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CAPITOLO 1 LA STORIA DELLA NEUROPSICHIATRIA INFANTILE

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CAPITOLO 1

LA STORIA DELLA NEUROPSICHIATRIA INFANTILE

1.1 Definizione

La Neuropsichiatria Infantile (NPI) è la disciplina medica specialistica che si occupa dello sviluppo cognitivo, psichico e motorio e dei relativi disturbi, nel soggetto in età evolutiva (dove per età evolutiva si intende quel periodo compreso tra la nascita ed il completamento del processo di crescita staturale e di maturazione cognitiva, che secondo gli europei termina all’età di 18 anni).

Svolge quindi attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione per disturbi di natura neurologica, neuropsicologica, psicologica e psichiatrica del bambino e dell’adolescente (1).

1.2 Cenni storici

Le radici di questa disciplina si perdono negli anni passati e risulta difficile definire precisamente quando è nata.

Per molto tempo non si è mostrato interesse per lo sviluppo infantile e tale difficoltà si è pienamente riflessa nella storia della psichiatria, dove si incominciò ad usare il termine “Neuropsichiatria Infantile” solo successivamente. Questo fece pensare che la psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza fosse stata inglobata all'interno di quella adulta senza che ne venisse riconosciuta una sua specificità.

Prima del Settecento difficilmente i bambini e gli adolescenti venivano considerati individui con propri diritti: erano ritenuti quasi “animali selvaggi” da educare o “addomesticare” con rigidi strumenti educativi e non venivano capiti come soggetti con esigenze e bisogni propri. L’infanticidio, soprattutto

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femminile, dovuto a ragioni economiche come metodo per limitare le nascite, era comune in molte culture.

Nell’Ottocento, in Europa, lo sviluppo dell’urbanesimo e

dell’industrializzazione posero in evidenza due problemi di grande rilevanza: l’inserimento sociale degli insufficienti mentali e il rapidissimo aumento della delinquenza minorile. La Neuropsichiatria Infantile nasce in questi anni, dall’esigenza di occuparsi di tutti questi bisogni emergenti.

In America, intanto, nasceva l’Igiene Mentale con le prime giurisdizioni minorili che ebbero il merito di sollecitare la comprensione delle motivazioni dell’atto antisociale. Prima della seconda guerra mondiale sorgevano inoltre, sempre in America, le Child Guidance Clinic, modello funzionale di un primo centro di accoglienza e di intervento per l’infanzia e per l’adolescenza.

Appena terminata la guerra, anche in Italia, nacquero i primi enti pubblici e privati come i Centri Medico-Psico-Pedagogici (CMPP). È in questi luoghi che si è cominciato a fare la Neuropsichiatria Infantile Italiana, con un metodo di lavoro suo proprio, che conserva a tutt’oggi una peculiare caratteristica e rilevanza.

Questi centri si occupavano soprattutto di ragazzi con difficoltà di inserimento scolastico, di apprendimento e di comportamento, delinquenza, situazioni di abbandono, affidi e adozioni. Con il passare del tempo le motivazioni per cui un ragazzo veniva portato al CMPP divennero le più varie: spesso erano di tipo medico, sia in campo diagnostico che terapeutico. Questo permise alla Neuropsichiatria Infantile attuale, di diventare una disciplina che si occupava di soggetti da 0 a 18 anni, con una sofferenza neurologica e/o psichica.

La prima cattedra di Neuropsichiatria Infantile fu assegnata nel 1918 a Lanfranco Ciampi (Rosario, Argentina), allievo dello psicologo e psichiatra italiano Sante De Sanctis. La seconda fu quella di Herfort a Praga, mentre

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altre vennero avviate a Mosca e a Leningrado (1935). Nel 1937 si svolse il primo Congresso Internazionale a Parigi.

In Italia, la nascita della Neuropsichiatria Infantile è legata a Sante De Sanctis e Giuseppe Montesano. Una terza persona che fu molto incisiva in questo campo, fu Maria Montessori, che presto passò ad occuparsi dello sviluppo del bambino.

A Genova, Ugo Cerletti aprì, nel 1930, il primo reparto universitario di Neuropsichiatria Infantile, seguito poco dopo da S. De Sanctis, il quale, appena chiamato a dirigere la Clinica Neuropsichiatrica di Roma, vi aprì una Sezione per la Neuropsichiatria Infantile.

Nel 1956 furono assegnate le prime docenze e sempre in quegli anni furono aperte le prime scuole di specializzazione: nel 1959 a Roma, nel 1960 a Genova e nel 1962 a Pisa.

Negli anni Sessanta, vari atenei inserirono l’insegnamento della Neuropsichiatria Infantile come materia complementare nel corso degli studi medici, istituendo cattedre di ruolo: la prima a Messina (1963), con Franco De Franco, la seconda a Roma (1965), con Giovanni Bollea (2, 3).

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CAPITOLO 2

LA NEUROPSCHIATRIA INFANTILE

2.1 Basi teoriche e scientifiche

Le discipline sulle quali si fonda la Neuropsichiatria Infantile derivano principalmente da tre matrici: pediatria, neurologia generale e psichiatria generale.

Queste hanno lo scopo di curare il bambino con difficoltà fisiche e psichiche e di promuovere il suo normale sviluppo ed adattamento. I campi di studio e di applicazione sono però molto diversi, anche se complementari, rispetto alla NPI.

Dalla neurologia generale, la neuropsichiatria infantile trae il fondamento neurofisiologico e neuro-fisiopatologico: la semeiotica di base, sia clinica che strumentale. Nel campo della neurologia infantile però, vi sono capitoli, come ad esempio la semeiologia neonatale o del primo anno di vita, che presentano aspetti caratteristici totalmente diversi nell’età infantile rispetto all’età adulta e quindi non derivabili dalla neurologia generale.

Sul versante psichiatrico è vero che, lo studio dei disturbi psichiatrici del bambino, costituisce uno dei presupposti di base per la comprensione dei disturbi psichiatrici dell’adulto, ma quest’ultima differisce sia nella clinica che nei campi e nei metodi operativi.

Inoltre, sia in campo neurologico che psichiatrico, alcuni procedimenti terapeutici, come ad esempio quelli neuro-psico-farmacologici, presentano in età evolutiva aspetti particolari: differiscono sia per dosaggi e indicazioni dei farmaci, che per azione di base.

La Neuropsichiatria Infantile, inoltre, si occupa di campi che non trovano riscontro nella neurologia e nella psichiatria dell’età adulta. Si tratta di quelli aspetti che riguardano la patologia “maturazionale”: diverse forme di

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immaturità, difetti nello sviluppo cognitivo, insufficienza mentale, “immaturità della personalità” rappresentano capitoli sconosciuti, sia per la neurologia che per la psichiatria dell’età adulta.

Ulteriore caratteristica della Neuropsichiatria Infantile è quella di avere stretti rapporti operativi e culturali con la psicologia e la riabilitazione. La psicologia, fornisce un’ampia gamma di validi tests per la valutazione dello sviluppo e del comportamento del bambino, mentre la riabilitazione rappresenta uno dei più validi e indispensabili strumenti per la cura e riadattamento del bambino con disabilità neurologiche, neuropsicologiche, cognitive e relazionali (1).

2.2 Casistica sulla disabilità in Italia

Nell’anno scolastico 2011/2012, gli alunni con disabilità nel sistema scolastico nazionale erano complessivamente 216.013, pari al 2,4% dell’intera popolazione scolastica. Nella tabella 1 sono rappresentati nel dettaglio i dati relativi ai singoli ordini scolatici, secondo una suddivisione tra scuola statale e non. In particolare, la scuola primaria rappresenta una disabilità di studenti pari al 2,9% e quella secondaria di I grado al 3,5% (4, 5).

