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ITALIANO L2 PER APPRENDENTI GIAPPONESI

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Academic year: 2021

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Paola Peruzzi

ITALIANO L2

PER APPRENDENTI GIAPPONESI

Introduzione

Quando si insegna una lingua ad un popolo diverso da quello che la parla come lingua materna, siamo proiettati in una condizione in cui non solo si viene a potenziare la ricchezza interculturale che sorge dal visibile contatto fra individui portatori di idiomi e connotazioni culturali differenti, ma si potenzia esponenzialmente la lingua stessa e la riflessione su di essa.

La riflessione sulla lingua da trasmettere/insegnare avviene su vari piani: da quello strettamente strutturale, che tutto sommato rappresenta il piano più tangibile e osservabile, per attraversare poi piani o repertori di approfondimento (ad es. sociolinguistici, neurolinguistici, psicolinguistici) fino ad addentrarsi, se vogliamo, in una meditazione filosofica sul linguaggio.

Si adatta a questo punto il pensiero del filosofo tedesco Walter Benjamin che, trattando il tema della traduzione e del compito del traduttore, vede nella lingua l’essenza spirituale dell’uomo.

Riportiamo di seguito alcune frasi illuminanti di Benjamin: “l’essenza linguistica dell’uomo è la sua lingua. [...]. Vale a dire che l’uomo comunica la sua propria essenza spirituale nella sua lingua. Ma la lingua dell’uomo parla in parole. L’uomo comunica quindi la sua propria essenza spirituale nominando tutte le altre cose” .

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Queste parole hanno rappresentato per chi scrive la forza motrice per svolgere con interesse e passione il lavoro di docente di lingua italiana a stranieri. La ricerca della comunicazione della propria essenza spirituale, intesa come energia vitale, che entra in contatto con quella degli altri,

1 Per meglio spiegare il concetto espresso da Benjamin aggiungiamo in nota un altro passaggio tratto dallo stesso testo :

“ Che cosa comunica la lingua? La lingua comunica l’essenza spirituale che le corrisponde. E’ fondamentale sapere che questa essenza spirituale si comunica nella lingua e non attraverso la lingua”, Benjamin W. 2006, p. 54

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diversi da noi nella lingua, cultura, abitudini, viene ad essere, in qualche modo, il fulcro intorno al quale far ruotare l’esplorazione didattica, l’approfondimento dei metodi, la conoscenza dei bisogni degli apprendenti, dei loro obiettivi e desideri.

Rapportandoci a culture e lingue che consideriamo tipologicamente molto distanti dalla nostra il confronto si fa ancora più stimolante, in quanto i termini della comparazione richiedono un’osservazione acuta e approfondita dei sistemi di comunicazione verbale e non verbale spesso fortemente differenti, una minuziosa ricerca di ordine semiologico e semantico, un interesse

“curioso” dell’altro, dello straniero nel quale riconosciamo non solo colui che proviene da un altro paese, ma una persona che suscita meraviglia per la “stranezza” o “estraneità” identitaria.

Con questo intervento ci poniamo sostanzialmente due obiettivi:

1. tracciare un profilo cognitivo-culturale-pedagogico dell’apprendente giapponese;

2. riflettere sugli approcci e strategie didattiche mirate all’apprendente giapponese.

Consapevoli dello stato in divenire di queste riflessioni e degli studi che in questo settore si stanno svolgendo, tenteremo di rilevare il più possibile dati e osservazioni esistenti e di sistematizzarli ai fini di sostenere tutti coloro che si trovino ad operare nell’ insegnamento dell’italiano in Giappone e a giapponesi.

D’altra parte cercheremo di riferire l’esperienza in campo con conseguenti suggerimenti, consapevoli, anche in questo caso, che il docente, come un artigiano, impara a conoscere il suo prodotto mentre lo modella e lo forgia.

Breve panoramica sull’italiano in Giappone:

fonti, documenti, testimonianze

Prima di entrare nella disamina dei punti sopracitati, ci sembra importante porre l’attenzione sulla presenza della lingua italiana in Giappone affinchè si motivi e si rafforzi ancor di più la nostra ricerca in ambito glottodidattico.

I contributi autorevoli di Shigeaki Sugeta e di Massimo Vedovelli

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ci confermano che l’italiano gode di buona salute nel paese del Sol Levante e che occupa un suo posto guadagnato nel tessuto sociale e educativo del paese.

2 I contributi di Vedovelli (pp.21-37) e Sugeta (pp.3-5) sono contenuti in Gesuato M.K , Peruzzi P. ( a cura di ), 2009

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Se nel sistema scolastico giapponese la presenza dell’italiano come materia disciplinare ha compiuto più di un secolo di vita e testimonia l’attenzione istituzionale che il Giappone dà alla nostra lingua, anche le moderne e avveniristiche strade delle città giapponesi si illuminano di termini che provengono dal nostro vocabolario e confermano il grado di attrattività che le nostre parole suscitano sulla massa per poi costituirne “tendenza”.

