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CAPITOLO 2 ASPETTI TEORICI DELLA TURBOLENZA E DEI RELATIVI MODELLI MATEMATICI

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CAPITOLO 2

ASPETTI TEORICI DELLA TURBOLENZA E DEI RELATIVI

MODELLI MATEMATICI

2.1 Breve introduzione alla turbolenza

Nel 1937 Taylor e von Kàrmàn proposero la seguente definizione di turbolenza:

“La turbolenza è un moto irregolare che in generale si verifica nei fluidi quando scorrono intorno a superfici solide o anche quando correnti ravvicinate dello stesso fluido scorrono l’una sull’altra”

In assenza di turbolenza il moto viene detto laminare.

Uno dei parametri fondamentali da cui dipende l’innesco della turbolenza è il numero di Reynolds, definito come

ν

UL

=

Re , dove U è la velocità del flusso incidente, L è una scala di lunghezza caratteristica del moto (ad esempio la lunghezza del corpo investito dal fluido) e ν è la viscosità cinematica.

In generale la turbolenza si presenta come forma di instabilità del moto al di sopra di un certo numero di Reynolds; essa è favorita, inoltre, dalla rugosità superficiale delle eventuali pareti solide e da qualunque forma di perturbazione.

In ogni caso in campo aeronautico e automobilistico, specialmente per quanto riguarda le vetture da competizione ad alte prestazioni, il moto è sicuramente turbolento, almeno in larga parte. E’ dunque fondamentale nelle simulazioni numeriche tenere conto in maniera corretta dei vari effetti della turbolenza.

Anche in presenza di condizioni in ingresso stazionarie e mono o bidimensionali, le fluttuazioni associate alla turbolenza risultano sempre fortemente caotiche, non stazionarie e tridimensionali; le visualizzazioni rivelano

(2)

sempre strutture vorticose caratterizzate da un ampio range di scale di lunghezza e di frequenza.

I vortici più grandi hanno dimensioni e velocità paragonabili a quelle dei corpi presenti, dunque interagiscono fortemente col flusso medio. Il fenomeno dominante è il cosiddetto “vortex stretching” in cui i vortici allineati nel modo giusto coi gradienti di velocità tendono a diventare più lunghi e concentrati, aumentando di conseguenza la propria velocità angolare. Questo processo fornisce l’energia che mantiene attiva la turbolenza e crea strutture vorticose a più piccole scale spaziali e temporali.

I vortici più piccoli a loro volta vengono deformati da quelli più grandi, creando un progressivo trasferimento di energia verso strutture di grandezza via via decrescente. La più bassa scala di lunghezza presente dipende dalla viscosità. Tipicamente il numero di Reynolds associato alle lunghezze e velocità dei vortici più piccoli è uguale a 1: a questo punto gli effetti della viscosità diventano importanti e l’energia cinetica viene dissipata.

Uno degli aspetti caratteristici della turbolenza è il notevole incremento dei fenomeni diffusivi rispetto al caso laminare. Oltre ai normali fenomeni di trasporto a livello molecolare, infatti, viene a crearsi uno scambio di calore e quantità di moto a livello macroscopico tra intere porzioni di fluido inizialmente lontane, che vengono avvicinate dalle fluttuazioni. Una conseguenza di questo fenomeno è il ritardo della separazione dello strato limite, almeno nei casi di separazione libera: lo strato limite riesce a catturare dall’esterno una maggiore quantità di energia e resiste meglio ai gradienti avversi di pressione. Inoltre, a parità di condizioni, si registra un aumento degli sforzi tangenziali alla parete, dato che la velocità cresce più rapidamente allontanandosi da essa.

L’altro aspetto degno di nota è purtroppo l’estrema difficoltà di simulazione in ambito numerico: a fronte dell’estrema sensibilità del moto dei fluidi ad ogni scala di perturbazione si riscontrano, tipicamente, scale che vanno dall’ordine dei metri ai decimi o centesimi di millimetro. Ecco che mentre simulare in maniera diretta la turbolenza richiederebbe almeno 1015 celle di calcolo per ogni metro cubo di volume, i migliori computer disponibili riescono a gestirne un numero di

(3)

almeno sei ordini di grandezza inferiore. Inoltre bisognerebbe risolvere frequenze temporali dell’ordine dei 10 kHz su intervalli di svariati secondi.

