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Ipotesi interpretative

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

Ipotesi interpretative

I dati raccolti e analizzati durante questo lavoro delineano un quadro piuttosto complesso. Consideriamo in primo luogo l’osservazione macroscopica dei campioni. Una differenza rilevante si nota nella percentuale di frazione fine. Sembra che alcune malte siano state preparate utilizzando della calce, altre sono costituite solamente da materiali terrosi ma presentano percentuali di argilla piuttosto elevate, altre ancora sono composte da sabbie e da una piccola quantità di materiali a granulometria fine.

Davanti a questa varietà non possiamo fare a meno di chiederci se le differenze siano legate a un’effettiva scelta di carattere tecnico operata al momento della messa in opera, se cioè l’impiego di un tipo di materiale piuttosto che un altro sia casuale o frutto di una scelta strutturale specifica. Contestualizzando i dati analitici della schedatura dei campioni e le suddivisioni cronologiche degli interventi edilizi possiamo condurre alcune osservazioni riguardo la variabilità dei tipi di malta impiegati

Nel Periodo II l’unico campione prelevato è 1105, proviene dalla struttura A1013, non mostra tracce di calce nel legante e la percentuale di argille è piuttosto scarsa, circa il 15%.

L’analisi gasometrica ha registrato una percentuale di CaCO3 dello 0,77%. Sebbene questa

percentuale sia estremamente bassa è superiore alla media dei campioni raccolti. Tuttavia questo risultato potrebbe essere legato alla presenza di granuli di calcare (quindi un materiale non trattato ma naturalmente presente nelle sabbie). Questo materiale si riferisce a una struttura di cronologia incerta, collocabile grossomodo tra VII e IV secolo a.C.,(Parodi, 2012) e incerta funzione. Ugualmente nell’analisi termica questo campione mostra picchi che non si rilevano nelle analisi dei materiali cronologicamente posteriori mentre dall’analisi diffrattometrica risulta che la composizione mineralogica non è differente da quella dei campioni provenienti dalle strutture più tarde.

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Quando il complesso si sviluppa il panorama delle malte impiegate si differenzia.

Il Periodo III testimonia una complessa successione di interventi edilizi1.

Durante la Fase 1 che si colloca intorno agli inizi del I sec. a.C. viene impiantato il primo edificio le cui strutture sono in seguito rasate al livello di fondazione. Sono stati prelevati da queste strutture i campioni 9138, 9215, 8120. I tre i campioni hanno caratteristiche composizionali simili tra loro: di nuovo non si registra all’osservazione macroscopica la presenza di calce, anche le argille non sono presenti in gran quantità e la consistenza risulta molto friabile. Il campione 8120 è stato selezionato per le analisi. La gasometria mostra una percentuale di CaCO3 pari allo 0,62%, di nuovo i minerali individuati tramite diffrattogramma sono Clorite, Illite eVermiculite mentre l’analisi termica segnala una forte perdita di massa (-5,43%) con un picco iniziale pronunciato tra 0° e 100°, un secondo picco più modesto tra 280° e 300° e un terzo tra 450° e 500°.

La Fase 2 testimonia una profonda trasformazione del sito avvenuta nei primi decenni del I sec. d.C. In quest'arco cronologico l’attività edilizia è imponente, si definiscono una serie di ambienti che gravitano attorno a due cortili porticati. La maggior parte dei campioni classificati come Tipo 2 appartiene a questa fase.

Pare che l’impiego di malte “bastarde”, in cui la calce è miscelata all’argilla e alle sabbie, si concentri sulle strutture perimetrali, cioè le murature del complesso che affacciano sui cortili porticati e verso l’esterno.

Tuttavia l’osservazione macroscopica non sembra trovare riscontro nelle percentuali di

CaCO3 desunte dalle analisi gasometriche, che registrano percentuali di CaCo3 molto

basse.

È stata avanzata l’ipotesi che alcune murature di questa fase, delle quali si sono conservati soltanto alcuni corsi, fungessero da zoccolo per un alzato in terra cruda. Questa ipotesi è supportata dal ritrovamento nel Settore 2000 di depositi a matrice argillosa, piuttosto selezionati e uniformi nella composizione, con un andamento a conoide, spessore maggiore in prossimità delle strutture e digradante verso il centro del Settore. Si tratterebbe di strati derivati dal crollo in posto di alzati in argilla (Parodi, 2012). Tuttavia le malte utilizzate per la costruzione di questi zoccoli in muratura non si differenziano da quelle impiegate in murature interamente in pietra.

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La Fase 3 si colloca tra l’età Claudia e la fine del I sec. d.C. (Parodi, 2012), anche in questo arco cronologico si registra un’intensa attività edilizia.

