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Discrimen » Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

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Academic year: 2022

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I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

37

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Dove va il diritto penale, quali sono i suoi itinerari attuali e le sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitari- stica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-crimi- nale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alterna- tive che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale”

che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interro- garsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevolezza

di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto penale,

si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad ap-

procci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di fondo,

la sezione Monografie accoglie quei contributi che guardano alla

trama degli itinerari del diritto penale con un più largo giro

d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza pro-

spettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione Saggi

accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni necessaria-

mente contenute, su momenti attuali o incroci particolari degli

itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative spezza-

ture, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione il ri-

corrente trascorrere del “penale”.

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DANIELA FALCINELLI

LE SOGLIE DI PUNIBILITÀ TRA FATTO E DEFINIZIONE

NORMO-CULTURALE

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

(5)

© Copyright 2007 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-7432-5

Composizione: Compograf - Torino Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fa- scicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non su- periore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: aidro@iol.it

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a Fabio

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(8)

Questo lavoro è debitore dell’attenzione prestatagli dal mio Maestro, il Prof. David Brunelli, instancabile lettore, guida inso- stituibile nel consiglio e nell’esortazione. A Lui rivolgo la mia profonda gratitudine.

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XIII

1 6 11

15 20

27 34 37 42

Indice

PREMESSA

Appunti sui limiti del punire penale

CAPITOLOI

I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni

1. Formule della “non punibilità” e soglie di punibilità: lo statuto giuridico della categoria

2. Tu quoque. Le soglie di punibilità alla corte dell’offensività penale 3. Il Giano bifronte dell’elemento di non punibilità. Tra evento e

condizione

3.1. La colpa a confronto con le condizioni intrinseche di puni- bilità

4. Il volto “estrinseco” dell’art. 44 c.p.

CAPITOLOII

Soglie di punibilità: fotogrammi

5. L’obbiettivo sulle soglie di punibilità: i valori limite di tolleranza nel diritto tributario

5.1. La soglia come condizione obiettiva di punibilità. Il fragile argomento del dolo

6. L’obbiettivo sulle soglie di punibilità: i valori limite di tolleranza nel diritto societario

6.1. Oltre il falso quantitativo: la discussione attorno al falso qualitativo

pag.

(11)

X Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

47 49 53 58

67 70 75 80

88 90

96 100

105 107 110 116 119 6.2. Sintesi critica

7. E pluribus unum: l’identità concettuale dei limiti quantitativi di punibilità

7.1. I valori tabellari identificativi di un elemento costitutivo: ca- sistica

7.2. Formule quantitative come indicatori dell’offesa. Un abba- glio

CAPITOLOIII Frammenti di sistema

8. Punto e a capo. Soglia di punibilità ed elemento normativo defi- nitorio

9. Lex facit de nigro clarum et circhia quadrata

10. Definizione normativa e autonomia dal senso del divieto 11. La specificità del “dolo di soglia”

11.1. Dolo specifico e scopo “generico”: l’atecnicismo dell’inten- zione

12. Errore di occhio, errore di mente

13. L’effetto abolitivo del fatto che non è (più) previsto dalla legge co- me reato

13.1. Il “tempo” delle soglie: regola ed eccezione

CAPITOLOIV

Ragionando ancora di soglie: digressioni

14. Elogio della soglia: arricchimento, e precisazione, della tipicità penalmente rilevante

15. Soglia di punibilità e soglia di rischio

15.1. Segue: rassegna delle norme incriminatrici

16. Rinvio trasformativo vs. rinvio recettivo della descrizione socio- culturale

17. Biografia di un valore-limite: in particolare, dose media giorna- liera ed interesse usurario

pag.

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Indice XI

127

129 132 137

139 18. Alle radici del fallimento di una soglia di punibilità

19. Uno sguardo al futuro. Soglia di punibilità e soglia di probabilità nella causalità penale

20. Al di qua della soglia: l’illecito extrapenale 21. Infine

Bibliografia

pag.

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1V. LIPARI, Antitesi e limite di normatività (attualità del pensiero di R. Guardini), in Riv. intern. fil. dir., 1998, 195 ss.

Il vero limite chiude; ma poiché

“ha un’altra parte”, anche apre.

Il vero limite è come una pelle:

respira, sente, trasferisce da una all’altra parte.

(ROMANOGUARDINI)

P

REMESSA

Appunti sui limiti del punire penale

L’idea di “soglia” si articola, intuitivamente, attorno ad un duplice contenuto essenziale: di posizione di una linea di confine, magari se- gnalata attraverso il criterio per misurarne l’esistenza, e di potenziale superamento di quella sorta di parete divisoria. Si rivela dunque, al contempo, umanamente necessaria perché delimita compiutamente il campo visivo, ed artificiale perché viene costruita attraverso la scelta del punto di osservazione1.

Ma non solo di questo si tratta. Perché l’evocata nozione di limite, una volta inserita in un panorama di sfondo criminale, diventa con grande agilità il luogo di equilibrio tra lo svolgimento dell’agire indivi- duale libero e lecito, da un lato, e la dimensione della rilevanza penale, dall’altro.

Invero, l’espressione “soglia di punibilità” accompagna da sempre la dinamica delle situazioni umane all’ingresso del sistema penale; ba- sti pensare alle formule utilizzate per definire il passaggio dagli atti preparatori agli atti esecutivi di un delitto rimasto tentato, le quali rie- cheggiano, più o meno esattamente, la locuzione sopra ricordata.

Quanto si colloca prima di questa ideale linea di separazione rimane,

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XIV Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

allora, nella gestione della società non penale; quanto la supera si tra- duce invece in oggetto del pensare penale, se non anche del punire pe- nale.

Il varco così delimitato viene dunque ad assumere le sembianze del- le più mitiche “colonne d’Ercole”, segnando il discrimine tra un mon- do ed un altro, ed insinuandosi nelle più diverse argomentazioni, nei più svariati settori ed istituti della sistematica criminale: successione di leggi nel tempo, errore, colpa cosciente, concorso eventuale in fatti- specie associative, e via dicendo.

Dal canto suo la più recente storia legislativa ha ben contribuito a calamitare l’attenzione su questa espressione, avvalendosi di tecniche normative di c.d. anticipazione dell’intervento repressivo, funzionali a costruire una risposta sanzionatoria in ottemperanza ad istanze di precauzione di discendenza comunitaria. In breve, tali da anticipare la soglia di punibilità a condotte che in precedenza non superavano il li- vello dell’interesse penale.

Ma è andata anche oltre. Al momento di scrivere e/o riscrivere importanti figure criminose la soglia è stata stigmatizzata in una quantità, in un dato numerico di referente magari variabile ma pur sempre accuratamente precisato: in queste prime battute si limita l’esemplificazione alle quantità delle imposte sui redditi, con riferi- mento ad alcuni reati tributari, e del risultato economico d’eserci- zio, con riferimento a taluni reati societari. In simili casi, invero, il fatto risulta non punibile fino allo scavalcamento dell’accennato li- mite.