L’approccio d’elezione è allora di tipo statistico e si tenta di caratterizzare in maniera corretta, per quanto possibile, l’effetto della turbolenza sul campo medio. Allo scopo si sono sviluppati negli ultimi decenni diversi modelli matematici, dei quali saranno descritti quelli utilizzati in questa tesi.

2.2 Modelli di turbolenza

2.2.1 Approccio RANS (Reynolds-Averaged Navier-Stokes)

Il moto dei fluidi è regolato dalle equazioni di Navier-Stokes, che ne descrivono i bilanci di massa, quantità di moto ed energia. Nel caso di flusso incomprimibile e senza fonti di calore, il bilancio di energia risulta disaccoppiato dagli altri, che possono essere scritti nella forma:

       ∂ ∂ + ∂ ∂ − = ∂ ∂ + ∂ ∂ = ∂ ∂ j ji i j i j i i i x x p x u u t u x u τ ρ ρ 0

dove ui è la generica componente di velocità, ρ la densità, p la pressione e τij la generica componente del tensore degli sforzi viscosi. Nell’ipotesi (universalmente utilizzata) di legame lineare con le deformazioni, si ha

        ∂ ∂ + ∂ ∂ = = i j j i ij ij x u x u s µ µ τ 2

dove µ è la viscosità dinamica.

L’idea alla base del metodo RANS è di scomporre le variabili in una componente media (nel seguito indicata in maiuscolo o segnando la variabile) ed una fluttuazione ad essa sovrapposta, ad esempio ui(x,t)=Ui(x)+u'i(x,t). Nei casi di flusso stazionario la parte fluttuante è chiaramente identificabile come turbolenza; la questione diventa più delicata quando il moto è di per sé non

(4)

stazionario, in quanto non è agevole distinguere le fluttuazioni dovute alla turbolenza. Un modo per aggirare il problema è una separazione delle diverse scale temporali, ossia assumere come vero che la turbolenza sia “confinata” in scale temporali TtT1 molto piccole rispetto a quelle tipiche del flusso TfT2, come mostrato in figura.

-1.2 -1.1 -1 -0.9 -0.8 -0.7 -0.6 -0.5 -0.4 -0.3 2000 2100 2200 2300 2400 2500 2600 2700 2800 asse x a s s e y

Figura 2.1 - Turbolenza ad alta frequenza sovrapposta a segnale a bassa frequenza

In questo caso si può scrivere

) , ( ' ) , ( ) , (x t U x t u x t ui = i + i , con

+ = T t t i i u x t dt T t x U ( , ) 1 ( , ) , T1 <<T <<T2

In numerica T coincide ovviamente con l’ampiezza scelta per il time-step. Vale la pena di sottolineare come l’ipotesi di separazione tra le scale temporali sia del tutto arbitraria e in generale non verificata, ciò nonostante essa è indispensabile per affrontare la soluzione dei problemi non stazionari. Sostanzialmente, tutto quanto avvenga in tempi inferiori a T viene filtrato e considerato come turbolenza, il resto viene considerato come semplice non stazionarietà.

(5)

A questo punto, per isolare gli effetti della turbolenza sul campo medio, è sufficiente sostituire la (2.4) (e le sue analoghe per le altre variabili) nelle equazioni di Navier-Stokes per ottenerne le versioni mediate:

(

)

       − ∂ ∂ + ∂ ∂ − = ∂ ∂ + ∂ ∂ = ∂ ∂ j i ij j i j i j i i i u u S x x P x U U t U x U ' ' 2 0 ρ µ ρ ρ

La quantità −ρu'iu'j è la generica componente di un tensore simmetrico noto come tensore di Reynolds. Essa rappresenta in forma matematica il principale effetto della turbolenza, ossia i fenomeni di trasporto a livello macroscopico. Sfortunatamente i sei componenti diversi del tensore di Reynolds sono incogniti e devono essere in qualche modo modellati: d’altra parte, essi sono il frutto di una semplice manipolazione matematica e non di nuove informazioni sulla turbolenza.

