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CAPITOLO I IL THRILLER: TERMINOLOGIA, CARATTERISTICHE ED EVOLUZIONE DEL GENERE

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CAPITOLO I

IL THRILLER: TERMINOLOGIA, CARATTERISTICHE ED

EVOLUZIONE DEL GENERE

1.1 Derivazione e significato del termine

Negli ultimi vent’anni sono state sempre più numerose le letterature in cui si è manifestata un’abbondante fioritura di varie tipologie di romanzo di investigazione, cioè del giallo, secondo l’espressione che in italiano designa una vicenda d’argomento poliziesco con finale a sorpresa. Gli scaffali delle librerie abbondano di titoli che rientrano in tutte le varianti del genere che, come ricorda Raffaele Crovi ne Le maschere del mistero, coinvolgono anche un’ampia gamma lessicale.

Infatti, secondo Crovi, i tre termini chiamati in causa per descrivere la

fiction con intrecci, personaggi, eventi di mistero sono detection, suspense e thriller. Il termine detection sta per indagine, inchiesta, smascheramento; suspense indica la tecnica sospensiva di ogni storia strutturata su un intrigo; thriller definisce una rappresentazione verbale o visiva con soprassalti, sussurri,

imprevisti. È proprio la parola thriller che meglio definisce il genere della fiction definita via via come: detective story, detective novel, crime story, spy story,

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come Kriminalroman e Detectiveroman in Germania; e come romanzo poliziesco e giallo1 in Italia. 2

Il genere consta di vari elementi e le singole lingue ne accentuano l’uno o l’altro. Alcuni sottolineano il fatto che a caratterizzare il genere c’è un crimine; altri il fatto che al delitto segue un’indagine, compiuta dalla polizia, che deve portare a una scoperta (la parola inglese detection deriva dal latino detegere: scoprire, scoperchiare); altri sottolineano l’aspetto del mistero, cioè di enigma, che presenta un delitto misterioso il cui autore non è colto in flagrante e perciò va scoperto. Il che significa che la storia deve avere una conclusione, una detection.

Dal noir alla tradizionale detective story, dal polar3 al romanzo di investigazione a sfondo storico, i dati relativi a pubblicazioni e vendite testimoniano che il romanzo giallo si è ormai liberato dall’etichetta roman de

gare4 che per lungo tempo lo ha relegato nell’ambito della paraletteratura. Il gradimento riscontrato tra i lettori, l’attenzione della critica e il moltiplicarsi di opere di questo genere attestano una direzione precisa intrapresa dal romanzo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. In particolare è molto fecondo il polar, definito polar noir, con autori che ritraggono la realtà sociale di uno specifico tessuto urbano attraverso inchieste incentrate sulla figura di un investigatore,

1 In riferimento alla copertina della collana Mondadori, Giallo Mondadori.

2 Cfr. R. Crovi, Le maschere del mistero. Storie e tecniche di thriller italiani e stranieri, Passigli Editori, Firenze, 2000.

3 Con il termine polar si indica, in Francia, tutto ciò che da noi si definisce genericamente come “giallo”. È un neologismo francese nato dalla fusione dei termini ‘poliziesco’ (policier) e ‘noir’.

4 È un genere letterario caratterizzato da opere di facile e rapida lettura, divertenti ma allo stesso tempo superficiali. Prende il nome dal fatto che vengono acquistati nelle stazioni ferroviarie e lette in attesa del treno o durante il viaggio. Si tratta generalmente di libri di piccolo formato e poco costosi, con storie poliziesche o di spionaggio e storie d’amore.

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come per esempio Camilleri, che ambienta le indagini del commissario Montalbano nella realtà immaginaria di Vigata. Altri autori scelgono di rispettare il modello più tradizionale di giallo incentrato su vicende private, come Il codice

da Vinci di Dan Brown.5

L’indagine thriller si trova ad affrontare misteri della mente e del cuore, misteri individuali e collettivi, il mistero di un evento o il mistero di un comportamento, con il compito di decifrare quello che sembra indecifrabile; è mistero ciò che appare inspiegabile, che suscita sospetto, che è segreto ed è fondato su apparenze da smascherare.

È indubbio che il genere letterario del giallo, con le sue diverse ramificazioni e parentele testuali, caratterizzi in maniera essenziale il panorama letterario anglofono, con riflessi anche di tipo linguistico.

Secondo Tzvetan Todorov, il giallo può creare disorientamento nel lettore attraverso uno slittamento del punti di vista della narrazione, affidandosi, ad esempio, a un ‘narratore inaffidabile’. Todorov sostiene che: “in realtà sfugge alla prova della verità solo ciò che nel testo viene affermato a nome dell’autore, mentre la parola dei personaggi può essere vera o falsa come nel parlare quotidiano”.6 Il romanzo giallo a enigma si avvicina al fantastico, ma è anche l’opposto: nei testi fantastici si è inclini alla spiegazione soprannaturale; il romanzo giallo, una volta terminato, non lascia sussistere alcun dubbio sull’assenza di avvenimenti soprannaturali.

5 Cfr. C. Trinchero, Le nuove strade del giallo contemporaneo. Le inchieste di Nicolas Le Floch, commissario di Châtelet, in V. Gianolio (a cura di), NoirGialloThriller. Orme critiche e tracce di genere, Tirrenia Stampatori, Torino, 2010.

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I delitti di cui ci si occupa rientrano nella sfera della fiction, cioè nell’articolazione della lingua per scopi creativi del discorso. A livello lessicale, l’inglese ha una notevole gamma di termini pertinenti a questo campo, sia di origine germanica, o in alcuni casi scandinava come per killer e thriller, sia di derivazione latina con coroner. Per esempio, il termine inglese murder (omicidio) deriva dal latino ‘murdrum’ e possedeva uno spettro semantico ampio e particolare, indicando nella società anglosassone ogni tipo di uccisione particolarmente cruenta.7

1.2 Da Edgar Allan Poe ai giorni nostri: evoluzione di un genere

La letteratura è l’insieme di libri che sono stati scritti o letti come libri letterari, laddove insieme è da intendersi proprio nel senso matematico di “raggruppamento di grandezze, enti, elementi, numeri considerati secondo un criterio qualunque o secondo determinate proprietà comuni”.8 La proprietà comune che permette di creare quest’insieme è il fatto che sono stati composti e letti secondo certe regole che nella nostra società sono considerate come necessarie e sufficienti a rendere un’opera letteraria un libro; letteraria ossia non scientifica, né filosofica, ma codificata e formalizzata secondo principi che si considerano di volta in volta letterari. I libri gialli sono naturalmente letterari, come tutti quei libri che il lettore sceglie quando non vuole studiare ma leggere,

7 Cfr. E. Adami, La lingua del giallo tra fiction e non fiction: investigazioni nelle civiltà letterarie anglofone, in V. Gianolio (a cura di), NoirGialloThriller. Orme critiche e tracce di genere, Tirrenia Stampatori, Torino, 2010.