Non che la “tipologia” fosse in precedenza assente dall’orizzonte normativo italiano, ma di certo non aveva suscitato un particolare in- teresse dogmatico. Solo in data relativamente recente – quella delle riforme “epocali” di cui si tratterà in seguito – la riflessione scientifica è finalmente uscita dal silenzio sulla tematica delle soglie di punibilità quantitative, stringendo la sempre parca attenzione attorno ai menzio- nati settori tributario e societario. È in questi ambiti, difatti, che ne è stato percepito lo specifico ruolo di concorrere a fissare le ragioni e le condizioni dell’intervento penale, così da intravederne il profilo di vi- cinanza rispetto alla “versione” qualitativa tradizionalmente percorsa dagli approfondimenti esegetici.

Alla luce di quanto rilevato, si può agevolmente cogliere il valore che il tema presenta, anche a volersi fermare alle materie sopra ricor- date: ma la casistica che si prospetta a consono quadro di riferimento, come avrà modo di chiarirsi, è ben più vasta. In particolare, i molte-

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Appunti sui limiti del punire penale XV

plici profili di teoria generale del reato che l’inserimento di un valore- soglia in seno alla norma incriminatrice impone di analizzare, consen- tono di articolare la riflessione seguendo una logica di sistema. A co- minciare dal ruolo di quest’elemento nella composizione della punibi- lità penale.

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2Sulla genericità della locuzione “non è punibile”, per tutti cfr. ROMANO, Giusti- ficazione e scusa nella liberazione da particolari situazioni di necessità, in Riv. it. dir.

proc. pen., 1991, 41; PATERNITI, Appunti sulla non punibilità, in Ind. pen., 2005, 147 ss.; RUGGIERO, voce Punibilità, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 1118 ss.

C

APITOLO

I

I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni

SOMMARIO: 1. Formule della “non punibilità” e soglie di punibilità: lo statuto giuridico della categoria. – 2. Tu quoque. Le soglie di punibilità alla corte dell’offensività pe- nale. – 3. Il Giano bifronte dell’elemento di non punibilità. Tra evento e condizio- ne. – 3.1. La colpa a confronto con le condizioni intrinseche di punibilità. – 4. Il volto “estrinseco” dell’art. 44 c.p.

1. Formule della “non punibilità” e soglie di punibilità: lo statuto giuridico della categoria

Le ambigue e poco appaganti scelte sistematiche operate dal codice del 1930 sul terreno della “non punibilità” hanno lasciato spazio, nella catalogazione delle ipotesi delineate dall’ordinamento, alle ampie ideazioni della teoria generale del diritto2.

Ciò non toglie che la cornice generale in cui si innesta questa mol- titudine di esegesi rimanga di inappuntabile chiarezza, orientata come è a favore di un sistema c.d. a doppio binario. Esso si fonda sul ricor- so alla pena ove l’illecito offensivo tipico concorra con l’imputabilità del soggetto, mentre si appoggia alla misura di sicurezza per far fron- te all’accertata pericolosità sociale di chi, per giusta regola, si provi aver commesso un «fatto preveduto dalla legge come reato». Fatte sal- ve le eccezioni dettate dagli artt. 49, comma 2, e 115 c.p., in cui la non punibilità dell’agente, che invero non ha realizzato alcuna fattispecie pienamente qualificabile come criminosa, si affianca alla sottoponibi- lità a misura di sicurezza.

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2 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

3V. BRICOLA, voce Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. it., XIX, Torino, 1973, 63 s.; MARINI, Lineamenti del sistema penale italiano, Torino, 1993, 357 s.; ID., “Non punibilità del soggetto” e “cause di giustificazione”. Discussioni in dottrina, in Studi in onore di Marcello Gallo. Scritti degli allievi. Torino, 2004, 50 ss. Nel senso che pu- nibilità letteralmente significhi possibilità di punire, v. SANTORO, voce Estinzione del reato e della pena, in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, 992.

4Paradigmatica l’illustrazione della questione ad opera di STORTONI, Premesse ad uno studio sulla “punibilità”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, 402 ss.

5Cfr. MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale, I, Milano, 2001, 651.

6Trattasi di binomio concettuale che riflette il tradizionale, ed ormai essenzial- mente abbandonato, approccio dogmatico tedesco in ordine al generale problema della punibilità, impostato sulla relazione tra elementi costitutivi del reato (Strafwürdigkeit) ed elementi di governo della punibilità (Strafbedürfnis). In argo- mento, quanto alla dottrina italiana, ROMANO, “Meritevolezza di pena”, “bisogno di pena” e teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 39 ss.; BONDI, I reati aggrava- ti dall’evento tra ieri e domani, Napoli, 1999, 86; DONINI, Selettività e paradigmi della teoria del reato, in AA.VV., Il diritto penale alla svolta di fine millennio. Atti del Con- vegno in ricordo di Franco Bricola (Bologna, 18-20 maggio 1995), a cura di Cane- strari, Torino, 1998, 419; MUSCO, L’illusione penalistica, Milano, 2004, 3.

Due i corollari che immediatamente ne discendono.

Il primo. L’espressione “non punibilità” andrà intesa, a seconda dei casi, come «non sottoponibilità a sanzione» o, più limitatamente, solo come «non assoggettabilità a pena»3. Il secondo. Il problema concet- tuale circa l’ammissibilità di un reato non punito non trova una imme- diata risposta affermativa4, ma ciò non inficia la ragionevolezza di una soluzione di questo segno. Potendo solo scalfire la profondità del di- battito sorto sul punto – che pure rimane cruciale ai fini della temati- ca trattata – è d’uopo subito illuminare le radici dell’accennata conclu- sione positiva, legate al carattere relativo della minaccia della pena. Lo Stato, difatti, può intimarla salvo poi riservarsi un revirement a fronte del verificarsi o meno di determinate situazioni, non necessariamente connesse con il corrispondente tipo di illecito ma tutte riconducibili a non meglio precisate esigenze di opportunità5. È attraverso questo percorso che si giunge così a fissare il distinguo tra meritevolezza e bi- sogno di pena6, ovvero tra il giudizio di rilevanza del bene giuridico e della sua modalità di aggressione da un lato, e la riflessione circa la convenienza politica di rispondere attraverso il plesso sanzionatorio penale dall’altro.

A prima vista non pare difficile affermare che le scelte comportanti l’introduzione di diaframmi tra reato e punibilità attestino come l’inte- resse a proteggere il bene attraverso lo strumento penale non si ponga in termini assoluti. Il che è in primo luogo da collegarsi alla moltitudi-

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 3

7Sul punto v. FIANDACA, Il “bene giuridico” come problema teorico e come criterio di politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 46; DOLCINI-MARINUCCI, Note sul metodo della codificazione penale, in AA.VV., Verso un nuovo codice penale, Milano, 1993, 68.

