni rispetto all’acciaio; se consideriamo poi che in fase di perforazione la stringa è soggetta a una curvatura imposta per cui si sviluppano nell’alluminio delle
tensioni nettamente inferiori che nell’acciaio, è evidente il vantaggio nell’utilizzo del primo materiale rispetto al secondo.
Questa riduzione delle tensioni affaticanti avvantaggia l’alluminio anche nelle fasi di perforazione in compressione, anche se il prolungato avanzamento delle aste con questa modalità di lavoro può incrementare sensibilmente l’usura e l’abrasione dei tool-joint e della zona intermedia delle tubazioni.
L’effetto della temperatura sulle leghe di alluminio per la realizzazione delle drill pipe risulta essere severa quando si superano i 120°- 140°C; al di sopra di queste temperature, ma in generale al di sopra della temperatura dell’ultimo trattamento termico subito le prestazioni meccaniche decadono sensibilmente. All’interno del pozzo la temperatura può superare il valore sopra detto, nella pratica però il fenomeno viene ridimensionato per l’effetto refrigerante dei fanghi di perforazione, che uniti ad un’alta conducibilità termica dell’alluminio consentono un ottimo smaltimento del calore. Altri due problemi legati all’utilizzo dell’alluminio sono la durezza superficiale e la resistenza al grippaggio (legata alle frequenti operazioni di assemblaggio e disassemblaggio delle drill pipe) che possono però essere risolti con opportuni trattamenti termici atti a incrementare la durezza superficiale.
Analizziamo ora la resistenza alla corrosione: le leghe di alluminio infatti possono avere problemi di corrosione generalizzata se lavorano in ambienti con pH inferiore a 4 o superiore a 10,5. Il pH di lavoro è legato al tipo di fango utilizzato per la perforazione; i fanghi infatti possono essere a base acquosa o a base oleosa. Per i primi il pH è compreso fra 7 e 10,5, e il tipo di corrosione che si può verificare è il pitting, per cui è sufficiente limitare il pH fra 8 e 9,5 attraverso l’utilizzo di agenti limitatori del pH [14]. In generale i fanghi a base oleosa risultano migliori da questo punto di vista garantendo una miglior conservazione dello strato di ossido superficiale che si forma sulle pareti delle drill pipe, oltre a ciò, si ottiene una migliore lubrificazione durante la perforazione. Esiste però anche un altro tipo di corrosione molto pericolosa, la SCC (Stress Concentration Corrosion) che si può verificare quando concorrono simultaneamente forti tensioni e ambiente corrosivo e che può manifestarsi anche senza evidenti segni di corrosione. In particolari
condizioni, quando nella zona di lavoro è presente dell’acido solfidrico (H2S), si
parla di SSC (Sulfide Stress Corrosion); le rotture da SSC avvengono in maniera improvvisa e sono particolarmente temibili. A tale proposito la National Association of Corrosion Engineers Standard MR-01-75 ha classificato le leghe di alluminio come impiegabili senza limitazioni negli ambienti contenenti H2S. Riassumiamo di
seguito i vantaggi e svantaggi legati all’utilizzo dell’alluminio rispetto all’acciaio.
Vantaggi:
• Riduzione del peso della drillstring del 50% circa; • Buona resistenza alle sollecitazioni affaticanti; • Maggiore resistenza specifica;
• Calo dell’usura e dell’abrasione; • Minori tensioni a parità di curvatura; • Buona trasportabilità;
• Maggior resistenza alla corrosione SSC e SCC.
Svantaggi:
• Impiego alle alte temperature;
• Uso di fanghi specifici per limitare il pH; • Durezza superficiale.
1.2 Definizione modello provino
La batteria di perforazione usata come riferimento è quella riportata in Figura 1-6, dalla quale è possibile individuare tre componenti principali.
Tool-Joint(TJ): giunto in acciaio per il collegamento delle varie stringhe di perforazione, suddiviso a sua volta in due componenti (Box e Pin). In Figura 1-6 si
individuano alle estremità della tubazione, in alto si trova la parte Box, in basso la parte Pin.
