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Gli aspetti processuali della sottrazione internazionale di minori: il rapporto tra regolamento UE n. 2201 del 2003 e convenzione dell’Aja del 1980 - Judicium

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Michele Angelo Lupoi

Gli aspetti processuali della sottrazione internazionale di minori: il rapporto tra regolamento UE n. 2201 del 2003 e convenzione dell’Aja del 1980 (1)

SOMMARIO:1. Le norme procedurali della convenzione dell’Aja del 1980. – 2. L’intervento nella materia del regolamento UE n. 2201 del 2003. – 3. Il coordinamento tra le due normative. – 4. Le disposizioni del regolamento sulla giurisdizione: l’art. 10. – 5. La nozione di residenza abituale. – 6. Le regole procedurali dell’art. 11 del regolamento. – 7.

L’esecuzione oltre frontiere dell’ordine di rientro del minore. – 8. Conclusioni.

1. - Il fenomeno della sottrazione internazionale di minori sta acquisendo dimensioni sempre maggiori, come i numeri del Dipartimento per la giustizia minorile dimostrano.

Per cercare di prevenire e dare soluzione a tali situazioni, che pregiudicano la serenità della prole e creano disagio e sofferenza per le famiglie coinvolte, com’è noto, è stata approvata la convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall’Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 1994.

Si tratta di uno strumento normativo di grande successo, ratificato da un numero consistente di Stati, rispetto alla quale esistono una bibliografia sterminata ed una giurisprudenza ormai molto ricca.

L’esperienza applicativa di tale convenzione dimostra come, da una prima fase in cui il genitore che sottraeva la prole era soprattutto il padre non affidatario, si è giunti oggi ad una situazione in cui, per la grande maggioranza, gli adbuctors sono genitori affidatari, spesso le madri (2).

1) Si tratta del testo, riveduto e corretto, della relazione al forum “Aspetti processuali del diritto di famiglia transfrontaliero”, organizzato dall’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, Treviso, 11 maggio 2012. Questo giustifica lo scarno impianto di note, principalmente dedicate alla giurisprudenza in materia.

2) V. SILBERMAN, The Hague Convention on child abduction and unilateral relocation by custodial parents: a perspective from the United States and Europe – Abbott, Neulinger, Zarraga, in 63 Okla. law rev., 2011, p. 736: “The reasons for these abductions are varied, ranging from situation where the woman is trying to escape from domestic violence to situations where the woman, often living abroad, desires to return to her home country where she will have family and a greater support network”. Il dato è confermato dall’esperienza dell’Autorità centrale italiana, alla quale si rivolgono, in ampia maggioranza, padri (oltre l’80%) che chiedono di fare rientrare minori illegittimamente portati all’estero dalle madri.

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Gli obiettivi della convenzione, come il suo art. 1 mette in chiaro, sono assicurare l'immediato rientro dei minori infra-sedicenni (art. 4) illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente nonché assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti

In effetti, in caso di istanza proposta entro un anno dalla sottrazione, l’autorità giudiziaria, come regola generale, deve disporre l’immediato rientro del minore. E anche dopo la scadenza di tale termine, il ritorno va di regola ordinato, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente (art. 12).

Il sistema operativo della convenzione si poggia sulle c.d. Autorità Centrali (art. 6), che, in ogni Stato contraente, sono incaricate di adempiere agli obblighi imposti dalla convenzione e che collaborano tra loro per garantirne l’attuazione (3).

Per l’Italia, il ruolo di Autorità centrale è svolto dal Dipartimento per la Giustizia minorile, al cui interno è stato creato l’Ufficio delle Autorità Centrali convenzionali (4).

I compiti delle Autorità Centrali sono elencati dall’art. 7 e tra essi si possono menzionare la localizzazione di un minore illecitamente trasferito o trattenuto; lo sforzo di assicurarne la consegna volontaria, o agevolare una composizione amichevole; lo scambio di informazioni relative alla situazione sociale del minore; l’avvio delle procedure giudiziarie o amministrative, dirette ad ottenere il rientro del minore e, se del caso, consentire l'organizzazione o l'esercizio effettivo del diritto da visita; organizzare la predisposizione, a livello amministrativo, delle necessarie misure per assicurare, qualora richiesto dalle circostanze, il rientro del minore in condizioni di sicurezza.

L’intervento di tali Autorità consente inoltre di garantire la gratuità del procedimento per la parte “vittima” della sottrazione.

Sul piano processuale di cui ci occupiamo qui, il meccanismo creato dalla convenzione, mirando a ricostituire lo status quo esistente prima della sottrazione o del mancato rientro del minore, implica l’utilizzo di un procedimento a carattere lato sensu cautelare, improntato a garantire l’urgenza della decisione, una sorta di rimedio “possessorio” in

3) In arg., di recente, v. DEREATTI, La tutela del provvedimento di affidamento nei rapporti internazionali, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta, Arceri, Torino, 2012, p. 1088.

4) Da dati non ufficiali emerge che la nostra autorità centrale tratta in larga maggioranza istanze per ottenere il rimpatrio di minori portati all’estero. Minoritaria (sotto il 40%) è invece l’assistenza c.d.

passiva, con riferimento ad istanze provenienti da paesi stranieri. Sempre in base a dati non ufficiali, il paese verso il quale si registra il più alto numero di sottrazioni sarebbe la Romania, seguita da Polonia, Ucraina e Bulgaria.

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materia minorile a cognizione sommaria, da definirsi, tendenzialmente, nell’arco di poche settimane, come si desume dal combinato disposto degli artt. 10 e 11.

Per quanto riguarda l’avvio del procedimento, la convenzione prevede, all’art. 8, che ogni persona, istituzione od ente, che adduca che un minore è stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento, possa rivolgersi sia all'Autorità centrale della residenza abituale del minore, sia a quella di ogni altro Stato contraente, al fine di ottenere assistenza per assicurare il ritorno del minore.

La norma elenca anche i requisiti formali della domanda che, in particolare, deve contenere:

- le informazioni concernenti l'identità del richiedente, del minore o della persona che si adduce abbia sottratto o trattenuto il minore;

- i motivi addotti dal richiedente nella sua istanza per esigere il rientro del minore;

- ogni informazione disponibile relativa alla localizzazione del minore ed alla identità della persona presso la quale si presume che il minore si trovi.

L'Autorità centrale che riceve una domanda la trasmette all'Autorità centrale dello Stato contraente in cui si ritiene che si trovi il minore, dando notizia di ciò all’Autorità centrale richiedente, o, se del caso, al richiedente (art. 9).

In Italia, la disciplina procedimentale della convenzione è integrata da quella della legge di ratifica n. 64 del 1994 che prevede, in particolare, all’art. 7, che le richieste tendenti ad ottenere il ritorno del minore presso l'affidatario al quale è Stato sottratto, o a ristabilire l'esercizio effettivo del diritto di visita, sono presentate per il tramite dell'Autorità centrale.