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6 Totale ordini scuole Scuole dell’infanzia Scuola primaria Scuola secondaria di I grado Scuola secondaria di II grado Totale scuole Totale alunni Alunni con disabilità (%) Scuole statali Totale alunni Alunni con disabilità (%)

Scuole non statali

Totale alunni Alunni con disabilità (%) 8.961.159 216.013 2,4 7.730.853 198.471 2,6 1.230.306 17.542 1,4 1.694.912 20.821 1,2 1.013.118 14.387 1,4 681.794 6.434 0,9 2.818.734 81.147 2,9 2.564.914 75.731 3,0 253.820 5.416 2,1 1.792.379 63.556 3,5 1.683.075 59.986 3,6 109.304 3.570 3,3 2.655.134 50.489 1,9 2.469.746 48.367 2,0 185.388 2.122 1,1

Tab. 1 - Totale alunni con e senza disabilità: quadro di sintesi nazionale A.S. 2011/2012

(MIUR-D.G. per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi-Servizio Statistico- Rilevazioni Integrative sulle scuole).

Nella tabella 2 sono riportati gli alunni con disabilità delle scuole statali: a tutti i livelli di istruzione sono stati 198.471, pari al 2,6% della popolazione scolastica complessiva costituita da 7.730.853 alunni (92%).

Ripartizione Territoriale Alunni totali Alunni con disabilità Alunni con disabilità/alunni totali (%) ITALIA 7.730.853 198.471 2,6 Nord Ovest Nord Est Centro Toscana Umbria Marche Lazio Mezzogiorno 1.823.826 1.246.712 1.494.518 3.165.797 50.705 30.374 41.220 76.172 2,8 2,4 2,8 2,2 2,2 2,6 3,2 2,4

Tab. 2 - Alunni con e senza disabilità nella scuola statale nazionale A.S 2011/2012

(MIUR-D.G. per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi-Servizio Statistico- Rilevazioni Integrative sulle scuole).

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In Toscana, gli alunni con disabilità presente nella scuola d’istruzione sono pari al 2,2% della popolazione complessiva (4, 5).

In relazione alle tipologie di disabilità, la rilevazione ha, inoltre, scorporato la categoria della disabilità psico-fisica distinguendola in disabilità intellettiva e motoria. All’interno della voce “altra disabilità” sono stati inseriti gli alunni con problemi psichiatrici precoci, disturbi specifici di apprendimento e

sindrome da deficit di attenzione e iperattività

(Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder-ADHD).

Per la scuola statale a livello nazionale, come riportato in tabella 3, gli alunni con disabilità intellettiva rappresentano il 68,5%. Nell’ambito della voce “altra disabilità” è stato segnalato il 22,9%. Minori le percentuali delle rimanenti tipologie: disabilità motoria (4,1%), disabilità uditiva (2,8%) e disabilità visiva (1,6%).

Ripartizione

Territoriale Alunni con disabilità Totale Disabilità Disabilità Disabilità Disabilità

visiva uditiva motoria intellettiva

Altra Disabilità ITALIA % 198.471 100 3.222 5.678 8.182 135.950 1,6 2,8 4,1 68,5 45.439 22,9

Tab. 3 - Tipologie di disabilità nella scuola statale nazionale A.S. 2011/2012 (MIUR- D.G.

per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi- Servizio Statistico-Rilevazioni Integrative sulle scuole).

Sono circa 145 mila gli alunni, tra elementari e medie, che presentano disabilità. Per la scuola primaria rappresentano il 2,9% del totale, mentre nella secondaria di I grado il 3,5%. Come si può osservare dal grafico 1, in ambedue i casi si rileva un aumento di 0,1 punti rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza in aumento degli ultimi 10 anni.

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Graf. 1 - Alunni con disabilità per ordine scolastico e A.S. 2011/2012 (ISTAT- Statistiche

report; MIUR).

2.3 Aree di Intervento

Le aree principali di intervento nell’ambito dei disturbi neuropsichici dell’età evolutiva sono tre (6):

1. Neurologia

Epilessie, paralisi cerebrali infantili, distrofie ed altre malattie neuromuscolari, distonie, cefalee, malattie neuro-metaboliche, sindromi genetiche, tumori, encefaliti, ecc…

2. Neuropsicologia

Insufficienza mentale, disturbi specifici dell’apprendimento (dislessie, disortografie, discalculie), disturbi del linguaggio (disfagie, balbuzie, ritardi di linguaggio, ecc…)

3. Psichiatria

Autismo, psicosi, depressione, anoressia, bulimia e altri disturbi del comportamento alimentare, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi del sonno, disturbi d'ansia, fobie, malattie psicosomatiche, disturbi relazionali, disturbi di personalità, disturbi del comportamento in genere, inclusa l’iperattività con deficit di attenzione, enuresi ed encopresi; maltrattamento e violenze sui minori e loro conseguenze.

2 2,1 2,3 2,4 2,4 2,5 2,5 2,5 2,6 2,8 2,9 2,5 2,6 2,8 2,9 3,1 3,3 3,2 3,3 3,3 3,4 3,5 2000/01 2001/02 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 2009/10 2010/11 2011/12

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Quando si parla di disturbi neuropsichiatrici ci riferiamo ad una grande varietà di disturbi che vanno dall’autismo, all’ADHD, alle psicosi non autistiche, ai disturbi specifici dell’apprendimento, ai disturbi del linguaggio, al ritardo mentale, alle paralisi cerebrali infantili, ai disturbi di personalità, ai disturbi affettivi. Risulta quindi evidente come la parte neuropsichiatrica rappresenti una componente molto cospicua e probabilmente prevalente nell’età evolutiva e come tali problematiche interferiscano nella patologia acuta e subacuta dei bambini che afferiscono ai servizi clinici (1).

Infine, un’ulteriore area che può ottenere molto, da una formazione neuropsichiatrica, è la riabilitazione: un grande numero di bambini con disturbi neuromotori, cognitivi, neuropsicologici e psichiatrici trova, nel trattamento riabilitativo, uno dei principali fattori per il loro riadattamento, sia sociale che clinico.

2.3.1 Area di Intervento Neurologico

Circa il 5-10% dei bambini presentano convulsioni di diversa natura ed eziopatogenesi, ma è notevole il numero delle malattie pediatriche che esordiscono o si complicano con sintomi neurologici e che lasciano tracce più o meno gravi sia di ordine neurologico che neuropsichiatrico. Ad esempio, le encefalopatie infettive acute, primitive o secondarie o le nevrassiti, sono un capitolo di neurologia prevalentemente pediatrica. L’epilettologia ha nel contesto dell’età evolutiva i suoi capitoli di maggiore interesse. I tumori, a localizzazione endocranica, rappresentano il 20-25% della patologia tumorale globale nel 1° decennio di vita, a confronto con la percentuale dell’1-2% circa nel decennio tra 55-65 anni. Anche nelle sindromi metaboliche, malformative o disgenetiche l’aspetto neuropsichiatrico è preminente: l’osservazione e lo studio deve avvenire nell’età pediatrica, così

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come per i traumi cranici che rappresentano una percentuale consistente dei ricoveri urgenti negli ospedali (1).

Per “Paralisi Cerebrale Infantile” (PCI) si descrive un gruppo di disordini permanenti dello sviluppo del movimento e della postura, che causano una limitazione dell’attività e che sono da attribuirsi a lesioni non progressive del cervello immaturo (7). L’incidenza delle PCI è di 2-3 casi ogni 1000 nati vivi. Risulta più elevata nei bambini nati prematuri (in particolare sotto le 32 settimane di età gestazionale) e nei neonati inferiori ai 1500 gr. L’aspetto clinico è polimorfo e comprende, oltre alla sintomatologia motoria, anche altri aspetti sintomatologici, come turbe sensoriali, ritardo mentale, disturbi del linguaggio, disturbi emozionali (1).

Con il termine “malattie neuromuscolari” si intendono tutte quelle patologie provocate da lesioni del sistema nervoso periferico o del muscolo che si manifestano con ipostenia o paralisi dei muscoli volontari, associata generalmente ad amiotrofia. Il coinvolgimento può riguardare l’unità motoria nelle sue componenti: il motoneurone spinale (es. Sclerosi Laterale Amiotrofica SLA), il nervo periferico (le neuropatie periferiche), la giunzione neuromuscolare (es. miastenia gravis) e il muscolo (distrofie e miopatie). La frequenza delle malattie neuromuscolari è relativamente elevata: ad esempio la distrofia muscolare, tipo Duchenne, colpisce un maschio ogni 3500 nati; la distrofia muscolare tipo Becker ha un’incidenza di uno ogni 40.000 nati maschi. Le atrofie muscolari spinali rappresentano il secondo gruppo in ordine di frequenza delle malattie infantili a carattere autosomico recessivo, dopo la fibrosi cistica (1).