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cioè quando non vuole acquisire conoscenze, ma mettere in moto la sua immaginazione e la capacità di emozionarsi.

I sottoinsiemi o generi sono i raggruppamenti di libri la cui proprietà comune risiede nel fatto di essere stati scritti osservando alcune particolari regole di contenuto e stile che li rendono distinguibili da altri. Quindi il giallo o poliziesco è un genere o sottogenere, che poi a sua volta è articolato in altre sottosezioni.9

Nel saggio Le roman policier, Tzvetan Todorov, costruisce una sua tipologia di poliziesco tutta falsa. Egli attribuisce al genere il carattere di lettura popolare, ignorando che chiunque ha scritto opere di questo tipo, ha affermato che si trattava di letteratura di intellettuali. Todorov disegna una successione cronologica delle varie forme, che non corrisponde all’effettiva evoluzione del genere. Ma soprattutto pensa che, mentre per la letteratura d’arte il genere non esiste nemmeno, per la letteratura di massa, quindi il giallo, esistono leggi che è impossibile scalfire e violare.10

La letteratura poliziesca attualmente disponibile è tutt’altro che omogenea e unificabile sotto un unico modello. Ogni autore affronta la materia narrativa secondo specifiche convinzioni sull’indagare, sulla conoscenza e sulle procedure per ottenerla.

1.2.1 – Il giallo classico

9 Cfr. G. Petronio, Sulle tracce del giallo, Gamberetti, Roma, 2000.

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Nella storia, il romanzo poliziesco segue da vicino le evoluzioni dell’ordine sociale. È proprio nell’Ottocento che questo genere prolifica e prospera, esattamente quando le configurazioni metropolitane mutano, quando la rapida rivoluzione industriale, l’assembramento nei centri urbani e l’aggregazione di una miriade di individui diversi portano allo sviluppo di un nuovo tipo di criminalità.

Sebbene alcuni critici vedano già nell’ Edipo Re un primo esempio di

detective story, è riconosciuto all’ unanimità il fatto che il ruolo di iniziatore del

genere vada attribuito all’autore americano Edgar Allan Poe. Il suo racconto The

Murders of the Rue Morgue (I delitti di Rue Morgue), pubblicato nel 1841,

introdusse il primo vero detective della letteratura, Auguste Dupin, prototipo del detective sedentario, pensatore, riflessivo e intuitivo che avrà una lunga serie di epigoni. I racconti con Auguste Dupin segnano l’inizio della storia del giallo deduttivo, che per circa un secolo è stato il genere poliziesco di maggior successo, in particolare tra il 1920 e il 1940, epoca chiamata Età d’oro del giallo.

La figura professionale del detective nacque in Europa proprio nei primi decenni del diciannovesimo secolo, in concomitanza con l’istituzione dei primi corpi di polizia cittadina ufficiali: la Sûreté a Parigi e i Bow Streets Primers a Londra. Il loro compito era quello di preservare l’ordine, proteggere la proprietà borghese, tenere sotto controllo una città in cambiamento, sempre più incomprensibile agli occhi degli abitanti benestanti a causa del forte aumento della popolazione dei ceti più bassi e del continuo progresso tecnologico.

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Dupin incarna la nuova figura del detective come esempio della ragione che si oppone all’impulso irrazionale e lo controlla, è colui che riporta l’ordine logico nel caos generato dall’evento criminale. Questo modello rispondeva alle inquietudini della borghesia cittadina europea, e in particolare quella inglese, che si sentiva minacciata e impreparata di fronte ai grandi cambiamenti sociali in atto. Nel primo trentennio dell’Ottocento, gli effetti della rivoluzione industriale si erano diffusi in Inghilterra, e si estendevano al resto d’Europa; le città attiravano i poveri emigranti in cerca di un lavoro che potesse garantire loro un’occasione di riscatto sociale. Insieme alla popolazione crebbero anche la miseria e la criminalità, le contestazioni sociali e politiche; questo cambiamento generò nella classe borghese ansia per la propria sicurezza e per quella del proprio status oltre a un forte bisogno di prendere le distanze da una realtà ormai incomprensibile e inquietante.

La detective fiction era quindi il punto di incontro ideale, specie per la

middle class, tra questo bisogno d’evasione in un mondo rassicurante e il clima

positivista dell’epoca, che vedeva nella scienza l’unico strumento conoscitivo valido in grado di risolvere ogni problema umano e sociale.

Ma il successo e la fama della detective fiction sono legati all’immortale personaggio creato da Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes. Il detective appare per la prima volta nel racconto A Study in Scarlet, nel 1887, sulla rivista Strand

Magazine, il cui pubblico era composto soprattutto da impiegati londinesi

appartenenti alla borghesia cittadina. Le avventure di Holmes e del suo assistente, John Watson, vennero seguite con passione da una larga schiera di

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lettori, ma Doyle si trovò ben presto prigioniero del personaggio da lui creato, che gli impedì di seguire le sue ambizione letterarie più alte. L’autore, infatti, mal sopportava che la sua fama fosse legata ad un tipo di letteratura considerata di basso livello, ma il pubblico e gli editori non accettarono la morte del detective narrata in The Final Problem. Lo scrittore cedette alle pressioni pubblicando, prima dei romanzi che narravano episodi precedenti alla morte di Holmes, e poi resuscitandolo, spiegando che in realtà era fuggito alla morte all’insaputa di Watson. La saga si concluse definitivamente nel 1927 e contava quattro romanzi e cinquantasei racconti.

