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Discrimen » L’ente premiato

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Academic year: 2022

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I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

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sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

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L’ente preMiAto

iL diritto pUnitiVo

neLL’erA deLLe negoZiAZioni:

L’eSperienZA AngLoAMericAnA e Le proSpettiVe di riForMA

g. giAppicHeLLi editore – torino

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ViA po, 21 - teL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

iSBn/eAn 978-88-921-3494-2

ISBN/EAN 978-88-921-8919-5 (ebook - pdf)

I volumi pubblicati nella presente Collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

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«È tanto fragile la natura degli uomini e sì spesse nel mondo le occasioni che invitano al male, che gli uomini si lasciano facilmente deviare dal bene.

E però e’ savi legislatori trovarono e’ premi e le pene;

e non fu altro che con la speranza e col timore volere tenere fermi gli uomini nella loro inclinazione naturale».

[F. GUICCIARDINI, Ricordi] 1

«Un altro mezzo di prevenire i delitti è quello di ricompensare le virtù. Su di questo proposito osservo un silenzio universale nelle leggi di tutte le nazioni del dì d’oggi».

[C. BECCARIA,Dei delitti e delle pene] 2

1 Ed. a cura di G. Masi, Einaudi, 1994, 61.

2 Ed. a cura di A. Burgio, con prefazione di S. Rodotà, XVII ed., Feltrinelli, 2012, 112.

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INDICE

pag.

RINGRAZIAMENTI XIII

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO I

NEGOZIALITÀECONCILIAZIONE.

ISISTEMIDIGIUSTIZIAPENALE TRATRADIZIONEEDINNOVAZIONE

SEZIONE PRIMA

UNO SGUARDO D’INSIEME

1. Responsabilità degli enti collettivi e negozialità 5 2. Oggetto, metodo ed obiettivi di indagine. Una comparazione

per funzioni 20

3. La negozialità come tema trasversale 23 3.1. La logica dello scambio tra sostanza delle scelte di (non)

punire e forme del procedere 24

3.2. Riparazione, restituzione e risarcimento: gli incerti con-

fini tra compensazione e punizione (cenni) 29

SEZIONE SECONDA

PREMIALITÀ, GIUSTIZIA NEGOZIATA E RESTORATIVE JUSTICE

4. Profili dogmatici, funzionali e costituzionali della premialità 42 4.1. La regula iuris negoziale: la premialità come species del

genus della (non) punibilità 43

4.2. (Segue) La rinuncia alla pena tra prevenzione generale e

sussidiarietà esterna 52

(11)

pag.

4.3. I vincoli costituzionali alle scelte di non punire 59 5. La negozialità processuale, tra esigenze di semplificazione e

funzioni della pena 73

5.1. Negoziare e conciliare. La rielaborazione del conflitto

sociale ed il ruolo della vittima 79

5.2. Profili di ibridazione della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne nel si-

stema italiano 85

6. Conclusioni provvisorie 94

CAPITOLO II

L’ENTECOLLETTIVONELL’AMBITO DELSISTEMADIGIUSTIZIAPENALE.

L’ORIZZONTEDELLEGARANZIE

1. Concezione individualistica ed olistica dell’ente collettivo, tra

tensioni dialettiche ed ambivalenze 103

2. Il contesto regionale europeo: l’ente collettivo nell’ambito del- la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei

diritti fondamentali dell’Unione europea 107 2.1. La riconducibilità dei sistemi di responsabilità degli enti

collettivi alla c.d. matière pénale 123 3. I diritti fondamentali dell’ente collettivo nell’ordinamento ita-

liano: dall’approccio individualistico a quello olistico. Lo sta-

tuto delle garanzie penalistiche e le esigenze di adattamento 130 4. L’incidenza delle garanzie convenzionali sull’ordinamento an-

glosassone: strict liability, reverse burden of proof e privilege

against self-incrimination 141 5. Il corporate rights movement negli Stati Uniti d’America e l’ap-

proccio pragmatico della Corte Suprema. Il veil piercing come

volàno dei diritti dell’ente collettivo 151

CAPITOLO III

REATID’IMPRESAEDIVERSION.

ESPERIENZEACONFRONTO

1. Responsabilità degli enti collettivi e restorative justice 159 1.1. Lo sviluppo della diversion nel sistema nordamericano,

dai juvenile offenders agli enti collettivi. Una rivoluzione

“silenziosa” del sistema di corporate criminal liability 161

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pag.

1.2. Il Crime and Courts Act 2013 e l’introduzione dei deferred

prosecution agreements in Inghilterra ed in Galles 168 1.3. Il sistema italiano di responsabilità amministrativa ex cri-

mine degli enti collettivi ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001,

n. 231. Incertezze applicative e prospettive di riforma 172 2. Il labile confine tra opportunità ed obbligatorietà dell’azione

punitiva nei confronti dell’ente collettivo 178 2.1. Le linee guida del Dipartimento di Giustizia nordameri-

cano in materia di diversion. Gli obiettivi di politica cri-

minale dall’Holder Memo (2000) allo Yates Memo (2015) 180 2.2. Il Code of Practice (2014) anglosassone: l’evidential stage

ed il public interest stage. I contenuti dell’accordo 185 2.3. Diversion e principio di obbligatorietà dell’azione penale

nell’ordinamento italiano. La responsabilità degli enti in

the books ed in action 192

3. La diversion come “affaire à deux” o attività giurisdizionale?

L’ibridazione anglosassone tra restorative e negotiated justice 202 3.1. Formalità e pubblicità della diversion 204 3.2. (Segue) Le trattative tra le parti ed il ruolo del giudice.

Lo statement of facts ed il suo rilievo probatorio 205 4. Semplificare è complicato: (talune) luci e (molte) ombre della

“lezione” americana 209

5. Un primo bilancio dell’esperienza dei deferred prosecution agree-

ments in Inghilterra ed in Galles 217

CAPITOLO IV

LARESPONSABILITÀDELL’ENTECOLLETTIVO TRAPRAGMATISMOEDOGMATICA.

VECCHIEENUOVEFRONTIERE DELLAPREMIALITÀ

SEZIONE PRIMA

MODELLI DI IMPUTAZIONE DELL’ILLECITO ALL’ENTE

1. Un percorso ricostruttivo della corporate criminal liability nel- l’esperienza angloamericana: la progressiva valorizzazione

della condotta reattiva dell’ente 222

1.1. La responsabilità derivata: il principio di respondeat su-

perior … 223

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pag.