Lo Spalart-Allmaras (SA), il k-ε e l’SST k-ω, usati in questa tesi, sono fra i molti modelli di turbolenza che si basano sull’interpretazione fisica del tensore di Reynolds descritta poco sopra. Il principale effetto dei fenomeni di trasporto macroscopici è un aumento della diffusività; in altre parole, è come se il fluido stesso diventasse più viscoso. Viene dunque introdotta una viscosità “turbolenta” fittizia µt e viene fatta l’assunzione (nota come ipotesi di Boussinesq), che

ij j i t i j j i t j i x u k x u x u u u µ ρ µ δ ρ        ∂ ∂ + −         ∂ ∂ + ∂ ∂ = − 3 2 ' ' dove k u'iu'i 2 1

= è l’energia cinetica specifica di turbolenza. La somma di viscosità molecolare e turbolenta è nota come viscosità effettiva (µeff ).

(6)

Il problema si sposta ora al calcolo della viscosità turbolenta, che in generale sarà funzione del tempo e dello spazio. I modelli sopra menzionati differiscono tra loro proprio in questo aspetto e saranno brevemente descritti nel seguito.

Modello di Spalart-Allmaras

Si tratta di uno dei modelli più semplici e aggiunge una sola equazione differenziale. In dettaglio si ha: (2.1)

(

)

(

)

(

)

υ υ υ ν υ ρ υ υ ρ µ σ υ ρ υ ρ ~ 2 2 ~ ~ ~ ~ 1 ~ ~ Y S x C x x G u x t i i j j b j − +                ∂ ∂ +         ∂ ∂ + ∂ ∂ + = ∂ ∂ + ∂ ∂ dove:

Gυ =Cb1ρS~υ~ è il termine di produzione di viscosità turbolenta, con o 2 2 2 ~ ~ υ υ f d k S S = + o

(

)

ij ij ij S

S = Ω +2min0, − Ω , Sij è il tensore medio di deformazione e Ωij quello di rotazione, e

o 1 2 1 1 υ υ χ χ f f + − = , con υ υ χ ~ = e 3 3 3 1 1 . 7 + = χ χ υ f • 2 1 ~       = d f C

Yυ w ρ w υ è il termine di distruzione di viscosità turbolenta, con

o 6 1 6 3 6 6 3 1       + + = w w w C g C g f o g r C

(

r r

)

w − + = 6 2 o 2 2 ~ ~ d k S r = υ

o d = distanza dalla parete più vicina

La viscosità turbolenta viene infine calcolata attraverso la relazione

1 ~

v

T ρυf

(7)

I vari termini C?? sono costanti numeriche opportunamente calibrate.

Modello RKE (Realizable k-ε)

Si tratta di un modello a due equazioni, relative all’energia cinetica di turbolenza k e al suo rateo di dissipazione ε. Da una semplice analisi dimensionale risulta che      ∝ ∝ l k l k T 2 3 2 1 ε ρ µ

dove l è una scala di lunghezza tipica della struttura vorticosa considerata. Nel modello di Spalart veniva presa arbitrariamente come scala di lunghezza la distanza dalla parete; nell’RKE invece essa è indirettamente modellata attraverso l’equazione di ε. Questo riproduce in maniera più veritiera la realtà fisica in cui la dissipazione è effettivamente legata alla scala dimensionale dei singoli vortici. Il modello scaturisce da una modifica all’originale k-ε volta ad eliminarne alcune incongruenze, quali ad esempio la possibilità di ottenere valori negativi per grandezze che sono positive per definizione.

Di seguito sono riportate nel dettaglio le equazioni del modello:

( )

(

)

k b M k j k t j i i S Y G G x k x ku x k t + + − − +      ∂ ∂       + ∂ ∂ = ∂ ∂ + ∂ ∂ ρε σ µ µ ρ ρ (2.2)

( )

(

)

ε ε ε ε ε νε ε ρ ε ρ ε σ µ µ ρε ρε C G S k C k C S C x x u x t j b t j i i + + + − +         ∂ ∂       + ∂ ∂ = ∂ ∂ + ∂ ∂ 3 1 2 2 1 dove: • 2 S