2.3.2 Area di Intervento Neuropsicologico

Anche i disturbi in ambito neuropsicologico sono di notevole importanza. L’incidenza di questi disturbi è oggetto di crescente attenzione da parte delle

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principali istituzioni politiche e scientifiche internazionali, perché se non adeguatamente riconosciuti e trattati, possono rappresentare la base delle futura psicopatologia dell’adulto (8).

Ad esempio, nell’A.S. 2011/12, gli alunni con certificazione di Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) nel sistema formativo italiano (scuola statale e non) sono stati 65.219, pari allo 0,9% dell’intera popolazione scolastica. Come si osserva dalla Tabella 4, per quanto riguarda la scuola statale, la Toscana su 388787 studenti, 6441 presentano certificazione di DSA (1,7%).

Tab. 4 - Alunni con DSA nella scuola statale per l’A.S. 2011/12, suddivisi per regioni e per

ordine e grado di scuola (Fonte: MIUR - D.G. per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi - Servizio Statistico).

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2.3.3 Area di Intervento Psichiatrico

In Europa si stima che il 10% dei bambini soffra di disturbi neuropsichiatrici, di cui le sindromi depressive rappresentano la quinta causa di malattia e la terza causa di morte per suicidio in età adolescenziale (9-11).

In Italia la percentuale sembra attestarsi sul 9%. Degli adolescenti con problemi emotivo-comportamentali, il 14% si è rivolto ad un servizio di salute mentale.

Nel 2011, un totale di 77.922 utenti si sono rivolti ai servizi di salute mentale territoriali della Toscana e di questi, 25.038 sono minorenni (32,2%). Sul totale di utenti presenti nei servizi, 26.135 persone (33,5%) risultano nuovi utenti (38,9% minorenni). Il 57,4% degli utenti totali, hanno ricevuto invece quattro o più prestazioni, di questi il 63% sono minorenni (15.765 utenti). Gli utenti, che usufruiscono del servizio assistenziale sono stati complessivamente 13.260 e rappresentano il 17% sia nella popolazione adulta sia in quella minore (Tab. 5).

Tab. 5 - Frequenze assolute e percentuali degli utenti che accedono ai servizi di salute

mentale – Minorenni- Toscana 2011 (Fonte SALM).

* Pazienti per i quali è stata registrata almeno una prestazione. ** Pazienti per i quali sono state registrate almeno 4 prestazioni.

L’utilizzo dei servizi di salute mentale territoriale mostra una grande variabilità per fascia di età, in particolare nelle fasce infantile e adolescenziale. La fascia d’età maggiormente presente nei servizi, sia per utenti prevalenti, nuovi, con presa in carico e alti utilizzatori, è quella da 6-10 anni nell’infanzia e adolescenza (Tab. 6).

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Tab. 6 - Frequenze assolute e percentuali degli utenti minorenni che accedono ai servizi di

salute mentale per fasce di età – Toscana 2011 (Fonte: SALM).

* Pazienti per i quali è stata registrata almeno una prestazione. ** Pazienti per i quali sono state registrate almeno 4 prestazioni.

Nel grafico 2 vengono riportati i risultati dei tassi grezzi, della prevalenza e dell’incidenza trattata (per 1.000 residenti). La prevalenza trattata è data dal numero di utenti con almeno un contatto nell’anno presso le strutture dei Dipartimenti di Salute Mentale. L’incidenza trattata è relativa ai pazienti che, per la prima volta in assoluto, hanno avuto un contatto con le strutture del Dipartimento di Salute Mentale (nuovi utenti).

Graf. 2 - Tassi grezzi di prevalenza e incidenza per 1000 residenti degli utenti minorenni

che accedono ai servizi di salute mentale per AUSL di residenza – Toscana2011 (Fonte: SALM).

Osservando il grafico, si riscontra una spiccata variabilità tra i vari Dipartimenti di Salute Mentale. Le differenze rilevate tra i vari Dipartimenti

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di Salute Mentale sono troppo marcate per potersi spiegare attraverso una normale varianza nella prevalenza e incidenza dei disturbi a livello territoriale. Il flusso informatico “soffre” di varie problematiche legate sia alla gestione dei contatti che alla trasmissione del dato.

In tabella 7 sono riportate le prestazioni erogate dai Dipartimenti di Salute Mentale dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Tab. 7 - Principali raggruppamenti di prestazioni (N e percentuali) da cui risultano

sottoposti gli utenti minorenni che accedono ai servizi di salute mentale – Toscana 2011 (Fonte: SALM).

L’incidenza è un indicatore chiave per comprendere l’accessibilità dei Servizi: tale indicatore è legato sia alle risorse strutturali, che alla capacità dei Servizi di attrarre l’utenza.

Dai dati presentati emerge che i Servizi di Salute Mentale presenti sul territorio, rappresentano un riferimento per la popolazione. La distribuzione sul territorio dei Servizi per infanzia e adolescenza risulta maggiore rispetto a quella dei Servizi per gli adulti.

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2.4 Il Neuropsichiatra Infantile

Il Neuropsichiatria Infantile, al termine dei cinque anni di scuola specialistica, deve possedere conoscenze approfondite sullo sviluppo neuropsichico normale e patologico e delle variabili biologiche, familiari e sociali che possono condizionarlo. Deve possedere conoscenze e competenze adeguate al fine dell’inquadramento eziopatogenetico e diagnostico dei disturbi neuro-psichiatrici dell’età evolutiva e delle basi metodologiche per i relativi interventi preventivi, clinici, diagnostici e terapeutici. Deve essere in grado di fornire una presa in carico riabilitativa neurologica, neuropsicologica e psichiatrica in età evolutiva globale, che riguarda sia il bambino, la sua famiglia e la scuola, con formulazione e monitoraggio di programmi riabilitativi. La specializzazione in Neuropsichiatria Infantile dà anche il titolo di Psicoterapeuta e il professionista è quindi abilitato a fare psicoterapia (12).

Il Neuropsichiatra Infantile molto spesso si avvale della collaborazione di altre figure specialistiche, come logopedista, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva e psicologo, che lo aiutano ad approfondire le valutazioni con indagini più specifiche. Il medico deve saper quindi coordinare il lavoro di équipe tra tutte quelle figure mediche e paramediche che accolgono e seguono il bambino, la famiglia e la scuola, nelle varie fasi del suo sviluppo, condividendo integralmente gli obiettivi.

La competenza specialistica non è quindi espressa da un singolo professionista, ma dal lavoro interdisciplinare di un’unità operativa stabile e specificamente formata, che deve operare con modalità che garantiscano continuità tra uno specifico spazio ospedaliero e territoriale. Entrambi sono necessari per assicurare appropriatezza e completezza nella diagnosi, precisione ed adeguatezza del progetto terapeutico e riabilitativo, coerenza

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e continuità degli interventi di cura possibili e verifica degli esiti nel corso del tempo.

Infatti sono diverse le realtà in cui questa figura può collaborare: centri clinici, servizi consultoriali, che operano in integrazione della pedagogia, servizi di riabilitazione, dove il neuropsichiatra assume compiti di guida e assistenza tecnica alle diverse metodiche riabilitative (i disturbi di apprendimento, insufficienza mentale e psicotici, disordini motori) e servizi per minori disadattati o per disturbi della personalità, dove la funzione del neuropsichiatra si propone in termini oltre che riabilitativi anche psicoterapeutici (1).

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CAPITOLO 3

ORGANIZZAZIONE DI UN SERVIZIO TERRITORIALE

3.1 Introduzione

Il servizio territoriale di Neuropsichiatria Infantile è una struttura a carattere interdisciplinare che svolge funzioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione nel campo delle patologie neurologiche, neuropsicologiche, psicopatologiche e/o psichiatriche e di tutti i disordini dello sviluppo per una popolazione di età compresa tra 0 e 17 anni.

