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PROCEDURE GIUDIZIARIE IN CASI DI VIOLENZA SESSUALE CONTRO I BAMBINI: L’ESPERIENZA DEL

BAMBINO

REPORT

ITALIA

GIUGNO 2016

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RINGRAZIAMENTI

Siamo grati ai professionisti e ai portatori di interesse che hanno contribuito alla raccolta dati sulla prospettiva dei bambini delle procedure giuridiche in casi di violenza sessuale contro i bambini in

Italia, e nello specifico in Sicilia e a Palermo.

Un ringraziamento speciale va a tutti i bambini e i giovani che hanno deciso di condividere con noi le proprie opinioni e le proprie esperienze del sistema giuridico. La vostra partecipazione manda un

messaggio forte al sistema giuridico e a quello politico che non sarà dimenticato.

LO CASCIO, M., DE LUCA, N., ARDIZZONE, L., (2016) JudEx+: Judicial Proceedings in cases of sexual violence against children – the child’s experience. Country Report Italy. JudEx+

Prodotto A1.4

Questa pubblicazione è disponibile qui: http://judex.azurewebsites.net/

JudEx+: Verso una giustizia a misura di bambino in casi di violenza sessuale contro I bambini è finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione Europea. Gli autori sono i soli responsabili questa pubblicazione. La Commissione declina ogni responsabilità sull’uso che potrà essere fatto delle informazioni in essa contenute.

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Sommario

Introduzione ... 4

1. Procedure giudiziarie in casi di violenza sessuale sui bambini – Il caso dell’Italia ... 4

1.1 Normativa ... 4

Normativa di carattere più generale ... 4

Normativa più specifica ... 5

1.2 Definizioni legali relative alla giustizia dei bambini ... 6

1.3 Fasi in cui partecipano i bambini ... 8

La denuncia: chi può denunciare e a chi si denuncia ... 8

Iter generale dei casi dalla denuncia ... 8

Gli atti e i principali sistemi di tutela previsti dall’ordinamento ... 9

2. Prospettive dei portatori di interesse sull’esperienza dei bambini ... 11

2.1 Focus Group: Contestualizzazione ... 12

2.2 Criticità ... 12

2.3 Questioni Rilevanti e bisogni... 12

2.4 Proposte e raccomandazioni... 14

3. La prospettiva del bambino ... 15

3.1 Interviste: Contestualizzazione ... 15

3.2 Criticità ... 17

3.3 Questioni rilevanti e bisogni ... 18

3.4 Proposte e raccomandazioni... 19

Conclusioni ... 21

Bibliografia ... 22

Allegato ... 25

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Introduzione

La presente pubblicazione raccoglie i risultati della ricerca effettuata fra ottobre 2015 e luglio 2016 come attività del progetto JudEx+. Il CESIE – www.cesie.org – è l’istituzione incaricata della realizzazione del progetto in Italia. JudEx+ è co-finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza della Commissione Europea, e mira a migliorare l’esperienza dei bambini che entrano nel sistema giuridico perché sono stati vittima di sfruttamento o abuso sessuale. L’obiettivo sarà raggiunto attraverso il potenziamento delle competenze dei professionisti che lavorano con i bambini nelle procedure legali, e tramite una strategia di informazione per i bambini e a misura di bambino, relativamente ai loro diritti e ai processi giuridici.

Il fenomeno dell’abuso sessuale sui minori si configura come una vera piaga sociale, con statistiche che dimostrano la trasversalità e l’ampia diffusione della violenza in Italia e in numerosi paesi europei (Telefono Azzurro e Eurispes, 2006).

La ricerca e i risultati di questo frame italiano nascono sul solco degli studi e delle azioni che tematizzano la vittimizzazione secondaria di chi subisce abuso sessuale (Biscione e, Calabrese, 2003; Scali, 2003;

D’angelo, 2007; Toni, 2009). La vittimizzazione secondaria è una “condizione di ulteriore sofferenza e oltraggio” che il soggetto percepisce a partire da una carente attenzione o negligenza delle organizzazioni chiamate a valutare il reato e ad attuare forme di aiuto, con inaspettate conseguenze psicologiche negative per la vittima (Fanci, 2011). E’ esperienza assodata che “la vittimizzazione secondaria esperita durante l’avventura giudiziaria potrebbe influire negativamente su altri ambiti della sfera personale e psicologica della vittima, come l’autostima, la fiducia nel futuro, in un mondo migliore e nella giustizia” (Orth, 2002).

Nella regione italiana in cui si è svolta la ricerca, la Sicilia, anche a seguito di eventi straordinari del passato recente, tristemente balzati agli onori delle cronache (interi quartieri implicati e complici in attività abusanti) e di una forte sensibilità sviluppata negli anni, il contesto locale si è spesso interrogato sulle migliori prassi da adottare e ha costruito nel tempo parecchi accordi inter-istituzionali e modelli di intervento originali ed interessanti.

La ricerca è partita da questi elementi evolutivi, tentando di rintracciare in modo partecipato (operatori e vittime) le proposte di miglioramento più realistiche e sostenibili.

1. Procedure giudiziarie in casi di violenza sessuale sui bambini – Il caso dell’Italia

1.1 Normativa

Normativa di carattere più generale

- Convenzione sui Diritti del Fanciullo. New York, 20 Novembre 1989;

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- Legge 27 maggio 1991, n. 176. Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo (New York 20 novembre 1989);

- Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli. Strasburgo, 25 gennaio 1996;

- Legge 20 marzo 2003 n. 77. Ratifica della Convenzione europea dei diritti dei fanciulli;

- Linee Guida per una giustizia a misura di minore del Consiglio d’Europa, 17 Novembre 2010.

Normativa più specifica

- Legge 15 febbraio 1996, n. 66 - Norme contro la violenza sessuale;

- Legge 3 agosto 1998, n. 269 - Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù;

- Legge 6 febbraio 2006, n. 38 - Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet;

- Direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, la quale tra le diverse innovazioni in termini di sistema normativo e dispositivo relativo alla protezione delle giovani vittime, invita gli Stati a promuovere campagne di sensibilizzazione sul tema dell’abuso e dello sfruttamento sessuale ed a provvedere alla formazione specialistica degli operatori.

- Legge 1 ottobre 2012 n. 172 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale” che ha significativamente modificato sia il codice penale sia il codice di procedura penale italiani, attraverso l’introduzione dei nuovi reati di “adescamento di minorenni” e di “istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia”, delle nuove condotte di “reclutamento, controllo e organizzazione della prostituzione di un minore” a integrazione del reato di “prostituzione minorile” ai fini di una lotta efficace contro fenomeni criminosi quali il turismo sessuale con soggetti minorenni, il raddoppiamento dei termini di prescrizione per i reati di abuso sessuale e sfruttamento sessuale dei minori, l’innalzamento a 18 anni del limite d’età della persona offesa e l’applicabilità del principio di inescusabilità dell’ignoranza dell’età della persona offesa a un numero ben piu’ ampio di reati a danno di minori, oltre all’introduzione di un supporto emotivo e psicologico di operatori di comprovata esperienza da una parte come garanzia di cura e sostegno per le vittime di questi reati in ogni fase del procedimento giudiziario e da un’altra parte come garanzia di recupero e riduzione della recidiva dei condannati per reati sessuali in danno di minori. Un altro importantissimo merito della legge che ha ratificato la Convenzione di Lanzarote è quello di aver fornito una definizione di pornografia minorile come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali."