Gkt è la produzione di energia cinetica ed S è il modulo del tensore di deformazione • i T T i b x T g G ∂ ∂ = Pr µ

β è il contributo della spinta idrostatica, con

o p T     ∂ ∂ − = ρ ρ β 1

(8)

o PrT = numero di Prandtl per l’energia

• 2

2 t

M M

Y = ρε è l’effetto della comprimibilità sulla dissipazione

2

a k

Mt = è il numero di Mach turbolento

•       + = 5 , 43 . 0 max 1 η η C • ε η=S k

La viscosità turbolenta è infine calcolata come

ε ρ µ µ 2 k C t = dove: • ε µ * 0 1 kU A A C s + = • USijSij+Ωijij ~ ~ * • ij ijijkωk ~ − Ω = Ω • Ωij =Ωij−εijkωk Modello SST k-ω

Il k-ω standard è un altro modello a due equazioni in cui, come nel k-ε, sono modellati l’energia cinetica e un parametro legato in qualche modo alla scala dimensionale turbolenta. Nello specifico, ω rappresenta il rateo di dissipazione per unità di turbolenza:

k

ε ω =

(9)

La versione SST (Shear-Stress Transport) tiene conto anche del trasporto dello sforzo di taglio turbolento principale nel tentativo di migliorare le prestazioni del modello standard. Le equazioni utilizzate sono:

( )

(

)

k k k j k j i i S Y G x k x ku x k t + − +        ∂ ∂ Γ ∂ ∂ = ∂ ∂ + ∂ ∂ ~ ρ ρ (2.3)

(

)

(

)

ω ω ω ω ω ω ρω ρω G Y D S x x u x t j j i i + + − +         ∂ ∂ Γ ∂ ∂ = ∂ ∂ + ∂ ∂ (2.4) dove: • k t k σ µ µ + =

Γ è la diffusività dell’energia cinetica

• ω ω σ µ µ t + = Γ quella di ω

• σk e σω sono i rispettivi numeri di Prandtl

G~k =min

(

Gk,10ρβ*kω

)

è la produzione di energia cinetica, con

o G S2

t

k =µ (dal modello standard)

o

(

)

(

)

      + + = 4 4 * 8 Re 1 8 Re 15 4 09 . 0 t t β (caso incomprimibile) o µω ρk t = Re • k t G G ν α ω = è la produzione di ω, con o       + + = ∞ 95 . 2 Re 1 95 . 2 Re 0 * t t α α α α o       + + = ∞ 6 Re 1 6 Re 024 . 0 * t t α α o

(

)

2 , 1 1 , 1 ∞ 1 ∞ ∞ = Fα + −F a α 

( )

4 1 1 =tanh Φ F

(10)

                 = Φ1 ,5002 , 4+ 2 09 . 0 max min y cD k y y k ω ρ ω ρ µ ω          ∂ ∂ ∂ ∂ = − + 10 10 , 1 2 max j j x x k c D ω ω ρ ω

Yk =ρβ*kω è la dissipazione di energia cinetica

ρβω2

ω =

Y è la dissipazione della dissipazione, con

o

(

)

1 1 0.08281 075 . 0 F + −F = β (caso incomprimibile)

Infine, la viscosità turbolenta è data da

      = ω α ω ρ µ 31 . 0 , 1 max 1 2 * SF k t , con •

( )

2 2 2 =tanhΦ F •       = Φ ω ρ µ ω 2 2 500 , 09 . 0 2 max y y k

I modelli appena descritti sono tra i più diffusamente utilizzati in ambito numerico, perché riescono a simulare i principali effetti della turbolenza pur senza un eccessivo costo computazionale; essi non sono, tuttavia, esenti da limiti. In particolare, l’ipotesi di Boussinesq riconduce la turbolenza ad un unico parametro scalare di viscosità ma in questo modo vengono trascurati tutti gli effetti dell’anisotropia propria delle strutture vorticose più grandi. Inoltre va segnalata la tendenza a sovrastimare sensibilmente la viscosità turbolenta.