Dall’aula alla strada e dalla strada all’aula l’italiano è sicuramente attivo e vitale in Giappone, anche se potrebbe essere ancor più sostenuto, come Shigeaki Sugeta auspica, e la sfida di questo potenziamento è lanciata a chi opera nel settore.

I dati ricavabili dalle statistiche degli Istituti Italiani di Cultura di Tokyo

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sono sicuramente indice di un forte interesse da parte del pubblico giapponese verso la lingua italiana (4867 iscritti nel 2015 escludendo la stagione autunnale, di cui il 77% di sesso femminile e il 33% di sesso maschile).

Anche i dati del Centro CILS dell’Università per Stranieri di Siena

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fanno pensare ad un apprezzabile desiderio da parte degli studenti giapponesi di veder riconosciuta la loro competenza linguistica spendibile sia nei rapporti e nelle aspirazioni personali sia nei rapporti lavorativi che vedono intrecciati gli interessi dei due paesi in causa: Giappone e Italia. Dall’osservazione dei dati CILS si può notare un considerevole aumento di certificazioni di italiano ottenute dai giapponesi negli ultimi 15 anni con un incremento di circa 100 confrontando l’anno 2000 con il 2015, ma tenendo conto che nel 2014 si è avuta una punta massima di 456 studenti certificati (in totale dal 1997 ad oggi si contano 5846 giapponesi con certificazione CILS) .

Anche altre fonti si affiancano a quelle finora riportate, sono fonti di natura tanto diversa da quella accademica e scientifica, ma non trascurabili dal punto di vista della comunicazione di massa e della comunicazione globalizzata. La navigazione in Internet, per esempio, ci permette di entrare in siti, fra l’altro molto visitati, che rappresentano l’esplorazione reciproca che i due paesi compiono (ad es. la nota passione dei giovani per i manga e per le “anime” giapponesi da parte italiana e da parte giapponese il “culto “ della cucina italiana).

A sostegno dell’attrazione che il nostro paese esercita sul popolo nipponico citiamo due frasi che ci appaiono riassuntive e evocative allo stesso tempo: “l’Italia come paese del Bello come concetto di quotidianità”

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e “ sembra che i giapponesi ritrovino nel modello di vita italiana- sintetizzato nel luogo comune amare-cantare-mangiare- alcuni elementi della vita gaudente del periodo di Edo (1603-1867), un mondo “fluttuante” fra divertimenti, spettacoli e la buona tavola”

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.

3 Per i dati aggiornati sulle iscrizioni ai corsi di lingua italiana all’IIC di Tokyo ci siamo avvalsi delle statistiche aggiornate al 2015, fornite dall’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo.

4I dati sono stati forniti dal Centro CILS dell’Università per Stranieri di Siena. Nel volume curato da Gesuato M.K., Peruzzi P., 2009, si può leggere a questo proposito il contributo di Barni M, La certificazione CILS dell’ Università per Stranieri di Siena in Giappone: un bilancio di 15 anni di attività, pp.38-55

5 Calvetti P., 2003

6 Di Russo M., 1998

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Le testimonianze e fonti documentate qui raccolte non fanno altro che evidenziare il magnetismo che intercorre fra i due paesi e rinvigorire i nostri obiettivi di ricerca.

Visto comunque che l’analisi della presenza dell’italiano/Italia in Giappone non risulta essere obiettivo specifico di questa trattazione e esistendo altri validi apporti a questo proposito, utilizziamo questa breve e sintetica panoramica come stimolo e premessa ai temi centrali di nostro interesse che coincidono, come già detto, con gli obiettivi esposti nell’introduzione.

Insegnare italiano in classi di apprendenti giapponesi

I nuovi approcci e metodi glottodidattici di natura comunicativa pongono la comunicazione al centro del processo di apprendimento linguistico e quelli che si ispirano a principi umanistico-affettivi riconoscono nell’apprendente il soggetto principale dello stesso processo. Dal canto suo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue sottolinea l’importanza del sapere pragmatico della lingua con la realizzazione di atti comunicativi e lo sviluppo delle

abilità linguistiche.

Queste affermazioni in campo glottodidattico sembrano poco applicabili quando l’ambiente didattico è abitato da apprendenti giapponesi, magari riuniti in classi monolingui, e soprattutto quando il contesto di insegnamento coincide con il Giappone.