8Cfr. il disposto dell’art. 15, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 «Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, comma 3 del codice penale, non dan- no luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tribu- tarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione». Si rinvia in proposito alle riflessioni svolte da MANES, Le violazioni dipendenti da “obiettive condizioni di incertezza” e l’errore nel sistema dei reati tributari, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 491 ss., in part. 501 ss.

9STORTONI, Premesse ad uno studio sulla “punibilità”, cit., 406 s.; PADOVANI, Il traffico delle indulgenze. “Premio” e “corrispettivo” nella dinamica della punibilità, in Cass. pen., 1986, 434 s.; DONINI, Alla ricerca di un disegno. Scritti sulle riforme pena- li in Italia, Padova, 2003, 369; DIMARTINO, La sequenza infranta. Profili della disso- ciazione tra reato e pena, Milano, 1998, 57 ss. Nel senso della estraneità della puni- bilità ai fini di tutela perseguiti attraverso l’incriminazione si è indirizzata anche la Corte cost. 23 marzo 1988, n. 369, in Foro it., 1989, I, 3383, che riconosce alla pu- nibilità una «consistenza autonoma, un valore autonomo rispetto al reato», tale da poter essere usata «per ottenere dall’autore dell’illecito prestazioni utili per fini spesso estranei alla tutela del bene offeso dal reato». V. anche Corte cost. 12 set- tembre 1995, n. 427, in Giur. cost., 1995, 3333, che conferma come la funzione del- la pena possa essere bilanciata con interessi anche di estrazione extrapenale, e co- munque eccentrici rispetto alla sua funzione classica.

ne di interessi giuridici ritenuti rilevanti, data la dilatazione degli sco- pi che persegue l’attuale forma dello Stato7: beni per lo più di natura artificiale e superindividuale, immateriale e spiritualizzata, nella cui gestione si è imposta con enfasi la non sanzionabilità di fatti non gra- vemente offensivi o non sufficientemente “colpevoli”8.

Ma, in secondo luogo, si deve convenire come sia proprio l’accen- nata separazione tra “giustizia” ed opportunità di tutela ad aver reso la punibilità sfera sempre più distante dal reato, autonomamente serven- te esigenze che nulla hanno a che fare con quelle di protezione del be- ne compromesso9.

Se le rapide notazioni che precedono si dirigono, in buona sostan- za, a dimostrare che alla non punibilità va riconosciuta la “forma del- l’acqua”, in quanto contenuto di distinti contenitori, non pare incoe- rente sostenere come tocchi infine all’interprete allocarla nell’una o nell’altra macro-categoria, a seconda che si riveli essere l’effetto della mancanza di un requisito strutturale dell’illecito ovvero la conseguen- za di una considerazione prettamente utilitaristica.

Le suddette opzioni, di volta in volta, sono state così attentamente riportate all’assenza di un fatto conforme al tipo; alla carenza di offen-

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4 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

10Sulla categoria delle cause di non punibilità, in generale, CONTENTO, La con- dotta susseguente il reato, Bari, 1965, 134; STORTONI, voce Estinzione del reato e del- la pena, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 348; VASSALLI, voce Cause di non puni- bilità, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 609; PROSDOCIMI, Profili penali del postfatto, Mi- lano, 1982; ZICCONE, Le cause “sopravvenute” di non punibilità, Milano, 1975. Anco- ra, sulle vicende della punibilità, PETROCELLI, Reato e punibilità, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1960, 675; ROMANO, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non pu- nibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 55; ID., Giustificazione e scusa, cit., 40; STOR-

TONI, Profili costituzionali della non punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 626;

MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dogmatiche e politico criminali, ivi, 1983, 1190.

11Sulla tematica delle condizioni obiettive di punibilità si rinvia, per approfon- dimenti a RAMACCI, Le condizioni obiettive di punibilità, Napoli, 1971; NEPPIMODO-

NA, voce Condizioni obiettive di punibilità, in Enc. giur., VII, Roma, 1988, 1 ss.; CU-

RATOLA, voce Condizioni obiettive di punibilità, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 807 ss.; VENEZIANI, Spunti per una teoria del reato condizionato, Padova, 1992; GIULIANI

BALESTRINO, Il problema giuridico delle condizioni di punibilità, Padova, 1966; BRI-

COLA, voce Punibilità (condizioni obiettive di), in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, 590; DONINI, Illecito e colpevolezza nella imputazione del reato, Milano, 1991, 142 ss.;

ID., Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1966, 410 ss.; BELLINI, Le condizioni obiettive di punibilità, Torino, 1988; RUGGIERO, voce Punibilità, cit., 1127; ZANOTTI, voce Punibilità (condizioni obiettive di), in Dig. disc. pen., X, Torino, 1995, 536 ss.;

MORMANDO, L’evoluzione storico-dommatica delle condizioni obiettive di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 610 ss.

sività dello stesso; alla generale o speciale non riferibilità della norma all’autore del fatto criminoso in qualità di suo destinatario (c.d. “inca- pacità di diritto penale”); alla presenza di cause di giustificazione; o di cause di esclusione della colpevolezza; o di cause di non punibilità in senso proprio, quali elementi capaci di incidere non sull’esistenza o sull’inesistenza del reato ma esclusivamente sulla sua efficacia10. Tali le cause di estinzione del reato, le cause di estinzione della pena, le c.d.

cause speciali di non punibilità, nonché le condizioni obiettive di non punibilità. Da accorpare come “negativo”, già per evidente simmetria verbale, alle condizioni oggettive di punibilità disciplinate dall’art. 44 c.p.11.

Come è noto, esse si distinguono da tutti gli altri istituti inerenti al- le circostanze di non applicazione della sanzione penale per una inter- na lacerazione che ne preclude un richiamo unitario tout court, senza ulteriori specificazioni qualitative. Si tratta, invero, di una sotto-cate- goria di non punibilità da cui a sua volta si bipartono direttrici teleo- logicamente affini (nella misura in cui da ultimo incidono sulla san- zionabilità) quanto contenutisticamente eterogenee, per essere l’una intrinseca al reato l’altra estrinseca rispetto allo stesso.

Pertanto, il dilemma della collocazione dell’elemento nella sfera del

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 5

12VENEZIANI, Spunti per una teoria del reato condizionato, cit., 107. Per un paral- lelismo tra condizioni obiettive di punibilità e cause di non punibilità sopravvenu- ta, diffusamente PROSDOCIMI, Profili penali del postfatto, cit., 314 ss.

13In questo senso, a proposito delle soglie di rilevanza delle ipotesi di false co- municazioni sociali, PADOVANI, Il cammello e la cruna dell’ago. I problemi della suc-

“merito” o in quella del bisogno di pena, finisce per trovare l’originale soluzione di una duplicazione delle condizioni obiettive, solo in parte ricondotte alla seconda delle distinte dimensioni cui compete la rego- lamentazione dettata dall’art. 44 c.p.