Un modello più recente, noto come RSM, elimina i precedenti inconvenienti andando a modellare separatamente tutti i componenti del tensore di Reynolds. Per farlo sono necessarie sei equazioni differenziali, più una relativa ad ε dato che il comportamento del tensore dipende comunque dalle dimensioni delle fluttuazioni. Chiaramente il costo è più elevato rispetto ai modelli a due equazioni, e la minore diffusività può causare problemi di divergenza; d’altra parte in alcuni

(11)

casi i risultati sono migliori, specie per quanto riguarda i flussi su geometrie complesse. Per i dettagli sulle equazioni si rimanda a [1] o [2].

2.2.2 Approccio LES (Large Eddy Simulation)

I flussi turbolenti presentano alcune caratteristiche che li rendono difficili da modellare correttamente con un approccio di tipo RANS. Tra le principali, ricordiamo l’anisotropia dei vortici più grandi, la forte dipendenza della loro dinamica dalle particolari condizioni al contorno e la difficoltà di distinguere le fluttuazioni turbolente di larga scala spaziale e temporale da quelle proprie del flusso in esame. Al contrario le turbolenze di piccola scala sono in buona approssimazione isotrope e hanno proprietà universali, dunque più facili da modellare in maniera robusta.

Sulla base di queste premesse nascono i modelli LES, in cui i vortici più grandi sono direttamente calcolati e quelli più piccoli modellati. In questo modo si superano i principali inconvenienti dei modelli RANS con un costo che, seppur elevato, resta di molto inferiore a quello di una simulazione numerica diretta di tutte le scale di turbolenza.

L’idea fondamentale è dunque quella di operare un filtraggio di tipo spaziale, a differenza di quello temporale tipico degli approcci classici. Dopo aver diviso lo spazio in domini di volume V, la generica variabile φ (x,t) viene sostituita in ognuno di essi dalla rispettiva variante filtrata

( )

=

(

)

Φ V dx t x V t x, 1 φ ', ', x'∈V

E’ evidente come nei codici a elementi finiti tale operazione di filtraggio sia implicita nella discretizzazione numerica; in questo caso la scala dimensionale del filtro è data dalla grandezza di ogni singola cella di calcolo ed è quindi in generale

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) , ( ' ) , ( ) , (x t x t φ x t φ =Φ +

in cui φ'(x,t)è detta componente di subgrid-scale (SGS).

Ricapitolando, i concetti fondamentali alla base del LES sono:

• scelta di una scala di lunghezza o di volume, corrispondente alla dimensione degli elementi finiti della griglia di calcolo

• sostituzione delle variabili di campo con le loro versioni filtrate, ossia mediate in ogni cella di calcolo

• modellazione degli effetti delle componenti di SGS sul campo filtrato. Va da sé che un simile approccio sia per forza di cose non stazionario.

Applicando il filtro alle equazioni di Navier-Stokes, nel caso incomprimibile si ottiene:

(

)

(

)

(

)

(

)

(

)

       ∂ ∂ − ∂ ∂ = ∂ ∂ + ∂ ∂ = ∂ ∂ + ∂ ∂ j i j k i j i j i i u u x x U U U x U t U x t 2 2 0 µ ρ ρ ρ ρ in cui il termine

( )

i j j u u x ∂ ∂

è il generico sforzo tangenziale di subgrid-scale, ossia rappresenta l’effetto delle componenti di SGS sul campo filtrato. Analogamente ai casi RANS, tale termine è ignoto e deve essere in qualche modo modellato. In Fluent sono disponibili tre diversi modelli di SGS, tutti basati sull’ipotesi di Boussinesq. Tali modelli non saranno esaminati in dettaglio in quanto non sono parte del presente lavoro di tesi; la trattazione fin qui svolta è stata però necessaria per poter introdurre uno degli argomenti principali trattati: i modelli DES.

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2.2.3 Approccio DES (Detached Eddy Simulation)

Le ingenti risorse di calcolo richieste dai modelli LES hanno favorito lo sviluppo di modelli ibridi, detti DES, in cui alcune regioni fluide sono trattate con metodi RANS non stazionari e le altre con metodi LES.

In Fluent sono disponibili tre varianti del DES, basate sui modelli SA, RKE e SST k-ω. Nelle regioni RANS, tali modelli vengono usati nelle versioni descritte al paragrafo 2.2.1. Nelle altre regioni essi sono invece usati come modelli SGS, semplicemente sostituendo le rispettive scale di lunghezza RANS con quelle LES, in questo caso proporzionali al maggior lato di ogni cella di calcolo.

