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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTA DI INGEGNERIA

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Academic year: 2022

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTA’ DI INGEGNERIA

INGEGNERIA DEI MATERIALI

CORSO DI SCIENZA E TECNOLOGIA DEI METALLI NON FERROSI

Del professor Colombo A.A. 2004/2005

RISCHI PATOLOGICI LEGATI ALLA TECNOLOGIA DEI METALLI NON FERROSI

A cura di:

Gottardini Mauro

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INTRODUZIONE

Questa ricerca ha lo scopo di analizzare i maggiori rischi patologici inerenti alle tecnologie dei metalli non ferrosi. In particolare tenterà di non soffermarsi sui caratteri puramente medici, ma proverà a farne solo una panoramica.

SOMMARIO

VETTORI PATOLOGICI:

POLVERI ... 3

FIBRE ... 5

PRODUZIONE PRIMARIA DI METALLI NON FERROSI: ALLUMINIO ... 6

RAME ... 8

ZINCO, PIOMBO E CADMIO ... 9

TECNOLOGIE A RISCHIO: SALDATURA ... 10

TRATTAMENTI SUPERFICIALI PER ELETTRODEPOSIZIONE ... 14

PATOLOGIE: ASBESTOSI ... 16

PNEUMOPATIA DEI METALLI DURI ... 18

BERILLIOSI ... 19

DERMATITI DA CONTATTO ... 20

NEFROPATIE CRONICHE ... 21

PATOLOGIE DEL SISTEMA NERVOSO ... 22

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POLVERI

L’interesse per le polveri è legato principalmente alla prevenzione della silicosi, malattia polmonare dovuta all’inalazione di polveri contenenti silice libera cristallina.

Non tutte le polveri contengono quarzo, alcune perciò sono definite inerti perché non lo contengono in quantità rilevanti (<1%). Esempi di materiali che originano inerti sono: l’allumina, gli alabastri e i basalti, il cemento, la maggior parte dei refrattari.

Mentre sono silicotigene le polveri d’ardesia, argilla, granito, porfido, sabbie di fiume o di fonderia.

Le lavorazioni a rischio silicosi sono l’industria estrattiva, le lavorazioni per opere idroelettriche e stradali, le acciaierie e fonderie, l’industria delle mole e degli abrasivi, dei laterizi, delle ceramiche, del vetro e dei refrattari ed infine tutte le lavorazioni delle pietre silicee.

Le polveri sono particelle solide sospese in aria con un diametro compreso tra 0.5 e 100 m. Si distinguono dai fumi che hanno dimensioni più piccole 0.001 e 0.1 m.

Per essere visibili ad occhio nudo devono avere un diametro superiore ai 100 m.

Si possono dividere in inerti fastidiosi o tossici. Le polveri tossiche si dividono ulteriormente in quelle nocive per il polmone e quelle che utilizzano semplicemente il polmone come tramite per l’organismo, ma che svolgono la loro azione nociva su altri organi (ad esempio polveri di piombo sul midollo osseo, particolato di fluoruri e di cadmio rispettivamente su osso e rene).

Le polveri tossiche per l’apparato respiratorio si definiscono sclerogene o asmogene a seconda che il bersaglio sia l’interstizio polmonare o l’apparato bronchiale.

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Principali malattie dell’apparato respiratorio imputabili all’inalazione delle polveri:

Il diametro condiziona la deposizione regionale delle polveri nel polmone. Le modalità di deposizioni sono quattro: intercettazione (incontro di un ostacolo), impatto inerziale (cambi di direzione di flusso aereo per ragioni anatomiche), sedimentazione (deposito), diffusione (a livello alveolare).

La misura delle polveri negli ambienti di lavoro avviene tramite un campionamento su filtri a membrana di porosità variabile. Si utilizzeranno metodi valutativi numerici (riconoscimento e conta al microscopio. Es: particelle di quarzo e fibre d’amianto), o gravimetrici (pesa del filtro). La determinazione della frazione totale delle polveri è limitata a particolari polveri tossiche.

REGIONE MALATTIA ORIGINE

delle vie aeree della testa cancro nasale nichel, legni, cuoio.

tracheo-bronchiale broncocostrizione

bronchite acuta cronica polveri inerti, fumo, acidi e basi.

cancro bronchiale amianto

degli scambi gassosi polmoniti interstiziali ossidi di cadmio fibrosi polmonari

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FIBRE

Le fibre possono essere naturali, artificiali, organiche e inorganiche. Delle inorganiche naturali (fibre minerali) la più importante è l’amianto, la cui torma più utilizzata è il serpentino o l’amianto d’anfibolo o amianto bianco; il più pericoloso è l’amianto blu o crocidolite.