La questione si presenta in termini di peculiare analogia con le vi- cende che attraversano l’“universo parallelo” delle soglie di punibilità, espressione da assumersi a sintesi di tutta una congerie di vincoli quantitativi rispetto alla capacità espansiva della tutela penale, diretti discendenti dei classici principi di frammentarietà e determinatezza. A tal proposito, è opportuno sottolineare nuovamente come con siffatta etichetta si sia soliti far riferimento alle tipologie di valori limite da ul- timo immesse nell’ordinamento a mezzo delle attese riforme del dirit- to penale tributario e societario. L’attuale analisi scientifica, discono- scendo l’esistenza di un’unica categoria concettuale che accorpi in sé tutte le soglie, si è infatti specificamente impegnata a fornire una spie- gazione della non punibilità che da quelle discende, ora attraverso i ne- bulosi passaggi logici che fuoriescono dal menzionato art. 44 c.p., ora facendo leva sulla ricerca dell’offesa penale.

In dettaglio, sostenendo l’esistenza di una marcata contiguità tra esigenze di punibilità ed esigenze di tutela, anche in questo settore ci si è addentrati lungo un preteso parallelismo tra condizione di punibi- lità c.d. intrinseca e condizione di non punibilità originaria (tale la c.d.

soglia). Tanto l’una, consistendo in un avvenimento supplementare, accrescerebbe il disvalore del fatto convertendolo in illecito penale, tanto le condizioni di non punibilità originaria quel disvalore lo atte- nuerebbero del quantum necessario a delegittimare la giustificazione della reazione penale12.

Altra strada esegetica, in fondo, non è apparsa percorribile.

Orbene, questi limiti non possono essere rappresentati nella si- lhouette di causa speciale di esclusione dell’antigiuridicità del fatto. È chiaro, infatti, come non diano spazio ad un interesse contrapposto a quello leso, proponendo così la soluzione di un sotteso conflitto di in- teressi attraverso un bilanciamento di rilevanza prettamente obiettiva, giusto il tenore dell’art. 59, comma 1, c.p.13. Per cui, l’esclusione della

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6 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

cessione di leggi penali relativi alle nuove fattispecie di false comunicazioni sociali, in Cass. pen., 2002, 1603.

14Sull’offesa dell’interesse protetto quale idea centrale per la costruzione di un sistema criminale realmente democratico, GROSSO, Su alcuni problemi generali di diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 18 ss.; FIORE, Il principio di offensività, in Ind. pen., 1994, 285; MANTOVANI, Il principio di offensività nello schema di delega legislativa per un nuovo codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 326.

punibilità che consegue al non raggiungimento del “punteggio” presta- bilito, o si lega ad una mancante opportunità di repressione o si spiega nella carenza di un requisito del fatto tipico portatore del disvalore pe- nale.

Sulla scorta di queste considerazioni appare evidente come divenga questione pregiudiziale l’inquadramento sistematico delle soglie di pu- nibilità e della relativa azione di contenimento rispetto alla sanzione penale, se tra gli elementi costitutivi del fatto o tra i fattori estranei al piano dell’offesa. Dalla soluzione formulata discende infatti la loro col- locazione fuori o dentro i confini strutturali dell’illecito, e, di seguito, l’applicabilità di uno statuto giuridico piuttosto che di un altro.

2. Tu quoque. Le soglie di punibilità alla corte dell’offensività pe- nale

L’enfasi con cui si approccia alla riflessione relativa al ruolo rivesti- to dalle soglie è generalmente ancorata a valutazioni sostanzialistiche:

l’angolo di prospettiva è infatti destinato a mutare a seconda che siano o non siano ritenute capaci di calibrare la rilevanza offensiva del fatto nella cui cornice sono richiamate14.

Alla conclusione negativa si giunge con l’evocarne una ragione di opportunismo sanzionatorio che le trascina in seno della disciplina ex art. 44 c.p., sviluppando la premessa di una idea qualitativa di offesa penale ritenuta non graduabile per quantità ma determinabile alla stregua di una secca logica binaria, per cui alla sua configurazione si contrappone esclusivamente la non sussistenza.

All’opposto, si favoleggia di un loro effetto lievitante rispetto ad una offesa già evidenziatasi, attingendo all’artefatta categoria delle condi- zioni intrinseche, e si arriva così a fissarne l’immagine nei tratti di ele- menti, a dir poco ambigui, che alzano il livello di disvalore di quel tan- to necessario a far gridare al “bisogno” di pena.

In alternativa, persistendo nell’orizzonte dei fattori costitutivi del-

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 7

15In argomento, GALLO, voce Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 787; NEPPIMODONA, voce Reato impossibile, in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, 974; ID., voce Reato impossibile, in Dig. disc. pen., XI, Torino, 2000, 260 ss.

16In generale, sulla nozione di tipicità nei termini di individuazione tassativa del tipo normativo di reato, ovvero l’essere i reati descritti per “tipo”, v. VASSALLI, voce Tipicità (diritto penale), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 540. Sul tema si veda anche l’accurata analisi di GARGANI, Dal corpus delicti al Tatbestand. Le origini del- la tipicità penale, Milano, 1997, 11 ss., 53 ss., 389 ss.

la tipicità, il perimetro tracciato dalle soglie viene ad essere inteso co- me concretizzazione legislativa del giudizio realistico ex art. 49, com- ma 2, c.p.15. Se ne fa conseguire la necessità che questi valori si pon- gano ad oggetto dell’elemento psicologico, con poco esplorati riflessi in ordine all’errore che su di essi ricada ed alle modifiche intertem- porali che li investano. Nondimeno si perde di vista la peculiare ca- ratterizzazione della non punibilità discendente dalla commissione di un reato impossibile rispetto a quella implicata dalle ipotesi in at- tenzione.

Vale infatti la pena rimarcare come, con significativa diversità ri- spetto a quanto genericamente sentenziato nell’ipotesi di mancato sfondamento dei tetti di tolleranza incarnati dalle c.d. soglie, la norma da ultimo richiamata non si fermi alla dizione della non punibilità, ma specifichi la sanzionabilità a mezzo di misura di sicurezza a fronte del- l’accertata pericolosità sociale dell’agente.

Ciò, non solo lascia trasparire un distinto campo di intervento del giudizio sull’offesa rispetto a quello occupato dall’accertamento della non integrazione della soglia, posto che l’uno rimane eventualmente accompagnato da un mezzo di difesa penale, l’altro risulta invece sce- vro da conseguenze criminali. Ma convince, altresì, a prendere le di- stanze da una lettura dell’offesa quale profilo teleologico della fattispe- cie tipica, che la posizione in commento postula: a stare alla quale, in entrambi i casi richiamati la mancanza della tipicità conseguirebbe al- la non rilevazione della misura di disvalore represso.

D’altro canto una doverosa stratificazione dell’illecito penale, in particolare un corretto distinguo tra livello tipico e livello offensivo16, permette di visualizzare nitidamente l’appartenenza delle soglie di pu- nibilità al tipo del fatto piuttosto che all’offesa cui afferisce l’art. 49, comma 2, c.p., al materiale che si valuta piuttosto che al (dis)valore che quello esprime.