Le principali attività del servizio di NPI sono le attività specialistiche di ambito clinico, medico e di riabilitazione che hanno come interlocutori diretti il bambino/adolescente, la sua famiglia e la scuola.

Oltre alle attività cliniche, il servizio svolge attività di rete, d'integrazione operativa e di collaborazione con le strutture sanitarie, educative e sociali che sono coinvolte nel processo assistenziale.

L’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile fa parte dell’Unita Funzionale Salute Mentale Infanzia-Adolescenza (U.F.S.M.I.A), che a sua volta è compresa nel Dipartimento di Salute Mentale.

3.2 Ambito di attività

L’attività territoriale del Servizio di Neuropsichiatria Infantile è indirizzata alla diagnosi clinica e funzionale dei disturbi e delle malattie neuropsichiche dell’età evolutiva. In particolare si riferisce alle seguenti aree di competenza:

 sviluppo cognitivo, apprendimento, comunicazione e linguaggio,  organizzazione motoria e posturale,

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L’assistenza si svolge su 5 giorni alla settimana, da lunedì al venerdì, dalle ore 8.30 alle 17.00. Il sabato il servizio rimane chiuso. Inoltre il servizio offre anche la possibilità di erogare prestazioni domiciliari.

3.3 Tipologie di prestazioni

All’interno del Servizio di NPI operano diverse figure professionali che hanno specifici ruoli: il medico Neuropsichiatra Infantile, responsabile della presa in carico del bambino, svolge attività di diagnosi e cura delle patologie in atto, scegliendo le terapie e gli interventi più opportuni.

Il Foniatra si occupa della prevenzione, diagnosi e cura dei disturbi della voce, della comunicazione e del linguaggio, mentre il Fisiatra si occupa principalmente di individuare le modalità e la durata del trattamento più opportune in pazienti con prevalenti patologie dell'apparato muscolo-scheletrico e del Sistema Nervoso, che comportano deviazioni anatomiche o funzionali a seguito della valutazione dei bisogni riabilitativi della persona. Lo Psicologo svolge attività di diagnosi e cura nell’area delle sindromi psicopatologiche dell’età evolutiva secondo le modalità previste dalla Struttura: prime visite, visite di controllo, Somministrazione Test di intelligenza, memoria, funzioni esecutive, abilità visuo-spaziali, deterioramento sviluppo intellettivo trattamenti clinico-psicologici, trattamenti psicoterapeutici.

Il Logopedista svolge la propria attività nella prevenzione, valutazione e trattamento riabilitativo delle patologie della comunicazione e del linguaggio. All’interno della struttura infatti si occupa dell’inquadramento dei disturbi comunicativi e/o cognitivi e della riabilitazione logopedica che può essere individuale o di gruppo.

Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE) svolge interventi di prevenzione e riabilitazione nelle aree della motricità e nei

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disturbi delle funzioni corticali superiori conseguenti a eventi patologici di varia eziologia, congenita o acquisita, oltre a svolgere interventi nelle aree della neuro-psicomotricità. Si occupa inoltre della valutazione funzionale globale e della rieducazione funzionale di varie patologie.

3.4 Modalità di accesso

L’accesso alla visita specialistica è diretto, per cui non è necessaria la prescrizione del medico curante.

La prenotazione delle prestazioni, in regime di Servizio Sanitario Nazionale, avviene telefonicamente tramite la segreteria o direttamente allo sportello CUP.

La prima visita medica o psicologica, è necessaria per aver accesso alle prestazioni riabilitative logopediche, fisioterapiche e neuro-psicomotorie. L’accesso al servizio può avvenire su indicazione medica (pediatra o medico di libera scelta o altri servizi specialistici), della scuola, dei servizi sociali oppure su richiesta dell’attività giudiziaria.

Le prenotazioni avvengono direttamente al primo contatto con il servizio e non seguono lista di attesa, anche se situazioni quali urgenza psichiatrica e neurologica e bambini da 0-3 anni hanno priorità di chiamata.

3.5 Modalità di lavoro e presa in carico

La prima visita avviene con un Neuropsichiatra o uno Psicologo che saranno i referenti del caso, in presenza del paziente e dei genitori. Il medico valuterà la necessità di effettuare ulteriori visite necessarie al completamento della valutazione del bambino. Se lo riterrà necessario potrà richiedere la collaborazione dei terapisti della riabilitazione della sua equipe (TNPEE, logopedista) per un approfondimento diagnostico specifico.

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In seguito alla formulazione della diagnosi si effettuerà la presa in carico diretta del bambino che può prevedere: controlli clinici periodici, percorsi riabilitativi, prescrizione ausili e ortesi. Il referente del caso e l’assistente sociale condivideranno con la famiglia l’opportunità di attivare le procedure per il riconoscimento dell’invalidità, di situazione di handicap e le tutele giuridiche all’avvicinarsi della maggiore età.

I percorsi riabilitativi (fisioterapici, psicomotori, logopedici) avvengono attraverso terapie strutturate a cicli, che possono essere ripetuti più volte nel corso dell’anno, a seconda dei bisogni e degli obbiettivi prefissati. Infatti, all’inizio di ogni ciclo riabilitativo il medico e i professionisti della riabilitazione coinvolti dovranno stilare un “Progetto Riabilitativo Individuale” (PRI), che dovrà essere condiviso anche dalla famiglia, all’interno del quale verranno specificati: modalità di presa in carico, interventi specifici, obbiettivi del percorso, modalità e tempi di erogazione delle prestazioni, misure di esito atteso, tempi di verifica di un dato esito, singoli operatori coinvolti negli interventi, verifica periodica e relativi aggiornamenti. I trattamenti a cicli prevedono 10 sedute, al termine delle quali dovrebbe essere effettuata la verifica degli obbiettivi e degli esiti. Tra un trattamento e l’altro devono passare come minimo 3 mesi. Nel caso in cui, il medico responsabile della presa in carico ritenga necessario un lavoro intensivo è possibile svolgere il trattamento in modo continuativo, dove alla fine di un ciclo di sedute ne segue immediatamente un altro.

Inoltre, il medico referente dovrà definire il “Piano Educativo Individualizzato” (PEI), insieme al personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola, in collaborazione con la famiglia del bambino. Il progetto educativo e didattico personalizzato dovrà riguardare le finalità e gli obbiettivi didattici, gli itinerari di lavoro e le metodologie. Il progetto deve essere definito entro il secondo mese dell’anno scolastico e deve essere

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verificato entro la fine dell’anno scolastico stesso, anche se c’è possibilità di verifica straordinaria in caso di difficoltà.

3.6 Equipe

La struttura comprende diverse figuri professionali, quali: Neuropsichiatra Infantile, Foniatra, Fisiatra, Psicologo, TNPEE, Logopedista, Assistente Sociale e Segretaria (Tab. 8).

Quantità Figura professionale Contratto Giorni alla settimana 1

Neuropsichiatra Infantile Tempo pieno 5

1 Foniatra Tempo pieno 1

2 Fisiatra Tempo pieno 2

1 Psicologo Tempo pieno 5

1 TNPEE Tempo pieno 5

3 Logopediste Tempo pieno 5

1 Logopedista Part-time 3

1 Assistente Sociale Tempo pieno 5

1 Segretaria Part-Time 3

Tab. 8 - Presenza delle figure professionali nell’attività settimanale del servizio.

La TNPEE svolge prestazioni riabilitative e di valutazione in seguito alla prima visita neuropsichiatrica e fisiatrica. Nel distretto socio-sanitario è presente una sola terapista a tempo pieno (36 ore settimanali) presente dal lunedì al venerdì.

Può effettuare trattamenti riabilitativi individuali continuativi o a cicli e, se ritenuto necessario, anche a domicilio del bambino.

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CAPITOLO 4

LE CRITICITÀ ORGANIZZATIVE DI UN SERVIZIO

Le criticità sono state individuate a seguito di un’analisi delle situazioni della realtà quotidiana del servizio territoriale di Neuropsichiatria Infantile. La raccolta dei dati all’interno della struttura presa in questione, è di fondamentale importanza per sviluppare delle ipotesi di miglioramento. Riflettere sulle caratteristiche dei problemi rilevati è infatti indispensabile per individuare correttamente e con precisione, gli elementi da modificare con le nostre azioni di ottimizzazione.