- D. Lgs. 4 marzo 2014, n. 39 che ha recepito la Direttiva Europea 2011/93/UE, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che modifica in maniera consistente la struttura del codice penale italiano relativamente ai reati concernenti l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori perché oltre a rendere più severe le pene già previste e a

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prevedere nuove circostanze aggravanti, introduce anche previsioni specifiche ai fini della prevenzione di questo tipo di reati, come ad esempio la possibilità da parte del datore di lavoro di richiedere informazioni presso il casellario giudiziale.

Poiché, però, le norme riescono ad essere concretamente attuate grazie a una serie di circolari ministeriali e amministrative, regolamenti interni alle organizzazioni coinvolte, protocolli degli Enti preposti al lavoro con i minori vittima, può essere utile citare alcuni documenti determinanti nelle prassi in atto sul territorio dove si sta svolgendo la ricerca:

- Le linee guida della Regione Siciliana “Per la pianificazione degli interventi multidisciplinari dei servizi sanitari dedicati alla tutela dell’Infanzia e alla presa in carico dei minori vittime o a rischio di violenza” (D.A. n.560 del 23 marzo 2012 pubblicato nella GURS n.17 del 27 Aprile 2012);

- Le linee guida SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) in tema di abuso sui minori – revisione approvata in CD SINPIA il 15 Febbraio 2007;

- Le linee guida CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) “Per la valutazione clinica e l’attivazione del recupero della genitorialità nel percorso psicosociale dei minori”

Il protocollo d’intesa tra Comune di Palermo, Azienda Sanitaria Provinciale Palermo e Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia per la presa in carico interistituzionale dei minori vittime di abuso e maltrattamento nella città di Palermo.

1.2 Definizioni legali relative alla giustizia dei bambini

Esiste una difficoltà significativa a definire esattamente cosa si intende per abuso sessuale ai danni di minorenni ma di certo ogni affermazione si connette a due contesti: il versante giuridico-giudiziario ed il versante clinico e dell’intervento psico-sociale. A fronte delle molteplici forme e categorie nelle quali l’abuso si manifesta, una bussola per orientarsi è data dalla normativa, anche perché qualsiasi azione, trattamento e iter relativo ai minori vittime dipende sempre da quanto è stabilito dai termini di legge.

La legislazione nazionale relativa all’abuso sessuale sui minori, del resto, si compone di una serie di leggi e articoli del Codice Penale e Civile che – anche sulla base della legislazione in ambito europeo e internazionale – provano a tutelare la persona minorenne e indicano le sanzioni per i rei.

In Italia il riferimento principale è senz’altro la Legge n.66 del 15 febbraio 1996 (“Norme contro la violenza sessuale”) che ha non soltanto trasformato il reato di abuso sessuale da reato contro la

“moralità pubblica e il buon costume” in un reato contro la persona, ma ha anche introdotto i reati di violenza sessuale (art. 609 bis del codice penale), di atti sessuali con minorenne (art. 609 quater del codice penale), di corruzione di minorenne (art. 609 quinquies del codice penale) e di violenza sessuale di gruppo (609 octies del codice penale). In particolare l’art. 609 bis specifica chi sia l’abusante:

“Chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”; e aggiunge che la gravità aumenta se approfitta delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, o trae in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

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Sotto un profilo più strettamente clinico, abuso sessuale viene considerato il coinvolgimento di un minore da parte di un partner preminente adulto in attività sessuali anche non caratterizzate da violenza esplicita, a cui il minore non può liberamente consentire in ragione dell’età e della preminenza dell’abusante; si includono, peraltro, anche lo sfruttamento sessuale di un bambino o di un adolescente, la prostituzione infantile e la pedopornografia. Da questo punto di vista, è importante notare che nonostante in passato la tendenza fosse quella di includere nella definizione di abuso una gamma di atti molto ampia distinguendo in essi tra “abuso con contatto” e “abuso senza contatto”, con il tempo diversi autori si sono convinti che fosse migliore la definizione che considera “abuso sessuale nei confronti di un minore, qualsiasi approccio o azione di natura sessuale che coinvolga un bambino e/o che causi in lui disagio o sofferenza psicologica” perché permette di evitare il riferimento alle molteplici sfaccettature ed esplicitazioni del fenomeno e, inoltre, sottolinea che non è necessario un contatto fisico diretto valutando invece come reato anche le prime manifestazioni di interessamento e seduzione da parte dell’adulto. D’altronde si riconosce che la prevalenza degli abusi avviene all’interno di interazioni che nascono, si alimentano e si mantengono entro forti e significativi legami relazionali. L’abuso, infatti, è più frequente quando si rinsalda in un legame a livello psicologico, per il quale l’abusante esercita la propria azione di potere e di dominio.

A proposito di definizioni, resta interessante il riferimento alla Convenzione di Lanzarote (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale, 2007), che nell’art. 18 testualmente indica il sex offender come colui che “a. compie atti sessuali con un minore che, in base alle disposizioni pertinenti dell’ordinamento nazionale, non ha raggiunto l’età minima per compiere tali atti; b. compie atti sessuali con un minore - ricorrendo a coercizione, forza o minaccia;

oppure - abusando di una riconosciuta posizione di fiducia, autorità o influenza sul minore, anche all’interno della famiglia; oppure - abusando di una particolare condizione di vulnerabilità del minore, in particolare in ragione di una disabilità psichica o fisica o di una situazione di dipendenza”.

Ritornando brevemente alla legge in vigore, anche le norme della L.66/96 perseguono l’obiettivo di tutelare l’integrità non soltanto fisica, ma anche psichica dei soggetti più esposti alle aggressioni e alle violenze sessuali. La scelta compiuta dal legislatore è stata quella di introdurre la definizione di un’unica ipotesi di reato denominato “atti sessuali”, includendo così, in questa espressione, anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore. Tra i vantaggi di questa legge citiamo:

- il fatto d’aver trasformato questo crimine da reato contro la “moralità pubblica e il buon costume” a reato contro la persona, riconoscendo che è la sfera di libertà personale ad essere gravemente violata;

- un’attenzione particolare per i minori in ragione della loro immaturità psichica e fisica, della loro conseguente incapacità di esprimere un consenso automaticamente libero e cosciente, della loro inesperienza e delle conseguenze altamente dannose per un loro equilibrato ed armonico processo di crescita.

Sarà solo successivamente che in Italia, con la legge 269/1998 contro lo "Sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù", si disciplinerà in maniera specifica la lotta allo sfruttamento sessuale dei minori.

Con tale legge, infatti, vengono introdotti i seguenti reati: Prostituzione minorile (Art. 600-bis), Pornografia minorile (Art. 600-ter), Detenzione di materiale pornografico (Art. 600-quater), Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (Art. 600-quinquies) e Tratta di minori (Art.

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601, comma 2), che per il momento sembrano completare le possibili fattispecie dell’abuso sessuale sui minori con l’aggiunta di tutti i reati connessi alle nuove tecnologie e all’uso di Internet.