Quest’ultima, premessi se del caso i necessari accertamenti, trasmette senza indugio gli atti al Procuratore della repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore il quale, a sua volta, richiede con ricorso in via d'urgenza al Tribunale l'ordine di restituzione o il ripristino del diritto di visita.

Il Presidente del Tribunale per i minorenni, assunte se del caso sommarie informazioni, fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio, dandone comunicazione all'autorità centrale. Il Tribunale decide con decreto entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta di cui al comma 1 (5), sentiti la persona presso cui si trova il minore, il pubblico ministero, e, se del caso, il minore medesimo.

5) Il termine previsto dalla norma è effettivamente piuttosto breve per gli standard italiani, ma i dati statistici dimostrano che l’attesa della decisione sulla richiesta di restituzione si colloca nel 77% dei casi sotto i sei mesi, in conformità alla legge di ratifica, la quale prevede che la decisione sia pronunciata entro trenta giorni dalla data di ricezione del ricorso del p.m.

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A rigore, poiché l’azione è promossa dal p. m., le parti del procedimento sono quest’ultimo e il genitore che ha portato il minore all’estero o che si oppone a un regolare esercizio del diritto di visita dell’altro. La persona che ha presentato la richiesta è comunque informata della data dell'udienza a cura dell'Autorità centrale e può comparire a sue spese e chiedere di essere sentita.

Il Tribunale decide con decreto, di cui si prevede l’immediata esecutività. Contro tale provvedimento può essere proposto ricorso per cassazione, ma la presentazione del ricorso non sospende l'esecuzione del decreto. In una materia come questa, d’altro canto, i margini per proporre un’impugnazione di legittimità non sembrano particolarmente ampi.

Rispetto all’esecuzione del decreto, si prevede l’iniziativa del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, il quale potrà avvalersi anche dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Il p. m. deve dare immediatamente avviso all'Sutorità centrale dell’esecuzione da lui intrapresa.

In alternativa a quanto precede, resta salva la facoltà per l'interessato (ovvero il genitore che ha subito la sottrazione del minore) di adire direttamente le competenti autorità giudiziarie, a norma dell'articolo 29 della convenzione.

2. - Alla disciplina procedimentale appena menzionata, oggi si sono sovrapposte alcune disposizioni contenute nel regolamento UE n. 2201 del 2003, sulla giurisdizione e il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale tra gli Stati membri dell’Unione (Danimarca esclusa).

Tale regolamento (comunemente indicato come Bruxelles II bis) sostituisce, dal primo marzo 2005, un precedente regolamento nella stessa materia (il n. 1347 del 2000, entrato in vigore il primo marzo 2001, c.d. Bruxelles II). Esso detta una disciplina uniforme sulla competenza giurisdizionale nelle cause transfrontaliere e sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (6).

Si tratta di una normativa utilizzata sempre più di frequente e rispetto alla quale la Corte di giustizia è già stata chiamata a pronunciare numerose sentenze interpretative.

6) In materia, mi permetto di rinviare, anche per approfondimenti bibliografici e giurisprudenziali, al mio Il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, in Manuale di diritto processuale europeo, a cura di Taruffo e Varano, Torino, 2011, pp.107.

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Non è questa la sede per esaminare nel dettagli le norme del regolamento n. 2201:

l’attenzione sarà piuttosto concentrata sulle disposizioni in qualche modo attinenti alla materia della sottrazione internazionale di minori.

Tale materia entra a pieno titolo nell’ambito della responsabilità genitoriale cui si applica il regolamento stesso. In tale nozione sono ricompresi tutti i procedimenti (di qualsiasi natura e davanti ad ogni autorità – anche non a natura giurisdizionale in senso stretto - indicata come competente negli Stati membri) relativi all'attribuzione, all'esercizio, alla delega ed alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale (art. 1, n. 1, lett. b), con riferimento ai figli legittimi e naturali.

Il regolamento si preoccupa anche di fornire un elenco (a natura, peraltro esemplificativa) (7) di materie espressamente rientranti in tale nozione di responsabilità genitoriale e che include, in particolare, i procedimenti relativi al diritto di affidamento e a quello di visita, con la precisazione che, in questo ambito, la nozione (autonoma) di “diritto di affidamento” va riferita ai diritti ed ai doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza (art. 2, n. 9). Il “diritto di visita”, invece, riguarda il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo.

In materia di sottrazione internazionale di minori, il legislatore europeo ha chiaramente adottato come modello di riferimento la convenzione dell’Aja del 1980, alla cui

“terminologia” ha voluto adattarsi. In relazione ad alcune nozioni ivi utilizzate, infatti, il legislatore europeo ha adottato definizioni che, nella sostanza, ricalcando quelle già previste nella precedente convenzione.

Con il termine “responsabilità genitoriale”, ad esempio, il regolamento si riferisce ai diritti e ai doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore (art. 2, n. 7). Per “titolare della responsabilità genitoriale”, invece, si deve intendere qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore (art. 2, al n. 8). Tali definizioni ricalcano fedelmente quelle dell’art. 5 della convenzione dell’Aja del 1980, per cui, appunto:

- il «diritto di affidamento» comprende i diritti concernenti la cura della persona del minore, ed in particolare il diritto di decidere riguardo al suo luogo di residenza;

7) Corte giust., 27 novembre 2007, c. 435\06, C., in R. d. int. pr. proc., 2008, p. 559.

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- il «diritto di visita» comprende il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo.

Ulteriore “assonanza terminologica” è riscontrabile rispetto alla definizione autonoma di

“trasferimento illecito o mancato ritorno del minore”. Ai sensi dell’art. 2, n. 11 del regolamento, infatti, tale deve intendersi il trasferimento o il mancato rientro di un minore che avvenga in violazione dei diritti di affidamento (8) derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro (lett. a) e se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi (lett. b).

La norma specifica anche che l'affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della responsabilità genitoriale non possa, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell'altro titolare della responsabilità genitoriale.

Anche in questo caso, disposizioni analoghe sono rinvenibili nella convenzione dell’Aja, il cui art. 3, stabilisce, appunto, che il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito:

a) quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e:

b) se tali diritti vanno effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze. Il diritto di custodia citato sub a) può, in particolare derivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa, o da un accordo in vigore in base alla legislazione del predetto Stato (9).

8) La norma qui esame, come la Corte di giustizia ha chiarito, pur facendo riferimento ad una nozione da interpretare in modo autonomo, rinvia, quanto al concetto di “diritto di affidamento”

alla legge nazionale applicabile (nella fattispecie decisa, con riferimento alla posizione di un padre nei confronti del figlio naturale) (Corte giust., 5 ottobre 2010, c. 400/10 PPU, J. McB. c. L. E.).