4.1 Personale sanitario

Le figure professionali che operano in ambito sanitario spesso dichiarano la percezione di uno squilibrio tra richieste dell’ambiente di lavoro e proprie capacità per poter fronteggiare tali richieste. Questa condizione è nota come stress-lavoro correlato. Le fonti di stress sono presenti anche nell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile, infatti i professionisti sono sovraccaricati di richieste e spesso devono fornire risposte insufficienti sia per la presa in carico che per la tempestività e appropriatezza delle prestazioni, generando così una riduzione della qualità offerta dal servizio. Per riuscire ad affrontare la richiesta, l’operatore svolge spesso delle attività straordinarie, difficilmente recuperabili, che vanno a pesare ulteriormente sulla condizione degli operatori.

Inoltre, alcuni bambini gioverebbero di trattamenti di gruppo in cui la TNPEE, la logopedista e la psicologa collaborino tra loro. Queste attività sono attualmente impossibili da svolgere, per la carenza di personale.

Oltre alla richiesta di trattamenti e/o controlli, altra fonte di stress per gli operatori può essere data dal dover effettuare dei trattamenti inappropriati.

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Nel caso di bambini con gravi patologie neurologiche e/o degenerative è obbligo del servizio fornire alla famiglia e al bambino attività di supporto. È necessario che i medici competenti forniscano comunicazioni chiare riguardo ai bisogni riabilitativi del bambino, in modo da ridurre il più possibile le attività inappropriate che le terapiste devono svolgere. La chiarezza nei messaggi forniti alla famiglia è indispensabile anche per far comprendere il perché un trattamento possa essere ritenuto più o meno utile e di conseguenza giustificarne l’interruzione. L’eliminazione di questi trattamenti potrebbe aiutare a trovare ulteriore tempo da dedicare a trattamenti con obiettivi più mirati.

Un’ulteriore complicazione che gli operatori devono affrontare, a discapito dei trattamenti riabilitativi, è determinata dal fatto di dover trascrivere dati relativi allo stesso paziente sia su carta che su computer. Questi passaggi riducono notevolmente il tempo dedicato al bambino.

4.2 Tempi di attesa

Le prenotazioni per la prima visita Neuropsichiatrica non seguono una lista di attesa, ma avvengono solitamente al primo contatto con il servizio, con tempi di attesa variabili, da 1 a 4 settimane.

I percorsi riabilitativi fisioterapici/psicomotori non prevedono lista di attesa, che è invece presente per i percorsi riabilitativi e le visite di controllo logopediche.

Per quanto riguarda i trattamenti motori, le tempistiche appropriate tra un ciclo e l’altro, molto spesso non vengono rispettate, ed è la TNPEE che si trova a gestire da sola i reclami dei genitori relativi a questi ritardi nei trattamenti.

La lista di attesa logopedica, posta in segreteria perché possa essere consultabile da tutti gli operatori, viene gestita dal Neuropsichiatra. La

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chiamata del paziente avviene secondo alcuni criteri di priorità, quali, l’urgenza e la patologia. Il primo operatore libero consulta la lista ed effettua i controlli sul primo bambino in elenco, non tenendo conto di chi avesse effettuato i trattamenti e/o controlli precedenti. Questo può creare delle difficoltà nel bambino che può avere bisogno di maggior tempo per adattarsi alla nuova persona che si trova di fronte. Questa organizzazione permette, nello stesso tempo, di ridurre i tempi di attesa.

L’inserimento in lista dei pazienti che invece, necessitano di trattamenti continuativi, o a cicli, viene coordinata dal medico, anche se è il singolo operatore che gestisce l’ordine di chiamata dei pazienti, sulla base della propria disponibilità di orario. Anche in questo caso i tempi di chiamata sono molto variabili e non sempre vengono rispettate le tempistiche cliniche adeguate.

4.3 Logistica

La struttura socio-sanitaria è composta da due edifici distinti: il primo, comprende il servizio di fisioterapia per gli adulti, la stanza delle fisiatre, la “palestra” della TNPEE, una stanza che viene utilizzata per i trattamenti logopedici, prevalentemente degli adulti e due stanze adibite al deposito ausili. La sala d’attesa dei bambini in questo stabile è la stessa degli adulti che usufruiscono del servizio di fisioterapia.

Nel secondo edificio è situata l’Unità Operativa Neuropsichiatria Infantile, lungo un corridoio che comprende la segreteria, la stanza della neuropsichiatra infantile, della psicologa, dell’assistente sociale, di due logopediste e una sala d’attesa comune. Questo edificio ospita anche l’Ufficio Ausili e Protesi e l’ufficio per la certificazione della disabilità (Fig. 1).

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Fig. 1 - Planimetria della struttura socio-sanitaria.

Questa disposizione determina alcune difficoltà, sia organizzative che assistenziali: la TNPEE si trova isolata dai medici di riferimento e dalle altre figure professionali con le quali si trova in condizione di dover collaborare. In secondo luogo, comporta movimenti superflui del professionista che si vede costretto a spostarsi, se necessita di consultare le cartelle cliniche che sono raccolte in segreteria, perdendo così inevitabilmente del tempo da dedicare ai trattamenti riabilitativi.

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CAPITOLO 5

OTTIMIZZAZIONE ASSISTENZIALE IN SANITA’

5.1 Cosa è il Lean Thinking

Si definiscono “Lean” tutti quei principi, metodi e tecniche per la gestione dei processi operativi, che mirano ad aumentare il valore percepito dal cliente finale e a ridurre sistematicamente gli sprechi (13).

Nelle Aziende Sanitarie, questa filosofia si traduce nel fornire il miglior servizio possibile per il paziente, identificando nei percorsi assistenziali, i punti critici che causano ritardi, sprechi ed errori, e ridisegnando l’intero processo in modo da rimuoverli e migliorare la qualità delle cure.

Di fatto, le attività svolte in azienda possono essere distinte in tre categorie (14):

 Attività a valore aggiunto (VA). È il valore per cui il cliente è effettivamente disposto a pagare. Nel caso delle imprese ospedaliere, si può pensare ad attività a valore come a quelle azioni che aggiungono valore all’intero processo, al fine di incrementarne l’efficienza. Il valore di un’attività è quindi, la sua capacità di soddisfare, con le sue caratteristiche e il suo prezzo, le esigenze mutevoli del paziente.

 Attività con nessun valore aggiunto (NVA). Non creano nessun tipo di valore riconoscibile dal cliente e per cui sia disposto a spendere, come ad esempio, tempi necessari per la risoluzione di problemi, per rilavorazioni o tempi di attesa.

 Attività con nessun valore aggiunto, ma necessarie (NVA necessarie). Attività che, per vincoli tecnici, costruttivi o di sicurezza non possono essere eliminate, ma che effettivamente non vengono percepite dal cliente come valore aggiunto. In ambito sanitario, possono essere

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tutte quelle attività che creano attesa, ma che contengono dei tempi tecnici non riducibili, come ad esempio, l’attesa per il referto di un esame di laboratorio.

Pensare Lean (“snello”) consiste quindi nell’eliminazione di attività non a valore, per dedicare le risorse ad attività riconosciute “a valore” dal paziente. Il Lean Management spesso viene interpretato come una strategia di gestione finalizzata alla riduzione dei costi. In realtà, il principio cardine su cui si basa il Lean è quello di cercare di migliorare il servizio con le risorse che già si hanno a disposizione. Lean Management, inoltre, non significa pretendere più sforzi da ciascuna risorsa, ma riqualificare il suo lavoro in modo da allinearlo e conformarlo alle altre risorse, in modo che l’organizzazione possa lavorare unitamente e senza interruzioni. Per fare questo è indispensabile che questa strategia di gestione non venga avvertita come imposta dall’alto, ma venga introdotta direttamente dalle persone che lavorano in azienda.

