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Analisi preliminare di vulnerabilità sismica Parte I :

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Academic year: 2021

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Parte I :

Analisi preliminare di vulnerabilità sismica

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3 ANALISI DELLA SISMICITÀ

3.1 Il rischio sismico

Il rischio sismico è definito come “l'insieme dei possibili effetti che un terremoto

di riferimento può produrre in un determinato intervallo di tempo, in una determinata area, in relazione alla sua probabilità di accadimento ed al relativo grado di intensità”5. Il rischio sismico è funzione di tre fattori.

1. Pericolosità: esprime la probabilità che in un certo intervallo di tempo, un'area sia interessata da eventi sismici che possono produrre danni. Dipende dalle condizioni geomorfologiche dell'area, dalla sua distanza dall'epicentro del sisma e dal tipo di terremoto.

2. Esposizione: indica il grado di importanza del manufatto soggetto a rischio sismico, in funzione delle principali caratteristiche dell'ambiente costruito.

3. Vulnerabilità: esprime la possibilità che persone, edifici o attività subiscano danni o modificazioni al verificarsi dell'evento sismico.

Il rischio sismico è quindi dato dall'interazione tra il fenomeno naturale e le caratteristiche intrinseche del territorio e della comunità.

3.2 Zone sismogenetiche e sismicità in Italia

L'Italia è uno dei paesi con attività sismica più elevata d'Europa. Nel bacino del Mediterraneo infatti, coesistono zone sismogenetiche differenti a tettonica compressiva, distensiva e trascorrente6 (Figura 3.1).

5 Fonte: www.regione.toscana.it .

6 Tettonica compressiva: meccanismo di rottura dovuto alla convergenza di due placche vicine in direzione perpendicolare alla faglia.

Tettonica distensiva: meccanismo di rottura dovuto all'allontanamento di due placche vicine in direzione perpendicolare alla faglia.

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Le placche euroasiatica e africana convergono lungo una direzione nordovest – sudest, ruotando entrambe in senso antiorario (Figura 3.2). In particolare la Sicilia settentrionale e la Calabria sono caratterizzate da una tettonica compressiva che comporta un'elevata sismicità profonda.

Spostandosi verso Nord tutta l'area appenninica è caratterizzata da una tettonica distensiva, in direzione nordest- sudovest. Sul versante occidentale dell'Appennino settentrionale (Garfagnana, Mugello e Casentino) sono presenti una serie di bacini distensivi, che comportano un'elevata attività sismica dell'area.

Le catena montuosa delle Alpi infine, è interessata da una tettonica compressiva in direzione nord – sud che si manifesta soprattutto con l'elevata sismicità dell'Italia nordorientale.

in direzione parallela alla faglia.

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Tutta la penisola italiana secondo la normativa attuale è sismica; le zone maggiormente critiche si concentrano lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), al Meridione in Calabria e Sicilia e in alcune zone settentrionali tra cui il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna e la Puglia hanno una sismicità piuttosto bassa e quindi non rilevante (Figura 3.3).

Figura 3.2: zone sismogenetiche in Italia; è indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte:

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Ogni giorno la penisola italiana è interessata da numerosi terremoti, sebbene la maggior parte non siano percepibili dall'uomo. In 2500 anni, si sono verificati più di 30000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala MCS7 e da

circa 560 eventi sismici di intensità uguale o superiore all’VIII grado. Solo nel XX secolo, ben 7 terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6,58, tra cui

quelli a Messina e Reggio Calabria (1908), a Avezzano e Marsica (1915), in Lunigiana e Garfagnana (1920), in Irpinia (1980) e nelle Marche (1997). In ultimo ricordiamo il terremoto in Abruzzo nel 2009 che ha raggiunto magnitudo superiore a 6.

7 Scala Mercalli – Cancani – Sieberg: scala non scientifica che misura l'intensità di un terremoto sulla base degli effetti che esso produce su persone, edifici e manufatti.

8 Magnitudo espressa in scala Richter che indica l'intensità di un terremoto in funzione dell'energia sprigionata da esso.

Figura 3.3: carta della sismicità in Italia con indicazione dei terremoti avvenuti tra il 1981 e il 2002

(a); carta della massima intensità macrosismica risentita in Itala (b). Entrambe le carte evidenziano come l'attività sismica in Italia si concentri lungo tutto l'arco appenninico, nel Mediterraneo meridionale, nella Liguria occidentale e nel Friuli e parte del Veneto. È indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte: www.ingv.it).

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3.3 La sismicità in Lunigiana

La Lunigiana e la Garfagnana sono tra le aree sismicamente più attive della nostra penisola e appartengono alla zona sismogenetica n. 28 del catalogo sorgenti sismogenetiche italiane. Sono caratterizzate da un complesso sistema di faglie, parzialmente cartografate, di cui non sono ancora noti con precisione il regime tettonico e l’estensione in profondità.