9) Mette in evidenza questa assonanza terminologica Trib. min. Bari, 12 gennaio 2011, decr., in R. d. int. pr.

proc., 2011, p. 1113..

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3. - Il coordinamento tra le norme della convenzione del 1980 e quelle del regolamento del 2003 in materia di abduction è di notevole interesse.

In effetti, in base all’art. 59 del regolamento n. 2201, quest’ultimo si sostituisce a tutte le normative convenzionali già in vigore tra gli Stati membri prima della sua entrata in vigore (10).

Inoltre, ai sensi dell’art. 60, nei rapporti tra gli Stati che ne sono parte, il regolamento prevale anche su alcune importanti convenzioni multilaterali, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate: tra tali convenzioni, in particolare, troviamo appunto quella dell'Aia del 25 ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori (11).

In realtà, come bene si desume anche dall’art. 62 (12), il regolamento non aspira a sostituirsi alla convenzione del 1980, ma, semmai, ad integrarsi ad essa (13), dando alla sottrazione di minori tra Stati membri dell’Unione soluzioni meglio rispondenti ai principi ispiratori dello spazio europeo di giustizia, in particolare quelli della fiducia reciproca tra gli Stati membri e dell’equivalenza tra l’attività giudiziaria svolta dalle giurisdizioni nazionali.

Tale approccio emerge dal considerando 17 al regolamento, per cui, in caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980, quale integrata dalle disposizioni del regolamento n. 2201, in particolare l'art.

11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente, inoltre, dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo rientro in casi precisi, debitamente motivati: tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. In questa ultima frase sta tutta la

10) Salve alcune eccezioni per i paesi scandinavi, da interpretare, peraltro, in senso restrittivo: Corte giust., c. C., cit.

11) V. Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, in Giust. civ., 2011, I, p. 688 e in N. giur. civ. comm., 2011, I, p. 130, nota PESCE.

12) Per cui gli accordi e le convenzioni di cui all'art. 59, para. 1, e agli artt. 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal regolamento. Inoltre, al para.

2, si stabilisce che le convenzioni di cui all'art. 60, in particolare quella dell'Aia del 1980, continuano ad avere efficacia tra gli Stati membri che ne sono parti contraenti, conformemente all'art. 60.

13) Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

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“filosofia” dell’approccio del regolamento alla sottrazione internazionale dei minori, che, sul punto, si discosta significativamente dalla convenzione del 1980 (14).

In effetti, la convenzione, all’art. 13 ( 15 ), prevede che l'Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto possa negare il ritorno del minore qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno, dimostri:

a) che la persona, l'istituzione o l'ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; o

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile;

ovvero

c) se si accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un'età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere.

Sull’eventuale diniego al ritorno del minore, il giudice dello Stato in cui il minore è stato portato si pronuncia nell’ambito di un procedimento sommario ed improntato all’urgenza.

Rispetto all’Italia, la Cassazione esclude che il giudice adito sia obbligato a disporre una consulenza tecnica o a chiedere informazioni all’Autorità centrale o ad altra Autorità dello Stato di residenza del minore. Il giudice è tenuto a considerare le informazioni eventualmente fornite da tali Autorità senza peraltro attribuire loro un valore peculiare o addirittura poziore rispetto alle prove raccolte nel procedimento diretto ad accertare la sussistenza delle condizioni per l’emanazione dell’ordine di rientro (16). Si è pure affermato che, in questo ambito, il giudice possa decidere sulla base di semplici

“informazioni”, senza che sia necessario il ricorso alle fonti di prova disciplinate nel codice di rito (17).

14) V. pure Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

15) La convenzione dell’Aja, infatti, non prevede né consente il rimpatrio automatico del minore, avendo le autorità nazionali un certo margine di apprezzamento al riguardo:

C.e.d.u., 12 luglio 2011, c. Sneersone e Kampanella c. Italia, n. 14737/09, in Fam. dir., 2012, p, 63. Per alcune fattispecie italiane, Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, in N. giur. civ.

comm., 2008, I, p. 373; Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, in Dir. fam., 2012, p. 627, che nega il rientro della minore in Canada.

16) Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.

17) Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, cit.

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La Cassazione ha pure precisato che l’accertamento relativo alla presenza del rischio, derivante dal rientro, di esposizione a pericoli psichici o da una situazione intollerabile, integra un’indagine di fatto, sottratta in quanto tale al controllo di legittimità (18).

Per quanto i presupposti elencati dall’art. 13 siano interpretati in senso restrittivo dai giudici nazionali, sono tutt’altro che rari i casi in cui l’ordine di rientro viene negato da parte del Giudice dello Stato in cui il minore è trattenuto, le cui decisioni, dunque, possono mettere nel nulla quelle emesse dallo Stato “di partenza”, creando conflitti di provvedimenti dai toni molto aspri (19) e che però la convenzione in qualche modo tollera.

Nell’ambito dello spazio comune di giustizia europeo, invece, tali conflitti sono considerati intollerabili e potenzialmente idonei ad intaccare i pilastri su cui quello stesso spazio è stato costruito.

Il regolamento n. 2201, dunque, “supera” la convenzione, mirando a prevenire ed escludere conflitti tra le decisioni emesse nello Stato di partenza ed in quello di arrivo e, a tal fine, attribuisce prevalenza esclusiva ai provvedimenti sul rientro del minore emessi nel primo Stato (20) ed esclude che le corti dello Stato in cui si trova il minore possano neutralizzare tali provvedimenti, con proprie decisioni di segno contrario (21).

In generale, inoltre, il regolamento, rispetto alla convenzione, esprime un favor rafforzato per il rientro del minore nello Stato d’origine (22): policy che, almeno sulla carta, appare compatibile con i principi sottesi allo spazio di giustizia comune europeo. Spazio che, come si è visto, si fonda sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri e sull’equivalenza delle giurisdizioni che rappresentano le basi per il sistema di cooperazione e collaborazione tra le autorità giurisdizionali degli Stati membri.

A questo riguardo, anzi, corre l’obbligo di menzionare che l’art. 53 del regolamento prevede la designazione, da parte di ciascuno Stato membro, di una o più Autorità centrali

18) Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.

19) Ciò sembra attenuare la portata precettiva dell’art. 16 della convenzione, per cui, in pendenza del procedimento sul ritorno, le questioni inerenti ai diritto di affidamento possono essere esaminate solo di fronte ai giudici dello Stato della residenza abituale: v. anche PESCE, Sottrazione internazionale di minori nell’Unione europea: il coordinamento tra il regolamento (CE) n.

2201/2003 e la convenzione dell’Aja del 1980, in 3 Cuad. der. trans., 2011, p. 237.

20) Per Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit., il giudice della “residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro” del minore è quello più vicino all’ambiente familiare e sociale vissuto dal minore prima dell’illecito trasferimento”. Sull’evoluzione del regolamento n. 2201 in questo ambito, PATAUT, Commento all’art. 10, in Brussels II bis Regulation, a cura di Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, p. 120.