I campioni prelevati appartengono in gran parte ai Tipi 3 e 4, quindi con una percentuale bassissima di argilla, mentre materiali a granulometria fine sono ben presenti nei campioni coevi provenienti dai settori 10000 e 7000.

I grafici delle analisi termiche dei campioni 10015, 240 e 6008 (rispettivamente Tipo5, 3 e 4) sono molto simili, con picchi molto pronunciati tra 0° e 100°, picchi ben visibili anche a 500° e picchi più moderati a 250°.

I minerali argillosi registrati dal diffrattogramma sono sempre Clorite, Illite e Vermiculite, con prevalenza dei primi due.

Si sottolinea che in questa Fase l’impiego di calce sembra essere stato abbandonato.

La Fase 4 è l’ultima fase di vita dell’edificio, rimasto in uso fino al II secolo d.C (Parodi)., che termina con il crollo di parte della struttura, forse dovuto ad un evento sismico.

Si osserva un ridotto numero di campioni appartenenti ai tipi contenenti calce, concentrati nei settori 9000 e 6000.

Come nella fase precedente sono preponderanti i campioni del Tipo 3 e 4 con qualche materiale del Tipo 5.

Il campione 339 mostra un grafico TG/DSC molto simile ai campioni della fase

precedente. In sezione sottile sono visibili argilliti (di probabile origine locale2 che

costituiscono la maggior parte dell’aggregato.

Come già sottolineato in tutte le malte osservate sul sito la frazione argillosa è sempre presente in percentuali più o meno rilevanti. Se ne deduce che, a prescindere dall’impiego della calce, l’argilla è il materiale legante di base per la preparazione delle malte. Anche nei casi in cui è percepibile a occhio nudo uno “sbiancamento” dei materiali da mettere in relazione con l’impiego di calce, la misurazione della CaCO3 mostra percentuali

estremamente basse rispetto a quanto generalmente rilevato per malte a base di calce3.

Non si osserva in nessun caso la presenza di malte composte solo di calce e sabbie, così

come descritte nei ricettari antichi4.

2 Cfr infra capitolo 2 (pp. XXX)

3 Nella malte a base di calce la percentuale di legante si attesta attorno al 20-25% (Coutelas, 2009) 4

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Questo dato appare disorientante se si pensa che le malte utilizzate nella porzione residenziale della villa sono confezionate con calce di buona qualità e risultano assai tenaci. Inoltre possiamo immaginare che l’approvvigionamento di calcare sul sito non

fosse un problema considerando gli affioramenti della cava di Niquila adiacenti l’area5.

Per quale motivo i materiali edilizi di due parti dello stesso complesso sono così diversi?

Come descritto nel Capitolo 16 l’uso della terra cruda nell’architettura privata non va

considerato un indice di edilizia povera, siamo piuttosto portati a pensare che la grande disponibilità di argilla nel contesto ambientale ne abbia favorito l’impiego. L’uso della terra cruda sarebbe stato frutto di una scelta precisa e non dettato da difficoltà nel reperimento di altro materiale.

Le differenze nella composizione delle malte non sono collegate in modo univoco alla funzione delle murature in cui sono impiegate, eccezione fatta per un debole impiego di calce nei muri perimetrali durante le Fase 2. L’aggiunta di calce ad un impasto composto da argille e sabbie non costituisce un elemento di particolare solidità e stabilità per la malta. Nei ricettari antichi è più volte specificato che le sabbie da miscelate alla calce

spenta devono essere pure, lavate e selezionate7, poiché l’eventuale presenza di particelle a

granulometria fine potrebbe influenzare negativamente le proprietà di coesione della calce.

Le caratteristiche coesive naturali delle argille8 vengono alterate quando sono manipolate

per farne materiale edilizio. La disposizione geometrica delle particelle viene modificata, inoltre l’aggiunta di calce può causare mutamenti nella frazione coesiva cambiando l’insieme dei caratteri chimico-fisici e meccanici del materiale. L’ossido di Calcio reagisce con alcune specie di minerali argillosi e si possono verificare fenomeni di sostituzione cationica entro i reticoli di questi ultimi (Fieni, 1999). In ogni caso l’aggiunta di calce provoca l’aumento della percentuale di frazione fine nelle malte incrementandone la densità, e causando variazioni nella permeabilità del materiale (Fieni, 1999). Le malte “bastarde” non raggiungono mai il grado di indurimento tipico delle malte di calce. Alla luce di queste osservazioni l’impiego della calce potrebbe sembrare frutto di poca accuratezza o di una scarsa coscienza delle proprietà dei materiali da costruzione, ma la misurazione della percentuale di CaCO3 sottolinea che le quantità impiegate nel composto sono sempre molto basse, a conferma dell’ipotesi secondo la quale l’utilizzo dell’argilla come legante fosse una scelta consapevole delle maestranze.