Drill-Pipe(DP): la drill pipe presenta una sezione variabile in prossimità degli attacchi per il tool-joint, in particolare una zona di spessore maggiore. Tale zona (Up-set) è differente in lunghezza tra le due estremità, da notare che il tool-joint box prevede l’up-set di maggiore lunghezza.
La definizione del modello prevede opportune semplificazioni rispetto alla situazione reale, in particolare nella zona di collegamento tra la drill pipe ed il tool joint; ai fini dello studio, è sufficiente riprodurre la massa e le caratteristiche di rigidezza delle varie sezioni. In Figura 1-5 si riporta il modello semplificato della drill pipe per lo studio dinamico nel quale sono state considerate 9 sezioni caratteristiche.
Le sez. 2 e 8 sono state semplificate con tratti a sezione costante considerando un diametro medio tra quelli estremi, in modo da avere la solita massa totale. Le sez. 4 e 6 relative alle giunzioni filettate tra la drill pipe ed il tool joint, invece, presentano una maggiore difficoltà in quanto in queste zone si ha l’interazione di due componenti di materiale diverso.
Anche questi tratti sono stati schematizzati come tratti a sezione costante, utilizzando una densità equivalente ricavabile dalla seguente formula
) ( ) ( kg kt ktg kg kt kt eqv A A A A + + = δ δ δ Eq. 1-1 dove:
δkt: densità del tratto di tubo filettato; δkg: densità del tratto di giunto filettato; Akt: area del tratto di tubo filettato; Akg: area di giunto filettato.
in modo da avere la stessa massa complessiva del sistema reale, ed una rigidezza flessionale EJeqv espressa dalla relazione
) ( kt kt kg kg
eqv E J E A
EJ = + Eq. 1-2
dove:
EktJkt rappresenta la rigidezza flessionale del tratto di tubo filettato; EkgJkg rappresenta la rigidezza flessionale del tratto di giunto filettato.
Quest’ultima relazione nasce dall’aver supposto che il tratto di trave costituito dal giunto e dal tubo uniti da una filettatura si comporti come due molle in parallelo, la prima con rigidezza (flessionale) pari a EktJkt e la seconda pari a EkgJkg. Il tratto equivalente si comporterà perciò come una molla di rigidezza flessionale pari alla somma della due.
Per completare il modello è necessario considerare anche le masse aggiunte alle estremità del provino (massa dell’eccitatore e massa fissa), inserendo nei modelli opportune masse concentrate che ne riproducano la disposizione e l’entità.
1.3 Analisi analitica
La risoluzione analitica del problema prevede di utilizzare uno schema a trave del provino tenendo conto delle diversità geometriche e costitutive dei materiali caratterizzanti i vari tratti. Ogni tratto considerato (individuabile dalla Figura 1-5), è definibile con una sezione cilindrica costante per l’intera lunghezza del tratto; si fa notare che per questa analisi non è possibile sfruttare l’ipotesi di simmetria delle sezioni in quanto i due lati della tubazione hanno lo stesso diametro esterno ma presentano notevoli differenze in quello interno, per la presenza dell’Up-Set di diversa lunghezza.
La sollecitazione sugli elementi può essere semplificata con delle azioni di taglio di modulo costante alle estremità (generate dalle masse), rotanti lungo l’asse x del provino, rappresentato in Figura 1-7.
Figura 1-7 Proiezioni della deformata del sistema
L’analisi può essere condotta studiando il moto che deriva dall’imporre una flessione rotante come risultato di due flessioni alternate, agenti su piani ortogonali (piano X-Y e X-Z) e sfasati tra loro di 90°, in base al principio di sovrapposizione degli effetti. Indicando con u(x,t)=(uy(x,t),uz(x,t)) lo spostamento del baricentro della sezione
generica del provino, si può notare che le due componenti sono analoghe, quindi per semplicità ne sarà mostrato uno solo ( deformazione su piano X-Z).