1.2. … e la identification doctrine. Resilienza dell’approccio

individualistico 229 1.3. Le teorie olistiche: verso una nozione autonoma di re-

sponsabilità dell’ente 234

1.4. La colpevolezza dell’ente per organizational failure nel Regno Unito. Il modello del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007, del Bribery Act 2010 e del

Criminal Finances Act 2016 239

1.5. La colpa di reazione e la sua valorizzazione nelle linee

guida anglosassoni in materia di diversion 243 2. Il modello italiano di responsabilità ex crimine: tra immede-

simazione organica e colpa di organizzazione 248 2.1. (Segue) La condotta reattiva dell’ente nel prisma della

premialità 254

SEZIONE SECONDA

LA PROSPETTIVA DOMESTICA

3. La dimensione premiale del diritto penale dell’economia 256 3.1. Il rilievo trasversale delle condotte riparatorie, dagli ori-

ginari settori della sicurezza sul lavoro e della tutela del-

l’ambiente al diritto penale tributario 259 3.2. La premialità nelle più recenti opzioni di politica crimi-

nale: il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e le

misure anticorruzione 270

4. La vocazione premiale del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 278 4.1. (Segue) La coabitazione tra logica negoziale e riparativa

nel patteggiamento 283

4.2. Illecito ex crimine e riparazione: una nozione complessa.

Le ipotesi di decumulo della responsabilità individuale 286 4.3. Il problema della collaborazione processuale dell’ente

collettivo 291 5. Le proposte de jure condendo: sospensione del procedimento

con messa alla prova o premialità? Un confronto conclusivo 294

RILIEVI CONCLUSIVI 305

BIBLIOGRAFIA 307

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tutte le persone che, per i loro insegnamenti, i loro suggerimenti o anche per i loro semplici incoraggiamenti, hanno avuto un ruolo nel- la realizzazione di questo lavoro, è certamente un compito insormon- tabile. Tuttavia, non posso esimermi da alcuni davvero sentiti ringra- ziamenti.

Il primo pensiero va naturalmente al professor Alessio Lanzi, che mi ha sostenuto e guidato sin dall’inizio del mio percorso di studi; la sua strenua difesa “neo-illuminista” della legalità ha rappresentato un passaggio fondamentale della mia formazione. Allo stesso modo, devo molto al professor Paolo Aldrovandi, il cui esempio è per me sempre fonte di insegnamento, non solo giuridico.

Il mio riconoscimento va pure ai professori Jeremy Horder e Peter Alldridge, che mi hanno accolto nell’ambiente londinese, introducen- domi al confronto con l’esperienza angloamericana durante i periodi di visiting presso il King’s College e la Queen Mary University; nonché al professor Colin King, per i proficui scambi di vedute tra gli scaffali dell’Institute of Advanced Legal Studies.

Nelle ultime fasi di stesura, ho contratto un inestinguibile debito di riconoscenza con il professor Matteo Caputo: anche attraverso i suoi preziosi consigli la materia grezza ha preso progressivamente forma. Un sentito ringraziamento lo devo altresì al professor Enrico Amati, per i ripetuti incoraggiamenti, ed ai direttori della collana, per aver ritenuto questo lavoro meritevole di pubblicazione negli “Itine- rari di diritto penale”.

Ricordo con commozione il professor Filippo Sgubbi, al quale ho avuto il privilegio e l’onore di presentare questo scritto: è stato, pur- troppo, anche il nostro ultimo incontro.

Tra queste poche righe, uno spazio lo riservo ai miei amici e colle- ghi dell’Università di Milano-Bicocca, con i quali ho condiviso momen- ti memorabili durante gli anni del dottorato e dell’assegno di ricerca.

Alla mia famiglia ed a tutte le persone a me care devo, ovviamen- te, più di quanto possa esprimere.

A Margherita che, nel momento in cui mi accingo a dare alla luce questo lavoro, si prepara a mettere al mondo ben altra creatura, è dedicato il libro.

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L’esame dei più recenti sviluppi del sistema statunitense di re- sponsabilità dell’ente, condotto anche al fine di valutare l’opportunità di possibili soluzioni de jure condendo, rappresenta oggi un approccio del tutto ricorrente nella letteratura di settore la quale, tuttavia, non manca di mettere in guardia rispetto al rischio di incorrere in acriti- che emulazioni del c.d. eccezionalismo nordamericano.

In particolare, le linee guida elaborate dal Department of Justice hanno condotto negli ultimi decenni alla progressiva estensione agli enti collettivi di programmi di diversion (gli ormai “blasonati” defer- red prosecution agreements e non-prosecution agreements) i quali sono diventati, oggi, lo strumento privilegiato per fronteggiare la crimina- lità d’impresa. Sennonché, la “lezione” statunitense restituisce l’im- pressione di un non sempre soddisfacente bilanciamento tra efficacia dello strumento preventivo-repressivo e garanzie.

Da questo punto di vista, se la versione anglosassone della diver- sion in vigore in Inghilterra ed in Galles risulta sotto molti profili più appagante sul piano della conformità ai principi fondamentali del- l’ordinamento, la stessa – nel continuo oscillare del pendolo tra fun- zionalità e garantismo – si rivela al contempo poco “appetibile” per il mercato. La disciplina d’oltremanica, peraltro, è stata presa a model- lo per il trapianto dei deferred prosecution agreements non solo nei Paesi dell’Europa continentale, a cominciare dalla Francia, dove le recenti riforme in materia anticorruzione hanno introdotto la con- vention judiciaire d’intérêt public; ma anche altrove, come ad esempio in Australia, Canada, Giappone, Singapore e Brasile, a dimostrazione di una sempre più marcata “americanization/adversarialization” dei sistemi di giustizia penale.

Le novità che hanno interessato il settore della corporate criminal liability, inquadrabili all’interno di più generali linee evolutive del di- ritto nell’era c.d. postmoderna e della “globalizzazione”, rappresenta- no una straordinaria occasione di dibattito su tendenze tanto eccen- triche quanto attuali dei sistemi di giustizia penale. Impegnative e, al

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contempo, stimolanti le questioni sul tappeto, come la considerazio- ne dell’ente collettivo quale soggetto titolare di responsabilità, ma an- che di diritti e di libertà fondamentali; il rapporto tra politica crimi- nale, diritto penale e processo; il sempre più labile confine tra misure civili e punitive e, non da ultimo, l’irrompere della giustizia riparativa nel settore dei reati d’impresa.

L’approccio “continentale” a tali tematiche sconta, inevitabilmen- te, quello che in letteratura si suole definire “etnocentrismo cultura- le”, proprio delle esperienze giuridiche nelle quali più viva si conser- va la tradizione dogmatica. A prevalere è, perciò, lo sforzo di rintrac- ciare categorie e modelli di giustizia ai quali ricondurre la filosofia della diversion, allo scopo non solo e non tanto di esaminare gli isti- tuti allogeni, ma anche e soprattutto di individuare giustificazioni e limiti rispetto al ricorso (o alla rinuncia) alla punizione.