La Lunigiana è comunque una delle zone meglio conosciute ed è caratterizzata dalla presenza di faglie singole, associazioni di faglie e sistemi di faglie attive o ritenute attive, tutte prevalentemente con un andamento nordovest-sudest. (Figura 3.4)

Le faglie si estendono per molti chilometri e nel loro insieme costituiscono un'unica grande struttura tettonica distensiva, comprendente due fosse tettoniche, quella della Val di Vara e quella della Val di Magra. Le due fosse presentano una diversa attività che sembra concentrarsi maggiormente in quella della Val di Magra.

Data l'elevata sismicità della Lunigiana e la sua importanza da un punto di vista

Figura 3.4: carta delle faglie attive (rosso) e ritenute attive (azzurro) nell'Appennino settentrionale;

i trattini, se presenti, indicano il lato ribassato. Le faglie che interessano la Lunigiana sono numerate dalla 13 alla 24. È indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte: Dipartimento Scienze della Terra, Università di Parma).

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antropico, il monitoraggio dell’attività sismica negli ultimi anni è stato intensificato con l’installazione di numerose stazioni sismiche appartenenti alla Rete Sismica dell’Italia Nord Occidentale (R.S.N.I. gestita dal Dip.Te.Ris. di Genova) ed alla Rete Sismica Nazionale Centralizzata (R.S.N.C. gestita dall’I.N.G.V. di Roma). Questo puntuale sistema di stazioni permette la registrazione e la localizzazione di terremoti anche di bassa intensità e il calcolo dei parametri ipocentrali con errori molto contenuti. È stato quindi possibile stilare un catalogo completo dei terremoti avvenuti fino alla magnitudo 1,2, al fine di condurre studi avanzati sulle caratteristiche sismogenetiche dell'area.

3.3.1 I terremoti storici in Lunigiana

La Lunigiana è stata interessata nel corso dei secoli da numerosi terremoti di cui si ha notizia certa fin dal 1481 e che si sono concentrati prevalentemente nelle zone di Fivizzano, Pontremoli e Bagnone (Figure 3.5 e 3.6).

Figura 3.5: mappa di sismicità dell'Appennino nordoccidentale per il periodo 1000 -1975; la

dimensione dei cerchi indica il grado di sismicità. È indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte: Progetto terremoto in Garfagnana e Lunigiana).

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Il terremoto del 7 settembre 1920 è sicuramente quello più significativo per l'intera area, sia per l'intensità, sia per i danni provocati in termini economici e di vite umane. La scossa verificatasi alle 7:55 di mattina ebbe una durata di circa 20 secondi; l'epicentro si collocò a Nicciano (comune di Piazza al Serchio) dove si riscontrarono danni tali da classificare l'intensità tra l'VIII e il IX grado della scala MCS; l'area dei danni fu molto vasta e comprese la riviera ligure levante, la Versilia, le zone montane del Parmense, del Modenese e del Pistoiese e la provincia di Pisa. L'intensità maggiore fu raggiunta nelle località di Vigneta e Villa Collemandina in cui si raggiunse il X grado della scala MCS (Figura 3.7). Il terremoto provocò 171 vittime e 650 feriti; gli sfollati ammontarono a parecchie migliaia.

Uno dei borghi più colpiti dal terremoto del 1920 fu Fivizzano il cui centro storico fu completamente distrutto. Sui giornali locali apparvero notizie relative alla distruzione e al danneggiamento degli edifici, dei quali i pochi non crollati presentavano “profondi

squarci e lacerazioni”. L'impatto sociale e mediatico fu molto forte; i danni economici

furono ingenti, tanto che ci vollero oltre 10 anni per la ricostruzione.

Figura 3.6: catalogo parametrico dei terremoti italiani (1999) relativo alla zona della Lunigiana e

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3.4 La classificazione sismica della Toscana

La prima classificazione sismica del territorio italiano fu promulgata con il Regio Decreto Legge 13 marzo 1927 n. 431. In questa norma era riportato un elenco dei comuni sismici italiani, di cui più di 70 in Toscana nell'area della Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Alta Val Tiberina e Amiata. Tra questi compariva anche Villafranca in Lunigiana. Successivamente con il Regio Decreto Legge del 25 Marzo 1935 n. 640 e con quello del 22 Novembre 1937 n. 2105, alcuni comuni furono declassati tra cui, ad esempio Massa, Carrara e Montignoso (Figura 3.8).

Dopo un'ulteriore modifica nel 1962, la lista dei comuni simici fu cambiata nel 1974 con l'emanazione della nuova normativa sismica nazionale contenente i criteri di costruzione antisismica da applicarsi nei comuni ricadenti nel nuovo elenco (Figura 3.9).