Introducendo l’indice i=1,2,…9 ogni tratto è descritto dall’equazione
2 2 4 4 ( , ) ( , ) t t x u A x t x u J E i i z i i i z i i i i ∂ ∂ = ∂ ∂ ρ Eq. 1-3 dove:
• i è l’indice che caratterizza il tratto i-esimo del provino;
• uzi(xi,t) rappresenta lo spostamento secondo una direzione ortogonale all’asse
del provino nel tratto i-esimo; • Ei rappresenta il modulo di Young;
• Ji il momento d’inerzia della sezione;
• Ai l’area della sezione;
• Li la lunghezza del generico tratto;
• ρi la densità;
• m la massa complessiva per ogni estremo.
La proiezione nel piano X-Z della deformata di ogni tratto in cui è stato suddiviso il sistema è del tipo:
[
cos( )]
.[
cos( ) sin( ) cosh( ) sinh( ) ) ( i z i i i i i i i i i i i i z x t D X x F X x G X x H X x u i i = Ω +φ + + + Eq. 1-4 dove:• xi rappresenta la coordinata assiale del tratto i-esimo del sistema;
• t rappresenta la coordinata temporale; • Di, Fi, Gi e Hi le costanti da determinare;
• Ω è la frequenza della forzante; • Xi è definito nelle eq. 1.5 e 1.6.
i i X ν Ω = Eq. 1-5 i i i i i A J E ρ ν = Eq. 1-6
Le prime quattro condizioni al contorno, che descrivono lo stato degli estremi del provino, in particolare un momento flettente nullo agli estremi ed una componente di taglio pari a quella generata dinamicamente dalle masse, esprimibili con:
0 ) , 0 ( 2 1 2 1 = ∂ ∂ x t uz Eq. 1-7 0 ) , ( 2 9 9 2 9 = ∂ ∂ x t L uz Eq. 1-8 ) cos( ) , ( ) , ( 2 2 9 2 3 9 9 3 9 9 9 9 m e t t t L u m x t L u J E z ecc z + eΩ Ω ∂ ∂ = ∂ ∂ − Eq. 1-9 2 2 3 1 3 1 1 ) , 0 ( ) , 0 ( 1 1 t t u m x t u J E z fis z ∂ ∂ = ∂ ∂ Eq. 1-10 Dove:
mecc è la massa fissa dell’eccitatore;
me è la massa dell’eccentrico;
e è l’eccentricità delle masse; mfis è la massa fissa.
In aggiunta, è necessario specificare le condizioni di interfaccia tra i vari tratti del provino, in modo da assicurare la congruenza delle funzioni di spostamento u(x); a tal fine, si deve imporre ad ogni interfaccia le seguenti condizioni:
) , 0 ( ) , ( 1 t u t L u i i i z z = + Eq. 1-11 1 ) , 0 ( ) , ( 1 + ∂ ∂ = ∂ ∂ + i z i i z x t u x t L u i i Eq. 1-12 2 1 2 1 1 2 2 ( , ) (0, ) 1 + + + ∂ ∂ = ∂ ∂ + i z i i i i z i i x t u J E x t L u J E i i Eq. 1-13 3 1 3 1 1 3 3 ( , ) (0, ) 1 + + + ∂ ∂ = ∂ ∂ + i z i i i i z i i x t u J E x t L u J E i i Eq. 1-14
Indicando il modulo dello spostamento con u(x,t) 2 2 ( , ) ) , ( ) , (x t u x t u x t u = z + y Eq. 1-15
Tale valore si mantiene indipendente dal tempo, cioè ogni sezione ruota attorno all’asse principale del provino mantenendosi, a regime, ad una distanza costante. Nota la deformazione, ipotizzando valida la teoria di Saint Venant, si può procedere al calcolo del momento flettente nella generica sezione del tubo con la formula di Navier: 2 ) , ( ) , ( 1 i i z i i i z x t x u J E t x M i i ∂ ∂ − = + Eq. 1-16 2 ) , ( ) , ( 1 i i y i i i y x t x u J E t x M i i ∂ ∂ − = + Eq. 1-17
Il momento flettente totale sulla generica sezione è dato dal vettore
)) , ( ), , ( ( ) , (x t M x t M x t Mi i y i z i i i = Eq. 1-18
Per quanto riguarda la tensione in direzione dell’asse x del provino del medesimo punto, questa è data da
) , ( ) , ( ) , (xi t x xi t x xi t x σ yi σ zi σ = + Eq. 1-19 con 2 ) ( ) , ( ) , ( i i i i y i yi x x d J t x M t x = i σ Eq. 1-20 e 2 ) ( ) , ( ) , ( i i i i z i zi x x d J t x M t x = i σ Eq. 1-21
dove con di(xi) si indica il diametro esterno della sezione generica del tratto i-esimo alla quota xi e con Ji il momento d’inerzia della sezione.