Come è noto, il motore del giallo è il delitto, il fatto sorprendente che interrompe l’andamento ordinario delle cose, costringendo il detective a cercarne la giustificazione. Il delitto è l’ignoto su cui bisogna far luce, un fatto che si comprende solo in parte e che in parte va ricostruito. Nelle avventure di Holmes, la scena del delitto appare incompleta come una fotografia in cui sono state annerite alcune parti: c’è la vittima, ma la sagoma del suo autore, cioè l’assassino, è annerita e segnalata, per esempio, dall’impronta del suo piede; manca l’arma del delitto, ma la ferita mortale è l’indizio che la rivela. L’abilità raziocinante di Holmes consiste nel capire quale sia la parte mancante delle tracce recuperate sul luogo del delitto e nel connetterle l’una all’altra arrivando a ricostruire lo svolgimento dei fatti delittuosi.11

Il periodo compreso tra le due guerre mondiali, gli anni ’20 e ’30, è considerato universalmente come la golden age del giallo. È l’epoca di Agatha

11 Cfr. R. Petrilli, Il detective e le parole. Le strutture semantiche del giallo, Troina, Città aperta, 2004.

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Christie e dei suoi famosi personaggi, l’ispettore belga Hercule Poirot, che fece la sua prima apparizione in Poirot at Styles Court, nel 1920, e la curiosissima Miss Jane Marple, che apparve per la prima volta nel 1930 nel romanzo La morte nel

villaggio. Le loro avventure furono lette, e lo sono tutt’ora, da milioni di persone,

tanto che l’autrice venne incoronata “regina” della detective fiction.

I personaggi e le trame che l’autrice disegna nelle sue opere sono diventati una galleria di modelli letterari fissi: il detective, il nobile, l’assassino, l’uxoricidio, l’eredità, il segreto di famiglia, il castello. Questi modelli sono dettati da precise scelte narrative e stilistiche.

Lo stimolo a intraprendere il sentiero del giallo avvenne attraverso una sfida letteraria con la sorella Madge, e l’occasione si concretizzò durante l’esperienza presso il dispensario dell’ospedale di Torquay, negli anni della prima guerra mondiale. A tal proposito, nella sua autobiografia, la Christie scrive:

[…]I began considering what kind of a detective story I could write. Since I was surrounded by poisons, perhaps it was natural that death by poisoning should be the method I selected. […]The whole point of a detection story was that is must be somebody obvious but at the same time, for some reason, you would then find it was not obvious, that he could not possibly have done it. […]I went on playing with my idea for some time. Bits of it began to grow. I saw the murder now. He would have to be rather sinister-looking. […]You must create you characters for yourself. Someone you see in a tram or a train or a restaurant is a possible starting point, because you can make up something for yourself about them. Sure enough, next day, when I was sitting in a tram, I saw

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just what I wanted: a man with a black beard, sitting next to an elderly lady who was chattering like a magpie.12

La presenza di un nutrito gruppo di profughi belgi fornì l’ispirazione per la creazione del personaggio di Hercule Poirot, investigatore privato, ex capo della polizia belga, trasferitosi in Inghilterra nel 1914. La sua caratterizzazione fisica e psicologica venne arricchita da una nota di eccentricità continentale. In uno stile che ancora risente dell’epoca vittoriana, i personaggi che attraversano l’opera di Christie, diventano per antonomasia figure chiave di un genere destinato a un’enorme diffusione, in tempi moderni anche grazie alla trasposizione cinematografica e televisiva. Si può sottolineare come i romanzi dell’autrice non costituiscono delle mere forme di divertissement, ma rappresentano un intreccio di aspetti culturali, storici e sociali della Gran Bretagna, dall’epoca del primo conflitto mondiale fino agli anni ’60.

I delitti che contrassegnano puntualmente le storie di Poirot e Miss Marple non sono caratterizzate da esplosioni di violenza e scene cruente, ma da una sottile e astuta premeditazione, un lavorio intellettuale che mira al delitto perfetto. I testi della Christie offrono anche interessanti esempi di particolari costruzioni narrative, soprattutto per quanto riguarda le tecniche relative al punto di vista e le sue possibili applicazioni ad altri generi, o sottogeneri, letterari.

Un motivo tipico del giallo, il delitto nella stanza chiusa, sembra essere una costante che caratterizza i personaggi letterari dalle origini sino alla contemporaneità. Molte delle ambientazione come il castello, il labirinto, il

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giardino, il monastero, l’isola, sono presenti nelle opere della Christie e sembrano preannunciare l’ingresso del fantastico, del magico e del mostruoso, per esempio in Dieci piccoli indiani del 1939, anche se l’impianto del realismo sociale tipico del giallo, con le sue costruzioni analitiche e scientifiche, non permette commistioni di genere. I luoghi del mistero e del delitto, edificati dalla Christie, sono ancora avvolti da un’aura vittoriana e rimandano simbolicamente a una concezione morale e un ordine prestabilito che non permettono deviazioni. L’assassinio è considerato come un male da estirpare, ed è legato a un morboso interesse ottocentesco per la morte, i delitti, le esecuzioni in una matrice quasi patologica.13

Nel 1928 alcuni scrittori inglesi di detective stories fondarono il Detective

Club, cercando di rafforzare l’adesione alle regole compositive codificate da

Ronald Knox. Sempre nel 1928m lo scrittore S.S. Van Dine pubblicò sulla rivista

The American Magazine, un articolo intitolato Twenty Rules of Writing Detective Stories. Tra le regole sono menzionati i seguenti punti:

•Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero, tutti gli indizi e le tracce devono essere chiaramente elencati e descritti. […]

•Né l’investigatore, né nessun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. […]

•Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche e deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. […]

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•Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell’assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev’essere remunerato!

•Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona cioè, che sia diventata familiare al lettore, e lo abbia interessato.

•I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.

Nel 1929, il reverendo Ronald Knox pubblicò, come introduzione alla raccolta The Best Detective Stories of 1928-29, un decalogo che voleva essere una specie di risposta alle celeberrime regole di S.S. Van Dine. Tra queste troviamo le seguenti caratteristiche:

• Il colpevole dev’essere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine; il lettore non deve poter seguire nel corso della storia i pensieri del colpevole,

• Tutti gli interventi soprannaturali o paranormali sono esclusi dalla storia,

• Non possono essere impiegati veleni sconosciuti; inoltre non può essere impiegato uno strumento per il quale occorra una lunga spiegazione scientifica alla fine della storia,

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• L’amico stupido dell’investigatore, il suo dottor Watson, non deve nascondere alcun pensiero che gli passa per la testa: la sua intelligenza deve essere impalpabile, al di sotto di quella del lettore medio.

Per Knox il giallo è un gioco, un enigma che mette in scena da una parte l’abilità dello scrittore che lo ha realizzato e dall’altra costringe i lettori a giocare a risolvere enigmi e misteri. Un giallo, infatti, come Knox ribadisce «deve avere come principale interesse il dipanamento di un mistero, un mistero i cui elementi devono essere presentati in modo chiaro sin dalle prime battute del racconto, e la cui natura sia tale da suscitare una certa dose di curiosità che deve venire alla fine gratificata».14

Nello stesso periodo, Dorothy Seyers in Inghilterra e Van Dine negli States, iniziarono a modificare leggermente il genere, cercando di scrivere romanzi polizieschi che fossero prima di tutto romanzi, più realistici, senza l’astrazione, l’asetticità emotiva tipica della detective fiction tradizionale.