La giustificazione di questa scarsa applicabilità la troviamo espressa in Zamborlin e trova i suoi fondamenti sia nella grande distanza fra l’italiano e il giapponese, sia negli stili di

apprendimento poco produttivi dei giapponesi stessi. A suo avviso infatti gli studenti giapponesi si applicano tendenzialmente più allo studio delle regole morfo-sintattiche; sapere la lingua domina e lascia poco spazio al sapere pragmatico della lingua e l’asse dell’atto didattico si sposta verso contenuti grammaticali e di studio sistematico piuttosto che sull’uso, entrando palesemente in collisione con i cardini metodologici della didattica moderna delle lingue.

Intendiamo affrontare questa problematica partendo dalla seguente domanda: è possibile applicare i principi e gli orientamenti della glottodidattica moderna nell’insegnamento dell’italiano destinato a studenti giapponesi? Cercheremo di rispondere a questo interrogativo analizzando le caratteristiche

Sapere la lingua o competenza linguistica:

conoscenza degli aspetti linguistici utili per la costruzione di frasi e testi. Questa competenza riguarda sia la padronanza della fonologia, della morfosintassi, del lessico e della testualita’.

Sapere fare con la lingua o competenza sociopragmatica La

competenza pragmatica è la capacita’di raggiungere i propri scopi attraverso la comunicazione realizzando le diverse funzioni della lingua tramite atti linguistici. E’ inoltre la capacita’

sociale di usare modalità

comunicative adeguate al

contesto.

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dell’apprendente giapponese e provando a individuare approcci compatibili e sfruttabili con tale tipologia di apprendente.

Profilo dell’apprendente giapponese

Per tracciare il profilo dell’apprendente giapponese, così come per ogni tipo di apprendente, è necessario considerare vari ordini di fattori: fattori cognitivi, psicologici, socioculturali e pedagogici.

(Progetto ALIAS 1999). La prospettiva da cui osserveremo l’apprendente giapponese sarà una prospettiva andragogica che corrisponde al nostro ambito di esperienza e di osservazione e la tipologia di apprendente corrisponderà a quella degli studenti frequentanti corsi di italiano in Italia e in Giappone, in istituzioni pubbliche e private.

Dal punto di vista dei fattori cognitivi risulta interessante rimarcare da un lato considerazioni provenienti da studi neurolinguistici, dall’altro lato soffermare l’attenzione sugli stili di apprendimento che caratterizzano il popolo giapponese.

Dallo studente universitario al professionista in pensione, dal giovane, spinto dalle sete di novità e che si avvicina alla lingua italiana per saperne di più del made in Italy, alla persona di età matura sensibile al richiamo delle nostre belle arti, della nostra tradizione musicale e letteraria, come ogni adulto anche l’apprendente giapponese appare “imbrigliato” nella rete analitica del proprio pensiero, in quella parte sinistra del cervello a cui la scienza neurolinguistica delega appunto la funzione riflessivo-analitica a confronto con l’emisfero destro pulsante di creatività e capace di assorbimento globale delle informazioni. A fronte di questi ben noti studi, che orientano da sempre le ricerche in campo glottodidattico, non possiamo far altro che sottolineare l’evidente necessità di sistematizzazione della lingua che lo studente adulto manifesta, dalla quale l’apprendente giapponese non è esente. La richiesta di sistematizzazione linguistica risulta accentuata, per certi versi, nello studente giapponese e giustificata dalla distanza tipologica delle due lingue a confronto:

l’italiano e il giapponese.

La struttura sintattica basica SVO dell’italiano, nelle sue categorie di superficie quali soggetto, verbo, oggetto, distribuite nella frase nell’ordine sopracitato, ci propone un rovesciamento di due elementi sostanziali (verbo, oggetto) dell’ordine basico della lingua giapponese SOV

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, ribalta la logica grammaticale e concettuale della lingua nipponica e crea nello studente una sorta di disorientamento sintattico. Anche la mancanza di meccanismi flessivi del verbo nella persona e nel

7 Nel saggio di Nannini troviamo trattato l’argomento soprattutto in relazione ai processi di relativizzazione nella lingua giapponese a confronto con la costruzione della frase relativa nella lingua italiana ( Nannini A., 1996)

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numero nella lingua giapponese a confronto con l’abbonzanza flessiva della lingua italiana trasporta lo studente giapponese in un mondo linguistico eccessivamente dinamico, mobile e versatile , ma nello stesso tempo strutturato e complesso.