I temi sinora evocati verranno affrontati nel corso di un itinerario di indagine che avrà riguardo, in primo luogo, alle diverse forme nel- le quali si manifesta l’iniziativa delle parti nei sistemi di giustizia pe- nale, dalla premialità alla negozialità processuale financo alla conci- liazione, al precipuo scopo di individuare strumenti utili a decifrare una materia ancora oscura sotto diversi aspetti (Capitolo I).

In secondo luogo, si tenterà di tratteggiare una topografia dei principi e dei diritti fondamentali suscettibili di essere estesi agli enti collettivi: trattasi, come già osservato, di un passaggio obbligato pri- ma di procedere ad un’analisi quanto più critica possibile della diver- sion di matrice angloamericana e, in definitiva, degli stessi sistemi di responsabilità corporativa (Capitolo II).

Su questo terreno, la comparazione verterà, da un lato, sullo sco- po assegnato – de jure condito o de jure condendo – ai modelli di resto- rative justice nelle diverse esperienze giuridiche, a fronte delle molte- plici disfunzionalità ed inefficienze manifestate dai sistemi di re- sponsabilità degli enti; dall’altro, sugli aspetti che, più di altri, deno- tano la dinamica della convergenza tra ordinamenti sul piano delle scelte relative al se e come punire. Da questa prospettiva, non si tarda a comprendere come la partita si giochi, in definitiva, sul terreno di confronto tra principio di opportunità e quello di legalità dell’azione penale. In effetti, gli obiettivi della corporate prosecution, se non affi- dati – come accade negli ordinamenti di common law – direttamente alle scelte discrezionali del pubblico ministero, all’occorrenza orien- tate da linee guida più o meno rigide di provenienza governativa, tro- vano espressione – nei sistemi ad azione penale obbligatoria – nelle opzioni legislative di rinuncia alla punizione, che ruotano attorno al

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contegno postdelittuoso dell’agente come fattore capace di soddisfare quelle stesse esigenze di tutela che giustificano, a monte, il ricorso alla punizione medesima (Capitolo III).

Infine, dopo aver considerato il rilievo che la condotta “reattiva”

del soggetto metaindividuale è suscettibile di assumere nei diversi si- stemi di responsabilità corporativa, si guarderà più d’appresso alla prospettiva domestica, de lege lata e ferenda, nel tentativo di indivi- duare possibili soluzioni alle ben note criticità riscontrate, in fase applicativa, dal nostro d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (Capitolo IV).

Come si vede, si tratta di un progetto senz’altro ambizioso, di cui chi scrive spera si vogliano apprezzare se non i risultati, almeno i propositi.

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NEGOZIALITÀ E CONCILIAZIONE.

I SISTEMI DI GIUSTIZIA PENALE TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE

SOMMARIO:Sezione Prima: Uno sguardo d’insieme. – 1.Responsabilità degli enti col- lettivi e negozialità. – 2. Oggetto, metodo ed obiettivi di indagine. Una compa- razione per funzioni. – 3. La negozialità come tema trasversale. – 3.1. La logica dello scambio tra sostanza delle scelte di (non) punire e forme del procedere. – 3.2. Riparazione, restituzione e risarcimento: gli incerti confini tra compensazione e punizione (cenni). – Sezione Seconda: Premialità, giustizia negoziata e restorative justice. – 4. Profili dogmatici, funzionali e costituzionali della premialità. – 4.1. La regula iuris negoziale: la premialità come species del genus della (non) punibilità. – 4.2. (Segue) La rinuncia alla pena tra prevenzione generale e sussidiarietà esterna.

– 4.3. I vincoli costituzionali alle scelte di non punire. – 5. La negozialità proces- suale, tra esigenze di semplificazione e funzioni della pena. – 5.1. Negoziare e conciliare. La rielaborazione del conflitto sociale ed il ruolo della vittima. – 5.2.

Profili di ibridazione della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato maggiorenne nel sistema italiano. – 6. Conclusioni provvisorie.

SEZIONE PRIMA

UNO SGUARDO D’INSIEME

1. Responsabilità degli enti collettivi e negozialità

È senz’altro scontato osservare come i due temi evocati dal titolo del presente lavoro, ossia la responsabilità ex crimine degli enti collet- tivi e la negozialità, rappresentino due anime tanto eccentriche quan- to attuali dei sistemi di giustizia penale le quali, se ben radicate nel- l’esperienza angloamericana, sono state salutate come autentiche “ri- voluzioni copernicane” nel nostro ordinamento 1.

1 Come noto, nel nostro ordinamento, il superamento del principio societas de-

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Per un verso, infatti, il superamento del tradizionale brocardo so- cietas delinquere non potest, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (attuativo della delega legislativa contenuta nel- l’art. 11 della l. 29 settembre 2000, n. 300, di ratifica della Convenzio- ne OCSE stipulata a Parigi il 17 febbraio 1997, sulla lotta alla corru- zione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche in- ternazionali) 2, ha spostato il “centro gravitazionale” del diritto pena- le, tradizionalmente improntato all’umanesimo ed al personalismo,

linquere non potest, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, è stato accolto come un’autentica “rivoluzione copernicana”: in questo senso, si rinvia, tra i primi commenti, a M. DONINI,Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e umanità, Giuffrè, 2004, passim; A. MANNA, La cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 502 ss.; più di recente, si veda R.BOR- SARI,La responsabilità da reato degli enti in cerca d’autore, in Riv. trim. dir. pen.

econ., 2012, 69. Per quanto attiene, invece, alla “giustizia negoziata”, la stessa è considerata dalla dottrina come paradigma suscettibile di trasformare il sistema di giustizia penale: così, tra gli altri, M. DONINI,Il delitto riparato. Una disequa- zione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2015, n. 2, 2 ss. (contributo che amplia quello contenuto in AA.VV.,Giustizia ripa- rativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, a cura di G. Mannozzi, G.A. Lodi- giani, il Mulino, 2015); L. EUSEBI,Forme e problemi della premialità nel diritto pe- nale, in AA.VV.,Ripensare la premialità. Le prospettive giuridiche, politiche e filoso- fiche della problematica, atti del convegno nazionale di Teramo (8-10 maggio 1997), a cura di S. Armellini, A. Di Giandomenico, Giappichelli, 2002, 90. Anche il progressivo imporsi di forme di giustizia c.d. riparativa è stato definito come una

«rivoluzione copernicana»: così F. PALAZZO,Giustizia riparativa e giustizia puniti- va, in AA.VV.,Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, a cura di G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, cit., 67-68, il quale la definisce come una «rivolu- zione dolce»; ID., Presente, futuro e futuribile della pena carceraria, in AA.VV.,La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, a cura di C.E. Paliero, F. Viganò, F. Basile, G.L. Gatta, Giuffrè, 2018, 548 ss.; negli stessi termini, si veda pure L. EUSEBI,La svolta riparativa del paradigma sanzionatorio.