1.3 Fasi in cui partecipano i bambini

La denuncia: chi può denunciare e a chi si denuncia

Per la legge italiana, vi sono due possibili opzioni per la procedibilità e la denuncia: la querela di parte e la querela d’ufficio.

c.1) Nel primo caso, chiunque sia vittima di “atti sessuali” deve denunciare il fatto agli organi competenti entro sei mesi dal fatto. Nel caso di minorenne più verosimilmente sarà un adulto a sporgere la denuncia per la vittima.

c.2) Nel secondo caso, tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio (ed è il caso del reato di abuso sessuale ai danni di minore), devono fare una denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito (art. 331 c.p.p.). In concreto, pubblici ufficiali sono per esempio i giudici e gli operatori dei servizi pubblici, gli insegnanti di scuole pubbliche (che sono senz’altro pubblici ufficiali nell’esercizio dei loro poteri certificativi) ma anche quelli di scuole private, gli educatori di comunità, i medici che hanno anche l’obbligo del referto, e gli specialisti della sanità pubblica, quali psicologi-psicoterapeuti, assistenti sociali, educatori, ecc. Una sanzione penale è prevista per chi non assolve all’obbligo di denunciare o se procede con ritardo significativo. E’

interessante che la Legge italiana indichi che, avuta la notizia, si debba subito denunciare e fa divieto di svolgere un preventivo vaglio di attendibilità della notizia per non compromettere – con la comunicazione ai familiari, o a terzi - il buon esito delle indagini.

In entrambi i casi suddetti (c.1 e c.2) la comunicazione deve essere presentata ad un ufficiale di Polizia Giudiziaria o al Pubblico Ministero: se il presunto aggressore è maggiorenne alla Procura della Repubblica mentre se il presunto sex offender è un minorenne al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori.

Iter generale dei casi dalla denuncia Per il presunto sex offender:

- se il presunto reo è minorenne si apre un fascicolo presso la Procura della Repubblica per i Minorenni e vengono avviate le indagini;

- se il presunto reo è maggiorenne si apre un fascicolo presso la Procura della Repubblica e vengono avviate le indagini;

Per il minore di cui è stata denunciata la violenza subita:

Nel momento in cui la denuncia viene effettuata, si apre per il minore un fascicolo presso la Procura della Repubblica al Tribunale dei Minorenni, sezione civile. I passaggi successivi a questo avvio formale sono:

La segnalazione

Segnalazione al Servizio Sociale dell’Ente Locale per:

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- valutazione socio-ambientale;

- eventuale attivazione di un supporto psico-sociale presso i servizi competenti;

Segnalazione al Tribunale per i Minorenni (art 609-decies) per:

- decreto con indicazioni sul mandato da svolgere nei confronti del minore e della sua famiglia;

- eventuale allontanamento dal nucleo familiare e dal contesto d’appartenenza qualora si valuti la possibilità di essere nuovamente oggetto di violenza;

- l’ascolto del minorenne o di altri soggetti da parte delle varie figure coinvolte nelle attività processuali e d’intervento psico-sociale: Polizia Giudiziaria, Giudici, Avvocati, Esperti per consulenze e audizioni, Operatori del Servizio Sociale, Operatori delle Aziende Sanitarie (ASP);

- assunzione d’informazioni dai genitori o altri soggetti ritenuti significativi rispetto al reato;

- eventuale nomina di Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU);

- eventuale nomina di un curatore speciale.

Le delibere vengono fatte in camera di consiglio formata da due giudici di carriera (togati) e due giudici onorari (non togati) i quali devono essere selezionati fra gli esperti delle materie considerate rilevanti (psicologia, pedagogia, neuropsichiatria, ecc.)

A proposito dell’ascolto è importante il riferimento normativo dell’art 336 bis c.c. che prescrive che il minore “capace di discernimento” debba essere ascoltato dall’Autorità Giudiziaria ma nel caso in cui l'ascolto sia in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non deve procedere all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato. Sempre seguendo la stessa norma di legge, l'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento. Prima di procedere all'ascolto il giudice deve informare il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto.

Gli atti e i principali sistemi di tutela previsti dall’ordinamento

Per la particolare vulnerabilità del soggetto vittima di abuso sessuale, o potenzialmente vittima di abusi, si ritiene necessario mettere in atto una serie di azioni che possano funzionare da elementi di protezione fisica, psicologica e sociale e, dunque, di tutela per il minore anche a partire dal fornirgli una corretta informazione su quanto sta accadendo e su quali saranno i successivi passaggi cui andrà incontro.

Più specificatamente nell’ambito del sistema giudiziario, il giudice deve consentire ai minori che sostengano di essere stati vittime di abuso di poter rendere la loro deposizione secondo modalità che gli garantiscano un livello di tutela adeguato fin dal primo momento come ad esempio al di fuori dell'udienza e prima della tenuta di quest'ultima (artt. 2, 3 e 8, n. 4, della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI).

In maniera schematica si possono individuare i principali aspetti di tutela vigenti nelle procedure in

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1) L’assistenza al minore:

L`assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede. In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia e dei Servizi istituiti dagli Enti Locali. (art. 609 decies c.p, L.66/96)

2) L’audizione protetta:

Considerando il trauma emotivo e i rischi di vittimizzazione secondaria che ogni interrogatorio o audizione del minore inevitabilmente comporta in Italia “l'esame del minore vittima del reato viene effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico" (L. 269/9, Art 13 4-ter). Il minore rimane in una stanza dove è presente solo l’esperto che sostiene ed eventualmente supporta l’Autorità Giudiziaria nella formulazione delle domande in funzione dell’età e delle competenze del minore. Qualsiasi altro soggetto che la legge prevede possa presenziare all’audizione dovrà restare nella stanza attigua e assistere da dietro il vetro o attraverso il monitor della videoregistrazione attivata1.

3) La non ripetizione degli interrogatori e l’utilizzo della medesima videoregistrazione in cui è stato effettuato l’incidente probatorio;

4) L’indicazione di provvedere a formare il personale e gli operatori che a vario titolo incontreranno il minore2;

5) L’inserimento in comunità qualora sia ritenuto necessario per garantire l’integrità psico-fisica del minore;

6) La vigilanza periodica sulle comunità che ospitano i minori da parte della Procura dei Minorenni affinché si valuti e si monitori l’effettiva capacità delle strutture di essere luoghi sicuri e accoglienti per i minori che vi sono collocati;

7) Alcune buone prassi di presa in carico interistituzionale che vengono attuate in alcuni territori; In realtà su tutto il territorio nazionale ormai da anni esiste una sensibilità diffusa e la consapevolezza della necessità di una presa in carico interistituzionale; basti pensare che da almeno 20 anni esiste un soggetto come il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso

1 È utile ricordare brevemente che nella cosiddetta Convenzione di Lanzarote vi è un esplicito richiamo in questa direzione quando si dice che: a) le audizioni del minore abbiano luogo senza ritardi ingiustificati, dopo la segnalazione dei fatti alle autorità competenti; b) le audizioni del minore si svolgano, ove necessario, in locali concepiti o adattati a tal fine; c) le audizioni del minore siano condotte da professionisti formati a tal fine; d) il minore sia sentito, ove possibile e necessario, sempre dalle stesse persone; e) il numero di audizioni sia limitato al minimo e allo stretto necessario per lo svolgimento del procedimento penale; f) il minore possa essere accompagnato dal suo rappresentante legale o, ove necessario, da un adulto di sua scelta, salvo decisione contraria e motivata presa nei confronti di tale persona. Inoltre le audizioni della vittima o, ove necessario, di un minore testimone dei fatti, possano essere oggetto di una registrazione audiovisiva, e che tale registrazione possa essere ammessa quale mezzo di prova nel procedimento penale, conformemente alle norme previste dal proprio diritto interno.