Figura 3.7: intensità sismica rilevata in Toscana, Liguria e Emilia Romagna in conseguenza

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Figura 3.8: classificazione sismica dei comuni toscani al 1927 (a) e 1937 (b); in rosso sono indicati

i comuni sismici e in grigio quelli declassati. È indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte: www.regione.toscana.it).

Figura 3.9: classificazione sismica dei comuni toscani al 1964 (a) e 1982 (b); in rosso sono indicati

i comuni sismici fin dal 1927, in grigio quelli declassati nel 1937, in verde quelli riclassificati nel 1964 e in giallo quelli classificati per la prima volta nel 1982. È indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte: www.regione.toscana.it).

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Dopo il terremoto dell'Irpinia avvenuto nel 1980, si comprese la necessità di una classificazione del territorio italiano di tipo “preventivo”; fino ad allora infatti, un comune veniva dichiarato sismico solo in seguito a un terremoto. Grazie agli studi sismologici e geologici svolti nell'ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del C.N.R., fu elaborata una nuova classificazione sismica del territorio italiano, basata per la prima volta su indagini di tipo probabilistico che contenevano embrionalmente il concetto di stima del rischio sismico. Il territorio italiano era diviso in 3 classi (dalla 1 alla 3) che indicavano il grado di sismicità decrescente al quale erano legati specifici criteri costruttivi per le costruzioni in zona sismica; il resto dei comuni non era classificato (Figura 3.10)

Con il D.M. 19 Marzo 1982 la Toscana passò da 50 comuni classificati sismici a 182 (su 287 totali), comprendendo il 75% del territorio e l'80% della popolazione (Figura 3.9). Infatti, la nuova classificazione interessava tutti i capoluoghi di provincia tranne Grosseto e Lucca, quindi aree fortemente urbanizzate e strategiche sotto l'aspetto economico e produttivo.

Figura 3.10: classificazione sismica dell'Italia e in particolare della Toscana nel 1982 È indicata la

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Tutti i comuni toscani classificati sismici ricadevano in zona 2 (sismicità media); il resto del territorio era considerato asismico (Figura 3.10).

La classificazione attuale del territorio italiano si basa su quella emanata con l'Ordinanza n. 3274/03, in seguito al crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia. Con tale norma tutto il territorio italiano è stato classificato come sismico; le classi sono state aumentate a 4, includendo nell'ultima i comuni che in precedenza non erano considerati sismici (Figura 3.11).

Il grado di sismicità delle quattro zone è espresso in funzione dell'accelerazione orizzontale massima attesa (ag), in condizioni di campo libero su sito di riferimento

rigido con superficie topografica orizzontale. Il termine ag è espresso in funzione

dell'accelerazione di gravità (g) e per ciascuna classe vale: • classe I: ag >0,25g

• classe II: ag = 0,25g ÷ 0,15g

• classe III: ag = 0,15g ÷ 0,05g

• classe IV: a < 0,05g

Figura 3.11: classificazione sismica dell'Italia e in particolare della Toscana al 2003. È indicata la

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La Regione Toscana, con la delibera di G.R.T. N. 431 del 19 Giugno 2006, ha raffinato la classificazione del proprio territorio aggiungendo una quinta classe denominata 3s (Figura 3.12). In questa classe rientrano tutti quei comuni che al variare della sottozonazione effettuata dalla Regione, possono ricadere sia in zona 2 che in zona 3 e per i quali quindi in via cautelativa, si considerano le azioni sismiche della zona 2 (ag = 0,25g ÷ 0,15g).

Questo tipo di classificazione è stata superata con la pubblicazione del D.M. 16 Gennaio 2008 nel quale è stato pubblicato un reticolo di 10751 nodi (con passo pari a circa 5,5 km) per ognuno dei quali viene fornito insieme ad altri parametri il valore di ag.

Il comune di Villafranca in Lunigiana, classificato come sismico fin dal 1927, è attualmente in zona 2, il che indica una sismicità medio – alta. Inoltre, con la Delibera di G.R.T. del 26 Novembre 2007 n. 841, è stato inserito nell'elenco dei comuni a maggior rischio sismico della Toscana (Figura 3.12).

Figura 3.12: classificazione sismica attuale del territorio toscano; con il retino sono stati

evidenziati i comuni a maggior rischio sismico. È indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte: www.regione.toscana.it).

Figura

Figura 3.1: zone sismogenetiche nel bacino mediterraneo (fonte: www.ingv.it).
Figura 3.2: zone sismogenetiche in Italia; è indicata la posizione di Villafranca in Lunigiana (fonte:
Figura 3.3: carta della sismicità in Italia con indicazione dei terremoti avvenuti tra il 1981 e il 2002
Figura 3.4: carta delle faglie attive (rosso) e ritenute attive (azzurro) nell'Appennino settentrionale;
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La presente tesi nasce da un accordo di collaborazione tra Regione Toscana, Comune di Villafranca in Lunigiana e Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Università

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