Vademecum per un’evoluzione necessaria, in AA.VV., Giustizia riparativa. Rico- struire legami, ricostruire persone, a cura di G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, cit., 108.

2 In proposito, non si può mancare di ricordare come la dottrina più autorevo- le avesse svelato, già da tempo, l’intrinseca inconsistenza del dogma societas de- linquere non potest, segnalando come non certo ragioni “ontologiche”, bensì solo scelte di politica criminale portassero ad escludere che la società potesse costitui- re un soggetto del diritto penale. La denuncia del “costo” del principio societas de- linquere non potest, come noto, fu avanzata da F. BRICOLA,Il costo del principio societas delinquere non potest nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, 951 ss. In tale fondamentale contributo si propose di limitare la sensibilità alla pena della persona giuridica alle misure di sicurezza (e, segnatamente, alla sola confisca) in ragione del fatto che la loro applicazione im- plica l’accertamento della pericolosità della res e non già della colpevolezza del destinatario della sanzione.

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segnando così una svolta radicale rispetto a quell’impostazione, cul- turale ancor prima che dottrinale, che considerava la persona fisica quale unico destinatario della sanzione punitiva 3. E se è vero che la responsabilità degli enti può considerarsi – come, in effetti, accade nella manualistica nostrana più autorevole e diffusa – “ai confini del diritto penale” 4, è parimenti certo che, anche e proprio in questo set- tore, si avverte l’esigenza di ricondurre a sistema l’ampia e variegata materia, individuando una corona di principi e di garanzie posti a presidio dell’intervento “punitivo” 5.

Per altro verso, se la negozialità pare di primo acchito inconcilia- bile con il diritto penale il quale, nella sua veste tradizionale, è «del-

3 In questi termini, si veda – tra molti – A. ALESSANDRI,Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in AA.VV.,La responsabilità amministrativa degli enti. D.

Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Ipsoa, 2002, 25. In proposito, è appena il caso di osser- vare come tale tendenza espansiva del diritto lato sensu punitivo, quale strumento rivolto non più solo all’individuo, ma anche a soggetti di diversa natura, non si sia affatto arrestata alle persone giuridiche, aprendosi oggi a nuovi orizzonti, an- ch’essi potenzialmente destabilizzanti, quali quello dell’intelligenza artificiale: in argomento, si segnala, tra i più recenti contributi della letteratura italiana, F. BA- SILE,Intelligenza artificiale e diritto penale: quattro possibili percorsi di indagine, in Dir. pen. uomo, rivista online, 29 settembre 2019; sul superamento del brocardo machina delinquere (et puniri) non potest, si veda altresì R.BORSARI,Intelligenza Artificiale e responsabilità penale: prime considerazioni, in disCrimen, rivista onli- ne, 14 febbraio 2020.

4 Così è significativamente intitolata la Sezione VIII del manuale di G. MARI- NUCCI,E.DOLCINI,G.L.GATTA,Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, VIII ed., Giuffrè, 2019, al cui interno il Capitolo XV è dedicato, appunto, alla responsabili- tà da reato degli enti collettivi.

5 Nei più recenti studi in materia, infatti, si muove dalla constatazione che la responsabilità da reato degli enti, nel nostro ordinamento, «appare allo stato co- me il prodotto di una legislazione senza dommatica, senza una chiara sistematica degli elementi costitutivi della responsabilità corporativa e senza una bussola co- stituzionale che guidi la costruzione del sistema e l’interpretazione delle norme»:

V. MONGILLO,La responsabilità penale tra individuo ed ente collettivo, Giappichelli, 2018, 425 (corsivi nel testo). Sulla nozione di “materia penale”, che ricomprende in sé, accanto agli illeciti (ed ai procedimenti) formalmente penali, anche sistemi di responsabilità sostanzialmente tali, ci si soffermerà più oltre (infra, Cap. II, § 2.1); su quella, invece, di “diritto punitivo”, nell’ottica di un progressivo avvicina- mento tra il settore penale e quello amministrativo, si rinvia – per tutti – a M. DO- NINI,voce Teoria del reato, in Dig. disc. pen., vol. XIV, Utet, 1999, 250 ss.; più di recente, M. ROMANO,Ripensare il diritto penale (a dieci anni dalla scomparsa di Federico Stella), in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 4-5. Per ora, basti osservare come, proprio per la riconducibilità della responsabilità corporativa alla materia penale, da un punto di vista teorico-sistematico non risulti improprio ricorrere, in questo settore, alle categorie tradizionalmente impiegate per leggere e decifrare lo jus terribile.

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l’ordine delle determinazioni e non delle interazioni» 6, l’imporsi della contrattazione nelle dinamiche dei sistemi di giustizia penale ha fatto sì che questi ultimi ruotino intorno oggi non solo e non tanto al fac- tum, ma anche e soprattutto al post factum quale fattore capace di in- cidere sul rapporto punitivo ovvero di innescare meccanismi diversi- ficati di risposta all’illecito 7.

6 AA.VV.,Procedure penali d’Europa, diretto da M. Delmas-Marty, II ed. a cura di M. Chiavario, Cedam, 2001, 621; nella letteratura criminologica statunitense, rileva la contraddittorietà dell’espressione “negotiated justice” D.R. CRESSEY,Ne- gotiated Justice, in Criminologica, 1968, vol. 5, n. 4, 6.

7 Al riguardo, può osservarsi come risulti solo apparentemente paradossale il fatto che l’esigenza di paradigmi alternativi di giustizia, di “fuga” dal giudizio e dalla sanzione, si avverta in un momento storico di diritto penale c.d. massimo (o

“totale”: così F. SGUBBI,Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, sen- za colpa. Venti tesi, il Mulino, 2019), di forti ansie securitarie e di spinte populiste, in cui il ricorso alla pena è divenuto una «passione contemporanea» (per citare il titolo dell’opera, già largamente ricevuta anche dalla dottrina penologica nostra- na, dell’antropologo francese D. FASSIN, Punire. Una passione contemporanea, trad. it. a cura di L. Alunni, Feltrinelli, 2017). I due aspetti, come da tempo si se- gnala, sono in realtà legati a doppio filo: «[d]ecriminalizzazione, depenalizzazio- ne, degiurisdizionalizzazione, diversion: sono, tutti, tentativi per ridurre l’inflazio- ne e impegnare il diritto penale sulla via della diversificazione» (AA.VV.,Procedu- re penali d’Europa, cit., 627). Tra i più recenti contributi della letteratura italiana sul punto, si veda – anche e proprio con riguardo alla responsabilità da reato de- gli enti – C. PIERGALLINI,Premialità e non punibilità nel sistema della responsabili- tà degli enti, in Dir. pen. proc., 2019, n. 4, 1 ss. (qui citato, anche per la numera- zione delle pagine, nella versione disponibile sulle banche dati); sulle nozioni di