21) PATAUT, Commento all’art. 11, in Brussels II bis Regulation, cit., p. 130: “at the end of the day, the decisions that will eventually be obeyed are the ones coming from the State of origin”.

22) V. anche PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 129.

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incaricate di assisterlo nell'applicazione del regolamento, specificandone le competenze territoriali e materiali. Tali Autorità centrali hanno la funzione di mettere a disposizione informazioni sull'ordinamento e sulle procedure nazionali e di adottare misure generali per migliorare l'applicazione del regolamento e rafforzare la cooperazione, ricorrendo alla rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale. Il dialogo tra corti così reso possibile trova senz’altro la sua massima utilità nei casi di sottrazione internazionale di minori.

4. - In materia di “abduction”, la normativa europeo opera su due livelli: in primo luogo, introduce un sistema integrato di norme sulla giurisdizione, per risolvere i conflitti di attribuzioni tra corti nazionali che di sovente sorgono in questo contesto; inoltre, prevede regole processuali ad hoc per la trattazione delle istanze di rientro presentate ai sensi della convenzione dell’Aja del 1980, di cui si giunge ad integrare la disciplina procedimentale.

Dal primo punto di vista, si prevede che, in caso di “illecito trasferimento o mancato rientro del minore da un altro Stato membro”, ai sensi dell’art. 10, la giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale resti comunque incardinata nello Stato in cui il minore stesso era in precedenza abitualmente residente.

In questo modo, si cerca di evitare che il genitore che sottrae il minore possa adire le corti dello Stato in cui lo ha illecitamente portato per cercare di farselo affidare.

La giurisdizione dello Stato d’origine è comunque destinata a venire meno dopo il decorso di un lasso di tempo ritenuto sufficiente per considerare la prole ormai inserita nel nuovo contesto sociale e familiare in cui si è venuta a trovare a seguito dell’abduction (23).

In particolare, tale competenza cessa di operare quando il minore abbia fissato la propria residenza abituale nel nuovo Stato e ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia accettato il trasferimento o il mancato rientro (24), ovvero se, trascorso un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava (25), il minore si sia integrato nel nuovo ambiente, e, entro tale lasso di tempo:

23) V. pure PATAUT, Commento all’art. 10, cit., p. 121.

24) V. PATAUT, Commento all’art. 10, cit., p. 123, che osserva: “the courts should be particularly cautious and ensure that acquiescence is certain, even if it is not expressly given”. L’autore evidenzia che un comportamento meramente “passivo” del titolare della potestà non dovrebbe essere sufficiente per essere considerate come “accettazione” del trasferimento.

25) A questo riguardo, il regolamento prevede una regola “temporale” diversa rispetto alla convenzione: qui, infatti, il decorso dell’anno è collegato alla possibilità di conoscere il luogo in

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- non sia stata presentata una domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro, ovvero

- sia stata ritirata una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento e non ne sia stata presentata una nuova, o

- un procedimento dinanzi all'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro sia stato definito a norma dell'art. 11, para. 7;

- l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno abbia emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore. A quest’ultimo riguardo, i giudici europei hanno spiegato che tale disposizione deve essere intesa in senso restrittivo, con riferimento solo a una decisione definitiva, adottata sulla scorta di una disamina completa dell’insieme degli elementi pertinenti, con la quale il giudice competente si pronuncia sulla disciplina della questione dell’affidamento del minore, ancorchè passibile di revisione o riesame periodico entro un certo periodo (26).

In sostanza, il termine di un anno, a fronte dell’inerzia dell’altro genitore, è ritenuto congruo ai fini del radicamento del minore nel suo nuovo contesto di riferimento. A questo punto, il criterio di collegamento dell’art. 10 viene meno e torna ad operare il criterio generale posto dall’art. 8 (ovvero la - attuale – residenza abituale del minore).

5. - Del criterio della residenza abituale del figlio minore il regolamento non propone una definizione. Esso, seguendo le indicazioni della Corte di giustizia, deve dunque essere interpretato in modo autonomo (27), alla luce di tutte le circostanze di fatto rilevanti per localizzare il luogo in cui un soggetto dimori in modo abituale e continuativo. In sostanza,

cui il minore sia stato trasportato. In altre parole, un eventuale periodo di “clandestinità” non rileva

ai fini dell’integrazione del minore nella nuova realtà: v. anche BARUFFI, Discrezionalità del giudice e rimpatrio del minore in caso di legal kidnapping, in Int’l lis, 2005, fasc. 2, p. 84, con riferimento al caso deciso da Court of appeal inglese, 19 ottobre 1984, c. Cannon v. Cannon, ivi, 82.

PATAUT, Commento all’art. 10, cit., p. 125, evidenzia che da questo “iato” tra convenzione e regolamento può derivare una situazione in cui una corte si trovi nell’impossibilità di ordinare il rientro al minore, essendo al contempo priva di giurisdizione per decidere in merito all’affidamento del minore stesso.

26) Corte giust., 1 luglio 2010, c. 211/10 PPU, Povse c. Alpago.

27) V. anche SCARAFONI, Il regolamento n. 2201/2003 sulla competenza ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e genitoriale, in Il processo civile e la normativa comunitaria, a cura di Scarafoni, Torino, 2012, p. 312.

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il giudice nazionale è chiamato a verificare le peculiarità della fattispecie, senza vincoli da parte delle nozioni di residenza abituale utilizzate in altri settori del diritto europeo (28).

Quella che viene qui in rilievo, in particolare, non è la residenza anagrafica, ma il centro della condotta di vita e il fulcro dei legami sociali e affettivi del soggetto interessato, da intendersi come il luogo in cui quest’ultimo ha fissato con carattere di stabilità il centro permanente o abituale dei propri interessi (29), così esprimendo il radicamento del soggetto con tale territorio (30).

In quest’analisi, è ovviamente di per sé non sufficiente la mera presenza fisica del minore (31), dovendo essere riscontrati anche altri fattori idonei a dimostrare che tale presenza non sia temporanea o occasionale e che la residenza del soggetto denoti una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare.

Invero, per distinguere la residenza abituale da una mera presenza, essa deve in linea di principio essere di una certa durata per potere stabilire una stabilità sufficiente. In mancanza di una durata minima di tale presenza, la Corte ha affermato che assuma rilevanza la volontà di fissare la propria residenza abituale in un determinato Stato (32).