Nessuno dubita, infatti, come sia di non poco conto la contrapposi- zione che si disegna tra l’intendere l’offesa come componente esterna e

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8 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

17Tale è la formulazione proposta dai sostenitori della c.d. concezione realisti- ca, per tutti v. GALLO, voce Dolo, cit., 786 ss. Da ultimo, si rinvia alle riflessioni svi- luppate da NEPPIMODONA, Il lungo cammino del principio di offensività, in Studi in onore di Marcello Gallo, cit., 89 ss.

18Nel senso che i problemi applicativi posti da ipotesi di sfasatura tra tipo ed offesa debbano risolversi a mezzo dell’interpretazione teleologica della norma, at- traverso cioè la considerazione degli scopi di tutela perseguiti dal legislatore (art.

12 disp. prel. c.c.), in dottrina PADOVANI, Diritto penale, Milano, 1998, 101 ss.; PA-

LAZZO, Meriti e limiti dell’offensività come principio di ricodificazione, in AA.VV., Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, 83 ss.;

FIANDACA, Note sul principio di offensività e sul ruolo della teoria del bene giuridico tra elaborazione dottrinale e prassi giudiziaria, in AA.VV., Le discrasie tra dottrina e giurisprudenza in diritto penale, a cura di Stile, Napoli, 1991, 72; STELLA, La teoria del bene giuridico e i c.d. fatti inoffensivi conformi al tipo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 19 ss.; ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 1995, 479 ss.; DISALVO, Principio di offensività e particolare tenuità del fatto, in Cass. pen., 2002, 2756 ss.; BARTOLI, Inoffensività del fatto e interpretazione teleologica della nor- ma, ivi, 1998, 2739 ss. In giurisprudenza v. Pret. Dolo, 10 febbraio 1998, Baratto, in Cass. pen., 1998, 2737 ss.

19Per la ricognizione del poderoso dibattito si rinvia alla ricostruzione ed all’ap- profondimento bibliografico svolto da CATERINI, Reato impossibile e offensività.

Un’indagine critica, Roma, 2004, 171 ss.

complementare rispetto al tipo17ed il considerarla, invece, integrazio- ne teleologica di ciascun fatto (tipico) criminoso18. Costretti a ripro- durre in una sintesi estrema la vastità della discussione in evidenza, si segnala come la prima impostazione deduca l’inesistenza di un illecito penale dalla rilevazione dell’inoffensività della fattispecie tipica, la se- conda intraveda invece nel fatto inoffensivo un fatto non conforme al tipo19. Il margine differenziale è di tutto rilievo: se si assume che l’of- fesa al bene protetto venga a realizzarsi con la nuda e cruda verifica- zione della tipicità, per esserne una indefettibile qualità intrinseca, al- lora si conviene che la stessa offesa, lungi dall’indossare i panni di re- quisito strutturale della fattispecie, esaurisca ogni sua funzione in quella di ratio dell’incriminazione, valendo da mero strumento esege- tico a detta dell’art. 12 disp. prel. c.c. Per cui, si interpreta la norma per ricercare l’offesa vietata, ma al tempo stesso si cerca l’offesa per inter- pretare la norma.

Eppure, il disvalore penalmente rilevante, come ampiamente dimo- stra la recente storia manipolativa della giurisprudenza costituzionale, può mutare anche permanendo integra nella sua versione originale l’immagine del fatto tipico. Di converso, può rimanere integro a fronte di mutamenti intervenuti nella rappresentazione della situazione di vi-

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 9

20GALLO, voce Dolo, cit., 783; NEPPIMODONA, Il reato impossibile, Milano, 1965, 79. Da ultimo, ripropone le difficoltà del binomio tradizionale “bene giuridico-fat- to tipico” DEFRANCESCO, Programmi di tutela e ruolo dell’intervento penale, Torino, 2004, 44, che ne sottolinea «l’incapacità di continuare a preservare l’antico ruolo (anche) del secondo termine del rapporto. Da paradigma normativo volto a rispec- chiare un “oggetto” della tutela, il fatto tipico viene sempre più a stagliarsi in guisa di “strumento” per perseguire delle finalità, a loro volta ricostruite ed implementa- te alla luce di un complesso di valutazioni volte a verificare … ora l’“adeguatezza”

ed “utilità” della fattispecie, ora l’eventuale maggior “beneficio” (in termini di ri- svolti sociali) derivante dalla mancata previsione di quest’ultima».

21Nel linguaggio moderno del diritto penale il concetto di tipicità risulta di re- gola strettamente connesso a quello di fattispecie incriminatrice intesa anch’essa quale rappresentazione legislativa della realtà, con riguardo ad una considerazione del fatto nella sua materialità, distinta dalla qualificazione giuridica del fatto stes- so e da ogni circostanza di carattere astratto o comunque immateriale. In argo- mento CAUTADELLA, voce Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 926 ss.; MAIOR-

CA, voce Fatto giuridico-Fattispecie, in Noviss. Dig. it., VII, Torino, 1961, 113.

22Cfr. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1955, 594 s.: «I concet- ti di tali tipi si ricavano per astrazione dal raffronto fra diversi decorsi fenomenici, mettendo in rilievo i caratteri essenziali comuni che vi si rinvengono, stralciando differenze individuali dipendenti da condizioni particolari e contingenti di ciascu- no, fino a che ne risultino concetti rappresentativi della normalità (…), che ha ca- rattere di generalità e di uniformità ricorrente».

23Nel senso che per poter qualificare un accadimento come tipico sia necessa- rio verificarne la conformità rispetto a tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, pre- visti dalla norma, VASSALLI, voce Tipicità, cit., 538.

ta risultante dalla formulazione della disposizione incriminatrice: ne sono prova svariati episodi in tema di successione di leggi.

È allora coerente dedurre la vitalità autonoma di ciascuna delle in- dicate componenti, per cui l’una non varia necessariamente al variare dell’altra, e viceversa.

Tanto convince della sottile linea rossa eretta a separare il fatto astratto nella sua dimensione fenomenologica (tipica), verificabile con metodi empirici, dalla fattispecie criminosa (offensiva) che al primo ac- cennato livello aggiunge quello assiologico, percepibile esclusivamente nei termini valutativi deducibili dall’intima struttura del tipo20. Disci- plinare attraverso la non punibilità la possibile disfunzione tra questi dati (tipo-offesa; fatto-fattispecie criminosa)21rappresenta infine una matura presa di coscienza sia della fallibilità di una generalizzazione, snocciolata sulla base di una valutazione prettamente statistica22, che lega ad un determinato accadimento umano il sorgere di un preciso di- svalore penale; sia dell’impotenza legislativa a sostenere in modo asso- luto la mediazione tra l’ipotesi fattuale astrattamente descritta23e l’ef-

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10 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

24Si veda MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Padova, 2001, 203; PADOVA-

NI, Diritto penale, Milano, 2002, 127 ss. Obiezioni critiche sono state mosse da STEL-

LA, La “descrizione” dell’evento, I, L’offesa e il nesso causale, Milano, 1970, 54 ss., ri- levando che l’art. 49, comma 2, c.p. non concorra in alcun modo ad individuare la natura degli interessi tutelati, dovendosi con ciò concludere con l’alternativa tra rintracciare l’interesse sulla base della descrizione normativa delle singole figure di illecito o rinviare a questo fine ai criteri di valutazione extranormativi.