“depenalizzazione”, “deflazione”, “diversion”, si rinvia altresì a G. MANNOZZI,La diversion: gli istituti funzionali all’estinzione del reato tra processo e mediazione, in disCrimen, rivista online, 20 dicembre 2019. Tale fenomeno, trasversale a molte esperienze giuridiche, ha avuto ben note ed assai peculiari manifestazioni in Ita- lia, dove ha condotto di fatto alla scomparsa di istituti, quali l’amnistia e l’indulto, capaci di sfoltire il volume degli affari penali e ridurre il numero della popolazio- ne carceraria. Ecco il perché della progressiva proliferazione di una variegata gamma di misure (emersioni, regolarizzazioni, scudi fiscali, condoni fiscali ed edilizi), tutte accomunate dal prevalente scopo di alleggerire il carico degli affari pendenti. In argomento, più diffusamente: V.MAIELLO,Clemenza e sistema penale, ESI, 2007, 469 ss.; G. INSOLERA,Le clemenze “anomale”, relazione al convegno

“Diritto penale, carceri e clemenza. Nel ricordo di Franco Bricola vent’anni dopo”

(Bologna, 22 maggio 2014), in Dir. pen. cont., rivista online, 29 settembre 2014; C.

RUGA RIVA, Sanatorie, condoni, “indultino”: forme e limiti costituzionali del- l’impunità retroattiva, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 191 ss. Più di recente, si rimanda a AA.VV.,Costituzione e clemenza. Per un rinnovato statuto di amnistia e indulto, a cura di S. Anastasia, F. Corleone, A. Pugiotto, Ediesse, 2018.Sul pro- cesso di inflazione penalistica, considerata anche in prospettiva storica e compa- rata nel quadro dell’evoluzione dello Stato di diritto di stampo liberale allo Stato sociale, resta ancora di straordinaria attualità C.E. PALIERO,“Minima non curat

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Sarebbe un fuor d’opera, rispetto agli intendimenti della presente indagine, oltreché impresa assai ardua, tentare di tracciare le molte- plici e complesse direttrici evolutive del diritto penale nell’era della c.d. postmodernità e della “mondializzazione” 8; per cui, allo scopo di meglio inquadrare la materia in una prospettiva di più ampio respiro, basti qui osservare come le due citate sponde entro le quali si incana- la il discorso, ossia la responsabilità degli enti collettivi e la negoziali- tà, rappresentino il riflesso di fenomeni più generali: da un lato, la

“privatizzazione” delle fonti dello ius puniendi; dall’altro, lo speculare peso riconosciuto, in modo sempre più crescente, all’autodetermi- nazione delle parti in sede di giudizio.

Se economia e sviluppo tecnologico rappresentano le principali spinte evolutive della società attuale, entrambi i fattori si annovera- no, al contempo, tra i maggiori responsabili di una conclamata crisi delle regole giuridiche.

Da un lato, infatti, secondo una constatazione del tutto ricorrente, nel contesto di una sempre più marcata globalizzazione al moltipli- carsi dei centri economici non ha fatto seguito un adeguamento del tradizionale assetto organizzativo di tipo politico, con conseguente perdita di centralità dello Stato nazionale e, quindi, del concetto stes- so di legalità 9.

praetor”.Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Ce- dam, 1985, 5 ss.

8 Evidenti ragioni di sintesi consentono, in questa sede, solo qualche cursorio riferimento. Sui temi della c.d. postmodernità e sulla sostanziale impotenza del diritto penale a fronte dei grandi rischi della “società mondiale del rischio”, non può che richiamarsi la fondamentale opera di F. STELLA,Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, III ed., Giuffrè, 2003, passim. In argomento, si segnala altresì M. DONINI,Il volto attuale dell’illecito penale, cit., passim; ID.,Un nuovo medioevo penale? Vecchio e nuovo nell’espansione del diritto penale economico, in Cass. pen, 2003, fasc. 6, 1808 ss. Sulla tenuta dei principi fondamentali del diritto penale nell’era della postmodernità, si rinvia – da ultimo – a AA.VV., I principi del diritto penale nella postmodernità, atti del VI Convegno nazionale dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale (Roma, 10-11 novembre 2017), in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 1375 ss., a cominciare dalla Rela- zione introduttiva di M.GALLO.Il tema della postmodernità, peraltro, impone di richiamare alcuni classici del pensiero sociologico: Z. BAUMAN,Il disagio della postmodernità (2000), trad. it. a cura di V. Verdiani, Giuffrè, 2002; U. BECK,La società del rischio. Verso una seconda modernità, trad. it., Carocci editore, 2000.

9 Sul punto, si veda, tra gli altri, M.R.FERRARESE,Le istituzioni della globaliz- zazione, il Mulino, 2000, passim; ID., Prima lezione di diritto globale, Laterza, 2012, passim; più di recente, A.ASTROLOGO,Le cause di non punibilità. Un percorso tra nuovi orientamenti interpretativi e perenni incertezze dogmatiche, Bononia Univer- sity Press, 2009, 136 ss.; V. TORRE,La “privatizzazione” delle fonti di diritto penale.

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Dall’altro lato, nella c.d. società del rischio 10, l’incapacità del Wel- fare State di adeguarsi al pressante progresso tecnologico e di far fronte alla proliferazione dei fattori, appunto, “di rischio” ha condot- to lo stesso ad abdicare al suo ruolo di unico garante degli interessi sottesi al patto sociale 11.

Si è assistito, così, ad un decentramento dei compiti pubblici di vigilanza e di prevenzione trasmigrati, dapprima, ad autorità indi- pendenti con compiti di variegata natura (normazione, regolazione, vigilanza, controllo) e con funzioni (anche sanzionatorie) poste a pre- sidio di determinati settori dell’economia; e, successivamente, agli stessi attori del mercato, secondo quella che nel mondo anglosassone si suole definire come “delega di regolamentazione” 12. La situazione è ben fotografata da quanti segnalano come «lo Stato (o la Comunità internazionale) si “fida” del privato e a lui si affida per assolvere i propri compiti; ma, responsabilizzandolo, minaccia la pena in caso di infedeltà» 13.

Un’analisi comparata dei modelli di responsabilità penale nell’esercizio dell’attività di impresa, Bononia University Press, 2013, passim, in particolare 28.