5 Cfr infra cap.2 pp. XX riguardo la cava di Niquila. 6 Cfr infra cap.1 pp. XX

7 Ancora sull’argomento Vitruvio nel De Architectura. 8

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Se invece valutiamo le malte costituite solamente di materiali terrosi allora la percentuale di argille presenti gioca un ruolo importante soprattutto dal punto di vista strutturale. Alcuni campioni contengono una percentuale bassissima di materiale fine che assolva alla

funzione di legante, in sezione sottile9 i granuli risultano separati da numerosi pori e di

conseguenza queste malte hanno consistenza estremamente friabile, quasi sciolta. Non possiamo pensare che materiali di questo tipo fossero messi in opera così come li vediamo oggi.

Altri campioni mostrano percentuali di argille e limi molto più rilevanti. In questi casi la frazione fine colma i vuoti tra le particelle dello scheletro garantendo il fenomeno di packing e donando stabilità al materiale.

Per quanto riguarda gli aggregati pare vi sia una grande varietà di materiali con dimensioni differenti, ma l’origine dei granulati è quasi sempre locale (argilliti e arenarie in gran parte), forma e arrotondamento dei clasti suggeriscono l’origine alluvionale dei sedimenti da cui provengono le materie prime. Possiamo avanzare l’ipotesi che l’approvvigionamento avvenisse poco lontano dal sito, probabilmente nei pressi del lago. Specifiche analisi andrebbero effettuate per verificare questa ipotesi, un campionamento sistematico dei depositi della piana fluviale intorno al sito, accompagnata dall’analisi degli stessi, costituirebbe un utile riferimento per tracciare la mappa dei luoghi di cavatura delle materie prime.

L’eccezione è rappresentata dalla presenza di alcuni frammenti di pomice. Le analisi mostrano come le caratteristiche chimiche siano compatibili con i prodotti dell’attività vulcanica dell’Italia centrale. La grande quantità di prodotti ceramici di importazione rinvenuta sul sito (Ghizzani Marcìa, 2012), tra cui anche diversi pezzi provenienti dall’area campana, testimonia come gli abitanti del complesso avessero pieno accesso ai traffici marittimi in area tirrenica e che dunque non avessero difficoltà a procurarsi un materiale come la pomice che proveniva da regioni lontane.

La pomice venne generalmente utilizzata in edilizia a partire dall’età romana per la confezione di malte con proprietà idrauliche poiché a contatto con la calce innesca una reazione che produce le cosiddette fasi C S H cioè produzione di gel rigidi di silicati idrati di calcio che aumentano la proprietà di coesione del materiale (Miriello et al., 2010-b). L’aggiunta della pomice a miscele non reattive non innesca gli stessi processi e di conseguenza viene a mancare l’effetto dell’aumento di stabilità e solidità delle strutture.

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Non è chiaro quindi quale sia il motivo per cui sabbie pozzolaniche furono aggiunte all’impasto terroso.

Per quanto riguarda le tecniche di lavorazione delle materie prime è interessante comprendere se fossero prelevate direttamente porzioni di sedimenti poco classati, e quindi la manipolazione fosse quasi nulla, o se argille pure venissero mescolate a sabbie selezionate, calibrando le percentuali per ottenere una buona resa. In generale i granulati presenti nei campioni non sono classati, mentre nel caso di miscele di sabbie selezionate e argilla ci aspetteremo di riscontrare la prevalenza di una classe granulometrica. Inoltre la percentuale di argilla è estremamente variabile da 10% a 30%.

Forse proprio la variabilità naturale della percentuale di argille e limi nei depositi alluvionali potrebbe aver indotto i costruttori antichi ad effettuare in qualche caso delle aggiunte di materiale fine, forse anche calce, con lo scopo di far aumentare la densità media della malta, per garantire maggiore stabilità a livello strutturale.

Tuttavia rimangono alcuni dubbi su come sia possibile che alcuni materiali abbiano una consistenza apparentemente troppo friabile per poter assolvere alla funzione di malte da allettamento. Possiamo immaginare che durante la vita dell’edificio le strutture fossero continuamente monitorate e che fossero fatti eventuali restauri laddove le malte di terra potevano avere cedimenti, a causa soprattutto degli agenti atmosferici.