1.2.2 L’hard-boiled

Negli USA, dopo un periodo di sostanziale imitazione della tradizione inglese, vide la luce un nuovo filone del genere poliziesco, il cosiddetto

hard-boiled: mentre la detective story inglese portava agli estremi il dualismo e il

razionalismo di Poe, la scuola americana, che aveva come esponenti maggiori Dashiell Hammett e Raymond Chandler, puntò a un maggiore realismo e nei romanzi emersero i ritratti di quartieri malfamati, le classi sociali più povere, la

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violenza e il sangue, un linguaggio verosimile e a tratti volgare, tutti elementi che erano stati fortemente censurati in passato. Il detective, ora quasi sempre un

private eye, non era più la lucida mente calata nel mondo positivista degli esordi,

ma un uomo che si scontrava con i propri impulsi e le proprie emozioni, in un mondo più incerto e pessimista.

L’affermarsi della modernità negli USA, fu determinata, a partire dal 1885, da due fenomeni decisivi. Da un lato il processo di rapida e crescente urbanizzazione, frutto dei picchi di immigrazione dall’Europa e del processo di industrializzazione del paese; dall’altro l’emergere di un nuovo concetto di democrazia, che William Leach nel 1993 in Land of desire definisce come il prodotto di una cultura di “capitalismo del consumo”. Secondo Leach, infatti, l’America aveva risposto alla rapida urbanizzazione dando avvio a una “democrazia di mercato” fondata sulla promessa di maggior benessere materiale per un numero sempre più ampio di cittadini.

La rivoluzione dell’informazione di fine Ottocento era stata alimentata da una innovazione tecnologica. Lo sviluppo delle tecniche di produzione della polpa di legno15 aveva abbattuto i costi di produzione della carta, rendendo così possibile l’allargamento della base di consumatori raggiungibili dai prodotti culturali. È in questo periodo che nascono i pulp-magazine, pensati per assecondare e anticipare i gusti di questa democrazia di consumo, scarsamente interessata ai canoni della letteratura cosiddetta “alta”.

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Il successo del pulp era frutto di accurate scelte di marketing: oltre ai prezzi abbordabili, questi periodici fondavano il loro appeal sulla suggestione di copertine a colori e allo stile narrativo adottato, che evitava ogni introspezione e astrazione in favore di azione e avventura allo stato puro. Tra le due guerre, all’apice del successo di questo genere, negli USA ogni mese raggiungevano le edicole 500 titoli diversi. Quelli di maggior successo erano i pulp dedicati alle storie dei “supereroi” – poliziotti duri (hard-boiled) e detective privati (private

eye) – oppure criminali “nobili”, novelli Robin Hood mandati a riequilibrare il

divario tra i ricchi e i poveri, percepito ormai come ingiusto e insostenibile. Gli eroi del pulp erano generalmente stereotipi maschili capaci di sopprimere ogni emozione. Vari studiosi hanno messo in luce come questi eroi hard-boiled fossero proiezioni di un modello antropologico tipicamente americano e riconducibile al mito della frontiera. In quanto genere letterario specifico, l’

hard-boiled non nasceva dai pulp-magazine, ma vantava un linguaggio legato ai

modelli di a Edgar Allan Poe e agli anni ’40 dell’Ottocento. Il poliziesco

hard-boiled aveva caratteri distintivi specifici che lo allineavano non tanto alla

tradizione del poliziesco, ma piuttosto ad alcuni tratti distintivi del modernismo americano.

In un saggio del 1944, apparso sull’ Atlantic Monthly dal titolo “The Simple Art of Murder”, Raymond Chandler spiegava la differenza tra quelle due tradizioni di romanzi polizieschi. La prima, che Chandler definiva “tradizione dell’enigma” (the puzzle tradition o analytic tradition), risale a scrittori principalmente inglesi come Arthur Conan Doyle e Agatha Christie e si dipana

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intorno alla soluzione di un omicidio, presentato sotto forma di un problema intellettuale. È il cosiddetto whodunit?, formula abbreviata e colloquiale dell’espressione Who has done it? (“Chi l’ha fatto?), in cui il lettore e il protagonista-detective affrontano insieme la sfida, tipicamente ambientata in luoghi eccentrici e isolati, della ricerca di un assassino tra una schiera ristretta di possibili colpevoli.

L’altra tradizione, tutta americana, di cui faceva parte lo stesso Chandler, è quella che egli definisce “realista”, in cui la soluzione di un giallo è inserita in un contesto sociale reale e realisticamente rappresentata. Nella tradizione realista l’analisi degli indizi viene complicata dal milieu, dalla dinamica complessa di psicologie familiari, tensioni sociali, corruzione del potere e della vita nelle grandi metropoli e delle sue strade violente, mean streets, che sono il centro di ogni racconto hard-boiled che si rispetti. Come diceva Chandler:

The realistic in murder writes of a world in which gangsters can rule nations and almost rule cities, in which hotels and apartment houses and celebrated restaurants are owned by men who made their money out of brothels, in which a screen star can be the finger man for the mobs, and the nice man down the hall is boss of the numbers racket. A world where a judge with a cellar full of bootleg liquor can send a man to jail for having a print in his money. Where the mayor of your town may have condoned murder as an instrument of money making. Where no man walk down a street in safety, because law and order are things we talk about but refrain from practicing. It is not a fragrant world, but it is the world you live in.16

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La denuncia della corruzione del mondo urbano contemporaneo è al centro della letteratura hard-boiled, che trova in questa piega morale una collocazione ben precisa di critica sociale. Come ben argomenta Richard Slotkin, “the central mystey of the hard-boiled detective story is not the discovery of who killed Roger Ackroyd, but rather the discovery that our worst suspicions about our society are true, that behind that facades of prosperity and order the world is really run by criminal conspiracies, driven by greed, establishing themselves through violence”.17 L’ hard-boiled ci conferma il sospetto che l’ American

Dream sia in realtà fondato su un ricatto: la promessa di benessere allargato, quel

“capitalismo democratico”, produce un desiderio infinito di consumo che conduce alla crisi stessa di quella democrazia.

Mentre, quindi, il poliziesco classico è un gioco intellettuale che non segnala alcun cambiamento dello status quo della città, anzi conferma quello

status quo ottocentesco rassicurando i lettori che il crimine è sporadico e alla fine

dei conti sempre svelato e percepito giustamente, al contrario l’ hard-boiled dipinge nel nuovo secolo un quadro molto meno edificante di una società corrotta, la cui redenzione rimedierà la messa in campo di forze e misure straordinarie.