2 Sempre nella convenzione di Lanzarote troviamo l’invito a rendere “disponibile una formazione in materia di diritti del minore, nonché di sfruttamento e di abuso sessuale di minori, a beneficio di tutte le persone coinvolte nel procedimento giudiziario, in particolare di giudici, procuratori e avvocati. (art. 36)

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all’Infanzia) che come Associazione pluridisciplinare raccoglie sul piano scientifico e operativo esperienze concrete di intervento e ne facilita lo scambio. Ci sono poi regioni come l’Abruzzo e il Molise che si sono dotate di linee guida in materia di maltrattamento e abuso (con la firma di protocolli da parte di tutte le istituzioni interessate), o città come Trieste e Genova dove si sono costituite e formalizzate reti ampie che insieme affrontano la complessità del fenomeno della violenza sessuale. In particolare conosciamo il protocollo di intesa tra Comune di Palermo, Azienda Sanitaria Provinciale e Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia che promuove le equipe territoriali interistituzionali (assistente sociale, neuropsichiatra infantile, psicologo e assistente sociale, operatori psicopedagogici) come la prassi migliore e multidisciplinare di cura, tutela e sostegno, per il rispetto dei diritti in cui il percorso giudiziario possa essere positivamente connesso all’operatività dei servizi (vedi allegato). Inoltre, segnaliamo tre realtà come il “Centro per il Bambino maltratto e la cura della crisi familiare” (a Milano), il Centro TIAMA e il Centro Studi Hansel e Gretel che da decenni si battono, praticano e predispongono formazioni specifiche, con una forte produzione scientifica, sulle modalità di presa in carico complessa e multidisciplinari all’interno di modelli sistemici ed ecologici di intervento.

8) L’ascolto in presenza di esperti.

Nelle audizioni di minori, la polizia giudiziaria o il pubblico ministero che debbano assumere informazioni da persone minori di età - siano essi persone offese o anche solo persone informate sui fatti - in ordine ai reati di abuso sessuale, debbono avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile.

L’indicazione dell’esperto va fatta, in ogni caso, da parte del magistrato.

9) La nomina di un curatore che deve preparare il minore all’iter anche secondo il principio del “migliore interesse del minore” e che ha, tra gli altri, il compito specifico di fornire spiegazioni ed informazioni al minorenne dotato di capacità di discernimento (Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, ratificata con Legge n. 77/2003).

10) La possibilità di realizzare il Processo senza il pubblico 3;

11) La previsione di difesa tecnica (ancorché non d’ufficio) per il minore attraverso una sorta di intermediario tecnico, capace di interloquire con le altre parti e con il giudice.

La sezione che segue offre una sintesi dei risultati della ricerca effettuata in Italia per il progetto JudEx+.

Si è preferito mantenere distinti i risultati ottenuti con i due strumenti utilizzati, i focus group con professionisti e le interviste sull’esperienza delle vittime, anche per evidenziare punti di sovrapposizione e differenze nei due punti di vista (operatori e vittime). Una riflessione più complessiva deve, peraltro, cercare di mettere insieme queste visioni, costruire un modello esplicativo delle complesse dinamiche interattive e sistemiche, individuare possibili integrazioni o alternative d’azione in direzione di una giustizia più prossima ai minori e alle vittime più in generale.

2. Prospettive dei portatori di interesse sull’esperienza dei bambini

3Ricordiamo ancora le indicazioni dell’art 36 comma 2 della Convenzione di Lanzarote: “Ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o di altra natura, conformemente alle norme previste dal proprio diritto interno, necessarie affinché: a) il giudice

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“Dobbiamo evitare la proliferazione dei punti di dolore”

“Il nostro compito è quello di restituire al bambino una significazione dell'evento che lui possa poi reinserire in maniera più armonica possibile nella propria identità e nella propria storia narrativa”

(dai focus group con i professionisti)

2.1 Focus Group: Contestualizzazione

I giorni 3 e 4 maggio 2016, lo staff del CESIE ha condotto due Focus Group presso gli uffici dell’organizzazione, così come previsto dal progetto. In entrambi si è avuta la più ampia rappresentanza di operatori (giudici, sostituti procuratori, avvocati, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali, psicologi, educatori e responsabili di comunità, polizia giudiziaria, psicopedagogisti della scuola, ecc.) e istituzioni che, a vario titolo, si occupano di minori abusati e che, pertanto, si conoscono reciprocamente poiché si incrociano con assiduità nel lavoro quotidiano. In entrambi i Focus si è evidenziato un clima di estrema disponibilità e collaborazione, con un’evidente desiderio di contribuire ad un sapere più utile al cambiamento.

Nonostante nella realtà dell’intervento ordinario esistano complesse dinamiche interprofessionali e interistituzionali, i partecipanti hanno saputo responsabilmente concentrarsi con efficacia sugli scopi del focus, senza inquinare il setting con aspetti e interazioni che esulassero dagli obiettivi della ricerca.

Inoltre, al di là delle valutazioni raccolte, emerge con chiarezza che già da molti anni esistono buone pratiche e periodici tavoli di confronto tra i vari soggetti con veri e propri “protocolli d’intesa” che forniscono indicazioni sulle metodologie d’intervento da perseguire.

2.2 Criticità

- Esiste una discrepanza tra i tempi della giustizia e i tempi della “cura”, e talvolta una distanza tra le organizzazioni di lavoro delle istituzioni/enti ed i reali bisogni delle vittime. Quest’ultime avrebbero infatti l’esigenza di essere seguite con cadenze realmente terapeutiche e per periodi tali da permettere di risanare i danni subiti (Malacrea, 1998);

- Una forte sofferenza è indotta dall’essere spesso totalmente all’oscuro di cosa stia capitando al reo (soprattutto se adulto) e non avere notizie sul suo iter giudiziario e psico-sociale. Ciò è vero anche per bambini molto piccoli e genera ancora più disagio se si associa alla perdita di tutti i punti di riferimento e all’incognita delle sue stesse prospettive future;

- Non sempre si riesce a trovare un vero linguaggio comune tra i vari soggetti dell’intervento mentre viene sottolineato come il minore gioverebbe moltissimo di adulti che “si parlano e si capiscono”, attenuando eventuali deficit di comprensione e comunicazione;

- Comunque siano andati i fatti, la sofferenza della denuncia e di tutti i passaggi successivi non sempre trova un corrispettivo nei forti desideri ed esigenze della vittima di essere risarcita, in vario modo. Ciò genera ulteriore frustrazione e sentimenti di rabbia.

2.3 Questioni Rilevanti e bisogni

- La migliore “presa in carico” deve essere “distribuita”, interprofessionale, interistituzionale, come concordato nei protocolli e come gli operatori affermano di provare a realizzare. Per

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questo è già presente e attiva a Palermo, come già citavamo in precedenza, una rete molto ampia e ricca d’esperienza sul campo. Inoltre, la rete formale che fa capo al protocollo di cui si scriveva (vedi 1.3.) è fortemente interconnessa e dialoga con altri soggetti e progetti che si occupano dello stesso tema in città (per esempio Progetto Armonia) e, addirittura, costruiscono ponti di conoscenza e collaborazione con altri soggetti che si occupano di abusanti minorenni (gruppo EOS dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni).