I punti di forza di questa metodologia stanno quindi nel porre al centro dell’azienda l’utente, coinvolgere tutti gli operatori nel processo di miglioramento e rivedere, ed eventualmente modificare, tutti i processi aziendali con l’obbiettivo di un miglior servizio per il paziente. Questa tipologia di gestione si basa su logiche abbastanza generali: maggiore qualità, minori sprechi, contenimento dei costi ed incremento nel livello di efficienza dei servizi. È per questo che è stato possibile applicare questi principi anche in altre realtà aziendali, oltre a quella manifatturiera (15).

5.2 Storia del Lean

Per capire le strategie organizzative di miglioramento aziendale in uso oggi è indispensabile ripercorrere la storia dell’organizzazione aziendale: il 1903 è stato battezzato come “anno zero”, l’anno in cui l’imprenditore statunitense,

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Henry Ford, ebbe l’idea rivoluzionaria di applicare la produzione di massa per le automobili, un prodotto particolarmente complesso che richiedeva il coordinamento di diversi stabilimenti produttivi. Ford capì che, per snellire questo tipo di attività e quindi ridurre i costi e i tempi di produzione, ogni pezzo doveva essere identico all’altro.

L’industria automobilistica americana dominò il mercato mondiale nel settore per anni, fino agli inizi degli anni ’70, quando la produzione fordista cominciò lentamente il suo declino.

Fu in quel periodo che la fabbrica giapponese Toyota si mise in risalto sulla scena internazionale per le sue ottime performance.

Sull’idea di Ford, di realizzare una linea di assemblaggio in movimento, negli anni ’40 Toyota basava il proprio sistema di produzione: una linea in continuo movimento è un flusso continuo di materiale: qualsiasi cosa che blocca o rallenta il flusso è spreco. Taiichi Ohno (1912-1990), ingegnere capo della Toyota, fu incaricato di recuperare l’enorme divario di produzione esistente tra la Toyota e le compagnie americane. Tra il 1945 e il 1970 riuscì a sviluppare un nuovo sistema di produzione snella, diventato famoso con il nome di “Toyota Production System” (TPS) (15).

l termine "produzione snella" è stato coniato al MIT di Boston a seguito della ricerca condotta dagli studiosi J.P. Womack e D.T. Jones, pubblicata nel 1990 nel libro “La macchina che ha cambiato il mondo”. J.P. Womack presentò la Lean come “Lean Production” estendendola qualche anno dopo (su “Harvard

Business Rewiev”, 1994) a tutte le funzioni aziendali (progettazione, acquisti,

vendite, amministrazione, ecc.) con il concetto di “Lean Enterprise” e la relativa filosofia di fondo nota come “Lean Thinking”. Da allora il termine Lean è diventato sinonimo di sistema produttivo organizzato e gestito in modo avanzato (16).

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Il Lean Thinking e i suoi principi si sono estesi nel tempo anche ad aziende di diversa natura. Tutte le imprese, indipendentemente dai servizi che erogano o dai prodotti che forniscono, sono accumunate da grande pressione competitiva, rapidissima innovazione tecnologica e ingenti tagli di finanziamenti. È per questo che negli ultimi anni anche le organizzazioni sanitarie sono state attraversate dall’esigenza di intraprendere strategie innovative di miglioramento per coniugare l’offerta con la domanda sempre crescente, assicurare elevati standard clinici-assistenziali delle prestazioni e garantire la sostenibilità economico-finanziaria del sistema.

È per questo che, anche nel contesto sanitario, il Lean Thinking rappresenta una risorsa di vitale importanza: negli ultimi anni infatti si è assistito ad una costante riduzione delle risorse disponibili per la sanità pubblica, mentre il bisogno sanitario della popolazione è in crescente aumento. Recuperare efficienza, per abbassare i costi ed eliminare gli sprechi al fine di generare valore per la popolazione con le risorse di cui disporrà il Sistema Sanitario, è uno dei percorsi da perseguire fin da subito.

L’applicazione dei principi Lean in Sanità risale alla fine degli anni 80 quando alcuni ospedali statunitensi iniziarono delle sperimentazioni nel loro settore di quei principi che fino ad allora erano propri solo del mondo manifatturiero (Tab. 9).

Steven Spear fu il primo a sistematizzare, diffondere e rendere noti i vantaggi che tale tecnica avrebbe potuto riportare all’intero Sistema Sanitario Americano.

In Europa, le prime apparizioni della tecnica si hanno in Inghilterra dove in molti ospedali è stato possibile osservare significativi miglioramenti delle performance grazie all’applicazione di questi principi.

In Italia, le prime città che applicarono queste metodologie furono Firenze e Genova. Dal 2007, l’Azienda Sanitaria Locale 10 di Firenze ha sperimentato il

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Lean Thinking attraverso il Progetto OLA (Organizzazione Lean dell’Assistenza) con l’adozione della logica del Value Stream Management per l’assistenza del paziente (15). L’Ente Ospedaliero “Ospedali di Galliera” a Genova, ha avviato un progetto pluriennale di sviluppo delle logiche di Lean management per agevolare l’organizzazione ospedaliera secondo questi principi.

Industrie Strutture Sanitarie Manodopera Multidisciplinare e a elevata

specializzazione

Multi-professionale e

multidisciplinare e ad elevata specializzazione

Prodotto Su ordinazione Su ordinazione in base alle esigenze del cittadino/utente

Volume di produzione e costo unitario

Costi di prodotto bassi ottenuti mediante la caccia agli sprechi e al miglioramento continuo

Caccia agli sprechi e

miglioramento continuo devono essere attività costanti

Macchinari Altamente automatizzati ma flessibili per rispondere alle esigenze mutevoli del cliente

Flessibili nelle risposte, tecnologicamente all’avanguardia

Avanzamento della produzione

Produzione a flusso continuo A flusso continuo

Organizzazione Per processi Per processi

Controllo qualità Ricerca delle perfezione in tutte le fasi del processo produttivo

Autogestito: ogni professionista è responsabile di ciò che fa

Scorte Produzione di un prodotto solo in seguito alla richiesta

Ridotte in quanto elevate giacenze di materiale sanitario comportano occupazione di spazi e difficoltà di gestione

Tab. 9 - Caratteristiche principali della Lean Production e affinità con le strutture

sanitarie.

Grazie a strumenti Lean, come la Value Stream Map e il Visual Management, e al coinvolgimento diretto e la formazione di tutto il personale, è stata affrontata la revisione dei processi aziendali e la creazione delle linee di attività, oltre che alla razionalizzazione del magazzino farmaceutico e di dispositivi medici (14).

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5.3 Principi e Strumenti Lean

Il cuore del pensiero della produzione snella può essere sintetizzato nella “lotta agli sprechi” dove per spreco viene intesa qualsiasi attività che non crea valore per il cliente.

Attraverso la piramide Lean è possibile osservare i principi applicativi dell’approccio:

1. Value: definire il valore

2. Value Stream: identificare il flusso di valore 3. Flow: far scorrere il flusso

4. Pull: fare in modo che il flusso sia tirato 5. Perfection: ricercare la perfezione

I 5 principi rappresentano gli elementi alla base della lotta agli sprechi e ciascuno rappresenta le fondamento del concetto successivo (Graf. 3).

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5.3.1 VALUE: identificazione del valore

Il punto di partenza di tutti i ragionamenti aziendali dovrebbe essere l’identificazione di ciò che vale e per far ciò non si può prescindere dal distinguere ciò che costituisce valore dallo spreco: consumare risorse è giustificato solo per creare valore, altrimenti è spreco.

Nel caso di un ospedale, il valore deve essere definito dal paziente. Poiché il valore di un’attività è dato dalla sua capacità di soddisfare il bisogno dell’utente che si reca all’interna dell’azienda, il primo elemento da analizzare è il bisogno, esigenza espressa dal paziente. Nel caso in cui l’attività non presenti un valore per il quale il paziente sarebbe disposto a pagare, la filosofia Lean ritiene che possa considerarsi uno spreco. Il paziente contribuisce a definire il significato del valore senza però essere in grado di definire il significato complessivo poiché gli potrebbero mancare informazioni e competenze: i vari attori del sistema contribuiscono in questo senso.