Modello DES-SA

Il confine tra zona RANS e zona LES è determinato in base a un confronto tra le rispettive scale dimensionali. Ricordiamo che nel modello di Spalart-Allmaras è scelta come parametro di scala la distanza d dalla parete più vicina. Detta ∆ la lunghezza del lato maggiore di ogni cella, se d <0.65∆(ossia vicino alle pareti) si attiva il RANS, altrimenti il LES; in quest’ultimo caso le equazioni per la viscosità turbolenta restano invariate nella forma, ma viene sostituito 0.65∆ al posto di d. Ricordiamo che questo parametro influenza sia la produzione che la distruzione di viscosità turbolenta.

Modello DES-RKE

Analogamente a quanto scritto sopra, viene fatto un confronto tra la scala

dimensionale RANS, che viene posta pari a

ε 2 3

k

lrke = e la scala LES, pari a

∆ =0.61

les

l . In altre parole il LES si attiva se localmente sono presenti vortici più grandi degli elementi della griglia di calcolo, vale a dire (almeno nei casi analizzati in questa tesi) in buona parte della scia, ma non immediatamente vicino alle pareti, dove la turbolenza decresce rapidamente per via delle condizioni al contorno.

(14)

Il termine di dissipazione di energia cinetica, pari a ρε nell’equazione 2.2,

può essere riscritto come

l k Yk 2 3 ρ

= utilizzando il legame dimensionale tra l ed ε. Nelle zone LES l viene sostituito da lles, in quelle RANS da lrke, riottenendo

ovviamente il termine ρε .

Modello SST k-ω

Anche in questo caso viene confrontata la quantità

ω β* k lsst = con ∆ =0.61 les

l , l’interpretazione fisica essendo la stessa di cui sopra. Vedremo tuttavia in seguito come rispetto al caso RKE la zona RANS intorno al corpo tenda a rimanere più estesa a parità di griglia.

Il termine Yk =ρβ*kω viene modificato in modo tale che       ∆ ⋅ = ,1 61 . 0 max * sst k l k

Y ρβ ω . In questo modo, nelle zone RANS il modello resta

nella sua forma originale, mentre nelle altre si ottiene

∆ = 61 . 0 2 3 k Yk ρ

come nel caso

RKE.

2.3 Accenni alla transizione laminare – turbolento

Abbiamo già descritto la turbolenza come fenomeno di instabilità che si verifica oltre certi numeri di Reynolds. Il punto dove ha luogo per la prima volta l’instabilità è sempre a monte della zona in cui il flusso è diventato completamente turbolento: in mezzo è presente una zona di transizione in cui le instabilità si amplificano in vario modo a seconda della situazione. Ad oggi non è disponibile una teoria completa né per quanto riguarda il punto di innesco dell’instabilità, né per l’evoluzione della zona transitoria.

Per quanto riguarda gli strati limite, i meccanismi di transizione dipendono da vari parametri, quali il livello esterno di turbolenza, il gradiente di pressione, i

(15)

onde instabili, dette di Tollminen-Schlichting (T-S). Si tratta di onde bidimensionali, poste in direzione trasversale rispetto al flusso, che in un certo

range di numeri di Reynolds possono venire amplificate fino a diventare instabili ed evolversi, tramite complessi processi tridimensionali, finché lo strato limite non diventa totalmente turbolento.

Un secondo meccanismo, noto come bypass transition, è sostanzialmente dovuto ad eventuali alti livelli di turbolenza già presenti nel flusso incidente, come avviene ad esempio per superfici poste nella scia di altre.

Le principali teorie per la previsione del numero di Reynolds oltre il quale il flusso diventa comunque instabile (noto come Reynolds critico, Rec) si basano su una linearizzazione delle equazioni del moto. Purtroppo si rivelano in molti casi poco accurate sia perché gli effetti del secondo ordine giocano comunque un ruolo importante, data la natura non lineare e caotica delle equazioni, sia perché non sono in grado di prevedere la transizione da bypass. Dunque, un semplice modello teorico per la previsione della separazione non è oggi disponibile. Anche i tentativi di simulare la fisica della transizione si sono finora rivelati infruttuosi o troppo difficili da mettere a punto, specialmente su geometrie complesse.