L’apprendente giapponese, pur avvalendosi di altre lingue conosciute, come ad es. l’inglese, portatrici di un sistema sintattico di ordine SVO, che facilitano e mediano molto spesso l’ingresso nella lingua italiana, rimane comunque esigente e bisognoso di spiegazioni grammaticali, di norme da imparare, di regole da seguire. L’insegnante sarà chiamato così a rispondere a queste richieste e a fornire agli studenti strumenti, attività, tempi e spazi adeguati; la grammatica pedagogica prevede in ogni caso l’adeguamento ai bisogni dell’interlocutore apprendente, e, lungi da fossilizzarsi in principi rigidi e inamovibili, si conforma al contesto, applicando metodi sia induttivi che deduttivi, qualora questi ultimi siano ritenuti necessari.

Sugli stili di apprendimento esistono molti studi e schematizzazioni e visto che l’ampiezza di queste ricerche non ci permette di affrontare esaurientemente l’argomento in questa trattazione, ci avvarremo di semplici nozioni di base sulle modalità di apprendimento. In ordine generale consideriamo tre modalità essenziali: modalità sensoriali/percettive, quando si apprende facilmente attraverso i sensi (visiva-verbale,visiva-non verbale, uditiva, cinestetica), modalità di elaborazione delle informazioni (globale e analitica), modalità di lavoro: individuale, di gruppo.

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Al primo approccio lo studente giapponese si manifesta come un individuo riservato, poco espressivo e poco abituato alla cooperazione in classe e quindi tendenzialmente incline ad un apprendimento individuale con preferenze per modalità di elaborazione di tipo analitico e con evidenti difficoltà nella sfera ricettiva e produttiva, soprattutto nelle abilità linguistiche orali.

Essendo appunto poco predisposto alla collaborazione in classe e alla espressività esplicita e diretta, l’apprendente giapponese spesso elabora comportamenti di rifiuto verbale e non verbale non facilmente decifrabili dall’insegnante. Zamborlin annovera fra i rifiuti non verbali l’elusione del contatto oculare e il silenzio come risposta ad una domanda posta dal docente alla classe o a un allievo. Il silenzio, chinmoku, nella cultura giapponese ha connotazioni diverse da quelle che può assumere in altre culture e

non è rappresentativo del disinteresse, dell’indifferenza o dell’ignoranza, ma fondandosi su valori culturali profondi, può invece significare rispetto, ascolto, comprensione, pudore, accordo, tolleranza, imbarazzo, diffidenza e risultare una vera e propria tecnica della comunicazione sociale.

8 Mariani L., 2000

Grammatica pedagogica

La grammatica pedagogica è una grammatica che facilita l’apprendimento linguistico ed è destinata sia a docenti che a studenti e a autori di libri di testo (P.Corder). Questo tipo di grammatica è costruita

specificamente allo scopo di descrivere una lingua per determinati gruppi di

apprendenti, spesso parlanti non nativi. E’ costituita da un

insieme variegato ed eclettico di materiali che mirano alla

comprensione e alla produzione

di una lingua. (Anna Ciliberti,

2013).

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Si tratta dunque di riconoscere e comprendere certi atteggiamenti ed operare in direzione interculturale; con una frequentazione più lunga ed una conoscenza più approfondita lo stesso studente può infatti rivelare al docente che lo sostiene nella pratica dell’apprendimento e che lo osserva dal punto di vista dello stile cognitivo una personalità e uno stile di apprendimento più flessibili e più plastici del previsto.

In una classe gestita secondo termini comunicativi, tendenzialmente volta all’accorciamento delle distanze fra i soggetti agenti (studenti e insegnante), con obiettivi mirati alla creazione di situazioni linguistiche il più possibile autentiche e reali e con un’esposizione a varianti espressive compresa quella gestuale/corporea, anche lo studente giapponese riesce gradualmente a rompere gli schemi di un apprendimento formale, ad accogliere gli stimoli ricevuti e a trasformare la sua presunta rigidità in un atteggiamento più complice e cooperativo.

Come risulta dai questionari distribuiti agli studenti frequentanti l’IIC di Tokyo

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, la modalità di lavoro preferita dagli apprendenti giapponesi sembra essere quella di coppia, seguita da quella singola, di gruppo e di classe. L’apprendente giapponese rimane dunque fedele alla propria natura timida, preferisce un confronto e una collaborazione circoscrivibili a poche persone, predilige attività con consegne formalizzate e ben riconoscibili, non si espone volontariamente aprendo discussioni e provocando dibattiti, nello stesso tempo però, a nostro avviso, non risulta “assente” e

“passivo”.