5.3.2 VALUE STREAM: identificazione del flusso

Le attività corrispondono a delle prestazioni la cui sequenza identifica un processo. Per quanto riguarda il processo sanitario, il flusso del valore è la sequenza di attività che vedono coinvolto il paziente, dal momento in cui accede all’ospedale fino alla sua dimissione. Questo processo o flusso, è composto sia a attività a valore per il paziente, che da attività non a valore, ossia sprechi, che l’utente percepisce come un disservizio nei suoi confronti. È necessario che il flusso del valore venga identificato per ogni servizio e che l’analisi della catena del valore non si basi sul miglioramento del singolo processo, ma sull’ottimizzazione globale e continua, affinché le attività a valore possano ricomporre un flusso in grado di fluire senza più ostacoli o barriere (es. attività superflue, ripetizioni ed errori, ecc…).

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La rappresentazione grafica del processo viene definita Mappa del valore. Tale strumento viene utilizzata solitamente in due momenti diversi, per:

1. rappresentare lo stato attuale della situazione,

2. simulare la situazione futura in seguito alle modifiche proposte.

5.3.3 FLOW: far scorrere il flusso

Dopo avere identificato le varie fasi che compongono il percorso del paziente è indispensabile procedere con la minimizzazione di tutte quelle componenti che rappresentano uno spreco. Lo scorrere delle attività a valore, all’interno del processo, è definito flusso e il flusso continuo si ha solo in assenza di attese o sprechi. Tale flusso si può ottenere solo intervenendo sulle attività non a valore.

Per eliminare gli sprechi sono state individuate 4 modalità (Graf. 4): 1. Semplifica: ridurre la complessità di un’attività

2. Elimina: eliminare un’attività superflua

3. Combina: combinare due o più attività in una sola 4. Sequenzia: cambiare la sequenza di attività

Semplifica Elimina Combina Sequenzia

Graf. 4 - Modalità di eliminazione degli sprechi.

5.3.4 PULL: la logica del flusso tirato

In base alle modalità di erogazione dei servizi, i processi si dividono in processi con logica:

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 PUSH: quando lo svolgimento di un qualsiasi processo avviene guardando avanti, cioè quando l’attività a monte spinge quella a valle. Questa logica è tipica dei processi industriali che si avvalgono della produzione di massa: la pianificazione è fatta in base ai materiali che sono disponibili in magazzino e non alle reali richieste del mercato.  PULL: lo svolgimento di un generico processo avviene guardando

indietro, cioè lo svolgimento di un’attività a valle trascina quella a monte. Questa logica è tipica di quei processi industriali che adottano una produzione snella: la pianificazione è fatta solo ed esclusivamente sulla base delle reali richieste del mercato.

Fare Pull in ambito sanitario significa far guidare al paziente il suo percorso all’interno dell’ospedale, cioè far sì che siano le reali esigenze e non le disponibilità di spazi e/o risorse, a determinare gli eventuali spostamenti, giorni di degenza ecc.

5.3.5 PERFECTION: la ricerca della perfezione

Nel momento in cui l’azienda comincerà a definire il valore, a identificare l’intero flusso, a far sì che i diversi passaggi della creazione di valore fluiscano con continuità e a permettere che siano i pazienti a tirare il valore dell’azienda, si metterà in atto un processo continuo di riduzione dei tempi, degli sforzi, degli spazi e degli errori che permetteranno al servizio di avvicinarsi ai bisogni dell’utenza.

Individuare e raggiungere il servizio perfetto non è però un processo rapido e definitivo. La perfezione deve essere quindi interpretata come condizione che ha lo scopo di mantenere attivo un processo di miglioramento continuo (15).

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5.4 Lo spreco Lean

Secondo la filosofia Lean, lo spreco è uno dei tre concetti nemici dei processi aziendali, poiché minano la corretta organizzazione e la gestione del carico di lavoro rispetto alle risorse. Per garantire un servizio ottimale per il paziente e sostenibile per l’azienda in termini di risorse impiegate e per una riorganizzazione ottimale del lavoro, è indispensabile la loro identificazione nell’attività lavorativa quotidiana:

1. Variazione (“Mura”): la variazione improvvisa o non pianificata è data dalla combinazione degli elementi di casualità del processo in questione. Questi elementi portano a non poter combinare efficientemente le risorse a disposizione. Poiché è impossibile eliminare del tutto la variabilità, è importante gestire le componenti per identificare la variabilità che può essere prevista e gestita.

2. Sovraccarico (“Muri”): il carico eccessivo rispetto alle risorse crea pressione sul ritmo del lavoro oltre a spingere il lavoro degli operatori o della strumentazione oltre i livelli di regolare operatività.

3. Spreco (“Muda”): lo spreco è dato da attività che non creano valore riconoscibile dal cliente. In particolare in sanità, il valore è riconosciuto dal punto di vista del paziente: il consumo di risorse che non comporta valore per l’utente è definito spreco. Gli sprechi possono essere suddivisi a loro volta in due tipologie che porta a classificare le attività in 3 gruppi:

a. Attività a valore: attività che comporta l’utilizzo di risorse necessarie e riconosciute dal paziente, che opera in modo pratico per soddisfare un bisogno.

b. Spreco di 1° tipo: attività che comporta l’utilizzo di risorse che non creano valore per il paziente, ma che risulta essere necessaria per lo scorrere del processo.

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c. Spreco di 2° tipo: attività che comporta l’utilizzo di risorse del tutto inutili ai fini delle esigenze del paziente e che è necessario ridurre o eliminare fin da subito (Fig. 2).

Fig. 2 –Variazione (“Mura”), Sovraccarico (“Muri”), Spreco (“Muda”).

Gli sprechi, possono inoltre venir suddivisi in 7 macro-classi in base alla loro natura e agli aspetti caratteristici che gli specificano:

1) eccesso di produzione: produrre più del necessario non corrisponde necessariamente ad un bisogno soddisfatto. Anticipare la domanda del paziente o fornire un’attività che non è sincronizzata alle sue esigenze e necessità potrebbero essere delle possibili cause dell’eccessiva produzione che determina a sua volta altri tipi di sprechi (es. eccessive scorte).

2) attese: quando delle risorse aziendali, siano esse strumentali o umane, non svolgono alcuna attività in attesa di materiali, informazioni o ordini si incorre in uno spreco perché tali risorse potevano essere impiegate se vi fosse stata una maggiore coordinazione o pianificazione.

3) movimenti superflui: molte attività svolte di routine non vengono in modo da ridurre la fatica fisica degli operatori; ottimizzare il lavoro

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umano migliora l’armonia, la coordinazione e la sinergia tra gli operatori, riducendo gli sprechi del 30%.

4) difetti: a causa di informazioni errate o incomplete o in seguito all’utilizzo di componenti difettosi, il risultato di un’attività apparirà difettosa e dovrà essere sostituita o rilavorata con un conseguente spreco di risorse. Una prestazione sanitaria infatti è di qualità se soddisfa il bisogno del paziente nei tempi e secondo gli standard prestabiliti.

5) inutili complicazioni: si presentano quando v sono procedure che non sono correttamente sincronizzate e non è stata ancora implementata una soluzione migliorativa.

6) scorte: le scorte hanno sempre un grado di spreco intrinseco, dato dalla variazione della domanda che spesso non è programmabile. È necessario però non eccedere nello spreco e limitarlo.

7) trasporti: è necessario minimizzarlo quando possibile attraverso l’uso di strumentazione tecnica/informatica, posizionamento ottimale delle componenti o altri mezzi volti a garantire il percorso più breve possibile.

Riuscire a individuare gli sprechi all’interno di un processo non è semplice essendo necessaria, da parte degli operatori, un’analisi critica sul proprio operato quotidiano. La filosofia Lean sostiene che il punto di partenza necessario sia quello di vedere l’azienda e le attività individuali con gli occhi del paziente. Solo così riusciremo a diventare “costruttivamente critici” sulle attività svolte. Quasi sempre la riduzione degli sprechi avviene mediante strumenti semplici, ma soprattutto attraverso un cambiamento dei modi di pensare, degli atteggiamenti e delle abitudini.