Quella lanciata dall’ hard-boiled può essere considerata come una sorta di crociata localizzata contro l’America urbana: i pulp sottolineavano le radici del

17 R.Slotkin, The Hard-boiled Detective Story: From the Open Rouge to the Mean Streets, in B.A. Rader e H.G. Zettler (a cura di), The Sleuths and the Scholar: Origins, Evolution, and Current Trends in Detective Fiction, Greenwood Press, New York, 1988.

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decadimento del paese nelle città, raffigurate come luoghi oscuri, pericolosi e amministrati da politici corrotti. L’hard-boiled, trasponeva letterariamente la storia di cui i giornali scrivevano quotidianamente, i protagonisti non erano molto diversi da quelli delle cronache.

La fiction hard-boiled era attenta a cogliere la complessità della vita urbana, a partire dai personaggi che ne rappresentavano le diverse stratificazioni di gruppi sociali ed etnici. La città americana del primo dopoguerra era il laboratorio in cui veniva definendosi la fattibilità del management scientifico e il ruolo che i nuovi immigrati del sud Europa avrebbero avuto nei confronti degli altri gruppi di immigrati e delle classi dominanti.

Nonostante i protagonisti degli hard-boiled non si possano definire eroi proletari, essi condividevano con i loro lettori luoghi precisi, problemi psicologici e comportamenti sociali. Il detective hard-boiled lavorava normalmente in zone degradate, era poco rispettato dai dipendenti, che spesso lo criticavano e interferivano con la sua autorità, si trovava in una situazione di disagio economico, parlava il linguaggio della strada e, come i lettori che leggevano le sue avventure, lottava per conservare la propria indipendenza in una società in cui la divisione del lavoro aveva annullato ogni autonomia del singolo. La figura del detective rappresentava per i lettori la realizzazione del miraggio di un nuovo stile di vita: il detective hard-boiled era un individuo che si identificava con il proprio lavoro, era libero da vincoli famigliari e affettivi, aveva un rapporto di pura strumentalità con la propria casa, solitamente scialba e impersonale.18

18 Cfr. A. Carosso, Los Angeles, City of Noir: la città americana tra pulp, hard-boiled e film noir, in V. Gianolio (a cura di), NoirGialloThriller. Ombre critiche e tracce di genere, Tirrenia Stampatori, Torino, 2010.

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L’evoluzione ebbe luogo nei primi anni ’30, in Francia con Simenon e sulla

west coast degli USA con Hammett e Chandler. Si costruirono due nuovi modelli

di giallo prima inesistenti: il giallo psicologico o d’atmosfera, e il giallo d’azione, due modelli che rispondevano in pieno alla civiltà e alla cultura di quel tempo, senza più compromessi.

Il “giallo classico” ha un sapore freddo di metallo: gli uomini si muovono in un mondo privo di linee e colori, il sangue non sporca, i cadaveri non puzzano, i personaggi si incontrano e si scontrano ma non dicono nulla di sé, il detective è un eccentrico, il che lo rende meno umano e gli permette di chiudersi in una sfera di cristallo.

Simenon e Chandler frantumano questa sfera e la vita irrompe nei loro libri, con i suoi odori e colori, con la varietà dei suoi aspetti. La New York di Van Dine è un nome, mentre la Parigi, la Provenza e le Fiandre di Simenon, la San Francisco di Hammett e la Los Angeles di Chandler sono paesi umani. E Marlowe e Maigret sono uomini, corposi, sanguigni, circondati da donne, bevitori di birre o whisky. Nei gialli di prima gli attori erano funzioni, burattini che recitano ognuno la sua parte in un copione costruito secondo norme obbligate; in questo caso sono personaggi e i romanzi sono realistici, si sforzano di rappresentare il reale così com’è.

I loro libri, nella struttura profonda, sono dei gialli: vi è un crimine all’inizio, vi è un’indagine, vi è la soluzione, lo scioglimento dell’enigma. Ma vi sono due importanti innovazioni. Da una parte il distacco netto dalla logica ottocentesca. Van Dine e la Christie potevano polemizzare contro gli indizi e

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affidarsi all’intuito, ma con la vecchia logica polemizzavano ancora; i nuovi autori non polemizzano, se Chandler rifiuta tutto il vecchio giallo, lo fa in nome del complessità del genere. D’altra parte, concepito il giallo come un romanzo realistico, questo deve aderire del tutto, anima e corpo, alla storia che racconta e il libro deve presentare un punto di vista, deve dire la sua sulle cose e sugli uomini di cui parla. Chandler e Simenon, e di conseguenza Marlowe e Maigret, vivono le loro avventure come problemi non intellettuali ma umani e le vivono esistenzialmente e pateticamente.

Del giallo tradizionale questi libri mantengono un elemento essenziale: la conclusione. La presenza di una soluzione, cioè la scoperta di un criminale e del suo affidamento alla giustizia, sta a segnare i confini della mappa ideologica che è dietro di essi.

In una delle sue lettere Raymond Chandler aveva ammesso di dover molto allo scrittore Hammett, che aveva aperto una breccia nel cuore nero dell’America inventando eroi di carta destinati a segnare l’immaginario di milioni di lettori:

Non sono stato io a inventare il racconto poliziesco hard-boiled e non ho mai fatto segreto della mia opinione per cui la paternità di questo genere letterario va ascritta a Dashiell Hammett. […]Da principio e sin quasi alla fine della sua carriera, Hammett ha scritto per quelli che prendono la vita di petto, aggressivamente. Questi non avevano paura dei lati oscuri dell’esistenza, vecchie conoscenze per loro. La violenza non li spaventava: era ordinaria amministrazione nel loro quartiere. Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni esistenziali concrete, e non semplicemente per

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farcire un cadavere ai lettori, e lo ha fatto campare con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali. Ha messo sulla carta i suoi personaggi com’erano e li ha fatti parlare e pensare nella lingua che si usa di solito per tali scopi.19

Una lingua che Dashiell Hammett aveva imparato svolgendo lo sporco e violento lavoro dell’investigatore privato presso l’Agenzia Pinkerton.20 Nelle sue storie Hammett riversò tutta la sua esperienza di segugio investigativo, caratterizzando particolarmente il linguaggio, l’aspetto fisico e la psicologia dei suoi personaggi. Fra il 1923 e il 1933 trasforma in trame letterarie i casi reali da lui affrontati insieme ai colleghi e mostra un approccio concreto con i personaggi, con le città in cui vivono e con le situazioni che affrontano. I suoi romanzi e le sue donne parlano in maniera cruda e realistica e agiscono in maniera violenta, così come richiede il Codice della Strada.21

Innovatore e grande stilista, Hammett è stato insieme uno psicologo nel trattare i personaggi e un grande ritrattista della tradizione del romanzo di costume, ponendo le basi di nuove regole per il realismo: ha descritto il suo Sam Spade come personaggio romantico ma senza staccarlo dalla realtà del mondo di cui scriveva e che aveva conosciuto così bene lavorando per la Pinkerton nei processi più famosi d’America. Il detective Sam Spade, che apparve per la prima

19 R. Chandler, The Simple Art of Murder, (trad. it. O. Del Buono, P. Malvano), Atlantic Monthly, dic. 1944.

20 La Pinkerton, attiva fin dal 1850, si era distinta per la sua attività spionistica durante la Guerra di Secessione e poi era entrata a far parte della leggenda del Far West, mettendo i suoi agenti alle costole di più imprendibili banditi.