A sostenere quest’ultima affermazione a favore della non passività tout court dello studente giapponese elenchiamo alcuni aspetti rilevanti del suo apprendimento: il notevole impegno e la forte applicazione nello studio di una lingua scelta generalmente con motivazioni elevate, la serietà durante il percorso di studio, il rispetto e l’affidamento/fiducia nei confronti dell’insegnante sostengono il processo di apprendimento

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e portano infatti lo studente giapponese a presenziare i momenti didattici con interesse e partecipazione, anche se in modo speciale, o non ordinario, che l’insegnante è chiamato a cogliere e valorizzare sia in classi eterogenee linguisticamente che in classi omogenee. Nel caso di classi composte da studenti provenienti da varie realtà geografiche e linguistiche, ed è spesso il caso dell’insegnamento dell’italiano L2 in Italia, il docente, svolgendo la funzione di catalizzatore di risorse umane e operando nella direzione dell’integrazione dei saperi, delle identità socioculturali, delle personalità e degli interrogativi per la realizzazione di un ambiente di apprendimento armonico e accogliente, dovrà dunque apprezzare quegli aspetti positivi che caratterizzano lo studente giapponese e favorire il suo inserimento nella comunità di

9 Davies R., Ikeno O., 2007

10 Maggia F., Quaglieri A., Dalla parte degli apprendenti: indagine conoscitiva sull’apprendimento dell’italiano come LS visto dagli studenti dei corsi di lingua dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo in Gesuato M.K, Peruzzi P., Tokyo 2009

11 Serragiotto G., 2002

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apprendenti adeguando, all’occasione, risposte e accorgimenti mirati, ma non essenzialmente differenziati.

Se la composizione della classe risulta essere omogenea dal punto di vista linguistico e culturale, sia in condizione di insegnamento dell’italiano in Italia che all’estero, l’insegnante, trovandosi di fronte a stili di apprendimento simili, e quindi ad una sorta di compattezza comportamentale, si troverà, in misura piuttosto consistente, a dover adeguare il proprio stile di insegnamento e ad integrarsi con il suo pubblico, pur non rinunciando a principi metodologici prescelti. Nella classe monolingue di apprendenti giapponesi l’insegnante di italiano, tenendo conto delle caratteristiche cognitive spesso altamente uniformate dell’interlocutore, dovrà valutare con attenzione le richieste e il contesto e corrispondere in misura adeguata ad essi, non trascurando, anche in questo caso, di trasmettere la lingua attraverso approcci e metodi che vedano comunque nella comunicazione il perno dell’atto e dello studio linguistico. A questo proposito il questionario distribuito ai docenti dell’IIC di Tokyo, in cui docenti si autosservano e osservano gli studenti, può rappresentare un indicatore di riferimento per tutti coloro che si trovino in situazioni di classe monolingue di giapponesi.

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Passando ai fattori psicologici la riflessione includerà sia considerazioni sulle caratteristiche caratteriali individuali e sulle caratteristiche psicologiche di un adulto sia su aspetti correlati alla consapevolezza del processo di apprendimento.

Quando un adulto si affaccia all’apprendimento di una lingua normalmente si scontra con remore di tipo psicologico, manifestando atteggiamenti di autodifesa e controllo della situazione. L’adulto tende a difendere infatti la propria immagine, il proprio bagaglio culturale e intellettuale, in breve non vuole “perdere la propria faccia” e affronta la sfida dell’apprendimento di una nuova lingua in modo sicuramente differente da quello di un bambino o di un adolescente. L’identità maggiormente scolpita di un adulto può costituire dunque in questo senso una sorta di ostacolo all’

acquisizione/impiego delle informazioni linguistiche, inoltre anche la presenza di quella che si definisce consapevolezza glottomatetica, con la quale si intende l’elaborazione di idee riguardanti il metodo con cui si insegna o si dovrebbe insegnare una lingua e il modo in cui si apprende o si dovrebbe apprendere, può risultare condizionante e pregiudicante.

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D’altra parte però accanto alle barriere psicologiche si riconoscono nell’adulto una motivazione e autostima più fondate, generalmente superiori rispetto a quelle di un apprendente più giovane e garanti di continuità e applicazione, che certamente favoriscono e sostengono il processo di apprendimento linguistico.

12Quaglieri A., La didattica dell’italiano come LS all’Istituto Italiano di Tokyo, in La lingua italiana in Giappone.

Insegnare e apprendere, op.cit., 2009

13 PROGETTO ALIAS 2009

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Secondo la prospettiva psicologica l’apprendente giapponese, autovalutandosi scarsamente dotato nell’apprendimento di lingue straniere, probabilmente per la percezione dell’isolamento e della lontananza della propria lingua madre dalle lingue straniere più diffuse e conosciute, manifesta un atteggiamento sicuramente più ricettivo che produttivo ed accanto alla ben nota riservatezza si aggiunge l’insicurezza dettata da una bassa autostima come studente di lingua.