10 Secondo la celebre definizione di U. BECK,La società del rischio, cit. Come efficacemente si osserva in letteratura, «la società del rischio […]è una società iper-industrializzata, iper-tecnologica ed iper-complessa, che pone l’umanità da- vanti a pericoli radicalmente diversi da quelli della società industriale. Ciò che è in giuoco è la stessa sopravvivenza degli uomini esposti al rischio di autodistru- zione: un rischio dal volto “democratico”, capace di attingere tutti allo stesso mo- do, senza distinzione di classe o di appartenenza […] Mentre nella nascente socie- tà industriale il rischio veniva vissuto come una sfida in direzione di un maggior progresso e, dunque, era positivamente apprezzato (navigare necesse), oggi, al centro delle preoccupazioni, compare il problema della nostra sopravvivenza e di quella delle future generazioni (vivere necesse)»: C. PIERGALLINI,Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Giuffrè, 2008, 480-481.

11 Sulle diverse nozioni di “Welfare State”, espressione di origine anglosassone e dal «sapore più politologico che giuridico», ovvero di “Stato sociale di diritto”

(“sozialer Rechtsstaat”), terminologia d’importazione germanica e dai «connotati giuridicamente più precisi», si rimanda a C.E. PALIERO,“Minima non curat prae- tor”,cit., 37 ss.

12 A. BAMBERGER, Regulation as Delegation: Private Firms, Decision-making, and Accountability in the Administrative State, in Duke L. J., 2006, vol., 56, 377 ss.

In questo senso, lo stesso schema binario pubblico/privato si mostra ormai come una chiave di lettura inadeguata per leggere l’evoluzione del diritto, nei termini qui evocati: sul punto, si rimanda per tutti a M. DELMAS-MARTY,Les forces imagi- nantes du droit. Le relatif et l’universel, Seuil, 2004, 326-327 e, nella letteratura ita- liana, a A.ALESSANDRI,Diritto penale e attività economiche, il Mulino, 2010, 67 ss.

13 A. FIORELLA,N.SELVAGGI,Dall’«utile» al «giusto». Il futuro dell’illecito del- l’ente da reato “nello spazio globale”, Giappichelli, 2018, 26. Gli Autori segnalano,

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Molteplici sono i riflessi di una tale evoluzione sul piano del dirit- to penale sostanziale, come l’emergere di incriminazioni finalizzate a organizzare il ruolo dei destinatari in aree di contesto lecito di base:

le regole cautelari, di natura mista pubblico-privata, ne sono l’esem- pio più significativo 14. Come segnalato dalla dottrina, «[i]l diffonder- si […] di questo modello preventivo-cautelare, basato su forme di in- tegrazione fra norme di diligenza e regole cautelari di fonte privati- stica, ben radicato negli ordinamenti di common law, segna una vera e propria rivoluzione copernicana» 15.

In quello che è stato definito il “poliformismo delle fonti”, la nor- mazione pubblica rappresenta solo il perimetro procedurale entro il quale si svolge una pratica consensuale di bilanciamento di interessi tra gli attori sociali coinvolti 16. La stessa ratio della norma penale,

in particolare, il problema del carico improprio di responsabilità che rischia di ricadere sul privato come conseguenza di una delega obbligata, da parte del legi- slatore pubblicista, alla tutela di beni fondamentali (ivi, 27). Sulle nozioni di “en- forced self-regulation” o “responsive regulation”, che valgono ad indentificare una maggiore sensibilità, da parte dell’ordinamento, a considerare la capacità dei pri- vati ad autoregolamentare la propria attività, anche al fine di una maggiore pon- derazione degli strumenti di intervento, si rimanda a J. BRAITHWAITE,Enforced Self-regulation: A New Strategy for Corporate Crime Control, in Michigan L. Rev., 1982, 1466 ss.; ID.,Restorative Justice & Responsive Regulation, Oxford University Press, 2002, 29 ss. Nella più recente letteratura italiana, si segnala F.CENTONZE, Responsabilità da reato degli enti e agency problems. I limiti del d. lgs. n. 231 del 2001 e le prospettive di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 947 ss., il quale ri- costruisce la delega dello Stato agli enti secondo i termini del rapporto di agenzia, evidenziandone i profili problematici.

14 Si cfr., in questi termini, M.DONINI,Non punibilità e idea negoziale, in Ind.

pen., 2001, n. 3, 1046. Sull’ipertrofia del diritto penale nello Stato sociale, con l’emergere di incriminazioni di natura per lo più contravvenzionale, omissiva (propria) e colposa, si rinvia sempre a C.E. PALIERO,“Minima non curat praetor”, cit., passim, in particolare 24 ss. Circa la tecnica dell’anticipazione della tutela, attraverso l’adozione dello schema del pericolo astratto, si rimanda – tra molti – a G. COCCO,Beni giuridici funzionali versus bene giuridico personalistico, in AA.VV., Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini, C.E. Paliero, Tomo I, Teoria del diritto penale, criminologia e politica criminale, Giuffrè, 2006, 167 ss.

15 V. TORRE,op. cit., 20.

16 Si cfr. sempre V. TORRE,op. cit., 10 ss. Di «“meticciato” normativo», deri- vante dalla combinazione tra strumenti di hard law e soft law, parlano A.FIOREL- LA,N.SELVAGGI,Dall’«utile» al «giusto», cit., 13. Sulla nozione di “horizontal lega- lity” ovvero di “mobilize law”, si cfr. – tra i più recenti contributi della letteratura comparatistica – J. TRICOT, Special Procedures for White-Collar and Corporate Wrongdoing: A European Perspective, in AA.VV.,The Oxford Handbook of Criminal Process, a cura di D.K. Brown, J. Iontcheva Turner, B. Weisser, Oxford University Press, 2019, 452 ss.

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non più finalizzata a proibire comportamenti bensì a dettare modali- tà e mezzi di prevenzione, finisce per essere caratterizzata da una marcata funzione promozionale. Forme di incoraggiamento, dalla variegata fisionomia, si sostituiscono al tradizionale paradigma fonda- to su rapporto tra obbligo e sanzione, assolvendo così, seppur in modo diverso, la funzione di controllo sociale 17. La disciplina positiva, in altri termini, «sconta in partenza l’idea di un reato non punito» 18.