- Il concetto di “minore” e l’immagine dell’infanzia di cui si è culturalmente portatori ha un influenza determinante sulle modalità, anche giudiziarie, con cui l’abuso viene affrontato. Anche da un punto di vista lessicale la parola minorenne (e la visione dominante ancora in molta parte della nostra cultura nazionale e professionali) indica un “minus”, una diminuzione, come se il bambino e l’adolescente fossero dei soggetti “ridotti”. Ciò genera una propensione nello

sguardo adulto e istituzionale più proteso alla protezione (protection) e all’assistenza (provision) che alla partecipazione (participation); è proprio un’immagine nuova di bambino/adolescente attivo, riflessivo, capace di prendere la parola, di operare liberamente che potrebbe certamente indurre procedure giudiziarie e forme di ascolto più ampie e significative e, pur riconoscendo il ruolo di vittima da tutelare, lo metterebbe in una posizione di maggiore controllo della sua vita e del suo stesso destino (naturalmente bisogna valutare caso per caso e soprattutto ricordare l’abisso di differenze nel tempo tra 0 e 18 anni).

- La vittima che si incontra è un soggetto il cui mondo interno è sempre “devastato” ed i cui contesti ecologici sono spesso “a rischio” o comunque compromessi, in difficoltà, bisognosi di essere supportati a loro volta. Per questo un modello corretto di lavoro dovrebbe innanzitutto osservare e valutare quale sia il danno ed i bisogni della vittima per poi fornire sostegno ed informazione con continuità e chiarezza. In questo modo si potrebbero ribaltare i vissuti di frammentazione e confusione indotti dalla violenza subita ma anche dall’enorme quantità di persone, luoghi e procedure che il minore incontrerà dal momento in cui fa ingresso nel sistema giudiziario.

- Fra i fattori che caratterizzano le vittime vi sono la necessità d’essere creduti (purtroppo il fatto di moltiplicare gli incontri in cui si racconta la violenza viene spesso interpretato come se gli adulti non credessero a quella versione), i frequenti sentimenti di ingiustizia (per esempio l’essere espulsi dai propri contesti di vita mentre il reo indisturbato continua a fare la sua vita di sempre), i vissuti dolorosissimi e le voragini affettive che richiedono indiscutibilmente supporti psicosociali adeguati (De Cataldo Neuburger L., Gulotta G., 2004).

- Un terreno che ostacola il lavoro è “un’esigenza di riservatezza nell'indagine diretta alla repressione del reato e invece un'esigenza di tutela del minore quanto più tempestiva possibile per quanto riguarda l'intervento del tribunale per i minorenni”, soprattutto nei casi di abusi intrafamiliari o dove comunque il reato potrebbe ripresentarsi. Per esempio, il rischio è che per tutelare il minore non si producano nel processo all’adulto elementi di prova che convincano davvero il collegio giudicante.

- La legge italiana include, negli stessi articoli (609 bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, octies e nonies, così come ridefiniti dalla L.66/96) una gamma molto ampia di tipologie d’abuso e senza delle reali differenze tra fasce d’età entro i 18 anni. L’intenzionale genericità del

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nella realtà infinite varietà di forme d’abuso (basti pensare che la stessa norma copre condotte differenti come il palpeggiamento o la penetrazione), un arco di tempo di 18 anni (diversa è la situazione di un bimbo di 4 anni da quella di un ragazzo di 16 anni), condizioni iniziali straordinariamente differenti (basti anche solo citare la differenza tra abuso intrafamiliare o eterofamiliare) ciò implica che la norma generale non possa essere troppo dettagliata e specifica. A questo “vantaggio”, in termini procedurali, però si contrappone lo svantaggio di una sensazione talvolta di sproporzione tra l’accusa, la pena inflitta e l’episodio di violenza (anche per gli stessi rei soprattutto quando si tratta di rei minorenni) e, da parte dell’autorità giudiziaria, un’oggettiva difficoltà (nonché maggiore discrezionalità) nel determinare l’entità della risposta e una “graduazione” della stessa in funzione dei fatti effettivamente accaduti.

2.4 Proposte e raccomandazioni

L’interesse dei partecipanti è testimoniato anche dal fatto che sono state espresse opinioni e idee per articolare proposte di miglioramento o integrazione di prassi, situate su vari livelli d’azione (politica, legislativa, operativa, formativa, culturale). Si ritiene utile:

1) Incrementare sforzi e procedure che raccordino efficacemente il Tribunale degli adulti ed il Tribunale per i minorenni nonché le due rispettive Procure. Non solo i tempi (troppo lunghi) e le scelte giudiziarie ne gioverebbero, ma soprattutto sarebbe vantaggioso nei termini del ”benessere” delle vittime;

2) Aprire con celerità le tutele e nominare “di routine” un curatore speciale che possa seguire, accompagnare, garantire, orientare la vittima in ogni step dell’iter giudiziario, dal principio alla sua conclusione;

3) Creare nei Tribunali una sorta di “doppio binario” come già per i processi di mafia, dando priorità ai processi per abuso sessuale, per velocizzare i tempi, considerando l’alta specificità e la gravità del reato nonché l’elevata probabilità della recidiva con gli incalcolabili costi umani che ne conseguono;

4) Definire al meglio e congiuntamente i compiti e i ruoli di ciascun professionista e istituzione, rispettando i confini affinché l’intervento non diventi di difficile gestione, generatore di conflitti, confusivo e inefficace nel dare giustizia alle vittime.

In tale direzione bisogna:

o integrare l’intervento psicologico con quello sociale;

o formare delle equipe di lavoro stabili in cui gli operatori costruiscano - nel tempo - esperienza condivisa e prassi funzionali;

o individuare un operatore dell’equipe che possa essere un referente fisso per l’utente al di là della richiesta, una sorta di case manager;

5) Nel lavoro psicosociale viene considerato altamente positivo: essere chiari e onesti con la vittima, farle sentire che non è sola, variare stili e approcci a seconda dell’età, agire in una dimensione ecologica, interconnettere le varie valutazioni, sostenere posizioni chiare e univoche nell’equipe, equilibrare il tempo necessario per fare una buona valutazione con l’esigenza di celerità di risposta, soprattutto in alcune situazioni di pericolo e rischio per l’incolumità della vittima;

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6) Realizzare percorsi di formazione e aggiornamento permanente per tutti gli operatori. Viene richiesta a gran voce la formazione per tutti al fine di:

o Attivare un approccio unitario e che guardi alla globalità della persona;

o Creare un linguaggio comune;

o Saper accettare la frustrazione, i limiti ed i fallimenti di questo genere di lavoro;

o Saper ascoltare le risonanze emotive ed esperienziali, con lo “scompiglio che genera” la violenza, alimentando le “competenze empatiche”, lo scambio tra saperi ed esperienze concrete, attenuando resistenze e forme di difesa per l’impatto doloroso con il sistema- operatore (Acquistapace, Milani, 2005).

7) Offrire sul territorio momenti e progettualità che insistano sugli aspetti di formazione, sensibilizzazione e prevenzione nelle scuole, luoghi dove vengono maggiormente alla luce i disagi profondi legati all’esperienza di abuso. La scuola è di frequente la “spia” che rileva disfunzioni e malesseri, si interroga e mette in moto la macchina dell’accertamento, della denuncia e della prossimità ai bisogni della vittima;

8) Creare luoghi appositi all’interno degli spazi istituzionali (sia quelli processuali che della “cura”) o del territorio in cui meglio possano essere raccolte e accolte le domande delle vittime. In alcuni casi si sono riscontrati luoghi strutturalmente inadeguati, quando non addirittura dannosi soprattutto al Tribunale Ordinario;

9) Attuare con regolarità, ed in tempi adeguati, il lavoro psico-sociale con il contesto familiare di appartenenza del reo e della vittima (coincidente in caso di abuso intrafamiliare). Non solo il momento della valutazione delle competenze genitoriali (soprattutto nei casi di abuso intrafamiliare) ma anche l’offerta di servizi di aiuto, chiarificazione e ristrutturazione per i contesti di appartenenza (Cirillo, 2011);

10) Individuare soggetti e sistemi per la valutazione costante delle procedure professionali degli operatori e al contempo fornire azioni di supervisione. In questo senso bisognerebbe anche attuare estesamente (e monitorare costantemente) i protocolli d’intesa sottoscritti dai vari soggetti delle reti e coordinarsi positivamente.