Inoltre nell’apprendente giapponese, più che di consapevolezza glottomatetica, si potrebbe parlare di abitudini nello studio linguistico. Lo studente giapponese è infatti abituato ad approcciare una lingua straniera leggendo testi e a produrne una traduzione letterale riorganizzandone i contenuti secondo lo schema frasale della lingua giapponese (tecnica o metodo di lettura yakudoku)

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. Distaccarsi da questi vissuti comportamentali e da questi schemi di studio, assunti personalmente e consolidati nel tempo, non è facile e spesso lo studente giapponese adulto, a confronto con metodologie differenti, deve reimpostare o addirittura cambiare le proprie convinzioni. L’esperienza personale di insegnamento a studenti giapponesi, soprattutto in situazione di insegnamento in Italia in classi eterogenee e non a composizione monolingue, testimonia che tali studenti affrontano questa reimpostazione con un iniziale spaesamento al quale però segue, quasi sempre, una accettazione e una comprensione dell’approccio metodologico proposto. Anche in questo caso, come per gli stili cognitivi o di apprendimento, ci sentiamo di affermare che l’apprendente giapponese, pur conservando a ragione la propria natura caratteriale, è capace di rimodellarsi ed è disposto pazientemente a confrontarsi con il “nuovo” dal quale tutto sommato è attratto.

Aggiungiamo, in ultima analisi, qualche osservazione concernente i fattori socioculturali e pedagogici che influenzano l’apprendimento della lingua.

Nel campo della comunicazione interculturale è di estrema importanza, a nostro avviso, lavorare verso l’innalzamento della presa di coscienza della ricchezza che si viene ad acquisire quando due o più sistemi socioculturali si ritrovano a confronto. I numerosi studi applicati in questo ambito sottolineano questa importanza, ma nel passaggio dalla teoria alla prassi non sempre questo concetto risulta facilmente praticabile e sostenibile. Anche l’insegnante di lingua italiana L2, per quanto esposto ed educato al dialogo fra le culture, può rimanere condizionato da stereotipi sociali e, riportandoli in classe, costruirsi schemi, delineare tipologie culturali troppo statiche, attribuire, generalizzando, a questa o a quella cultura atteggiamenti fissi e spersonalizzanti.

Si tratta quindi di muoversi verso una dimensione di ascolto dell’altro, di contatto rispettoso delle voci, immagini, pensieri culturali differenti; una cultura in fondo “si abita”, “si vive” ed è per questo che non è possibile riprodurla, ma solo comprenderla ed accoglierla.

14 In Zamborlin troviamo riferimenti alla tecnica di studio yakudoku largamente diffusa in Giappone e applicata allo studio delle ligue straniere (Zamborlin C., 2003).

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Proprio in questa prospettiva inseriamo il confronto con la cultura giapponese che, a livello sociopragmatico, sappiamo essere diversa dalla nostra. Non volendo rimarcare aspetti culturali giapponesi ben noti e forse anche stereotipati, come il rispetto per le regole di superiorità nelle relazioni, la dipendenza dalla benevolenza altrui, amae in giapponese, l’ambiguità, intesa come condizione in cui esiste più di un significato possibile, la comunicazione sottintesa, la distanza fra le persone, la virtù della modestia, la coscienza di gruppo

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, ci sembra interessante tuttavia sottolineare che la differenza con la cultura italiana è sicuramente esistente e visibile, anche se nella cultura contemporanea si sta assistendo ad una sorta di omologazione comportamentale che abbraccia un po’ tutte le società.

L’internazionalizzazione e la globalizzazione, facilitando la circolazione comunicativa e permettendo, con vantaggi e svantaggi, la commistione culturale hanno reso infatti più vicini e simili i popoli e anche ai giapponesi, soprattutto ai giovani, non sono certo estranee le culture occidentali di cui riconoscono simboli e segnali.

Per quanto riguarda i codici socioculturali assistiamo quindi ad un’interessante esplorazione fra la cultura giapponese e quella italiana che, come abbiamo evidenziato nelle premesse di questo contributo, sembrano esercitare l’una sull’altra un fascino attrattivo reciproco.

Dal punto di vista prossemico e cinesico i comportamenti differenti delle due culture sono evidenti e potenzialmente potrebbero dar vita a fraintendimenti se erroneamente interpretati, ma ciò che si verifica spesso è invece che lo studente giapponese, avendo scelto la lingua italiana proprio perchè veicola una cultura per lui affascinante, risulta attratto anche da questi aspetti e l’italiano che gesticola e che saluta calorosamente abbracciando e dispensando baci, suscita curiosità e divertimento più che smarrimento e disorientamento.