25L’argomento della presunzione legale dell’offesa è apparso all’orizzonte dog- matico in riferimento ai reati di pericolo astratto, in ordine ai quali la presunzione parrebbe non ammettere prova contraria, cfr. BRICOLA, voce Teoria generale del rea- to, cit., 86; GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969, 1 ss.; PATALANO, Significato e limiti della dogmatica del reato di pericolo, Napoli, 1975, 67 ss. Per una disamina de- gli orientamenti giurisprudenziali relativi alla non punibilità di fatti apparente- mente tipici ma concretamente inoffensivi, si rinvia a ZAZA, L’oggetto giuridico del reato. Un’analisi giurisprudenziale, Milano, 1999, 38 ss.

26In generale sull’istituto, PIACENZA, voce Reato putativo, in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, 1003 ss.; SERIANNI, voce Reato impossibile e reato putativo, in Enc.

giur., XXVI, Roma, 1991, 1 ss.; PETRINI, voce Reato putativo, in Dig. disc. pen., XI, Torino, 1996, 348; ROMANO, Commentario sistematico, cit., 474 ss.; DELOGU, Errore proprio ed errore improprio nella teoria dell’errore in diritto penale, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1935, 727 ss.

fettiva capienza in essa del disvalore ordinariamente indiziato dalla ti- picità del caso24.

In breve, se la figura tipica, di per sé presuntiva di dannosità socia- le25, non si combina con l’effettiva offesa all’oggettività giuridica, non nasce una entità criminosa perché non si ottiene la sintesi del “reato”.

La separazione e la connessione tra fatto umano aderente al tipo le- gale e fatto tipico produttivo di un’offesa penale incide infine sulla stessa struttura della fattispecie, come sta scritto nella successione tra primo e secondo comma dell’art. 49 c.p., in cui si coniugano la non as- soggettabilità a sanzione criminale (tanto la pena quanto la misura di sicurezza) per la commissione di un reato putativo26e la residuale ap- plicabilità di una misura di sicurezza all’autore, pericoloso, di un rea- to impossibile.

Il fattore discriminante che lascia convergere verso diversi esiti le due situazioni sta tutto nello spessore tipico ormai acquisito dall’“azio- ne” inidonea a produrre l’evento dannoso o pericoloso. Se nel momen- to in cui descrive un accadimento di vita la norma incriminatrice

“prende possesso” del fatto storico in quei termini tratteggiato, allora il soggetto, che l’avvenimento tipico vive da attore, agendo con quelle modalità entra nel mondo del penalmente rilevante. Vale a dire:

l’aspetto fenomenico già attiva i circuiti penali, ancorché poi risulti

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 11

27PETROCELLI, Riesame degli elementi del reato, in Studi in onore di Francesco An- tolisei, III, Milano, 1965, 14 ss., considera la fattispecie come “schema integrale”

del reato, che include tutti i presupposti della punibilità, ovvero tutto ciò che rende un fatto oggetto del divieto penale.

28Nel senso di ritenere che la condizione costituisca un elemento del reato, tra gli altri, MASSARI, Le dottrine generali del diritto penale, Napoli, 1930, 67; DELOGU, Il reato condizionale, in Studi economico-giuridici, Cagliari, 1934, 60 ss.; PETROCELLI, Reato e punibilità, cit., 669 ss.; CURATOLA, voce Condizioni obiettive di punibilità, cit., 809 ss.; BRICOLA, voce Punibilità, cit., 590; ANTONINI, La funzione delle condizioni

mancante di quella proiezione dinamica sostanziata dall’offensività, e per ciò legittima una risposta. Ma senza la spia della tipicità (come è per il reato putativo) ogni attenzione rispetto a quel segmento di vita umana è sopita, non sussistendo le coordinate necessarie al prodursi di qualsivoglia conseguenza giuridica penalistica27.

3. Il Giano bifronte dell’elemento di non punibilità. Tra evento e condizione

La controversia esegetica circa la parte giocata nel campo dell’ille- cito penale da un fattore cui segue la non punibilità coinvolge oggi le soglie come un tempo si è imposta nel corso dell’indagine relativa al- l’identità delle condizioni obiettive di punibilità. Tant’è che proprio verso quest’ultime tende ad incanalarsi parte dell’attenzione scientifi- ca relativa alle menzionate soglie, ritenute sostanzialmente coinciden- ti con le prime.

Ciò, in realtà, poco o nulla chiarisce del carattere e del ruolo del no- vello istituto, se è vero come è vero che ancora fluida è la dialettica in ordine al concetto di condizione.

Non si rileva infatti nulla di nuovo col sottolineare come le opzioni interpretative proposte al riguardo spostano di misura non solo l’esat- ta denominazione ma anche la dinamica esistenziale delle condizioni:

accedendo alla teorica che colloca detti elementi in una posizione di estraneità nei confronti del reato si lascerebbero “in vita” esclusiva- mente le c.d. estrinseche; di contro, aderendo alla considerazione (an- che) di una natura intranea si imporrebbe una rilettura quantomeno in termini colposi dell’imputazione delle condizioni stesse.

Il vizio originale dell’asserito distinguo è, invero, figlio della non ta- ciuta tentazione a conferire loro la qualifica di elementi costitutivi del reato28, tali non perché componenti essenziali del fatto bensì perché

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12 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

obiettive di punibilità. Applicazioni in tema di rapporto tra incesto e violenza carnale presunta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 1278, secondo cui le condizioni «non sono elementi costitutivi del fatto di reato ideale, ma lo sono del fatto di reato concreto perché rappresentano l’elemento ulteriore che la legge richiede per passare alla fa- se delle conseguenze afflittive». Sostengono invece che le condizioni presupponga- no un reato perfetto, dispiegando la loro efficacia unicamente sul piano della puni- bilità, ex multis, ALIMENA, Le condizioni di punibilità, Milano, 1938, 8 ss.; MORO, La subiettivazione della norma penale, Bari, 1942, 198; GALLO, Il concetto unitario di colpevolezza, Milano, 1951, 24 ss.; MOLARI, La tutela penale della condanna civile, Pa- dova, 1960, 61; FIORELLA, voce Reato in generale, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1987, 811; VENEZIANI, Spunti per una teoria del reato condizionato, cit., 4 ss.; ZANOTTI, voce Punibilità, cit., 544 ss.; DONINI, Teoria del reato, cit., 412 ss.; NEPPIMODONA, voce Condizioni obiettive di punibilità, cit., 1 ss.