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volta nel terzo romanzo The Maltese Falcon, diventò subito modello di personaggio hard-boiled: tough, incallito, competente, con un suo codice di giustizia, esempio solitario di investigatore che lavora senza ricompensa, soltanto per fare una cosa giusta.22

Con Chandler entrano nella letteratura il costume e la cronaca: le sue narrazioni sono uno spietato, preciso, analitico referto di quella accumulazione di traumi che è spesso la vita. Tutti i romanzi e i racconti di Chandler sono ambientati sulla costa californiana, in città rese celebri dalla mitologia del cinema americano: Santa Monica, Santa Barbara, Los Angeles, Pasadena, Hollywood, Palm Springs. L’eroe di Chandler, Marlowe, è nato appunto in California e ha un ufficio senza segretaria nel Cahuenga Building lungo Hollywood Boulevard. Gli intrecci di Chandler giocano su molti elementi: scomparse di persone, commerci pornografici, bische, sparizioni, ricatti, corruzione di poliziotti; hanno per personaggi tipici figli degeneri, mogli infedeli, amanti ambigui, vedove pericolose. Chandler diceva di Marlowe: «lungo la strada dei malviventi deve passare un uomo che non è un malvivente, che non è bacato e che non ha paura. Nel giallo realistico quest’uomo dev’essere l’investigatore. È l’eroe, è tutto. Dev’essere un uomo completo, un uomo comune, eppure un uomo che raramente s’incontra»23. Ciò significa che il giallo realistico colma l’abisso che separava il giallo classico del primo Novecento dall’altra letteratura contemporanea; fare di Marlowe e Maigret, uomini d’ogni giorno, degli eroi, significava assimilarli ai

22 Cfr. F. Pivano, Viaggio americano, Bompiani, Milano, 2009.

23 R. Chandler, The Simple Art of Murder, (trad. it. O. Del Buono, P. Malvano), Atlantic Monthly, dic. 1944.

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personaggi tipici della letteratura del Novecento, una letteratura che o nega il tragico e l’eroico o lo cerca nel tragico quotidiano. Ma anche tutti gli altri comprimari sono promossi da funzioni narrative a personaggi. La spalla scompare; gli eventuali collaboratori dell’eroe non sono alla sua altezza ma non sono nemmeno dei cretini che gli sono stati messi accanto per farne risaltare la grandezza; gli ambienti hanno una vita propria e le atmosfere sono la parte più viva del libro. Per gli stessi motivi cambiano anche i rapporti tra l’eroe e la polizia ufficiale con cui deve trattare. Da Conan Doyle in poi la polizia sta a mostrare l’inutilità dell’intelligenza comune e della routine quando si ha a che fare con un delitto d’eccezione. Nel nuovo romanzo realistico tutto cambia. In quelli di Chandler, Marlowe si scontra ancora con la polizia di Los Angeles, ma la sua è una battaglia solitaria la cui grandezza sta nella sua romantica solitudine; i suoi contrasti con la polizia, anche quando questa è fonte di corruzione e disordine, sono un aspetto essenziale di questa battaglia. Così come nei romanzi di Chandler non ci sono cadaveri per i lettori, non ci sono nemmeno poliziotti che fanno da controfigura per l’eroe.

1.2.3 – Il Noir

Uno dei due principali sottogeneri, insieme al giallo, della letteratura poliziesca, il noir, trae origine dal crudo realismo della scuola hard-boiled di Hammett e Chandler, sviluppatasi negli USA a partire dagli anni ’20, quando viene fondata la rivista pulp Black Mask, come reazione all’astrattezza e all’artificiosità del giallo classico.

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Uno dei principali tratti distintivi del noir è che, rispetto al giallo, il fuoco dell’attenzione tende a spostarsi dalla figura dell’investigatore a quella del criminale, e dallo smascheramento del colpevole attraverso i procedimenti della

detection all’approfondimento dell’azione e della psicologia criminale.

L’attitudine a sondare le pulsioni più oscure che si agitano nella mente umana porta il noir a elaborare una concezione morale di fondo molto più complessa e problematica di quella su cui si regge il giallo ai confini tra il bene e il male diventando labili e sfuggenti, si confondono a tal punto che nel noir diventa difficile distinguere i buoni dai cattivi, in quanto i personaggi dei romanzi noir sono spesso figure lacerate, contraddittorie e moralmente ambigue.

Un’altra particolarità del noir è la sua vocazione al realismo, all’indagine e alla critica sociale, incentrato sulle lacerazioni e le fratture dell’ordine costituito, il noir è naturalmente portato a frugare nelle zone d’ombra della società mettendone a nudo la corruzione e il degrado, le contraddizioni e i conflitti. Questo si caratterizza come un’esplorazione del lato oscuro dell’uomo e della società, una discesa negli inferi del male e del negativo che vi si annidano.

Al semplicistico ottimismo del giallo, che si conclude invariabilmente con l’arresto del colpevole e il trionfo della giustizia, il noir contrappone un lucido e disincantato pessimismo, che si sostanzia in una visione fondamentalmente cupa e tragica del mondo e della vita: nella narrativa noir il lieto fine è molto raro.

Dal punto di vista formale, da una parte il noir ha sempre dato maggiore importanza alla ricerca stilistica ed espressiva e dall’altra è sempre stato più aperto del giallo alla ripetitiva applicazione di schemi e moduli narrativi

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rigidamente codificati, tanto che l’unico punto davvero fermo del noir si può dire sia il fatto che esso ruota intorno a un crimine violento. Ed è proprio questa sua plasticità a determinarne l’attuale vitalità e a permettergli di rinnovarsi continuamente e a prestarsi a diverse commistioni e ibridazioni, tanto con gli altri generi quanto con la letteratura mainstream.24

Il giallo era la storia di un’indagine che mirava a ricostruire l’ordine turbato da un crimine. C’era il crimine, quasi sempre un omicidio, c’era chi investigava, la polizia o detective privato, e c’era un colpevole, individuato e punito, quindi le cose tornavano sostanzialmente come prima, tranne gli eventuali morti che rimanevano comunque tali. Il punto di vista della narrazione era del vincitore e la sua funzione era quella di consolazione.