Nell’ agire comunicativo interculturale è fondamentale che il dialogo avvenga in condizioni di parità e non di dominanza o superiorità culturale affinchè si creino i presupposti per una comprensione reciproca. La glottodidattica si avvale infatti a questo proposito del supporto di altre scienze, quali la sociolinguistica e la pragmalinguistica, che le forniscono informazioni e l’aiutano ad organizzare la comunicazione e a perseguire non solo obiettivi di natura linguistica, ma anche culturale/interculturale.

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Nel caso del dialogo interculturale fra Giappone/Italia ci troviamo a confronto con due culture con connotati forti e quindi esenti da pericolo di dominanza e sopraffazione, e il dialogo avviene generalmente a condizioni paritarie nel rispetto della libertà espressiva degli interlocutori.

15 Gli aspetti culturali elencati sono analizzati in Davies R., Ikeno O., 2007

16 Balboni P., 2007

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Nell’identità culturale di appartenenza includiamo anche i sistemi scolastici e le metodologie educative praticate che contribuiscono a comporre il patrimonio culturale e il vissuto dell’apprendente.

In Beauchamp e Stapleton troviamo informazioni relative al sistema educativo giapponese che sembra, a loro avviso, seguire, a tutt’oggi, la storica impostazione confuciana basata essenzialmente su tre valori : senso gerarchico, memoria e fatica.

Ne fa menzione Zamborlin che inquadra “ lo sforzo intellettuale” dell’apprendente giapponese all’interno di questi valori di riferimento e ne spiega i presupposti.

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Dopo la seconda guerra mondiale il sistema scolastico giapponese ha subito delle trasformazioni importanti e l’educazione ha assunto un ruolo guida per la ripresa del paese, per lo sviluppo economico, sociale e culturale e per l’affermazione dell’individuo nella società. Generalmente si attribuiscono alla scuola giapponese e al suo sistema educativo caratteri di rigore, disciplina, efficienza, un’impostazione che tende a creare individui diligenti, laboriosi e rispettosi delle regole.

Per esperienza di chi scrive lo studente giapponese adulto, all’interno della classe di lingua, è di norma un interlocutore attento e disciplinato, capace di eseguire con scrupolosità e concentrazione attività assegnate, rispettoso delle norme di convivenza e tendenzialmente applicato allo studio, disposto anche a rinforzare lacune linguistiche e a ripetere, all’occorrenza e per scelta propria, livelli linguistici non superati. La creatività, che spesso è indicata come componente deficitaria nell’apprendente giapponese, giustamente stimolata dall’insegnante e magari richiesta da attività proposte, trova anch’essa modo per manifestarsi e, soprattutto nei giovani a volte si assiste ad una sorta di apertura caratteriale, con probabilità permessa da una cultura e da metodi educativi più flessibili e dinamici.

Consapevoli che la differenziazione delle realtà di insegnamento/apprendimento (ad esempio la realtà degli studenti che accedono ai corsi di italiano nelle Università giapponesi sembra presentare un quadro diverso da quello da noi raffigurato sia per motivazioni allo studio che per applicazione), in sostanza riteniamo che l’apprendente giapponese che si avvicina alla nostra lingua, pur rimanendo portatore di certe caratteristiche cognitive, psicologiche e culturali che portano a dipingerlo come un soggetto non particolarmente attivo, rappresenti una tipologia di studente con una notevole motivazione intrinseca che lo agevola e lo rende comunque desideroso di una nuova esperienza, disponibile all’entrata di nuovi contenuti e alla sfida dell’apprendimento.

17 Riportiamo di seguito ciò che Zamborlin afferma riguardo ai tre valori di riferimento per il sistema educativo giapponese: “ il senso della gerarchia rende i discenti consapevoli di trovarsi in una posizione subalterna a quella del docente i cui insegnamenti, generalmente, non vanno messi in discussione. La memoria rappresenta una facoltà nobile, superiore alla creatività, il che appare probabilmente comprensibile se si considera che la lingua scritta diq uesti allievi si fonda su un doppio sistema sillabico e su un complesso set di ideogrammi. La fatica, infine, è intesa come un valore da coltivare perchè nobilita lo spirito e tempra la personalità”, Zamborlin C.,2003

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Orientamenti generali su approcci e metodi in classi di apprendenti giapponesi

Dalla panoramica sull’apprendente giapponese ritorniamo alla domanda formulata nella premessa di questo contributo, dedicato a riflessioni sull’insegnamento della lingua italiana a studenti giapponesi. La questione che ci siamo posti, che riguarda l’applicazione dei nuovi metodi glottodidattici in contesti di insegnamento/apprendimento in cui siano presenti apprendenti giapponesi o in classi composte esclusivamente da loro, trova, secondo noi, la sua risposta in un approccio che potremmo chiamare “integrato”. Usiamo questa denominazione per indicare un approccio che stabilisca un equilibrio fra metodi, strategie, attività e materiali di varia connotazione e natura, e che si ponga come obiettivo la giusta integrazione degli stessi.