Date queste difficoltà e considerati gli alti numeri di Reynolds tipici delle usuali applicazioni, tutti i modelli precedentemente illustrati aggirano il problema ignorando completamente la transizione e trattando tutto il flusso come turbolento. In alternativa, è possibile imporre a monte le zone da considerare come laminari.

Un modello recentemente sviluppato da Menter e Langtry [3] rinuncia a simulare la fisica dei processi transitori, ma punta a determinare la linea di transizione utilizzando correlazioni sperimentali. Il modello sarà descritto nel seguente paragrafo.

2.4 Il modello di transizione di Menter e Langtry

Il modello nasce come modifica allo SST k-ω standard (equazioni 2.3 e 2.4) in modo di tener conto della transizione. L’idea fondamentale è di intervenire sui

(16)

termini originali di produzione e dissipazione di energia cinetica attraverso una funzione γeff che prende il nome di intermittenza effettiva:

(

)

(

)

    = = k eff k k eff k Y Y G G 0 . 1 , 1 . 0 , max min ; ~ ~ ' ' γ γ

L’intermittenza è modellata attraverso un’equazione di trasporto, in modo tale da essere pari a 0 se il flusso è laminare, per poi crescere rapidamente a 1 quando è turbolento. Per determinare se il flusso è laminare o meno viene aggiunta

un’ulteriore equazione di trasporto per un parametro chiamato R~eθt.

Per capire il funzionamento del modello, definiamo le seguenti quantità: • θ è lo spessore di quantità di moto

• θt è il valore di tale spessore per cui sperimentalmente si ha transizione in

condizioni di flusso indisturbato

• µ θ ρ θ U = Re è il Reynolds riferito a θ • ν θ ρ θ t t U = Re quello riferito a θt

La logica di base è la seguente:

• Re è ricavato da correlazioni sperimentali non divulgate pubblicamente, θt

che coinvolgono il livello esterno di turbolenza e il gradiente di pressione.

• Tale parametro rientra nell’equazione di trasporto di R~eθt, analogo a Re θt ma modellato in modo da tener conto delle particolari condizioni del problema invece di essere riferito a condizioni standard

• Reθt

~

interviene nell’equazione di trasporto di γ , in modo tale da incrementarla rapidamente se il flusso è diventato turbolento

Nel dettaglio, si ha:

) , max( sep

eff γ γ

(17)

doveγsep tiene conto degli effetti delle bolle di separazione ed è dato da t R c sep e F T θ θ ν γ               −       ⋅ =       − 2 0 , 1 Re 235 . 3 Re max 2 min 4 20 , con        =                       − − − ⋅ =       + −       − 2 4 5 1 2 2 2 0 . 1 , / 1 0 . 1 / 1 0 . 1 , max min E Rc wake e e wake t e F c c e F F ω γ δ γ θ

mentre l’intermittenza “standard” è modellata dall’equazione

( )

(

)

        ∂ ∂         + ∂ ∂ + − + − = ∂ ∂ + ∂ ∂ j t j j j x x E P E P x U t γ σ µ µ γ ρ ργ γ γ γ γ γ1 1 2 2

dove le sorgenti sono date da:

[

]

    = = γ γ ρ γ γ γ 1 1 1 1 1 P c E F S c F P e c onset a length a

mentre i fattori di rilaminarizzazione sono, detto Ω il modulo della vorticità:

    = Ω = γ γ ρ γ γ γ 2 2 2 2 ; 2 P c E F c P e turb a

(18)

(

)

(

)

(

)

              = − =               − = = ⋅ =       − 4 4 3 2 3 3 4 1 1 2 1 0 , max 0 , 5 . 2 1 max 0 . 2 , , max min Re 193 . 2 Re T R turb onset onset onset T onset onset onset onset c onset e F F F F R F F F F F θ ν dove:        = = µω ρ µ ρ ν k R S y T 2 Re

Flenght e Reθc sono invece funzioni dipendenti da Reθt

~

e controllano

rispettivamente la lunghezza della zona di transizione e il Reynolds a partire dal quale inizia la transizione.