29Per l’attribuibilità della qualifica di reato al fatto non punibile CONTENTO, Li- miti della norma e fattispecie non punibili, in Arch. pen., 1965, 323.

30PETROCELLI, Reato e punibilità, cit., 674 ss.; BRICOLA, voce Punibilità, cit., 591;

CURATOLA, voce Condizioni obiettive di punibilità, cit., 807 ss.

31Così da ultimo D’ASCOLA, Reato e pena nell’analisi delle condizioni obiettive di punibilità, Napoli, 2004, 48; ROMANO, Teoria del reato, punibilità, soglie espresse di offensività (e cause di esclusione del tipo), in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini e Paliero, Milano 2006, 1723 s.

condizionanti la relativa conseguenza sanzionatoria, vista come im- prescindibile caratteristica. Si conclude, pertanto, come di reato non possa aversi immagine laddove non sorga la minaccia della sanzione tipica che al reato consegue29: così è rispetto al fatto privo della condi- zione30.

L’inappagante esito di un simile approccio, che alfine risolve la fat- tispecie penale in una confusa sommatoria di elementi tutti di uguale efficacia, in quanto ciascuno condizionante la punibilità, non ha tar- dato a mettere in evidenza la bontà della contrapposta opinione, che considera le condizioni in parola come presupponenti la qualificazio- ne di illiceità di un determinato fatto, e non concorrenti ad essa. Si precisa, così, che l’esistenza del reato non transita necessariamente at- traverso l’intervento della pena31.

La saldezza di questo approdo non ha tuttavia impedito a taluno di intraprendere un tratto di cammino “a ritroso”, individuando una nic- chia di condizioni che non invalida le suddette premesse generali – per cui sono sempre e solo esterne al reato – ma se ne distanzia. In questi limitati casi, infatti, si avrebbe a che fare con elementi costitutivi della fattispecie, dunque non semplicemente afferenti alla disciplina delle relative conseguenze.

Così, la tratteggiata dicotomia tra elemento del reato ed elemento

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 13

32In proposito si veda anche PAGLIARO, Fatto, condotta illecita e responsabilità obiettiva nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, 633, secondo il quale le condizioni intrinseche sono dotate di contenuto lesivo accentrando le ragioni dell’offesa in luoghi governati dalla responsabilità oggettiva. Cfr. NUVOLONE, Il dirit- to penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 14; BRICO-

LA, voce Punibilità, cit., 590 ss.

33In proposito si rinvia a NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 14 ss.;

ANGIONI, Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1450 ss.; DONINI, Le condizioni obiettive di punibilità, in Studium iuris, 1997, 592 ss.

34DILORENZO, Le condizioni di punibilità nella sistematica del reato, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1955, 415 ss.

35Considerazioni analogamente avallanti la visione “interna” al reato degli ele- menti in questione si vorrebbero trarre dall’analisi comparata tra le fattispecie di favoreggiamento da un verso ed il delitto di ricettazione dall’altro. In particolare si insiste sull’aspetto della mancanza di imputabilità dell’autore del reato presuppo- sto: l’art. 378, ult. comma, c.p. prevede espressamente come ciò non escluda il rea- to di favoreggiamento, mentre nulla stabilisce in ordine alla mancanza di punibi- lità di quello stesso agente, per cui si deduce come ciò renda la fattispecie insussi- stente. Riprova della bontà del ragionamento si dovrebbe rinvenire nel disposto

della punibilità si ripropone nelle ricordate sottocategorie delle intrin- seche ed estrinseche, rispettivamente le une espressione aggiuntiva od attualizzante dell’offesa32– per questo verso elementi costitutivi –, le altre esterne al fatto in quanto riverbero di mere esigenze di opportu- nità33. Solo quest’ultime di rilevanza esclusivamente oggettiva, per es- sere invece alle prime applicato un criterio di imputazione psicologica, nelle forme della colpa, capace di superare ogni problematica compa- tibilità con il principio costituzionale di personalità della responsabi- lità penale. Solo quest’ultime portatrici di un interesse in situazione dialettica con quello implicato nella fattispecie incriminatrice, che è destinato a soccombere al verificarsi della condizione.

A favore della frammentazione dell’unità apparentemente dettata dalla previsione codicistica ex art. 44 c.p. militerebbero ragioni non so- lo di ordine sistematico, in quanto la relativa disciplina trova inseri- mento tra gli elementi del reato; ma anche letterali, dovendosi altri- menti considerare una verbosità eccessiva del legislatore la locuzione

“anche se non voluta”. È un canone di logica elementare: se la condi- zione fosse sempre e solo esterna al reato è chiaro come non potrebbe mai essere oggetto del dolo34.

Inoltre, si argomenta che in alcuni casi ritenere la punibilità conse- guente al realizzarsi dell’evento condizionale quale elemento estrinse- co produrrebbe risultati sistematicamente paradossali35. Paradigmati-

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14 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

dell’art. 648 c.p., che specifica la sua applicabilità in entrambi i casi menzionati - di autore del reato presupposto non imputabile o non punibile. Si sostiene allora che laddove il legislatore taccia su quest’ultimo profilo, sarà da intendersi esclusa la configurabilità del fatto di reato ogniqualvolta difetti la condizione di punibilità.

Sul punto si rinvia a SALCUNI, Natura giuridica e funzioni delle soglie di punibilità nel nuovo diritto penale tributario, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 152 e bibliografia ivi citata. Invero le fattispecie citate sembrerebbero far riferimento, rispettivamen- te negandone ed affermandone la rilevanza, a più limitate ipotesi di non punibilità

“dell”’autore del fatto – legate a situazioni di immunità ovvero al verificarsi di una causa originaria o sopravvenuta di non punibilità (si ponga mente agli artt. 649 e 376 c.p.) – piuttosto che ad ipotesi di non punibilità “del” fatto cui segnatamente ri- condurre l’art. 44 c.p.

36In questo senso GALLO, voce Dolo, cit., 788, nota 106.

ca in tal senso la figura delittuosa dell’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (art. 361 c.p.), ove lampante sarebbe la

“sterilità” di una denuncia inoltrata senza attendere il necessario veri- ficarsi, in ordine al reato che ne risulti oggetto, anche della condizione obiettiva di punibilità. Addirittura emergerebbero casi in cui lo stesso denunciante metterebbe in moto con detta condotta il meccanismo per il realizzarsi della condizione, in un incesto senza pubblico scan- dalo o in un gioco d’azzardo senza sorpresa in flagranza.