Tale volontà, peraltro, non può che desumersi da circostanze fattuali che ne rappresentino l’esternazione, anche in proiezione futura. Da questo punto di vista, per la Corte di giustizia, l’intenzione dei genitori di stabilirsi con il minore in un altro Stato membro, manifestata attraverso determinate circostanze esterne, come l’acquisto o l’affitto di un alloggio nello Stato membro ospitante, può costituire un indizio del trasferimento della residenza abituale. Un ulteriore indizio può essere la presentazione di una domanda per ottenere un alloggio sociale presso i relativi servizi del detto Stato. Per contro, la circostanza che i minori soggiornino in uno Stato membro in cui, per un breve periodo, non hanno fissa dimora può essere un indizio che la residenza abituale di tali minori non si trova in questo Stato (33).

Con specifico riferimento ai minori, secondo i giudici del Lussemburgo, si deve, in particolare, tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle

28) Corte giust., 2 aprile 2009, c. 523\07, A., in R. d. int. pr. proc., 2009, p. 750.

29) Cass., sez. un., 17 febbraio 2010, n. 3680, ord., in R. d. int. pr. proc., 2010, p. 750.

30) Cfr. SCARAFONI, op. cit., p. 314.

31) Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

32) Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 497/10 PPU, Mercredi c. Chaffe.

33) Corte giust., c. A., cit.

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conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato (34). La residenza abituale di un neonato, inoltre, per la Corte di giustizia coincide con l’ambiente sociale e familiare della cerchia di persone da cui dipende (nella specie, la madre che lo aveva accudito dalla nascita) (35). La Cassazione ha invece correttamente rilevato che la residenza dei genitori durante la gravidanza non può essere calcolata ai fini della residenza abituale del minore non ancora nato in quel periodo (36).

Coerentemente con il criterio di collegamento stabilito dall’art. 10, il fatto di trasferire illecitamente un minore all’estero non determina un immediato spostamento della residenza abituale di quest’ultimo, dovendosi all’uopo attendere il passaggio di almeno un anno. Di recente, la nostra Cassazione (37) ha precisato che tale spostamento di residenza abituale non si realizza neppure quando il minore sia stato portato all’estero in forza di un provvedimento giudiziario interinale ed urgente.

6. - Come si è anticipato, la ratio delle norme del regolamento in materia di trasferimento illecito di minore, in caso di valutazioni divergenti tra il giudice della residenza abituale del minore e quello del luogo in cui egli è stato portato illegalmente, è di attribuire competenza esclusiva a decidere sul ritorno del minore stesso al primo giudice, senza interferenze da parte del secondo (38). In questo modo, si cerca di frustrare le aspettative di quei genitori che, dopo aver portato illecitamente un minore all’estero, ne chiedano poi l’affidamento alle autorità del paese ove questi è stato condotto, per ottenere una sorta di ratifica ex post del proprio operato.

Per realizzare tale obiettivo (e, in generale, per rendere più efficienti le procedure in materia di sottrazione internazionale di minori), il regolamento introduce anche alcune regole processuali uniformi, per l’ipotesi in cui una persona, un’istituzione o un altro ente titolare del diritto di affidamento adisca le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione dell'Aia del 1980 per ottenere il ritorno di un minore illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno (art. 11).

34) Corte giust., c. A., cit.

35) Corte giust., c. Mercredi c. Chaffe, cit.

36) Cass., sez. un., 13 febbraio 2012, n. 1984.

37) Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, p. 29.

38) Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 491/10 PPU, Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz.

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Si tratta di norme che, in sostanza, senza avere natura autonoma (39), entrano di diritto nella disciplina processuale degli Stati membri, integrandosi e, se del caso, imponendosi alle disposizioni nazionali che disciplinano la materia.

Ovviamente, tali norme comuni possono operare solo qualora lo Stato di origine e quello di

“arrivo” del minore appartengano entrambi all’Unione (40). Esse inoltre vengono in rilievo sono in caso di applicazione dell’art. 13 della convenzione del 1980 (41).

In particolare, si prevede che, nell'applicare gli art. 12 e 13 della convenzione dell'Aia, il giudice nazionale durante il procedimento debba ascoltare il minore, se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità.

Oggi, il principio che il minore debba essere sentito nei procedimenti che lo riguardano è entrato a pieno titolo nel diritto processuale degli Stati membri. Il legislatore europeo ha comunque voluto introdurre una regola uniforme, da applicare e rispettare se del caso in integrazione (o anche contro) le disposizioni nazionali in materia.

In Italia, come ben noto, da tempo si è affermata la necessità di tale ascolto come condizione di validità del procedimento riguardante il minore e non è questa la sede per entrare nei dettagli.

Nell’ambito del procedimento per il mancato illecito rientro nella originaria residenza abituale, la Cassazione ha rilevato che l’audizione del minore non è imposta per legge, in ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale procedura.

Tuttavia, anche alla luce dell’art. 11 qui in esame, ha aggiunto che pure nel procedimento in questione l’audizione del minore è in via generale necessaria, onde potere valutare, ai sensi dell’art. 13, comma 2 della convenzione, l’eventuale opposizione del minore al ritorno (42).

La Suprema Corte ha, peraltro, precisato che, anche in questo ambito, l’ascolto del minore può essere escluso, oltre che da una valutazione di non idoneità della prole a renderla (per età o stati psichici particolari), anche qualora essa possa recare danni gravi alla serenità del destinatario (43).

39) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 130, osserva che esse “giv[e] a complete legal framework for international abduction litigation”, con una combinazione tra diritto europeo e diritto internazionale.

40) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 131

41) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 138.

42) Cass., 19 maggio 2010, n. 12293, in R. d. int. pr. proc., 2011, p. 225.

43) Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.; Cass., 19 maggio 2010, n. 12293, cit.

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Questo approccio appare compatibile con il testo dell’art. 11 che, invero, non si esprime in termini di “doverosità” dell’ascolto da parte del giudice quanto di “possibilità” per il minore di fare sentire la propria voce: formulazione che porta alcuni interpreti a dubitare che la corte debba, di propria iniziativa, interpellare il minore per verificare se questi voglia essere ascoltato (44).

La Cassazione (45) ha pure specificato che il minore, prima di essere ascoltato, deve ricevere ogni informazione pertinente al caso, in modo da consentirgli di meglio comprendere i termini della vicenda in cui è coinvolto e che l’esito del colloquio consente al giudicato di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile.

Le dichiarazioni e le risposte del minore, anche in questo ambito, non sono vincolanti per il giudice, che delle stesse può non tenere conto, dandone adeguata motivazione (46).

Secondo le norme del regolamento, inoltre, l’autorità giurisdizionale adita deve procedere al pronto trattamento della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale: il regolamento, anzi, arriva a stabilire che, salve circostanze eccezionali, il provvedimento debba essere emanato al più tardi sei settimane dopo la proposizione della domanda. Si tratta di una disposizione priva di valore precettivo ma di cui si deve apprezzare l’intento di sensibilizzare il legislatore e le corti nazionali a dedicare a queste procedure regole idonee a garantire la rapidità delle decisioni e un canale preferenziale rispetto ai giudizi “ordinari” (47). L’Italia, d’altro canto, a differenza da altri ordinamenti, non ha ancora ritenuto di introdurre una normativa di raccordo tra regolamento e disciplina processuale interna: come si vedrà, questo ha “costretto” la Cassazione a ricorrere all’applicazione analogica delle norme procedurali della legge n. 64 del 1994 anche ai fini dell’applicazione dell’art. 11 del regolamento.

44) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 133.

45) Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit..

46) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 132 afferma peraltro, con riferimento all’analoga norma della convenzione del 1980: “statistics show that this provision (…) is seldom used as a basis for the non-return order”.

47) V. pure PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 134; l’a. affronta anche la questione se, nel termine di sei mesi, il procedimento si debba sviluppare in tutti i suoi possibili gradi di giudizio oppure si debba giungere soltanto ad un provvedimento eseguibile. La seconda soluzione appare preferibile, anche perché la prima sembra difficilmente realizzabile anche negli ordinamenti giudiziari più rapidi ed efficienti (salva la possibilità, ovviamente, che un ordinamento escluda tout court qualsiasi possibilità di impugnare il provvedimento di prime cure).

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Ad integrazione di quanto previsto dalla convenzione dell’Aja, inoltre, rispetto al merito della questione sottoposta al giudice dello Stato ad quem, il regolamento stabilisce che un'autorità giurisdizionale non possa rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all'art. 13, lett. b) della convenzione stessa qualora sia dimostrato che, nello Stato di provenienza, sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno (48) ovvero, senza avere dato la possibilità di essere ascoltata alla persona che abbia chiesto il ritorno del minore (art. 11, para. 5). Tale ultima previsione vuole, ovviamente, garantire il diritto dell’attore di farsi sentire direttamente dal giudice cui si è rivolto, in applicazione del principio dell’immediatezza. Si è peraltro messo in evidenza che si tratta di una disposizione di dubbia utilità, dal momento che, come si è visto, la parola finale sul rientro la può pronunciare soltanto il giudice dello Stato da cui il minore è stato illegittimamente prelevato (49).

Qualora, poi, un giudice nazionale respinga la richiesta di ritorno di un minore in base all'art. 13 della convenzione dell'Aia (50), essa, ai sensi dell’art. 11, para. 6, è tenuta immediatamente a trasmettere (direttamente ovvero tramite la sua Autorità centrale) una copia del proprio provvedimento e dei pertinenti documenti (in particolare, una trascrizione delle audizioni svoltesi dinanzi a lui) (51) all'autorità giurisdizionale competente (52) o all'Autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale

48) Maggiori dettagli su tali “misure adeguate”, in PATAUT, Commento all’art. 11, cit, p. 137. Per alcuni, tale norma imporrebbe un vero e proprio obbligo per le corti del paese di origine del minore di valutare la necessità di adottare misure cautelari in modo tale da ottenere la cosiddetta

“restituzione senza pericolo”, ovvero il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di potervi permanere in una situazione protetta: con queste parole.SALZANO, Sui rapporti intercorrenti (e sulle reciproche implicazioni) tra il cd. Regolamento di Bruxelles II bis e la Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori: per una maggiore effettiva loro tutela, in Dir. fam., 2012, p. 106. L’a. segnala anche la diversità di posizioni tra quanti ritengono che le “misure adeguate” dovrebbero essere “concrete, effettivamente applicate e finalizzate alla protezione giuridica, materiale e psicologica del minore”

e quelli per cui, invece, sarebbe sufficiente il fatto che le misure protettive siano contemplate dall’ordinamento e possano, alla bisogna, essere tempestivamente attivate.

49) Afferma PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 139: “the exact legal need for article 11 (5) seems to be rather unclear”. Per l’a., peraltro, la previsione in esame potrebbe essere soddisfatta anche da una mera deposizione scritta.

50) Come osservaPATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 140, il meccanismo introdotto dall’art. 11 non si applica qualora il rientro del minore sia negato ai sensi degli artt. 12 e 20 della convenzione.

51) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 141 afferma al riguardo: “The list of the documents that need to be transmitted is open-ended. (…) The decision of the number and the nature of the documents to be transmitted is left to the requested court, which should try to convince the court of origin that its non-return order was justified and should not be reversed”.

52) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 141, a questo riguardo, osserva: “in the European Community context, there is a strong tendency to favour direct communication between courts”.

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immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. Tale comunicazione deve avvenire entro un mese dall'emanazione del provvedimento contro il ritorno.

A questo punto, salvo che l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno non sia già stata adita da una delle parti, l'autorità giurisdizionale o l'Autorità centrale che riceve le informazioni appena menzionate deve informarne le parti e invitarle a presentare le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché l’autorità esamini la questione dell'affidamento del minore.

La dottrina evidenzia peraltro che il termine “parti” è qui utilizzato in senso improprio, dal momento che, nello Stato di origine del minore, potrebbe non essere stato ancora instaurato alcun procedimento (53). Il termine va dunque riferito a tutti i soggetti che esercitino responsabilità genitoriale sul minore (di norma il genitore cui il minore sia stato

“sottratto”), che la corte dovrà identificare e localizzare.

Allo stesso tempo, non viene specificato il termine entro il quale la Corte d’origine debba inviare alle “parti” la documentazione inviata dal giudice dello Stato in cui si trova il minore: ovviamente, si presuppone l’urgenza e tempi rapidi anche in tale comunicazione (54).

Qualora tali conclusioni non siano fatte pervenire entro il termine stabilito, l'autorità giurisdizionale in questione archivia il procedimento e, ai sensi dell’art. 10, lett. b), iii), la competenza giurisdizionale si sposterà alla corte della “nuova” residenza abituale del minore (v. supra).

In caso contrario, si svolge nello Stato un procedimento che la Cassazione (55), in mancanza di precisazioni da parte del legislatore europeo (56), ha qualificato come riesame sommario delle valutazioni compiute dal giudice straniero con nuova e globale valutazione degli elementi probatori acquisiti da quest’ultimo, eventualmente da integrare con quelli ulteriormente acquisiti a seguito di sommarie informazioni, senza che dello stesso sia

53) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 143.

54) V. PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 143.

55) Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

56) V. su tale “lacuna” PESCE, Sottrazione internazionale di minori, cit., p. 238.

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oggetto necessario il diritto di affidamento come questione preliminare da decidere prima di esaminare la questione del ritorno del minore (57).

In effetti, anche la Corte di giustizia ha affermato che la pronuncia del giudice d’origine sul ritorno del minore non è subordinata all’esistenza di una decisione definitiva dello stesso giudice in merito al diritto di affidamento (58). Tale decisione sull’affidamento, dunque, resta l’obiettivo finale del procedimento che si svolge nello Stato della residenza abituale del minore, ma non pregiudica la pronuncia di provvedimenti urgenti sul rientro del minore.