Si ritiene opportuno precisare che le tensioni calcolate sono quelle nominali, anche in zone soggette ad elevate fattori di concentrazione delle tensioni come la zona critica tra la tubazione ed il giunto. Questa scelta deriva dal fatto che una misura della tensione reale nei punti critici è improponibile per le dimensioni e localizzazione di tale zone; inoltre, le curve S-N sperimentali tengono conto delle tensioni massime che si hanno nel provino, in quanto ne causano la fessurazione e conseguente rottura del provino.
La scelta di utilizzare le tensioni nominali è molto utile per avere valori di riferimento facilmente utilizzabili, soprattutto pensando all’utilizzo reale sul campo di tali componenti.
Nella Figura 1-8 si può visualizzare l’andamento della deformazione analitica che si ha nel provino, corrispondente al massimo carico previsto per le drill pipe in alluminio; da notare che la parte destra del grafico, corrispondente alla zona di montaggio dell’eccitatore, presenta delle deformazioni inferiori alla parte sinistra.
Figura 1-8 Deformata UY provino corrispondente alla tensione massima
Questo è un vantaggio non trascurabile, considerando che in questa zona è collegato il giunto cardanico, quindi è possibile avere minori spostamenti, a tutto vantaggio della longevità ed affidabilità del componente di trasmissione del moto.
Passando invece all’analisi del momento flettente, riportato in Figura 1-9, si può notare che in prossimità dei due punti critici il valore è molto simile, pari a:
Nm x Lg Mflet( 1)=−2.499 103 Nm x Lg Mflet( 2)=−2.493 103 % 25 . 0 % = Diff
Utilizzando l’Eq. 1-20, noto il momento flettente e le dimensioni effettive del provino è possibile ricondursi alla tensione reale1 agente sui due punti:
1 Influiscono molti fattori su questo valore della tensione; dove possibile si è cercato di utilizzare i
valori misurati direttamente come le masse, le dimensioni del provino, lunghezze tagli, ecc. Considerando una variabilità nella misura della distanza del giunto del 0,5%, un’analisi condotta
MPa Lg reale( 1)=133.9 σ MPa Lg reale( 2)=133.6 σ
Come descritto precedentemente, i test devono essere sempre riferiti alla tensione nominale2, cioè calcolata utilizzando i dati geometrici come da specifica tecnica, in modo da ottenere: MPa Lg nom( 1)=149.1 σ MPa Lg nom( 2)=148.7 σ
Figura 1-9 Momento flettente
La differenza tra queste due quantità è abbastanza limitata; pretendere una precisione maggiore è ininfluente ai fini della prova in quanto le tolleranze geometriche sulla tubazione in alluminio sono abbastanza elevate a causa del processo produttivo ( per estrusione).
mediante il metodo di Montecarlo ha permesso di stimare una precisione percentuale di 1,5% sul valore di tensione.