Tra le conseguenze di un tale mutamento di paradigma si annove- ra, quantomeno a livello domestico, l’ingresso dell’ente collettivo qua- le vero e proprio soggetto di diritto nell’ambito del sistema puniti- vo 19. Guardando alla disciplina italiana della responsabilità da reato della societas, non stupisce il fatto che la stessa sia orientata non alla sanzione, bensì alla compliance. L’illecito resta un fatto delle persone fisiche, mentre ciò che si esige dalle imprese, chiamate a svolgere il ruolo di vere e proprie “sentinelle della legalità”, è lo sviluppo di un

17 Per quanto attiene alla funzione promozionale del diritto penale, rimane fondamentale N. BOBBIO,Sulla funzione promozionale del diritto, in Riv. trim. dir.

proc. civ., 1969, 1312 ss. il quale osserva: «[l]’introduzione della tecnica dell’inco- raggiamento riflette un vero e proprio mutamento nella funzione del sistema nor- mativo nel suo complesso, nel modo di attuare il controllo sociale; segna il pas- saggio da un controllo passivo che si preoccupa più di sfavorire le azioni nocive che di favorire le azioni vantaggiose, a un controllo attivo che si preoccupa di fa- vorire le azioni vantaggiose più che di sfavorire le azioni nocive» (ivi, 1324). In argomento, non può mancarsi di fare riferimento anche a F. BRICOLA,Diritto pre- miale e sistema penale, atti del settimo simposio di studi di diritto e procedura pe- nali (Como, 26-27 giugno 1981), Giuffrè, 1983, contributo raccolto nell’opera po- stuma F.BRICOLA, Scritti di diritto penale, a cura di S. Canestrari, A. Melchionda, Giuffrè, 1997, vol. I, Tomo II, 1459 ss. Secondo l’Autore, in particolare, i reati omissivi possono essere assunti a paradigma di una tecnica sanzionatoria penale in funzione promozionale, che troverebbe il proprio fondamento costituzionale nel- l’art. 3, comma 2, della Costituzione. Sulla funzione promozionale del diritto pe- nale, quale manifestazione dell’atteggiarsi in senso interventista dello Stato socia- le di diritto, si vedano altresì E. MUSCO,La premialità nel diritto penale, in AA.VV., La legislazione premiale. In ricordo di Pietro Nuvolone, atti del convegno organiz- zato dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, a cura di C. Filippi, Giuffrè, 1987, 116 ss.; C.E. PALIERO,“Minima non curat praetor”,cit., 123 ss.

18 M.DONINI,Non punibilità e idea negoziale, cit., 1046. Negli stessi termini, segnalando come lo sviluppo industriale ed il consolidamento del Welfare State abbiano favorito un mutamento di prospettiva, che privilegia la riparazione alla repressione, si cfr. C. PIERGALLINI,Pene “private” e prevenzione penale: antitesi o sincrasi?, in AA.VV.,La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, a cura di C.E. Paliero, F. Viganò, F. Basile, G.L. Gatta, cit., 646.

19 In argomento, più diffusamente, A.ALESSANDRI,Diritto penale e attività eco- nomiche, cit., 71 ss.

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programma di prevenzione del reato 20. Andando ben oltre la dimen- sione costituita dalla cultura della corporate social responsibility, l’en- te è chiamato a «produrre prevenzione, regole cautelari e modelli di organizzazione della sicurezza» 21. I cc.dd. compliance programs, che

20 In questi termini, si vedano pure M.DONINI,Compliance, negozialità e ripa- razione dell’offesa nei reati economici. Il delitto riparato oltre la restorative justice, in AA.VV.,Criminalità d’impresa e giustizia negoziata: esperienze a confronto, col- lana dei convegni di studio “Enrico de Nicola”, Problemi attuali di diritto e proce- dura penale (organizzati dal Centro nazionale di prevenzione di difesa sociale), a cura di C. Beria di Argentine, Giuffrè, 2017, 582; N. SELVAGGI,«Negotiated sett- lements»e responsabilità da reato dell’ente. L’esperienza americana e le prospettive di evoluzione del sistema in Italia, in AA.VV.,Diritti fondamentali e processo all’en- te. L’accertamento della responsabilità d’impresa nella giustizia penale italiana e spa- gnola, a cura di L. Lupária, L. Marafioti, G. Paolozzi, Giappichelli, 2018, 218.

21 M. DONINI,Compliance, negozialità e riparazione dell’offesa nei reati econo- mici. Il delitto riparato oltre la restorative justice, in AA.VV.,Criminalità d’impresa e giustizia negoziata: esperienze a confronto, cit., 583. Il tema della corporate social responsibility è evidentemente troppo vasto per essere qui considerato; ci si limi- terà, pertanto, solo ad alcune osservazioni, che possono avere un certo rilievo nel- la prospettiva della presente indagine. Per quanto riguarda l’esperienza angloa- mericana, l’originario principio secondo il quale il privilegio della personalità giu- ridica poteva essere riconosciuto solo a quelle organizzazioni collettive formate per un «public purpose» (in questi termini, si rimanda alla fondamentale opera di W.BLACKSTONE,Commentaries on the Laws of England, vol. 1, XVIII, “Corpora- tions”, qui citata nell’edizione a cura di W. Morrison, Cavendih Publishing, 2001, 361 ss.) fu successivamente abbandonato anche alla luce di taluni precedenti nei quali si affermò che l’unico scopo delle corporations era quello di lucro: si cfr., ad esempio, la celebre pronuncia della Suprema Corte dello Stato del Michigan nel caso Dodge v. Ford Motor Company, 204 Mich. 459, 170 N.W. 668 (Mich. 1919), che accolse le doglianze di alcuni soci della casa automobilistica contrari alla po- litica aziendale, particolarmente prodiga nei confronti dei lavoratori e della col- lettività, imposta dal celebre industriale americano (in argomento, si veda più dif- fusamente A.WINKLER,We the Corporations. How American Businesses Won Their Civil Rights, Liveright Publishing Corporation, 2018, 244 ss.). Sennonché, pure la concezione del capitalismo liberale, secondo la quale “la vera responsabilità so- ciale dell’impresa è quella di incrementare i profitti” (mutuando la celebre formu- la coniata dall’economista americano M. FRIEDMAN,The Sociale Responsibility of Business Is to Increase Its Profits, articolo apparso sul New York Times Magazine, 13 settembre 1970, che compendia gli studi contenuti in ID., Capitalism and Freedom, University of Chicago Press, 1962) ha progressivamente ceduto il passo, a fronte di scandali “eccellenti” consumatisi negli ultimi decenni del secolo scor- so, a teorie tese a valorizzare l’etica degli affari: in argomento, si cfr., ad esempio, J. PARKINSON,The Socially Responsible Company, in AA.VV.,Human Rights Stan- dards and the Responsibility of Transnational Corporations, a cura di M.K. Addo, Kluwer Law International, 1999, 49 ss. Sulla nascita del c.d. good corporate citi- zenship movement, a seguito tra l’altro dell’emanazione, agli inizi degli anni ’90, delle Federal Sentencing Guidelines, e sul ruolo dell’etica nella gestione aziendale, con l’irruzione nel del Sorbanes Oxley Act 2002 (con il quale si è previsto espres-

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rappresentano ad un tempo l’adempimento di una regola cautelare e la fonte di ulteriori regole cc.dd. cautelative (o “cautelari improprie”) 22, contribuiscono a definire i profili di responsabilità, sia delle persone fisiche sia di quelle giuridiche, giungendo così ad una “privatizzazio- ne” del precetto 23. Basti considerare, ad esempio, l’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 231/2001, che consente di redigere il “programma di con- formità” sulla base di codici di comportamento elaborati dalle asso- ciazioni rappresentative, da comunicare al Ministro della Giustizia 24. Si delinea, così, un sistema di normazione sviluppato su tre livelli fondamentali: il primo costituito dalle generiche previsioni dettate dagli artt. 6 e 7 del decreto; il secondo, rappresentato dai codici di comportamento elaborati dalle associazioni di categoria, ed il terzo, infine, consistente nei singoli documenti di autoregolamentazione a- dottati da ciascun ente 25.