In questa sede, in effetti, l’oggetto del giudizio riguarda soltanto l’eventuale violazione del

“diritto di affidamento” del titolare della responsabilità genitoriale, inteso quale diritto di intervenire nella decisione riguardo al luogo di residenza del minore (59).

Al riguardo, si ritiene che il giudice di merito possa emettere la decisione di cui all’art. 11 anche in assenza di una formale trasmissione del provvedimento straniero e degli atti relativi, affermandosi che l’esame delle motivazioni addotte dal giudice straniero possa avvenire anche qualora, nella decisione, non si faccia espressamente riferimento all’art. 13 della convenzione dell’Aja (60).

Sul piano procedurale, in Italia, la Cassazione ha ritenuto che il rito da seguire sia lo stesso prefigurato dall’art. 7, commi 3 e 4 della legge n. 64 del 1994 (v. supra): anche qui, dunque, avrà luogo un procedimento cautelare davanti al Tribunale per i minorenni, il quale potrà assumere sommarie informazioni. La decisione viene presa con decreto, ricorribile in Cassazione, sempre in base ad un’applicazione analogica, in questo contesto, delle norme procedurali stabilite dall’art. 7 della legge n. 64 (61).

Questa soluzione interpretativa risolve il problema relativo alla decisione sul ritorno del minore ma ha bisogno di adattamento qualora l’oggetto del procedimento sia più ampio e riguardi l’affidamento del minore: si può ipotizzare un procedimento bifasico, con una prima fase a carattere sommario-cautelare, con le caratteristiche sopra evidenziate dalla Cassazione ed una seconda governata dalle ordinarie regole del procedimento camerale applicato dal Tribunale per i minorenni.

Le previsioni appena esaminate mirano ad assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva, ma anche di mettere in condizione le corti d’origine di

57) Sul prospettabile carattere preliminare della decisione sull’affidamento del minore conteso rispetto a quella del ritorno v. PESCE, op. cit., p. 239.

58) Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

59) Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

60) Trib. min. Emilia Romagna, 7 maggio 2009, in Fam. dir., 2010, p. 38.

61) Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.; Cass., 21 marzo 2011, n. 6319.

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valutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non rientro (62). Con tali disposizioni, peraltro, il legislatore europeo ha confermato che la decisione finale in materia di ritorno del minore spetta al giudice dello Stato “di provenienza”, ove sia tempestivamente attivato un procedimento in tal senso, anche dopo un provvedimento di non rientro da parte del giudice ad quem.

A tal riguardo, infatti, si prevede espressamente che l'emanazione di un provvedimento contro il ritorno del minore in base all'arti. 13 della convenzione dell'Aia, non impedisce l’esecuzione di una successiva decisione che ne prescriva il ritorno emanata da un giudice competente ai sensi del regolamento, conformemente alla sezione 4 del capo III (art. 11, para. 8) (63).

7. - La convenzione dell’Aja del 1980 si rivolge al giudice dello Stato in cui il minore è stato trasferito illecitamente: l’ordine di rientro emesso da quest’ultimo, in quanto provvedimento “interno”, sul piano esecutivo non pone dunque problemi di “exequatur”

(64).

L’approccio del regolamento n. 2201 del 2003 è invece più ampio, dal momento che esso detta anche una disciplina uniforme in materia di circolazione delle decisioni emesse nelle materia matrimoniale e della responsabilità genitoriale tra gli Stati membri dell’Unione. In particolare, la normativa comune europea contiene disposizioni ad hoc sull’esecuzione transfrontaliera dei provvedimenti di rientro emessi in uno Stato membro rispetto a minori illecitamente trasferiti in uno Stato diverso.

Il concetto di «decisione» riconoscibile ai sensi del regolamento è definito dall’art. 2, n. 4, con riferimento ad ogni decisione relativa alla responsabilità genitoriale, a prescindere dalla denominazione usata, quale ad esempio decreto, sentenza o ordinanza. Una nozione particolarmente ampia, dunque, e non legata a modelli formali predefiniti.

Il regolamento, rispetto alla circolazione delle decisioni emesse in uno Stato membro, adotta un duplice approccio.

Da un lato, si segue anche qui il metodo “tradizionale” fatto proprio dal regolamento n. 44 del 2001 (c.d. Bruxelles I), per cui il riconoscimento delle decisioni è automatico e la loro

62) Corte giust., 11 luglio 2008, c. 195\08 PPU, Inga Rinau, in Guida dir., 2008, fasc. 31, p. 110.

63) PATAUT, Commento all’art. 11, cit., p. 145 sostiene: “Article 11 (8), is probably the most radical change in the scheme of the 1980 Convention and the best proof that the Brussels II bis Regulation is indeed a major change from that which has been achieved up until now”.

64) V. PESCE, op. cit., p. 242.

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esecuzione assoggettata ad un agile procedimento di exequatur; dall’altro, rispetto ad alcune tipologie di decisioni, si prevede l’attuazione immediata, senza necessità di previa concessione di un exequatur nello Stato ospite e senza possibilità di opposizione.

Tale possibilità è prevista, in particolare, per i provvedimenti emessi nella materia che ci riguarda (ovvero quelli dello Stato di origine che dispongono il rientro del minore illegittimamente trasferito all’estero), oltre che per le decisioni sul diritto di visita (65). I provvedimenti in questione, infatti, richiedono, di norma, un’attuazione rapida, incompatibile con i tempi (e i meccanismi) del procedimento di exequatur (66).

Si tratta, in effetti, di una delle principali innovazioni di Bruxelles II bis rispetto al precedente regolamento n. 1347 del 2000.

Come affermano i giudici europei, in questi casi, il giudice dello Stato di esecuzione non può che constatare l’efficacia esecutiva di una decisione certificata ai sensi del regolamento dal giudice dello Stato di origine del minore (67).

L’unico limite a tale esecuzione diretta è previsto dall’art. 47, per l’ipotesi in cui la decisione “certificata” sia incompatibile con un’altra decisione esecutiva emessa posteriormente. A questo riguardo, comunque, si è chiarito che la decisione incompatibile successiva deve essere emessa dal giudice d’origine e non da quello dello Stato dell’esecuzione (68): si conferma ancora una volta che il regolamento mira ad escludere conflitti di decisioni tra Stati membri diversi in questa materia.

Si è pure affermato che l’esecuzione nello Stato non possa essere negata adducendo un mutamento delle circostanze, sopravvenuto dopo la sua emanazione: un simile mutamento, infatti, dovrebbe essere dedotto dinanzi al giudice dello Stato d’origine, con un’eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione della sua decisione (69).