2 Questo valore di tensione risulta amplificato dalla moltiplicazione necessaria per ricavare il valore
Figura 1-10 Tensione nominale
Nella Figura 1-10, si può notare invece la variazione di tensione con la frequenza: si può notare che si ha divergenza nel grafico per una frequenza prossima ai 35 Hz, cioè quando si eccita il sistema in prossimità della sua prima frequenza propria flessionale. Naturalmente, questo è un modello teorico che trascura lo smorzamento del materiale; questo aspetto sarà analizzato tramite simulazione FEM comunque avremo come conseguenza una limitazione della curva in prossimità della frequenza di risonanza in maggior misura tanto più è la vicinanza alla condizione di risonanza. Per ottenere i risultati precedenti, è stato necessario un lavoro iterativo di ottimizzazione dei vari parametri influenti la prova, ottenendo i valori definitivi seguenti:
Kg
msx =26 Massa estremo sinistra - fissa Kg
Kg
mecc =3.26 Massa eccitatore
mm
e 67= Eccentricità della massa eccitatrice
m
L=3.7 Lunghezza totale provino Hz
fpr =35.1 Prima frequenza propria flessionale provino Hz
flav =32.7 Frequenza di lavoro macchina di prova al massimo carico
Come conseguenza dell’analisi precedente, è scaturito il disegno definitivo del provino, come riportato in Figura 1-11. Da notare che per ottenere la simmetria nella tensione tra i due lati del giunto, oltre ai parametri precedenti si è intervenuto anche sulla posizione dei tagli; in particolare, si adotta una asimmetria per compensare la diversità nella massa tra i due lati ottenendo come dimensioni definite dei provini quelle riportate in figura.
1.4 Analisi fem
In parallelo allo studio analitico della vibrazione, è stato condotto anche uno studio agli elementi finiti tramite software ANSYS della condizione di carico, per condurre analisi modali ed armoniche sul provino. Il modello scelto si basa su elementi trave tridimensionali BEAM 4, riproducendo le condizioni del modello teorico del provino descritto nel paragrafo 1.1.
Nella Figura 1-12 si può visualizzare il primo modo proprio di vibrazione del provino alla frequenza di 34.75 Hz; confrontando questo valore con quello ottenuto dal modello analitico (35.1 Hz), si ottiene una differenza di 1.1 %. Si ha una buona correlazione tra i due modelli, a conferma della validità delle due analisi svolte. Da notare sempre nella stessa figura, agli estremi si hanno elementi MASS21, che permettono di aggiungere due masse concentrate che simulano le azioni delle masse reali corrispondenti. In questo caso non sono stati considerati gli effetti dei momenti d’inerzia lungo i vari assi, ritenendo questi ininfluenti sul risultato finale.
Un fattore che è possibile considerare in questa modellazione è l’influenza dello smorzamento interno del materiale, che ricordiamo è dovuto agli attriti interni al materiale di cui è costituito il provino; oltre al precedente, è definibile anche lo smorzamento critico che rappresenta il limite di smorzamento oltre il quale il provino, a seguito di una perturbazione tenderà all’equilibrio senza più oscillare attorno a questa configurazione.
Nel modello FEM è stato introdotto uno smorzamento percentuale ≠0
cr
C C
, dove con C si indica appunto lo smorzamento interno del sistema mentre con Ccr lo smorzamento critico. Nella modellazione si è supposto uno smorzamento percentuale pari al 2 %.
Figura 1-12 Vibrazione libera provino
In Figura 1-12 si riporta la deformata ottenuta dalla simulazione ANSYS, corrispondente al primo modo proprio di vibrazione lungo il piano X-Y; la modellazione prevede di lasciare gli elementi senza vincoli, questo comporta che i primi 6 gradi di libertà corrispondono ai 6 moti rigidi corrispondenti, naturalmente con frequenza nulla.
Il confronto tra la deformata analitica (u(x)) e quella numerica (Defy) riportata in
Figura 1-13 mostra una ottima corrispondenza; i valori riportati sono teorici, trascurando lo smorzamento, e calcolati al valore massimo di tensione previsto per la drill pipe.