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5.5 Il miglioramento in azienda

Il miglioramento può realizzarsi attraverso due modalità:

1. discontinuo (“Kakushin”): si ottiene attraverso un salto significativo delle prestazioni di un processo produttivo. Richiede il coinvolgimento di pochi e investimenti finanziari per la sostituzione di impianti e/o attrezzature, oltre che per l’innovazione tecnologica.

2. continuo (“Kaizen”): è conseguito nel tempo per ottimizzazione di un

processo aziendale, riducendo i difetti e attraverso la

responsabilizzazione dell’operatore. Non comporta investimenti particolari e necessita del coinvolgimento di tutti gli operatori.

La metodologia Lean si sviluppa attraverso la filosofia Kaizen del miglioramento continuo, diffuso e graduale perché richiede tanti sforzi, ma limitati investimenti. Deve coinvolgere tutto il personale e richiede il riconoscimento degli sforzi prima ancora che dei risultati.

La parola è composta da “kai” cambiamento e “zen” miglioramento: il kaizen è quindi una strategia che significa “cambiare per il meglio in modo lento e continuo” e trova il proprio fondamento in una logica operativa “bottom up”: la spinta proviene dai livelli più bassi della piramide organizzativa, infatti solo il coinvolgimento attivo dell’operatore può determinare modifiche migliorative degli aspetti specifici della propria funzione. L’aspetto più importante del Kaizen è il processo di miglioramento continuo che è alla base. Si tratta, infatti, di un metodo soft e graduale e completo, che si oppone alle abitudini di eliminare ogni cosa che sembra non funzionare per rifarla da capo: risulta più efficace cambiare una cosa al 100%, piuttosto che 100 cose all’1%. Infatti implementazioni superficiali danno risultati immediati, ma non duraturi, la vera sfida delle aziende è strutturare un

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meccanismo innovativo fatto di conoscenze in grado di sostenere e supportare il cambiamento.

I principi Kaizen sono 10:

1) sbarazzarsi dei concetti tradizionali, anche sui metodi di produzione 2) pensare a come il nuovo metodo funzionerà e non a come non

funzionerà

3) non accettare scuse. Dire no allo status quo

4) non ricercare la perfezione immediata: un tasso di implementazione del 60% se fatto subito, va bene

5) correggere gli errori nel momento in cui vengono trovati

6) non spendere molti soldi per migliorare, ma pensare con creatività prima dell’investimento

7) i problemi danno l’opportunità di utilizzare il cervello

8) chiedersi sempre il perché almeno cinque volte per trovare la vera causa del problema

9) le idee di dieci persone sono migliori di quelle di una persona sola 10) i miglioramenti non hanno limiti: non smettere mai di fare Kaizen. Il miglioramento continuo si sviluppa attraverso 3 passi di apprendimento:

a. riflessione critica (“Hansei”) sul proprio operare che consente di identificare i problemi

b. ispezione sul campo (“Genchi Genbutsu”) che permette di vedere concretamente la realtà e capire la situazione, senza filtri, al fine di riconoscere i problemi

c. coinvolgimento di tutti gli interessati (“Nemawashi”) per identificare le proposte migliorative.

Tipici della strategia Lean sono gli “Eventi Kaizen” che rappresentano lo strumento operativo per attuare tali metodologie. Consistono nell’attività di un gruppo di lavoro appositamente costituito con l’obiettivo di migliorare

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alcuni aspetti specifici, individuati come critici, in particolare mirati all’eliminazione degli sprechi intesi come spazi occupati, percorsi e tempi di lavoro. L’obiettivo è quello di individuare in un tempo programmato (dai 3 ai 5 giorni) il modo per eliminare tali sprechi o per ridurli significativamente e individuare il modo per metterlo in atto. Questo processo è portato avanti da u gruppo di persone che formeranno un team inter-funzionale.

In un sistema organizzato, lo scopo del miglioramento continuo è dal punto di vista dei clienti e delle parti interessate, quello di accrescerne la soddisfazione, dal punto di vista “interno” quello di aumentare l’efficacia del proprio sistema di gestione.

Per innescare un processo di miglioramento continuo è necessario agire sulla mentalità e ad ogni livello di management si dovrebbe implementare il Kaizen.

5.6 Elementi per fare Lean in Azienda 5.6.1 L’operatore al centro

Poiché l’operatore è l’unico vero conoscitore della complessità del processo che svolge, deve essere coinvolto in prima persona per fornire informazioni ed essere promotore di soluzioni contestuali al proprio lavoro. La filosofia Lean pone quindi l’accento sul coinvolgimento diretto degli operatori e di una logica propositiva dal basso anziché di imposizioni di soluzioni dall’alto (strategia “top-down”): l’operatore diventa fulcro e artefice del cambiamento aziendale.

5.6.2 Partecipazione di squadra

Il Lean riconosce l’importanza delle sinergie dovute ad una coordinata collaborazione tra gli operatori e quindi al valore del lavoro di squadra. Per “Team” si intende una pluralità di persone impegnate a integrarsi in vista di uno scopo comune, con un sistema di regole condivise e con ruoli reciproci e

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interdipendenti. Lavorare in squadra crea un ambiente di lavoro unito in cui tutti portano il proprio contributo e si relazionano per ottenere un unico obiettivo. La partecipazione attiva a sua volta, porta risultati evidenti nell’analisi degli aspetti critici e nelle proposte di soluzioni.

5.6.3 Pensiero snello

Per “pensiero snello” si intende una modalità di analisi che serve per riconoscere il valore nelle attività, creare la sequenza ottimale di attività che creano valore, evitare interruzioni inutili ed eseguire il tutto in modo efficace. L’obbiettivo del “pensiero snello” è di identificare la modalità di operare in modo da fare di più o meglio, con le stesse risorse e in modo da avvicinarsi sempre di più ai bisogni dei pazienti.

5.6.4 Azienda snella

L’applicazione del “pensiero snello” a livello aziendale porta ad una “impresa snella”, cioè un incontro e un coinvolgimento continuo di tutte le parti coinvolte, al fine di creare dei canali di efficiente creazione del valore. Con l’applicazione di questi principi le attività aziendali saranno prive di ripetizioni e spostamenti inutili e sia gli operatori che i pazienti potranno scorrere a flusso continuo, senza ostacoli. Questa tipologia di innovazione necessita di un cambio di prospettiva da parte degli operatori sul proprio contributo all’interno dell’azienda, valutandolo dal punto di vista del paziente: in questo modo è possibile individuare gli sprechi per poi essere affrontati attraverso strumenti semplici o cambiamenti di atteggiamento, modi di pensare e abitudini.

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5.7 Principali strumenti Lean 5.7.1 Il “Visual Management”

Il “Visual Management” o “amministrazione visiva” è un metodo per la generazione di un ambiente ricco di informazioni immediate e visivamente stimolanti. È una metodologia molto semplice che si basa sull’uso di strumenti visivi quali cartellonistica, cartellini, strisce plastificate, fotografie, grafici, diagrammi di flusso, etc. che hanno il vantaggio di comunicare informazioni in maniera immediata e che stimolano l’operatore.

I vantaggi della gestione delle informazioni a vista sono:

1. le informazioni organizzative, trasformate in segnali visivi, sono difficili da ignorare

2. consentire a tutto il personale una comprensione immediata della situazione

3. l’operatore si sente parte attiva e lo aiuta a identificare interventi di miglioramento

4. presentare in modo chiaro gli elementi chiave del processo attraverso una panoramica sulla situazione attuale

5. aiutare a porre l’attenzione sui reali obiettivi, favorendo l’integrazione con altri processi.

5.7.2 L’A3

L’A3 è lo strumento operativo chiave del Lean Thinking sia per il processo di comunicazione all’interno di un progetto, che come base di rifermento nel processo di apprendimento continuo aziendale. Infatti può essere utilizzato in diversi casi, quando si vuole:

a) fare il punto o evidenziare lo stato di avanzamento di un progetto b) preparare una proposta per una nuova opportunità di miglioramento c) risolvere un problema.

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