3. La prospettiva del bambino

“io vorrei che questa intervista fosse da conforto per molti ragazzi e bambini che a tutt’oggi subiscono e non hanno la forza di denunciare”

(una vittima intervistata)

3.1 Interviste: Contestualizzazione

Nei mesi di maggio, giugno e luglio 2016, i ricercatori del CESIE hanno realizzato undici interviste con vittime di violenza sessuale o abuso sessuale, e con una serie di professionisti che hanno seguito casi di

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Le interviste alle vittime hanno rivelato uno sguardo pressoché sepolto e invisibile (colpisce a riguardo la mancanza di letteratura su questa percezione), ma hanno anche inaspettatamente rappresentato un luogo di canalizzazione indiretta (perfino catartica) di vissuti che cercavano evidentemente spazi per potere essere “contenuti”, ascoltati e infine divulgati nelle comunità e tra i policy makers. Prova ne sia l’accorato ringraziamento di tutti gli intervistati alla fine della sessione di ricerca.

Non è stato facile ottenere nominativi e disponibilità, come già si era ipotizzato in virtù della delicatezza della materia trattata e delle dinamiche processuali spesso ancora in corso. Pertanto, in una prima fase della ricerca e su indicazione degli stessi operatori, si sono individuate situazioni di soggetti abusati in età minorenne ma già divenuti maggiorenni e con iter processuali conclusi, almeno per il primo grado di giudizio del reo. In una seconda fase, al fine di raccogliere la testimonianza seppure indiretta di più vittime, si è proceduto con il metodo dell’intervista ai professionisti che hanno seguito da vicino i casi di bambini vittime di abuso sessuale.

Per ciò che riguarda la testimonianza diretta, hanno accettato di “raccontare” un frammento della loro esperienza giudiziaria tre ragazze e un ragazzo, tutti maggiorenni da pochi mesi e di Palermo. In tre casi si tratta di abuso intrafamiliare mentre per una di loro il reo era ben conosciuto e molto vicino alla famiglia. In tutti i casi sono stati condannati i responsabili delle violenze e le vittime hanno ricevuto (in tempi e forme diverse) il supporto dei servizi e delle comunità in cui sono state inserite. La durata della permanenza nel circuito giudiziario va dai 18 mesi ai 4 anni (anche se talvolta il processo di primo grado al reo era già concluso). In un caso la vittima vive già da 11 anni circa in comunità e, nell’ultimo periodo, è ancora inserita nel circuito giudiziario per questioni inerenti un risarcimento legato agli abusi. I contesti sociali di appartenenza sono piuttosto degradati per i 4 casi osservati e gli abusi sessuali perpetrati sono stati rapporti orali e anali continuati nel tempo (anche per circa 4 anni). In un caso ad abusare erano più familiari, o comunque assistevano senza intervenire. Ad oggi, una sola delle vittime vive ancora con la famiglia, mentre una ha scelto di continuare a vivere presso un gruppo appartamento ed il ragazzo è andato a convivere con la sua attuale compagna da cui aspetta un figlio.

Le interviste alle vittime, tutte precedute dall’adesione al consenso informato, sono state condotte presso la sede del CESIE in una stanza accogliente, senza alcuna interruzione, con l’ausilio del dittafono.

In un caso la vittima ha preferito essere ascoltata presso la sua comunità.

Le interviste ai professionisti che hanno seguito i casi di bambini vittime di violenza sessuale sono state registrate in un questionario che riporta le domande presenti nella traccia per le interviste. I profili dei sette professionisti che hanno contribuito alla ricerca sono piuttosto vari, e comprendono tre responsabili di comunità alloggio per minori nella provincia di Palermo, un’assistente sociale, due psicologhe ed un giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di una città siciliana.

Le esperienze riportate sono di sette vittime, di cui due maschi e cinque femmine, che, al tempo dell’abuso, avevano un’età compresa fra i 7 e i 14 anni. In un caso, si tratta di due fratelli, un maschio e una femmina. In tutti i casi si è trattato di abuso intrafamiliare, perpetrato dal convivente della madre (due casi), mentre in cinque dei casi il reo è stato identificato con il padre, in aggiunta ad un familiare vicino in due casi. Tre dei casi si sono conclusi con un verdetto di condanna, mentre tre casi sono al giorno d’oggi ancora dibattuti nel sistema giudiziario, da un periodo che va dagli 8 mesi ai 3 anni circa. In un caso, la fase di istruzione nel sistema giudiziario, durata 3 e i 4 anni, non ha portato a processo per il presunto reo, padre della vittima. Non si conosce la durata di dibattimento degli altri casi conclusi. Ad

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oggi, nessuno dei bambini è tornato a vivere presso la famiglia di origine. I due fratelli e una bambina sono stati adottati, mentre le altre vittime sono ospiti di comunità alloggio per minori.

Le criticità, i bisogni e le proposte risultanti dalle interviste con le vittime e con i professionisti sono stati riassunti qui di seguito.

3.2 Criticità

- Emergono le emozioni di paura e terrore, nei primi tempi, per via delle minacce dirette o immaginate di cui si è oggetto e relativa sensazione di insicurezza e rischio. Oltretutto la vittima ipotizza che se dovesse perdere la famiglia dovrà vivere tutta la vita in comunità (eventualità che all’inizio è vissuta come il peggiore dei mali);

- Seppure sostenute durante tutto l’iter giudiziario, le vittime lamentano gravi sofferenze e attacchi di panico dovuti alla traumatizzazione dell’esperienza di abuso, nonché altre difficoltà, ad esempio relative al linguaggio;

- Si ha la percezione di non ricevere talvolta informazioni trasparenti, soprattutto sull’intero iter giudiziario che dovrà essere affrontato. Inoltre, qualcuno sottolinea la carenza di informazioni su quanto accade al reo dopo la denuncia, soprattutto quando lo si vede ancora in libertà.