La misura delle fibre prevede l’uso di metodi numerici. Sono considerate fibre quelle di rapporto dimensionale lunghezza/diametro maggiore di 3 e lunghezza superiore a 5

m. Particelle con diametro inferiore a 3 m si comportano come particelle sferiche.

Per l’amianto le fibre più pericolose per il rischio di cancro sono quelle con diametro compreso tra 1 e 3 m e 10÷50 m di lunghezza. Le lavorazione a rischio di asbestosi sono l’estrazione da cava o miniera dell’amianto, la manifattura tessile dell’amianto, l’industria dei freni e frizioni delle autovetture, le lavorazioni di cantieristica navale e l’industria del cemento/amianto (tetti, condutture, ecc…).

Limiti igienici per polveri e fibre:

Polveri inerti 10 mg/m3 (fraz. tot.)

Polveri silicotigene Quarzo 0.1 mg/m3 (fraz. resp.)

Tridimite e cristobalite 0.05 mg/m3 (fraz. resp.) Fibre d’amianto 1 fibra/cc per il crisolito (0.2 per le altre)

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ALLUMINIO

La sua produzione industriale fu resa possibile nel 1886 dalla scoperta del procedimento di riduzione elettrolitica dell’allumina (Al2O3). La difficoltà di ottenere industrialmente il metallo era legata al processo che richiedeva la fusione dell’allumina (circa 2000°C) che rendeva tecnologicamente difficile il processo. Una notevole riduzione delle difficoltà fu ottenuta utilizzando come solvente un bagno di criolite (Na2AlF6 a circa 900°C) fusa. Nell’elettrolisi l’Al migra al catodo e 1’O2

all’anodo di carbone. Questo processo, chiamato Hall-Heroult dal nome dei suoi due inventori, è usato tuttora.

Un’industria di produzione primaria d’alluminio si compone di un reparto di produzione di allumina dalla bauxite, di un reparto di produzione di anodi (tecnologia ad anodo precotto) oppure di pasta anodica (tecnologia ad anodo Soederberg), di un sala forni elettrolitici e di una fonderia.

L’allumina si ottiene dalla bauxite per separazione, in una soluzione acquosa di soda, degli ossidi di alluminio dai restanti minerali (fanghi rossi). In questa lavorazione i rischi sono limitati alle lavorazioni a secco della bauxite (estrazione, macinazione, vagliatura) che può produrre polveri con rischio silicotigeno (% di quarzo nella bauxite dallo 0 al 10%). Nelle fasi successive di lavorazione i maggiori rischi sono presenti nella sala forni o delle celle elettrolitiche, e nei reparti di produzione degli anodi, composti di coke di petrolio misto a pece e catrame di carbone (17-30%).

I principali inquinanti dell’ambiente di lavoro dei reparti forni elettrolitici sono le polveri di allumina, i fluoruri particolati e gassosi (HF), l’anidride solforosa, l’ossido

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Nel reparto anodi i rischi di malattie professionali sono legati all’inalazione di polveri di coke, di petrolio e di fumi di pece e catrame, di carbone ad alto contenuto di idrocarburi policiclici aromatici.

Contaminanti dell’ambiente di lavoro dell’industria di produzione elettrolitica dell’alluminio:

SOSTANZA REPARTO

Acido cloridrico Fonderie

Allumina (polveri) Produzione dalla bauxite - Sala forni elettrici

Asbesto Isolamento forni

Campi magnetici Impianti elettrici - Sala forni elettrici Catrame e pece Sala forni elettrici - Fabbrica anodi

Cianuri Bagnatura del forno

Cloro e cloruri Operazioni fonderia Coke e carbone (polvere) Fabbrica anodi

Fluoruri Sala forni elettrici

Fumi e polveri di rame Aste e raccordi anodici - Connettori elettrici

Mercurio Rettificatori

Man-made mineral fibers Isolamento forni

Ossido di cadmio Saldatura e brasatura dell’argento Ossido di carbonio Combustione

Policlorobifenili Impianti elettrici

Silice Macinazione bauxite - Refrattari

SO2 Combustione degli anodi

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RAME

Il rame è un metallo malleabile e duttile a grande conducibilità termica ed elettrica.

Viene utilizzato puro o in leghe di cui le più note sono l’ottone (con zinco) e il bronzo (con stagno).