Figura 1-13 Deformata alla tensione massima
Procedendo nell’analisi, si può vedere l’effetto dello smorzamento del materiale sulla tensione indotta nel provino; nella Figura 1-14 si riporta la tensione con smorzamento nullo (SigmaA), con uno smorzamento al 2% ed al 4 % (rispettivamente SigmaA2 e SigmaA4).
Lo smorzamento produce un abbassamento della tensione maggiore quanto più prossima è la vicinanza alla frequenza di risonanza; questo rende le tensioni applicabili al provino comunque limitate, e ben lontane da quelle calcolabili teoricamente e rappresentate dalle due curve asintotiche di SigmaA.
Figura 1-14 Tensione funzione frequenza
Nella figura successiva si riporta un dettaglio della curva precedente, corrispondente alla zona di lavoro della macchina. Le prove necessarie per caratterizzare la curva S-N del provino prevedono di testare con una tensione variabile tra 40-150 MPa; all’interno di questo intervallo si può vedere come la dipendenza della tensione dalla frequenza non è costante ma aumenta con quest’ultima.
Questa considerazione è importante per la modalità di controllo adottata nella macchina; infatti, passando dal controllo in ampiezza della forzante previsto all’inizio al controllo in frequenza, si ha una diversa risposta del sistema.
Ad una variazione di 0.1 Hz ( risoluzione della frequenza impostabile su inverter), a seconda della frequenza imposta corrisponde nel caso di 30 MPa una variazione di 0,8MPa mentre a 140 MPa ben 11MPa.
Questo problema è affrontato andando a modificare le masse eccentriche, in modo da non avvicinarsi troppo alla frequenza di risonanza del provino, cioè la parte ripida della curva; altro vantaggio di utilizzare questo tecnica è nella semplificazione che si
ha nella macchina a tutto vantaggio dell’affidabilità. Infatti, per attuare la variazione di ampiezza della forzante è necessario adottare un secondo albero cardanico, parallelo al primo, posto però ad una distanza elevata dal primo. Questo comporta che il punto di attacco è soggetto a spostamenti e rotazioni molto più elevate che nel principale, compromettendone il funzionamento a meno di ricorrere ad un costo e complicato sistema di lubrificazione del giunto cardanico ad olio.
Altro fattore determinante nella scelta del metodo di controllo della tensione è nel tipo di rottura del provino: questa avviene nella parte di alluminio del provino, con la conseguenza che la propagazione della fessura è molto veloce e con una piccola variazione nella frequenza propria del componente. Adottare un controllo in ampiezza in questo caso non porterebbe a vantaggi evidenti in termini di durata della prova, in quanto il maggior pregio di questa soluzione è quello di consentire di svolgere la prova a frequenza costante; come esposto precedentemente, la diminuzione della frequenza nel caso dell’alluminio è trascurabile con piccole ripercussioni sulla durata della prova.
Il problema che si pone ora è di determinare le dimensioni delle masse necessarie per svolgere correttamente le prove, nel range di tensione prefissato.
Figura 1-16 Campo di utilizzo masse
Tabella 1 Legenda grafico
Etichetta Descrizione
SigmaA2 Tensione massa 2, con smorzamento al 2% Sigma Tensione massa 2, smorzamento nullo SigmaA4 Tensione massa 2, smorzamento al 4% SigmaAMassa3 Tensione massa 3, smorzamento nullo SigmaAMassa3_2 Tensione massa 3, smorzamento 2% SigmaAMassaRid Tensione massa 1, smorzamento nullo SigmaAMassaRid2 Tensione massa 1, smorzamento al 2%
Il processo di ottimizzazione è stato condotto simulando i risultati sia con il modello analitico che quello agli elementi finiti, ottenendo i seguenti parametri.
Dalla figura precedente, si può notare la zona di lavoro corrispondente ad ogni tipo di massa (identificato con un numero 1, 2 e 3), le cui caratteristiche sono rilevabili dalla tabella successiva.