Per contro, tornando alla lettera dell’art. 44 c.p., il riferimento te- stuale al (già) “colpevole” per designare il soggetto cui la sopravvenuta condizione si riferisce sembra fondare una valida obiezione all’impo- stazione che assume la compenetrazione delle condizioni al piano dell’offesa. Ed è agevole pure stemperare la sensazione di una portata pleonastica dell’aggettivazione (oggettive) riservata a questi elementi:

sebbene estranei all’assetto offensivo dell’illecito penale è innegabile come siano partecipi di una più estesa nozione di fattispecie, che as- somma i momenti della rilevanza e dell’efficacia36, per cui si rivela ne- cessaria la puntualizzazione del meccanismo di imputazione, alla stre- gua dei principi di determinatezza e tassatività.

Quanto poi alle evenienze paradossali conseguenti ad una esegesi che le raffiguri come estrinseche, è d’uopo rimarcare come gli stessi autori che rilevano queste ipotesi non mancano di rappresentare l’isti- tuto nei termini di un evento futuro ed incerto, indifferente sotto il profilo psichico e la cui rilevanza eziologica residua sotto il più blando profilo della consequenzialità dal fatto. Non è quindi facile compren- dere in cosa si sostanzi la giuridica inaccettabilità, nei casi portati ad esempio, di una provenienza della condizione “esterna” rispetto al- l’agente.

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I luoghi della punibilità, nello spazio tra soglie e condizioni 15

37In dottrina BRICOLA, voce Punibilità, cit., 604; contra, PAGLIARO, voce Favoreg- giamento (diritto penale), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 39. In giurisprudenza, ex multis, Cass., sez. I, 11 maggio 1973, Tintinero, in Giust. pen., 1974, II,31; Cass., sez. III, 4 marzo 1952, Mazzanti, in Riv. it. dir. pen., 1952, 705; Cass., sez. I, 16 gen- naio 1959, De Blasi, in Riv. pen., 1961, II, 199.

38In proposito v. RAMACCI, Le condizioni obiettive di punibilità, cit., 239, che in- dividua la ratio penalistica dell’istituto della prescrizione nel sanzionare l’inerzia statale nell’accertamento dei fatti costituenti reato, e conclude nel senso che unica- mente dal momento in cui la richiesta condizione si è concretamente verificata l’inazione del sistema processuale non sarà più giustificabile.

39Di questa opinione ANGIONI, Condizioni di punibilità, cit., 1509.

A sostegno della natura intrinseca si viene altresì a ricordare la coincidenza del momento consumativo dei reati sottoposti a condizio- ne col verificarsi della stessa, desumibile, per comune avviso di dottri- na e giurisprudenza37, da quanto espressamente statuito ex art. 158, comma 2, c.p. in merito al decorrere della prescrizione. Ebbene, a con- futare anche simile proposizione si rivela sufficiente sottolineare il col- legamento della disciplina della prescrizione ad una valutazione dell’il- lecito penale imperniata tanto sul fatto quanto sulla relativa modalità punitiva38, al cui profilo afferisce senza ombra di dubbio la condizio- ne in commento, per essere, come di seguito più ampiamente argo- mentato, esclusivamente esterna al reato.

3.1. La colpa a confronto con le condizioni intrinseche di punibilità Quanti insistono nel supporre l’esistenza di condizioni di natura of- fensiva, sono di riflesso costretti ad operare una ulteriore forzatura al- la disciplina codicistica, individuando un criterio di imputazione psi- cologica in funzione di legittimazione dell’istituto.

La progressiva trasformazione delle condizioni da obiettive a col- pose sconta invero il necessario adeguamento ad un diritto penale a struttura personalistica, che ne impone l’indefettibile imputazione al- meno a questo titolo nel momento in cui le si affermi appartenenti, pure se marginalmente, all’area dell’efficacia offensiva39. Ed ancorché gli (altri) elementi fondanti dell’illecito rimangano riferiti sulla base del dolo.

Il risultato, quello dell’esclusione di condizioni di punibilità mera- mente obiettive che non si riverberino in condizioni di procedibilità, è così raggiunto a caro prezzo. Nel conto vanno infatti considerati due

“strappi” alla sistematica della colpa: quello rispetto alla necessità di

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16 Le soglie di punibilità tra fatto e definizione normo-culturale

40A tal riguardo, DURIGATO, Ancora un interrogativo sulle condizioni di punibi- lità, in Ind. pen., 1989, 736 ss.

41In quest’ottica si sostiene che è interesse pubblico prevenire il profondo sen- so di ripugnanza (pubblico scandalo) suscitato nella sensibilità morale della collet- tività a fronte dello svelarsi di rapporti sessuali perpetrati all’interno del ristretto ambito familiare, sui quali si incentra l’art. 564 c.p. Nel senso che il pubblico scan- dalo segnerebbe una condizione intrinseca del reato, NEPPIMODONA, Concezione realistica del reato e condizioni obiettive di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 218; ANTONINI, La funzione delle condizioni obiettive di punibilità, cit., 1286; ANGIO-

NI, Condizioni di punibilità, cit., 1462. Lo ritengono piuttosto un elemento costitu- tivo del fatto di reato, BRICOLA, voce Punibilità, cit., 598; DOLCE, voce Incesto, in Enc.

dir., XX, Milano, 1970, 978.

42ZANOTTI, voce Punibilità, cit., 547, in merito alla presunta indecifrabilità delle condotte prefallimentari.

43Come pure si è tentato col far assurgere la sentenza dichiarativa di fallimen- to alla funzione di “categoria” delle c.d. condizioni intrinseche di punibilità. Cfr.

PADOVANI, Bancarotta semplice documentale del socio occulto ed amnistia, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1973, 690. Di segno opposto l’opinione di PEDRAZZI, Bancarotta frau- dolenta, in AA.VV., Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, a cura di Pedrazzi e Sgubbi, Bologna-Roma, 1995, 19, che definisce il falli- mento come condizione estrinseca perché «lo iato causale tra fatti di bancarotta e

una espressa od esplicita imputazione colposa dell’elemento costitutivo della fattispecie, e quello relativo alla preliminare rintracciabilità di una regola cautelare violata. Ad essi si aggiunge l’effetto finale dell’ese- gesi, che allarga il margine di punibilità invece di ridurlo alla stregua della ratio genetica dell’istituto.

Di più. Dietro queste proposizioni si cela la pretesa di centrare o marginalizzare (marginali sarebbero appunto le condizioni intrinse- che) determinati elementi del reato rispetto all’offesa, mentre l’inter- prete è tenuto esclusivamente a verificarne, all’esito della valutazione che gli compete, l’ascrivibilità alla categoria dei requisiti strutturali o dei requisiti espressivi del bisogno di pena, e quindi ad applicare il cor- rispondente statuto legale40.

Da questa secca opzione non si può svincolare, né costringendo la fattispecie all’interno di una cornice di plurioffensività di evidente ascendente artificiale41, che trasfigurerebbe il reato arricchendolo quanto a disvalore punito per effetto dell’intervento della condizione;

né assumendo una presunta indecifrabilità dell’elemento da qualifi- care42, per cui il “nome” di condizione varrebbe a superare la pro- blematicità della prova afferente al profilo psicologico, e a legittima- re uno spostamento in avanti del momento di perfezionamento del reato43.

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