L’equazione di trasporto per Reθt

~ è invece

(

) (

)

(

)

        ∂ ∂ + ∂ ∂ + = ∂ ∂ + ∂ ∂ j t t t j t j t j t x x P x U t θ θ θ θ θ ρ σ µ µ ρR~e R~e R~e

dove la sorgente è data da

(

t t

)

(

t

)

t t F t c Pθ = θ ρ Reθ −R~eθ 1.0− θ in cui

(19)

                         = = ⋅ Ω = = =                       − − − ⋅ = =       + −       − 2 4 5 1 2 2 2 2 2 ; Re 50 ; 2 15 ; e R~ 0 . 1 , / 1 0 . 1 / 1 0 . 1 , max min 500 E Rc wake BL BL BL t BL e e wake t e F y U y U c c e F F U t ω µ ρω δ δ θ δ ρ µ θ γ ρ µ ω θ δ γ θ

2.5 Caratterizzazione numerica dello strato limite

Lo strato limite può essere definito come la regione di fluido in cui la risultante delle azioni tangenziali viscose ha un ordine di grandezza uguale o superiore a quella delle forze inerziali. Il rapporto tra tali ordini di grandezza è dato dal numero di Reynolds, che è già stato definito in precedenza.

Prendendo come scala di lunghezza la distanza dalla parete, si ottiene

υ

Uy y =

Re . Lontano dalla parete Rey è alto e il flusso è dominato dalle azioni

inerziali, mentre avvicinandosi progressivamente si avrà una zona in cui i due ordini di grandezza sono comparabili e una in cui dominano le azioni viscose. Se lo strato limite è turbolento i fenomeni macroscopici di trasporto aumenteranno la viscosità apparente, tuttavia immediatamente vicino alle pareti la turbolenza tende a zero e le azioni tangenziali tornano ad essere dovute esclusivamente alla normale viscosità molecolare.

(20)

• una regione interna, fino al 10-20% dello spessore totale δ dello strato limite, a sua volta divisibile in tre parti, che in ordine crescente di distanza dalla parete sono:

o la regione lineare in cui le normali azioni viscose dominano il flusso adiacente alla parete

o il buffer layer in cui le azioni tangenziali viscose e turbolente hanno intensità comparabile

o il log-law layer in cui dominano le azioni tangenziali turbolente • una regione esterna in cui guadagnano importanza le azioni inerziali.

E’ utile a questo punto introdurre due grandezze adimensionali che esprimono distanza e velocità nelle cosiddette “unità di parete”. Esse sono rispettivamente

       = = + + ρ τ µ ρ τ ρ w w U u y y

dove τw è lo sforzo tangenziale alla parete.

E’ possibile ricavare sulla base di alcune ipotesi semplificative le relazioni tra queste due grandezze nelle diverse regioni dello strato limite:

• regione lineare ( + <5 y ): u+ = y+ • log-law layer (30< + <500 y ): + =

(

c y+

)

c u 2 1 ln 1 • regione esterna ( + >500 y ): y A c U U w locale +       = − δ ρ τ ln 1 1 max

Nel buffer layer l’andamento è intermedio tra quello lineare e quello logaritmico.

Le precedenti relazioni, note come leggi di parete, sono utilizzate in Fluent quando la griglia di calcolo non ha risoluzione sufficiente a risolvere correttamente lo strato limite. I modelli RANS utilizzano la legge logaritmica, per

(21)

cui è consigliata una y+ compresa tra 30 e 100 per il centroide delle celle adiacenti alle pareti. Per i modelli DES viene invece consigliata una y+ non superiore a 5 e in questo caso si attiva la legge lineare. Il modello di Menter, infine, richiede addirittura una y+ non superiore a 1.

Vale la pena sottolineare che la y+ dipende dallo sforzo tangenziale alla parete e quindi è nota con precisione solo quando si conosce l’intera soluzione. Durante la realizzazione della griglia di calcolo è dunque necessario stimarla in maniera ragionevole.

Figura

Figura 2.1 - Turbolenza ad alta frequenza sovrapposta a segnale a bassa frequenza

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