Tabella 2 Proprietà masse eccentriche
N° Massa (kg) Eccentricità (mm)
1 3.23 34.9
2 3.26 67.3
3 5.42 78.2
La massa 1 permette di utilizzare la macchina a basso carico, in modo da non diminuire la frequenza di prova necessaria rispetto alla massa 2; altro vantaggio è nella possibilità di spostare internamente i nodi. Si può vedere questo, considerando la Figura 1-16; si può notare che lo stesso livello di carico si può avere con entrambe la masse 1 o 2 ( a frequenze diverse), però cambia la deformazione del provino e di conseguenza la posizione dei nodi. La deformazione con la massa 1 (DefY1) ha i nodi
più centrali, diretta conseguenza della Eq. 1-9 in quanto il termine a secondo membro è proporzionale al quadrato della frequenza di lavoro. Adottare una massa più piccola comporta la possibilità di lavorare a frequenze più elevate, con una maggiore forzante che agisce sulla parte di destra del provino ( lato PIN del giunto) con l’effetto di bilanciare lo spostamento tra i due estremi.
Figura 1-17 Confronto deformazione a 40MPa tra masse 1-2
Avere una deformata come la DefY2 (massa 2) comporta avere il nodo di destra in
prossimità della fine del provino, con l’impossibilità di avere l’appoggio in posizione opportuna che può causare sollecitazioni anomale sugli appoggi.
L’utilizzo della massa 3 permette di migliorare la risoluzione della tensione alle alte sollecitazioni, infatti una variazione di 0.1 Hz a 150 MPa comporta una differenza di 8.6 MPa con la massa 2 e di 5.4 MPa con la massa 3; in termini percentuali, si ha una riduzione della variazione di tensione del 37%, migliorando l’utilizzo del software di controllo della tensione di prova.
Altra considerazione da fare riguarda la fase, in quanto se è presente anche un valore dello smorzamento non nullo il piano contenente la forzante non contiene la deformazione, esiste uno sfasamento relativo diverso da zero.
Lavorando decisamente al di sotto della frequenza di risonanza lo sfasamento è praticamente nullo; non a caso per queste frequenze lo smorzamento è ininfluente ed il sistema quasi coincide con un modello con smorzamento nullo in cui lo sfasamento è nullo. Lavorando invece molto al di sopra della risonanza si ha uno sfasamento relativo di 180°, come si otterrebbe utilizzando un modello senza smorzamento interno. Nel caso di modello senza smorzamento interno, l’andamento dello sfasamento è mostrato in Figura 1-18.
30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 0 45 90 135 180 Frequenza [Hz] Fase [gradi]
Figura 1-18 Andamento fase (in valore assoluto) in un sistema non smorzato
Passando attraverso le frequenza propria, la fase passa istantaneamente da 0° a 180°. Nella realtà questo passaggio è graduale; anzi, lo è tanto di più quanto maggiore è lo smorzamento interno. In corrispondenza della frequenza propria, indipendentemente dal valore che assume C, l’angolo di fase vale sempre 90°, come si può notare in Figura 1-19. 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 0 30 60 90 120 150 180 Frequenza [Hz] Fase [gradi]
La forza generata dalla massa eccentrica è individuabile mediante la seguente relazione 2 Ω =m R Fcentr e Eq. 1-22
Dove R è l’orbita assunta dalla massa eccentrica nel suo moto di rotazione, me è la massa eccentrica ed Ω è la velocità angolare di lavoro della macchina di prova. Dalla Figura 1-20 si nota lo schema di carico; la posizione finale dell’eccentrico è funzione sia dell’eccentricità di progetto della massa che dello spostamento del baricentro della sezione di applicazione della forzante. Questo permette di individuare i vantaggi dell’utilizzo della configurazione della macchina, infatti con un valore della forzante relativamente piccola si riesce a generare notevoli forzanti nel provino, sfruttando la sua dinamica.
Figura 1-20 Schema forzante
La distanza orbitale della massa eccentrica è esprimibile mediante la
2 2 [ sin( )] )] cos( [u e α e α R= + + Eq. 1-23
dove:
• u rappresenta lo spostamento del baricentro della sezione in cui si applica la forzante;
• e rappresenta l’eccentricità;
• α rappresenta la fase tra la forzante e la deformazione, riportata in Figura 1-19.