Dopo l’abbandono del sito, venendo a mancare gli interventi di manutenzione, sui materiali oggetto di studio hanno agito alcuni processi postdeposizionali che ne hanno alterato le caratteristiche chimico-fisiche. Gli indizi di questi processi sono labili, tuttavia è possibile condurre qualche osservazione.

Per la realizzazione di alcune murature sono stati impiegati conci in roccia calcarea, del medesimo materiale sono anche i basamenti delle colonne del porticato del settore 4000. Tutti questi elementi presentano una fortissima alterazione superficiale. Addirittura i conci inseriti nelle murature sembrano essersi “consumati” lasciando uno spazio vuoto nella posizione che dovevano occupare originariamente.

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Figura 1_Particolare del prospetto AA, settore 6500.

Qual è la causa di questa forte alterazione?

L’ipotesi è che si tratti di un fenomeno che ha avuto luogo dopo l’abbandono del sito poiché eventuali vuoti che si fossero aperti nelle strutture durante la vita del complesso sarebbero stati colmati con interventi di restauro.

Il maltempo degli ultimi mesi ha dato modo di osservare come lungo il pendio della collina di Massaciuccoli scorra una grande quantità di acqua, soprattutto nei periodi dell’anno in cui le precipitazioni sono più abbondanti. Questo flusso provoca frequenti allagamenti nell’area del sito tanto che gli operatori dell’area archeologica e la Soprintendenza per i Beni Archeologici hanno dovuto avvalersi dell’aiuto dei Vigili de Fuoco per bonificare l’area, che rischiava di diventare pericolosa per la viabilità sulla vicina Via Pietra a Padule.

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Questo dato indica che anche prima dello scavo, nei secoli in cui il sito è rimasto interrato, doveva essere interessato da un’abbondante circolazione di acqua di falda.

Ad avvalorare questa ipotesi nelle sezioni sottili si notano sempre delle pellicole di argilla a riempimento dei pori o a contatto con la superficie esterna dei clasti, queste figure pedologiche sono traccia di un’abbondante circolazione di acqua che trasportava i materiali fini e li depositava all’interno dei vuoti. Probabilmente l’alterazione del calcare è stata causata proprio dall’acqua, secondo processi assimilabili a quelli che avvengono nelle regioni carsiche.

La corrosione delle rocce calcaree avviene per opera delle acque meteoriche che, oltre a contenere una certa quantità di anidride carbonica atmosferica disciolta al loro interno, si

arricchiscono ulteriormente di CO2 scorrendo sulla superficie del suolo, e penetrando al suo

interno. Queste acque reagiscono con la roccia calcarea intaccandola lentamente, sia in superficie che infiltrandosi nel reticolo. Con il passare del tempo l'acqua discioglie la roccia, in superficie e in profondità, infiltrandosi in linee di frattura o venature.

I complessi fenomeni chimici di dissoluzione e precipitazione in ambiente carsico possono essere sintetizzati nella formula:

CO2+H2O+CaCO3= Ca(HCO3)2

Contrariamente al carbonato di calcio (CaCO3) praticamente insolubile, il carbonato acido

di calcio (Ca(HCO3)2) si dissocia in acqua in ioni Ca++ e HCO3-che vengono asportati

dall'acqua dilavante.

Il materiale non disciolto (es. silice e ossidi metallici) va a costituire i cosiddetti depositi residuali, sovente associati alle forme carsiche.

L’osservazione del frammento di base di colonna in sezione sottile mostra sulla superficie lenti di ossidi metallici, la crosta di alterazione è formata da granuli disgregati mentre all’interno la roccia conserva le sue caratteristiche originarie.

Se questa reazione accompagnata da dissoluzione e dilavamento è avvenuta sul marmo messo in opera alterandolo così intensamente da provocarne una forte riduzione delle

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dimensioni, allo stesso modo questo processo potrebbe avere intaccato un’eventuale

frazione di CaCO3 contenuta nelle malte.

Purtroppo non abbiamo nessun elemento che possa confermare l’ipotesi secondo la quale la percentuale di calce usata per la confezione della malte fosse maggiore al momento della posa in opera, e che le malte di Massaciuccoli abbiano subito un’alterazione causata dal passaggio dell’acqua sotterranea. Tuttavia questa interpretazione spiegherebbe anche come mai alcune malte oggi hanno una consistenza che male sia accorda con esigenze statiche di una costruzione in pietra, inoltre la presenza seppur ridotta di calce avrebbe giustificato l’aggiunta della pomice.

Questa teoria seppur suggerita dall’analisi dei marmi non può essere confermata dai dati di laboratorio, poiché la percentuale di calce eventualmente impiegata doveva essere molto bassa e la sua dissoluzione in molti casi non avrebbe lasciato traccia alcuna se non in negativo.

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