Il rame è presente in natura sotto forma di minerali a base di solfuri a basso contenuto dell’elemento (<2%). Perciò gran parte della lavorazione del minerale consiste nella concentrazione del metallo. In un primo stadio il minerale polverizzato viene concentrato per flottazione (sospensioni acquose con agenti bagnanti) e in seguito il materiale concentrato viene arrostito in forni fino ad ottenere, da una miscela di solfuri, ossidi di rame. La riduzione a metallo avviene in forni convertitori simili a quelli usati nella produzione dell’acciaio. Il rame cosi ottenuto viene raffinato, con procedimento elettrolitico, in celle contenenti soluzioni acide di solfato di rame.

L’anodo è costituito dal rame grezzo, il catodo da rame puro. Mano a mano che procede la elettrolisi l’anodo si consuma e libera le impurità di metalli più nobili del rame (oro e argento) che saranno recuperati con una successiva lavorazione dei fanghi anodici.

L’intossicazione cronica da rame si manifesta solamente in quei rari individui che hanno la malattia di Wilson (accumulo degenerativo nei tessuti) legata ad il carattere genetico autosomico recessivo, che si evidenzia nella deficienza dei meccanismi di escrezione del rame dal fegato e nella mancanza di ceruloplasmina (proteina di trasporto del rame); per l’evidenziarsi della malattia è sufficiente il solo rame introdotto con la dieta; nelle persone normali sono segnalati solo episodi di irritazione

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ZINCO, PIOMBO E CADMIO

Piombo e zinco sono presenti in natura sotto forma di solfuri in due minerali, la galena (PbS) e la blenda (ZnS) che spesso si trovano nello stesso giacimento assieme ad altri solfuri metallici, tra i quali sono di interesse industriale quelli di argento e cadmio. I procedimenti di estrazione di questi minerali sono spesso associati. Dopo un processo di flottazione del minerale simile a quello che si usa per il rame, i minerali vengono arrostiti per essere trasformati in ossidi, che in seguito vengono ridotti a metalli in un piccolo altoforno mediante carbon-coke.

I metalli greggi (Pb e Zn) cosi ottenuti vengono raffinati per elettrolisi. Nel caso dell’ossido di zinco ottenuto dopo l’arrostimento, si può ottenere il metallo con un altro processo che prevede una fase di lisciviazione con acido solforico diluito per eliminare le impurità. Dalla soluzione, essenzialmente composta di solfati di zinco e di cadmio, viene precipitato il cadmio metallico (che poi sarà recuperato a parte in un diverso processo elettrolitico) e la soluzione finale è sottoposta ad elettrolisi in vasche rivestite di piombo tra anodi di piombo-argento e catodi di alluminio. Con tale procedimento si ottiene Zn metallico purissimo. I rischi nella lavorazione primaria del rame, zinco, piombo e cadmio sono qui riportati:

AGENTE LAVORAZIONE

Polveri silicotigene e rumore Macinazione del minerale

Oli minerali Flottazione

CO e SO2, composti arsenicati Forni arrostimento e conversione

H2SO4 Elettrolisi

Fumi di Zn, Cd e Pb Nella metallurgia della blenda e galena

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SALDATURA

La tecnica della saldatura permette di congiungere attraverso il calore due parti metalliche. Il calore necessario viene ottenuto o da una fiamma prodotta per combustione di un gas (il più utilizzato è l’acetilene) con aria o ossigeno, o da un arco elettrico che scarica tra due elettrodi (di cui uno può essere il pezzo da saldare), od infine per effetto Joule a causa della resistenza al passaggio della corrente elettrica offerta dal pezzo da saldare.

Si distingue in saldatura autogena ed eterogenea (brasatura). Nella prima viene effettuata una fusione dei bordi metallici da congiungere e il vano tra i bordi viene riempito con del metallo fuso simile a quelli del pezzo da saldare. Nella brasatura invece il materiale da unire viene solo riscaldato e la fusione riguarda solo il metallo di apporto. In genere il metallo d’apporto è eterogeneo (possibilità della presenza di cadmio nelle leghe di brasatura) e a più basso punto di fusione e quindi le temperature coinvolte sono in questo secondo caso decisamente inferiori.

Per ottenere una saldatura resistente e tecnicamente accettabile la zona di fusione deve essere protetta da fenomeni di ossidazione ed il metallo fuso deve essere depurato di scorie, in modo che risulti un cordone di saldatura privo di imperfezioni.

Il processo, in piccolo, è simile a quello che si fa per la preparazione della colata nelle fonderie. Per tale motivo la saldatura deve essere effettuata in atmosfera il più possibile inerte (priva di ossigeno) e devono essere aggiunte sostanze come borace, silicati e carbonati, che proteggono e scorificano il bagno di fusione.

Nella saldatura a fiamma ossiacetilenica si produce, nella zona di combustione, un’atmosfera riducente, mentre la saldatura ad arco viene effettuata nell’atmosfera

Riferimenti

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