65) Secondo la Cassazione, peraltro, a tale modalità agevolata di esecuzione sfugge la decisione del giudice italiano, la quale modifichi una precedente scelta e sostituisca l'uno all'altro genitore nella qualità di affidatario del figlio minore: tale decisione, infatti, non autorizza il nuovo affidatario a prelevare e trasferire il minore stesso dallo Stato membro in cui risieda assieme al precedente affidatario, rendendosi a tal fine necessaria la dichiarazione di esecutività di cui all'art. 28 del regolamento: Cass., sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27188, in Guida dir. com. int., 2007, fasc. 1, p.

101.

66) MAGNUS, Introductory remarks, in Brussels II bis Regulation, cit., p. 343, parla della necessità, in questo contesto, di un “fast track” enforcement. L’a., peraltro, esprime dubbi rispetto all’opportunità di dare esecuzione agli ordini di rientro del minore “under all circumstances”, ciò che potrebbe essere contrario al “best interest of the child”.

67) Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.

68) Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

69) Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

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La Corte ha escluso pure che il giudice dello Stato di esecuzione possa opporsi all’esecuzione di una decisione certificata sul ritorno di un minore, adducendo che il giudice d’origine avrebbe violato l’art. 42 del regolamento, con grave violazione dei diritti fondamentali (nella specie, non sarebbe stato ascoltato il minore). I giudici europei, in effetti, non hanno negato che una simile violazione possa essere accertata, ma hanno riservato tale esame alle corti dello Stato d’origine, precisando che l’art. 42, n. 2, comma 1, non autorizza affatto il giudice dello Stato membro dell’esecuzione ad esercitare un controllo sulle condizioni, ivi enunciate, di rilascio del certificato emesso dal giudice d’origine, per non compromettere l’effetto utile del sistema istituito dal regolamento (70).

Escludendo qualsiasi opposizione avverso la decisione “certificata”, d’altro canto, si assicura che l’efficacia delle disposizioni del regolamento non sia vanificata da abusi procedurali (71).

L’esecuzione diretta di una decisione con cui sia stato ordinato il ritorno di un minore è disciplinata dall’art. 42, il quale richiede che la decisione in questione sia esecutiva nello Stato d’origine e certificata dal giudice d’origine sulla base di un apposito modello standard.

In tale certificato (redatto nella lingua della decisione), in particolare, il giudice dello Stato di origine deve attestare che:

- il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l'audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità; la Corte di giustizia, al riguardo, ha specificato che l’opportunità di tale audizione è rimessa in via esclusiva al giudice che deve statuire sul ritorno di un minore, non rappresentando essa un obbligo assoluto ma il risultato di una valutazione discrezionale in funzione delle esigenze legate all’interesse superiore del minore in ogni caso di specie. In altre parole, per i giudici europei, il diritto del minore ad essere sentito non esige che sia necessariamente tenuta un’audizione dinanzi al giudice dello Stato membro d’origine, ma richiede che siano messe a disposizione di tale minore le procedure e condizioni legali che gli consentono di esprimere liberamente la sua opinione e che quest’ultima sia raccolta dal giudice (72).

70) Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.: nella fattispecie, la madre, che si opponeva all’esecuzione in Germania di un provvedimento spagnolo che ordinava il ritorno della figlia in Spagna, sosteneva che il certificato attestasse che era stato ottemperato l’obbligo di sentire il minore prima della pronuncia della decisione, mentre tale audizione non aveva in realtà avuto luogo.

71) Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

72) Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.

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- le parti abbiano avuto la possibilità di essere ascoltate;

- l'autorità giurisdizionale abbia tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all'art. 13 della convenzione dell'Aia del 1980.

Il certificato deve, inoltre, contenere i dettagli delle misure eventualmente adottate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale.

La Corte di giustizia ha chiarito che l’emissione del certificato in questa ipotesi presuppone che, nello Stato in cui il minore sia stato trasferito illecitamente, sia stata previamente pronunciata una decisione contraria al ritorno dello stesso nello Stato di origine: secondo i giudici europei, infatti, l’art. 11, para. 8. implica un rapporto di successione temporale tra una decisione di non-rientro e la decisione successiva che dispone invece il ritorno del minore. Da questo punto di vista, una volta che una decisione di ritorno sia stata certificata, le vicende processuali che riguardano la decisione di non-rientro (ad esempio, un eventuale appello o la sua sospensione) diventano irrilevanti rispetto all’applicazione delle norme del regolamento (73).

Il certificato in questione può essere emesso d’ufficio, al momento in cui la decisione diventa esecutiva e può essere rettificato in conformità alla legge dello Stato di appartenenza del giudice stesso (art. 43). Contro il rilascio di tale attestazione non è però ammesso alcun mezzo di impugnazione. Si prevede solo un procedimento di controllo e correzione di eventuali errori materiali, quando il certificato non rispecchi correttamente il contenuto della decisione (considerando n. 24).

A questo punto, la decisione sul rientro del minore può essere eseguita nello Stato ad quem dietro esibizione di una copia autentica della stessa e del relativo certificato, debitamente tradotto in una delle lingue accettate dallo Stato (art. 45): per l’Italia, l’italiano, l’inglese o il francese.

Ai sensi dell’art. 47, l’attuazione materiale del provvedimento straniero nello Stato dell’esecuzione è assoggettata alla lex fori, a parità di condizioni con le decisioni nazionali.

L’art. 48, peraltro, prevede che, in sede esecutiva, l'autorità giurisdizionale richiesta possa stabilire modalità pratiche volte ad organizzare l'esercizio del diritto di visita, qualora le modalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione straniera, a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione. Tali modalità

“integrative” cessano di essere applicabili a seguito della pronuncia di una decisione

73) Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

(23)

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posteriore emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competenti a conoscere del merito.

8. - Come emerge dalle pagine che precedono, il regolamento n. 2201 aspira a dare più efficace implementazione all’obiettivo della convenzione dell’Aja del 1980, facendo leva sui principi cardine dello spazio giudiziario europeo.

Come la giurisprudenza della Corte di giustizia dimostra, peraltro, anche nei rapporti tra Stati membri dell’Unione continuano a registrarsi conflitti tra le corti nazionali coinvolte in episodi di abduction. L’impressione è che, in alcuni casi, si fatichi a liberarsi da un certo

“protezionismo” nei confronti di propri cittadini che abbiano posto in essere una sottrazione internazionale di minore.

D’altro canto, il regolamento non mira ad assicurare sempre e comunque il rientro del minore nello Stato di partenza.

A questo punto, la partita dell’integrazione e della cooperazione giudiziaria attraverso le frontiere si gioca sulla capacità delle corti dello Stato di origine del minore di valutare le ragioni che hanno indotto il giudice straniero a negare il rientro senza preconcetti, in modo sereno ed obiettivo, seguendo le linee guida emergenti dalle decisioni della Corte di giustizia.

E’ un cammino di maturazione culturale, oltre che giuridica: un’ulteriore sfida sulla strada dell’armonizzazione del diritto processuale civile in ambito europeo.

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