Peggiore la situazione se gli stessi propri familiari (non protettivi) continuano a “fare il lavaggio del cervello”, peraltro senza ammonimenti o sanzioni (anche di natura non penale). Il panico rischia di essere il vissuto prevalente e inibente qualsiasi altra funzione se la vittima non conosce gli esiti e la situazione del reo, vivendo nella costante minaccia di ritorsioni e di ulteriori violenze irrevocabili. Una delle vittime ha continuato a vivere, almeno a suo dire, in casa con il padre aggressore addirittura nell’anno successivo alla denuncia, continuandosi a perpetrare le violenze. Al di là dei ricordi che a distanza di tanti anni possono essere per una bimba piccola più confusi, vi è senz’altro questa percezione di allarme e pericolo costante che si accende in chi ha subito queste violenze;

- Anche quando le informazioni sono sufficienti, il linguaggio utilizzato dai vari professionisti è spesso inadeguato all’età e al livello di comprensione del bambino;

- Un certo allentamento delle risorse e dei supporti dopo la prima fase di sostegno ed aiuto provoca un contraccolpo e una sensazione di “vittimizzazione ulteriore” e di tradimento delle promesse correlate al rischio, al coraggio, alla sofferenza dell’avere denunciato;

- Il cambiamento generale con perdita dei riferimenti (amici, scuola, ecc) quando si viene collocati fuori dalla famiglia (una delle forme di vittimizzazione secondarie) e l’importanza di altri riferimenti anche istituzionali: “ne ho avute tante persone a fianco in questo cammino”,

“persone eccezionali mi hanno seguito”, “mi mettevano subito a mio agio”;

- Il sentimento di disillusione e frustrazione con il sistema giudiziario riscontrato da una bambina quando il tecnico assegnato dal tribunale non ha ritenuto attendibile la violenza denunciata, contro l’opinione della terapeuta della vittima;

- Viene anche segnalato il fallimento dei tentativi di fornire alla vittima famiglie affidatarie o adottive, elemento questo davvero molto delicato e che necessiterebbe di ulteriori

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- Il disorientamento e il turbamento nei passaggi da casa a comunità e viceversa (durante i permessi) ma anche l’importanza della comunità per staccarsi dal contesto disfunzionale e violento;

3.3 Questioni rilevanti e bisogni

- La priorità di (ri)-costruire la fiducia, anche con gli operatori giudiziari, per riuscire a dire cose indicibili (“capire che dietro quella scrivania, quella poltrona capire che c’erano persone che volevano aiutarmi. Col passare del tempo mi sono lasciato andare”);

- Un bisogno espresso è quello di dare un tempo congruo (e inevitabilmente lungo) per superare la traumatizzazione, naturalmente abbinato ad un profondo lavoro su se stessi;

- L’importanza di vedere realizzati cambiamenti concreti nelle persone e nei contesti in cui sono avvenuti gli atti di violenza (Ciulla, Lo Cascio, 2013). Altrimenti l’elaborazione personale rischia di essere neutralizzata da vissuti reali di paura e da una minaccia incombente e costante. “Ma se sono i grandi che sbagliano, perché loro rimangono fuori liberi di poter andare ovunque, di fare la loro vita e qualsiasi altra cosa, rifarsi altra famiglia con altri figli, ed io devo stare qui dentro in comunità e quando esco devo preoccuparmi se li incontro?”;

- Il punto cruciale che i danni subiti sono tanti, visibili e sotterranei, gravi e distribuiti su numerose dimensioni determinanti per l’identità personale (“l’autostima… non parlavo più…”,

“distrugge dal punto di vista fisico e anche mentale”, “non accettavo più il mio corpo, pensavo che le mie idee erano tutte sbagliate, che era colpa del mio corpo che io ero il problema”). Senza contare alcune conseguenze spesso sottovalutate dai vari contesti di appartenenza: per esempio il disagio e la violenza subiti alimentano una sensazione di essere “sporchi” e “diversi”, trascinando il soggetto in ulteriori spirali di disagio (vittime di bullismo nel rapporto coi pari per la vulnerabilità e il silenzio ostinato, isolamento relazionale in famiglia, ecc.). In alcuni casi si è riscontrata la totale eliminazione del piano verbale con un mutismo quasi generalizzato – aggravato dalla quasi inevitabile condotta aggressiva verso i contesti relazionali che, in circuiti viziosi, peggiorava ulteriormente i problemi presentati. Queste gravi ripercussioni esistenziali sono in parte superate solo dopo molti anni di supporto psico-sociale. Forse il danno più grave e radicale è l’incapacità di “stare” con la gente e di “stare” con se stessi (“per anni non sapevo niente di me”), di potere dunque usufruire della risorsa relazionale che è l’unico vero fattore di crescita e di evoluzione umana. Il rapporto con il “maschile” in particolare viene fortemente danneggiato e reso ricco di malessere, fraintendimenti, distorsioni, elementi paranoici;

- L’atto di ri-raccontare tante volte è fortemente doloroso e spesso frutto di fraintendimenti, come è stato sempre sottolineato. È percepito come una continua riapertura con gli eventi traumatici del passato e non risponde al bisogno di aprirsi ad una nuova condizione esistenziale.

In ogni caso, però, i modi e la chiarezza degli obiettivi con cui viene raccolto l’ascolto sono decisivi per accoglierlo nel migliore dei modi anche di fronte alla repentinità ed ineluttabilità dei cambiamenti: “mi sentivo in balia di un tornado”, “cambiata la mia vita di punto in bianco”;

- Le difficoltà del minore a condividere il vissuto traumatico a più adulti, in contesti non familiari e in setting non idonei risulta essere un ulteriore punto critico. È registrato il bisogno dei minori di avere del tempo per entrare in relazione con l’adulto che raccoglierà il suo racconto, nonché

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- Il bisogno generale di protezione e di allontanamento dal contesto dove è stata perpetrata la violenza;

- Il bisogno di ricevere giustizia, talvolta non accolto, in casi in cui è messa in discussione l’attendibilità delle denunce dei bambini.

3.4 Proposte e raccomandazioni

Molto puntuali e dense le indicazioni che le vittime intervistate danno, in modo esplicito e lucido, a istituzioni e professionisti del settore:

1) Dare tranquillità e sicurezza, dimostrare coerenza con le risposte giudiziarie, essere punti di riferimento anche successivamente alla chiusura del processo: “erano persone di cui mi potevo fidare e mi potevo appoggiare in qualsiasi momento”, “tutti hanno messo qualcosa e tutti li metto al primo posto”, rispettare i tempi fisiologici di “apertura relazionale” diversi per ogni ragazzo/a, ed evitare un atteggiamento troppo rapidamente invasivo o stressante

“perché poi la persona si può anche bloccare”;

2) Bisogna infliggere pene più alte e proporzionali al danno anche se la sola sanzione non può bastare e i rei devono essere seguiti;

3) L’iter più utile descritto si snoda su questa sequenza: indagini in breve tempo, assistente sociale del Comune come riferimento fin dal primo momento, assegnazione celere alla Comunità, individuazione di eventuale famiglia affidataria (se necessario), inserimento in un percorso psicologico stabile che riequilibri;

4) La vittima deve essere ascoltata e bisogna accettare di farla partecipare all’udienza, qualora ne faccia esplicita richiesta. Sembrerebbe importante per la rielaborazione dei vissuti - anche se doloroso - vedere il reo e il suo atteggiamento (più o meno mutato o pentito) anche nel momento del processo (“anche dire la mia e in questi anni non mi è stato concesso assolutamente” e conseguenti vissuti di non ascolto, mancanza di cura, disattenzione);

5) All’utente va immediatamente prospettata la realtà e la verità delle prospettive che si stanno aprendo per lui, a seconda delle varie ipotesi e sviluppi della vicenda giudiziaria. In tal senso è fondamentale, tra gli altri, il ruolo, gli strumenti, le competenze e capacità dell’avvocato della vittima;

6) Non cambiare mai le figure chiave durante tutto l’iter giudiziario: il giudice, lo psicologo, l’assistente sociale, la comunità di permanenza, ecc. Inoltre servizi come Telefono Azzurro sono risultati importanti sia per un impatto più graduale nella rivelazione della violenza sia per l’accessibilità 24 ore su 24;