L’approccio eclettico, che trova le sue ragioni, come ben esprime Ciliberti

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, non tanto in “ una disordinata mescolanza di concetti, nozioni, metalinguaggi,” ma nella libertà dell’insegnante di riferirsi a più fonti e pensieri e di una loro successiva applicazione ragionata nell’ambiente didattico, potrebbe anche risultare confacente al nostro caso, ma preferiamo adottare l’ appellativo integrato che indica ancor più precisamente l’intenzione di integrare metodi anche differenti allo scopo di corrispondere ai bisogni specifici dell’apprendente giapponese.

Nell’organizzazione del sillabo, nella selezione dei contenuti, nella scelta dei modelli operativi, in qualsiasi operazione didattica il docente si trova sempre a praticare scelte selettive per meglio corrispondere al contesto e alle richieste dell’interlocutore. Così, davanti a classi omogenee di giapponesi, come di fronte a singoli inseriti in classi eterogenee, l’insegnante userà consapevolmente strategie e accorgimenti didattici utili a soddisfare particolari bisogni.

Riportiamo di seguito alcuni elementari esempi di possibile integrazione di metodi e strategie, riferiti sia alla didattica della grammatica che alla pratica di atti comunicativi:

• affiancamento di una eventuale grammatica di tipo “deduttivo” alla riflessione grammaticale di tipo “induttivo” assecondando la sistematizzazione delle regole integrata con percorsi in cui la grammatica si trova, inventional grammar;

• accettazione di richieste di eventuale grammatica contrastiva per lo studio della sintassi (es.

sull’organizzazione frasale in italiano a confronto con quella della lingua giapponese), ma nello stesso tempo mantenimento costante dell’uso della lingua italiana nella comunicazione in classe;

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• acquisizione dei registri informale e formale con la pratica di ascolto e produzione, ma all’occorrenza, con la creazione di esempi frasali chiari e contestualizzati da “memorizzare”

e reimpiegare.

Per ciò che concerne i formati didattici e la correlata gestione della classe, argomenti ben trattati ed esposti in un esauriente capitolo del Manuale di Didattica dell’italiano L2 di Diadori, Troncarelli, Palermo, dalla lezione frontale all’espressione libera individuale tutti potranno essere visitati, ma mantenendo comunque salda la posizione-guida dell’insegnante che rappresenta per gli studenti giapponesi un modello di riferimento per il momento indiscutibile. Il docente di lingua straniera, nella sua polimorfica funzionalità e azione, assume in alcuni approcci moderni atteggiamenti sicuramente poco direttivi e si propone più nella veste tutoriale e di facilitatore della comunicazione e dell’apprendimento piuttosto che in quella di conoscitore della materia e detentore del sapere. Lo studente giapponese sembra invece continuare ad attribuire all’insegnante un ruolo fondamentale e centrale nell’interazione in classe, riconoscendolo sia come trasmettitore della conoscenza che come valutatore dell’apprendimento oltre che come modello comunicativo e culturale. Pur accettandone i nuovi ruoli e apprezzandone la vicinanza e l’ approccio umano e umanistico, l’apprendente giapponese mantiene spesso verso il proprio docente un rispetto, una riverenza e una distanza tipici dell’allievo/discepolo nei confronti del proprio maestro e per questo riteniamo che l’accezione e la funzione di mentor sia quella che più corrisponda alle sue aspettative.

Emerge sostanzialmente l’idea che lo studente giapponese, come qualsiasi altro soggetto che agisca in un ambiente di apprendimento guidato, abbia la necessità di appoggiarsi a strumenti, figure di sostegno per migliorare e ampliare le proprie potenzialità personali.

Si tratta dunque di organizzare e affinare gli strumenti, di allestire un adeguato e ricco repertorio delle risorse, di adeguare e integrare metodi, di modellare i ruoli affinchè l’esperienza di apprendimento diventi per ognuno una occasione di vita e di confronto di grande valore.

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Paola Peruzzi, laureata in Lettere e Filosofia all’Università di Siena nel 1982, è docente

stabilizzata di lingua italiana L2 presso il Centro linguistico dell’Università per Stranieri di Siena dal 1992. Si è occupata della formazione dei docenti di italiano L2 e LS in collaborazione con il Centro DITALS, e ha tenuto corsi sia in Italia che all’estero. Ha pubblicato testi nel campo dell’insegnamento dell’italiano L2 /LS e saggi riguardanti la didattica dell’italiano. Attualmente si occupa particolarmente della didattica dell’italiano per apprendenti giapponesi.

Riferimenti

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