Di contro, il noir era la storia di una frattura, o di uno slittamento progressivo. Il destino si accanisce contro qualcuno e questo qualcuno deve sudare le proverbiali sette camicie per uscirne vivo e quasi mai ce la fa. Il noir è il racconto realistico di una caduta provocata da agenti individuali che fanno però riferimento alla sperequazione sociale, una caduta alla fine della quale niente potrà più tornare come prima. Tra gli autori noir troviamo: Cornell Woolrich, James Cain, Jim Thompson. La sua funzione essenziale è quella di denuncia e il punto di vista della narrazione è quello della vittima.

I temi principali che si ritrovano nel noir e che hanno contribuito a consacrarlo come genere sono soprattutto quell’aura fatale di ineluttabilità che

24 J. De Michelis, Anatomia del noir, in M. Smocovich (a cura di), Dizionoir: noir, thriller, spy story e zone limitrofe: la più completa guida agli autori e alle storie dell’inquietudine, Delos Books, Milano, 2006.

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pervade l’intero ambiente e il riferimento costante, imprescindibile e spesso maledetto al tema del passato.

Il soggetto noir, che sia o meno protagonista, si trova a confrontarsi con se stesso oltre che con i propri diretti antagonisti, con una parte di sé, sempre buia e avvolta nel mistero, che costituisce una minaccia da affrontare, elaborare e integrare dimostrando così come questo genere non si fermi all’avventura gialla o nera che sia, ma penetri nei tessuti più vasti della letteratura fino a toccare livelli di vera e propria introspezione che contribuiscono a nobilitarlo. Un elemento di spicco del noir è la contrapposizione, il contrasto che è spesso unione tra bene e male, tra bianco e noir, che finisce spesso per diventare l’aspetto principale capace di tradursi in modo fedele nelle figure del buono e del cattivo. Questi ultimi intesi come i due poli estremi della narrazione, due elementi agli antipodi, sono sempre in contrasto tra loro per affermare la propria supremazia all’interno di uno spazio che appare troppo ristretto per permettere la convivenza di entrambi: il detective, pur venendo spesso caratterizzato da aspetti duri e spigolosi, è schierato sul fronte dei buoni e si contrappone al proprio nemico, cioè il colpevole che, per definizione, si colloca sempre nella zona d’ombra.25

Dal punto di vista narrativo, in continuità con la tradizione letteraria

hard-boiled, la città del noir è un ambiance, localizzazione convenzionale del losco e

dell’illecito, luogo decadente e soggetto al gesto criminale. Nei film noir la città diventa più riconoscibile: quello che negli hard-boiled era contesto urbano indistinto, nel film diventa luogo maggiormente reale, una città vera e propria,

25 R. Strada, Tipi psicologici del noir, in M. Smocovich (a cura di), Dizionoir, Delos Books, Milano, 2006.

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come New York e Los Angeles, che concorre visivamente a creare il tono narrativo in quanto elemento di attrazione e repulsione. La città diventa visivamente affascinante, pur mantenendo la sua valenza narrativa negativa, un tunnel esistenziale dal quale la fuga è l’unica via d’uscita.

La città di Los Angeles, un po’ perché è immediatamente disponibile come

location per gli studios hollywoodiani, un po’ perché qui vivevano molti degli

scrittori, diventa l’incarnazione dell’immaginario urbano noir. Nella trasposizione cinematografica Los Angeles viene trasposta geograficamente dallo

sprawl suburbano che lo caratterizzava alle ambientazioni fatiscenti del downtown e di Bunker Hill in particolare, stereotipo del cancro metropolitano,

spazio della frammentazione violenta di forme preesistenti di cui il moderno non può farsi che nostalgico interprete.

Los Angeles rappresenta, negli anni ’20-’30, dal punto di vista urbanistico, la punta avanzata dei cambiamenti urbani e sociali in Nord-America. Negli anni successivi al crollo del ’29, la California meridionale vede convergere due propulsori cruciali di trasformazione urbana: il primo è la deriva della classe media, che provoca un’atmosfera di depressione generalizzata; il secondo consiste nell’espansione della metropoli che negli anni ’30 aveva visto un’accelerazione straordinaria a seguito di una politica estrema di desocializzazione che aveva affidato lo sviluppo urbano alla deregulation della speculazione edilizia e alla cultura del trasporto privato.

Nella “città degli angeli” la reazione culturale a questa crisi è senza precedenti: la crisi economica della depressione e l’alienazione urbana allo

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sprawl iniziano a dettare narrative noir. A partire dal 1934, anno della

pubblicazione di The Postman Always Rings Twice di James M. Cain, l’intera letteratura su Los Angeles tematizza la città come un inferno urbano, sollevando ansie culturali che non sono più restringibili all’orizzonte della detective fiction. Rovesciando il mito della California del sud come il nuovo El Dorado, che una precedente generazione aveva contribuito a costruire, la cultura a Los Angeles tra le due guerre narra di una città distopica, in cui la definizione di genere acquista una valenza metonimica, sintomo di un generalizzato riorientamento dell’industria culturale.

Negli anni ’40, sotto l’influenza dell’immaginario visivo delle rappresentazioni cinematografiche, la letteratura su Los Angeles subisce trasformazioni importanti, nelle opere di tre grandi protagonisti del decennio: John Fante, Aldous Huxley e Ray Bradbury. I romanzi di Fante, a carattere autobiografico, da Ask the Dust (1939) a Dreams for Bunket Hill (1982), raccontano di vite trascorse negli hotel maleodoranti di Bunker Hill e dei popolarissimi taxi-dancehalls26 durante gli anni della Depressione e della guerra. I romanzi di Huxley, ambientati a L.A., disegnano paesaggi poco edificanti: After

Many a Summers dies the Swan (1939), era un ritratto grottesco del magnate dei

media William Randolph Hearst che, nel 1940, ispirò il film noir di Orson Welles

Citizen Kane; il romanzo Ape and Essence, del 1949, anticipa un intero filone

apocalittico di disastri ecologici e mutazioni umane. Anche le prime storie di fantascienza di Ray Bradbury evidenziano una forte influenza noir che risaliva

26 Quasi una istituzione sociale, i taxi dancehalls erano locali in cui uomini in fuga dalla solitudine incontravano donne che ballavano a pagamento, un tanto a ballo.