7) I giudici devono incontrare la vittima con un atteggiamento verbale e non verbale rispettoso, e solo dopo la lettura del fascicolo, dandole attenzione con tempi di ascolto congrui. In questo senso i colloqui con i rappresentanti delle istituzioni vengono rimproverati se percepiti come fugaci, poco attenti, di routine, superficiali, sempre uguali, (talvolta “non si personificano”, “non ti danno importanza” “mi sentivo inutile, il mio caso per te non ha importanza?”). Produce poi malessere il fatto che “davano fiducia a chi era

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mentalmente instabile e non ad una bambina” (la più classica delle vittimizzazioni secondarie);

8) L’invio fuori dalla famiglia deve avvenire solo in comunità adeguate (per infrastrutture, capaci di rispondere economicamente alle emergenze, accoglienti - “che ti fa vivere nel bello” - con operatori stabili che non vadano via perché questo “è qualcosa di straziante”);

ed una vittima così conclude: “perché se uno non ha avuto cura, si aspetta di averla dove andrà…”. Le comunità peraltro vengono viste come luoghi in cui possono trovare risposte alcuni bisogni così indicati: “bisogno di sicurezza, di fiducia, di essere capita, di avere fiducia in me stessa, di essere amata”;

9) C’è bisogno di due figure centrali che facciano da costanti punti di riferimento: la figura del/della responsabile della comunità e la figura di qualcuno che ti segua dall’inizio alla fine (una vittima l’ha definito “intermediario” - soprattutto per i più piccoli - che ti segua sempre). Inoltre confermano l’importanza di psicologi ed esperti nel momento che precede e durante l’incidente probatorio, ritenuto un momento di estremo disagio e stress;

10) Migliorare il lavoro di rete tra i diversi attori istituzionali coinvolti, con tempi più rapidi per l’ascolto e continua verifica dell’attuazione delle procedure da parte di tutti gli organi competenti;

11) Valutazione del caso per prevenire fenomeni di plagio e PAS (Sindrome da alienazione genitoriale), tempi rapidi di valutazione della recuperabilità del genitoriale potenzialmente protettivo, ed infine il potenziamento delle risorse umane per la presa in carico e il supporto psicosociale alla vittima;

12) Creare un “Fondo per le Vittime”, come per altre fattispecie di reato e danni, affinché i minori o coloro che sono già diventati maggiorenni, senza più riferimenti o famiglie (perdute a seguito della denuncia e del percorso giudiziario successivo) e senza alcun risarcimento ricevuto, possano almeno provare ad essere supportati nel difficile percorso di autonomizzazione e reinserimento nel tessuto sociale e produttivo;

13) Le vittime ci tengono a dare alcuni suggerimenti anche ad altre persone che malauguratamente si trovino nella stessa situazione: dire la verità serenamente, parlare prima possibile con qualcuno (a scuola, amici, ecc.), comprendere che i giudici e la comunità sono “esterni ma vicini”, chiedere sempre di spiegare che cosa può accadere, camminare sempre a testa alta, avere il coraggio di esprimere in altri contesti (scuola, comunità, ecc.) le vere ragioni del proprio disagio. Sono gli stessi intervistati a sollecitare la prevenzione e l’ascolto precoce dei segnali dell’abuso, indicando con parole più o meno simili alcuni degli indicatori che poi si trovano in letteratura: disagio in vari contesti, solitudine, isolamento, eterno ritorno al vissuto traumatico, sensazioni di alienazione in presenza dei coetanei, di estraneità, l’impossibilità di essere sinceri, impossibilità di concentrarsi nello studio, aggressività etero diretta e auto diretta;

14) Una richiesta avanzata è che vi siano dei divieti e delle interdizioni anche successivi al termine della condanna. Ciò placherebbe parte delle paure che covano e minano la serenità delle vittime, soprattutto in quei casi dove il reo ha continuato a professarsi innocente, non

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ha fatto alcun percorso di cura e di recupero, non ha saputo assumere su di sé il carico e la responsabilità degli atti per cui è stato condannato. Proprio in questi casi, dice una vittima, non può che uscire dal carcere ancora peggiorato e “più arrabbiato”;

Tenere presente il ruolo fondamentale della scuola nella prevenzione, identificazione e segnalazione dell’abuso, così come evidenziato dalla presenza dell’Ufficio Regionale Scolastico nel Protocollo di intesa per i minori vittime di abuso e maltrattamento nella città di Palermo.

Conclusioni

L’immagine complessiva che ci sembra emerga dal nostro studio è quella di una realtà operativa dove non occorrono delle novità normative eclatanti o dei cambiamenti radicali, anche se alcune proposte sono certamente più “strutturali”. Non si tratta di inventare dunque “effetti speciali” ma di applicare correttamente e consapevolmente quanto già previsto, grazie anche ad una legittimazione generale dei vari poteri politico, economico, culturale, amministrativo.

E ciò nel segno di una feconda interazione positiva tra: a) reali risorse messe a disposizione di vittime, operatori e territori; b) applicazione dei protocolli con relativi sistemi di monitoraggio e valutazione indipendenti; c) formazione iniziale e permanente di tutti gli stake-holders ed operatori (Arcidiacono, Palomba, Salzano & Ferrari Bravo,1999); d) maggiore coraggio nell’impostare i sistemi e le organizzazioni lavorative in funzione del migliore interesse del minore. Infatti, non basta che le condotte di tutela e di cura siano offerte solo da un operatore o da un ruolo. Diventa inefficace se l’intera ecologia giudiziaria che il minore “impatta” non diventa davvero un’ecologia evolutiva e focalizzata sul benessere del minore, di là di dinamiche di potere, amministrative, politiche.

È confortante, peraltro, l’avere rilevato una sostanziale convergenza di osservazioni tra vittime ed operatori, sebbene con caratterizzazioni ed evidenziazioni ovviamente diverse a partire dal ruolo interpretato nella scena giudiziaria. Gli operatori, al di là degli ostacoli incontrati e delle difficoltà d’attuazione delle migliori prassi, mostrano una profonda consapevolezza degli aspetti rilevanti per il buon esito dei procedimenti e per il trattamento psicosociale delle vittime minorenni. Ed è infine utile rimarcare come molte delle risposte vanno esattamente nella direzione auspicata dalle linee guida della child-friendly justice (“Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore”, 2010), in particolar modo in linea con i principi di “partecipazione” del minore in ogni fase dei procedimenti, del suo “interesse superiore” (in termini di benessere psico-fisico, interessi legali, sociali ed economici), del rispetto della dignità ed integrità fisica e psicologica.

Una giustizia a misura di minore implica “il diritto di sapere”, la capacità di garantire informazione e consulenza adeguate, protezione e supporto dei contesti ecologici, sicurezza materiale e psicologica, professionisti formati e approccio multidisciplinare. Più nel dettaglio, appare l’obbligo di accelerare i tempi dei processi, di creare setting, fisici e procedurali, che non sottopongano il minore ad ulteriori stress, destinare fondi congrui alla ricerca in questo campo, estendere le informazioni rilevanti negli ambienti politici e giudiziari dell’intervento.

Si auspica, quindi, che vengano fortemente incrementati i luoghi e i “pacchetti” formativi nonché ulteriori ricerche, soprattutto incentrati sulla voce diretta delle vittime e, sul versante più tecnico, per

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(che le vittime avanzano) e l’inevitabile postura professionale che in diversi casi impone “distanza” e un certo distacco, anche se certamente non in termini di freddezza e assenza d’empatia.

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Siti internet e altri link di interesse

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http://www.centrotiama.it/index.php?option=com_content&view=article&id=167&Itemid=12

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