Dalle considerazioni precedenti, è facilmente intuibile che la forzante è funzione di vari parametri (massa, eccentricità, fase, velocità angolare), con la conseguenza di ottenere il grafico riportato in Figura 1-21. A bassa frequenza, si ha un incremento parabolico dell’intensità per la presenza del termine quadratico della velocità angolare e valori bassi della fase; in prossimità della frequenza di risonanza la fase diventa 90°, quindi si ha il massimo dell’intensità. Oltre, la fase diventa tale che l’eccentricità delle masse rotanti si sottrae allo spostamento della sezione di applicazione della forzante stessa con la conseguente diminuzione della forza.
Oltre un certo valore della frequenza, la fase si stabilizza su valori prossimi a 180°, con l’effetto che il termine parabolico diventa rilevante e condiziona la parte finale del grafico. 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5x 10 4 Frequenza [Hz] Forza [N]
1.5 Calcolo costanti per stima tensione
Come riportato precedentemente, si utilizza la tensione in un punto assegnato (posizione dell’estensimetro) per stimare la sollecitazione nominale nei punti critici. I coefficienti sono definiti dal rapporto tra la tensione nel punto critico che stiamo considerando e la tensione presente sull’estensimetro (calcolate analiticamente). Nella Figura 1-22 si riporta una rappresentazione dei valori necessari per il calcolo, definiti da:
• Mest è il momento flettente analitico rilevato nella posizione di incollaggio dell’estensimetro;
• MpCr1 è il momento flettente agente nel primo punto critico; • MpCr2 è il momento flettente agente nel secondo punto critico.
Noto il momento flettente, dalla Eq. 1-16 si ricava il valore della tensione effettiva agente nei tre punti considerati. E’ un valore effettivo perché le proprietà geometriche della sezione sono quelle reali, con le dimensioni effettivamente misurate sul provino.
Si ottengono le seguenti tensioni:
i
σ Tensione analitica agente su estensimetro i-esimo,
con i=0,1,2 Eq. 1-24
i B
σ Tensione analitica agente su lato Box del giunto Eq. 1-25
Pi
Figura 1-22 Calcolo coefficienti stima tensione nominale
I coefficienti si ottengono eseguendo queste divisioni:
i B Bi C σ σ
= Coefficiente di stima tensione lato Box Eq. 1-27
i P Pi C σ σ
= Coefficiente di stima tensione lato Pin Eq. 1-28
Tabella 3 Coefficienti stima tensione nei punti critici 027 . 1 0 = B C 025CP0 =1. 844 . 1 1 = B C CP1 =1.840 121 . 1 2 = B C CP2 =1.118
I valori utilizzati fino ad ora delle tensioni sono reali in modo da riprodurre il comportamento dinamico del provino più accuratamente possibile; infatti, le tolleranze dimensionali sono grandi, quindi è possibile avere ad esempio diametri esterni della tubazione in alluminio con uno scostamento anche di 2 – 3 millimetri. Una tale differenza, nella stima della massa e del conseguente risultato dinamico è deleterio, causando notevoli errori.
La procedura utilizzata in questo paragrafo permette di ovviare a questo problema; noti i coefficienti di stima della tensione effettiva, occorre riferirsi alla tensione nominale, semplicemente moltiplicando i valori così ottenuti per un coefficiente definito da: SezNom ale Sez nom W W C = Re Eq. 1-29
nella quale sono definiti con:
• WSezReale è il modulo di resistenza a flessione considerando una dimensione dell’UP-SET con valori reali, effettivamente misurati sul provino;
• WSezNom è il modulo di resistenza a flessione considerando una dimensione dell’UP-SET con valori nominali, ricavabili dalla specifica tecnica della Drill-Pipe.
Questi coefficienti sono utilizzati dal software di controllo per stimare la tensione nominale agente nei punti critici del provino.