Passando a considerare il versante processuale, le difficoltà riscon- trate nel contrastare i fenomeni di devianza nel settore economico, sempre più complessi e globalizzati, spingono la giustizia penale ad

samente che le società quotate debbano, in ossequio al meccanismo comply or explain, munirsi di codici etici) si veda W.S. LAUFER,Corporate Bodies and Guilty Minds. The Failure of Corporate Criminal Liability, The University of Chicago Press, 2006, 31 ss. e 100 ss. Nella letteratura nostrana, indaga i rapporti tra CSR e d.lgs. n. 231/2001, con particolare riferimento al ruolo nel codici etici nell’ambito del modelli di organizzazione, gestione e controllo, M. CAPUTO,La mano visibile.

Codici etici e cultura d’impresa nell’imputazione della responsabilità agli enti, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2013, n. 1, 101 ss. Al riguardo, si cfr. anche infra, Cap.

IV, § 1.

22 Sulle regole cc.dd. cautelative, si veda per tutti P. VENEZIANI,Regole cautela- ri “proprie” ed “improprie” nella prospettiva delle fattispecie colpose causalmente orientate, Cedam, 2003, passim, in particolare 15, il quale le definisce come «rego- le cautelari che, a fronte della prevedibilità dell’evento, impongono di adottare precauzioni che non garantiscono un azzeramento (o quasi) del rischio, ma sol- tanto una riduzione del medesimo».

23 M. DONINI,Compliance, negozialità e riparazione dell’offesa nei reati econo- mici. Il delitto riparato oltre la restorative justice, in AA.VV.,Criminalità d’impresa e giustizia negoziata: esperienze a confronto, cit., 583. Più diffusamente sul punto, con particolare riferimento alla disciplina della sicurezza sul lavoro, esaminata anche in chiave comparatistica, si veda V. TORRE,op. cit., passim.

24 In argomento, si rinvia a D. PULITANÒ,La responsabilità “da reato” degli enti:

i criteri d’imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 438.

25 Si cfr. A.MEREU,La responsabilità “da reato” degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, in Ind. pen., 2006, n. 1, 80 ss.;

più di recente, F.CENTONZE,Responsabilità da reato degli enti e agency problems.

I limiti del d. lgs. n. 231 del 2001 e le prospettive di riforma, cit., 976 ss. e V. MON- GILLO,La responsabilità penale tra individuo ed ente collettivo, cit., 371 ss.

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abbandonare lo strumento punitivo per ricorrere a quello lato sensu negoziale 26. Il modello di organizzazione sociale di tipo autoritario ed impositivo cede il passo ad uno più flessibile, integrato dall’i- niziativa delle parti del conflitto sociale originato dal reato 27. Di mo- do che, sul versante della politica criminale, si delinea un sistema di giustizia che risponde sempre meno allo schema classico piramidale e sempre più ad uno reticolare, pluralistico e diffuso, in cui i soggetti coinvolti a vario titolo nell’amministrazione della giustizia reclamano ruoli tanto più attivi quanto meno conformi agli stereotipi ufficiali 28.

Più in generale, la fisionomia del processo riflette due concezioni diverse delle funzioni dello Stato, che la letteratura comparatistica riconduce a due modelli descrittivi estremi ed opposti.

Da un lato, lo Stato “interventista” (o “attivo”), che si pone come obiettivo quello di organizzare la vita degli individui e di guidare la società. In tale contesto, gli interessi pubblici sono presidiati dal di- ritto penale ed il processo, lungi dall’avere una propria dignità, è semplicemente lo strumento attraverso il quale realizzare le scelte di politica criminale, già cristallizzate a monte nelle fattispecie incrimi- natrici.

Dall’altro lato, lo Stato “minimo” (o “proattivo”) si preoccupa di tutelare i diritti degli individui e di fornire loro una cornice di autor- ganizzazione ed autodeterminazione. Nel modello c.d. laissez-faire, la

26 È scontato, in proposito, il richiamo al pensiero di Durkheim il quale, già al- la fine del XIX secolo, presagiva che l’evoluzione della società verso modelli sem- pre più complessi sarebbe stata accompagnata da una graduale sostituzione delle forme di repressione con misure volte esclusivamente a ricomporre l’alterazione prodotta dall’illecito (É. DURKHEIM,De la division du travail social, Paris, 1898, qui cit. nell’edizione Il Saggiatore, trad. it. F. Airoldi Namer, 2016, passim). Sulla giustizia negoziata, si rinvia sempre a D.R. CRESSEY,Negotiated Justice, op. cit., 5 ss. Tra la dottrina nostrana, si segnalano: F.CORDERO,Contratto penale e giustizia amministrata nella filosofia del processo, in AA.VV.,La legislazione premiale, cit., 105 ss.; L. MARAFIOTI,La giustizia penale negoziata, Giuffrè, 1992, passim. Tra i contributi più recenti, con specifico riguardo al tema della lotta alla corruzione internazionale, può citarsi A. GARAPÓN,État du débat actuel en France: à propos de la loi Sapin-II, in AA.VV.,Criminalità d’impresa e giustizia negoziata: esperienze a confronto, cit., 2017, 119.

27 In argomento, si veda tra moltiM.CAPUTO,Il diritto penale e il problema del patteggiamento, Jovene editore, 2009, 407-408.

28 M. VOGLIOTTI,Le metamorfosi dell’incriminazione. Verso un nuovo paradig- ma per il campo penale?, in Pol. dir., 2001, 663-664. Sul fenomeno di “privatizza- zione” della giustizia, si segnala altresì C.E. PALIERO,“Minima non curat praetor”, cit., 280 ss. e 382 ss., che lo annovera tra i principali filoni del movimento inter- nazionale di depenalizzazione (accanto alla fiscalizzazione, alla medicalizzazione ed alla secolarizzazione).

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