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fino a Chandler e Hammett. Secondo Mike Davis e David Mogen, le sue Martian

Chronicles (1950), condensano “the angst of the dislocated mid-westerner in Los

Angeles and [project] it as extra-terrestrial destiny”.27

A Los Angeles, il noir non si esaurì con la chiusura del periodo d’oro del genere, avvenuta a fine anni ’50. Al contrario, costituisce una costante dell’anima della città, il risvolto problematico e pessimista del mito della “Land of Sunshine”, e del quale costituisce un corollario necessario e irrinunciabile. L’industria editoriale e quella cinematografica hanno attinto a piene mani da questo dualismo fondante della California del sud, con risultati alterni anche nelle decadi successive a quelle canoniche del noir. Anzi, è proprio dopo la fine degli anni ’30 che compaiono opere che non solo mimano operazioni di nostalgia culturale, ma che continuano a modificare un genere che pare lontano dall’esaurirsi. Le opere di Joan Didion, Slouching Toward Bethelhem (1968) e

The White Album (1979), ripropongono nuove versioni di una California

disfunzionale, malata di un male inafferrabile, banale e mostruoso al tempo stesso: genitori hippy che somministrano LSD ai figli; una San Bernardino che si trasforma in una riedizione dell’inferno sulla Terra; e gli incontri con demoni benefici e malefici dell’epoca, da Jim Morrison alle Black Panthers, passando per la setta di Charles Manson.28

1.2.4 Police Procedural

27 P. Rabinowitz, Black & White & Noir: American’s Pulp Modernism, Columbia University Press, New York, 2002.

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Il police procedural è un particolare filone del romanzo poliziesco che vede la presenza, nei panni del protagonista, non di un singolo poliziotto-investigatore, ma di un’intera squadra di agenti che indaga su un crimine in maniera corale. L’indagine, solitamente, si intreccia con la narrazione di altre vicende criminali, spesso non correlate con quella principale, e l’identità del colpevole non viene svelata nelle ultime pagine, come nel giallo classico, ma è resa nota al lettore molto prima, a volte fin dall’inizio. Nonostante ciò, i romanzi basati sul police

procedural riescono a ricreare e a trasmettere il clima di tensione tipico di una

vera indagine poliziesca, anche grazie all’utilizzo, da parte dell’autore, di materiali tipicamente legati al mondo reale, come i rapporti di medicina legale, le descrizioni delle autopsie, la raccolta delle prove e la trascrizione fedele dei verbali degli interrogatori.

Gli investigatori non utilizzano la forza fisica, né l’indagine diretta: sono funzionari o tecnici che, arrivano alla risoluzione del caso, attraverso l’analisi scientifica dei dati in loro possesso. Questo genere ha inizio negli anni ’30, quando in risposta al potenziamento e all’organizzazione delle attività criminali, nacque un’evoluzione parallela delle forze di polizia: al detective si sostituì una squadra ben organizzata con ruoli e rapporti sociali ben definiti. Gli influssi arrivarono anche nella letteratura e il primo a coglierli in pieno fu Ed McBain, uno dei tanti pseudonimi dello scrittore e sceneggiatore Salvatore Albert Lombino, con le sue avventure dell’87° distretto della polizia di Isola, pubblicati a partire dal 1956. Un immaginario distretto di polizia situato in un luogo altrettanto immaginario, un luogo partorito dalla fantasia di McBain ruotando di

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90° la piantina del quartiere di Manhattan, a New York. D’altra parte, nei romanzi dell’87° Distretto tutti i luoghi rappresentati sono versioni di fantasia dei quartieri newyorkesi: Calm’s Point sta per Brooklyn, Majesta rappresenta Queens, Riverhead è il Bronx e Bethtown è Staten Island. Tutta la serie è incentrata sulle vicende private e lavorative di alcuni agenti, tra cui spicca il detective Steve Carella, che con il passare del tempo conquista il ruolo di protagonista indiscusso sui suoi collaboratori Meyer, Hawes e Kling. Tutti appaiono sempre giovani, in forma e sempre uguali a se stessi nonostante i notevoli cambiamenti avvenuti al contesto sociale.

Essendo la giallistica in generale non tanto collegata al reale, quanto al plausibile, l’ingresso dei moderni metodi d’indagine nelle pagine stampate rappresenta un adeguamento ai tempi: l’intelligenza e la logica sono supportate dal computer, dai microscopi e dalla autopsia. Cambiano anche i luoghi di investigazione: dal ventre palpitante delle città si passa al freddo del laboratorio. Lo stesso corpo di polizia diventa uno strumento che attende indicazioni da parte del tecnico e agisce secondo uno schema di coordinate ben precise.29

Intanto i personaggi si strutturano: gli autori moderni tendono ad assegnare alle loro creature una vita privata che evolve attraverso i loro casi ed arricchiscono la narrazione di nuovi elementi. Infatti, questi personaggi possiedono la caratteristica dell’evoluzione temporale, quasi appartenessero ad un sequel e il lettore avverte, non rispettando la sequenza proposta dall’autore, la

29E. Carlini, Ed Mc Bain e il police procedural, 2010 ultimo accesso 15 settembre 2014 www. hotmag.me/gialloedintorni/2010/09/05/ed-mc-bain-e-il-police-procedural/ .

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fastidiosa sensazione di aver perso una parte della vita, spesso complicata, del protagonista.

Mentre gli autori del passato avevano basato la loro opera essenzialmente sull’esercizio della logica e sull’osservazione dei particolari, i moderni giallisti hanno subito un’evoluzione: oltre ad affrontare organizzazioni del crimine più complesse, devono possedere solide conoscenze scientifiche ed aggiornarsi continuamente.

In questo genere i risultati migliori sono stati ottenuti da Patricia Cornwell e da Jeffery Deaver: creatori di Kay Scarpetta, medico legale che effettua le autopsie nei casi d’omicidio, e di Lincoln Rhyme, un criminologo, un esperto reso tetraplegico da un incidente avvenuto sulla scena di un crimine. Entrambe sono studiosi del male, personaggi isolati che hanno con la morte un rapporto particolare: la dottoressa è al limite del paranoico, mentre Rhyme ci gioca, attendendo i crimini come una liberazione. In comune hanno il luogo di lavoro, il laboratorio, dove analizzano e studiano frammenti, fotografie, polvere, tracce che portano a una sola conclusione. La Cornwell basa il suo personaggio sulla sua esperienza personale di reporter di cronaca nera per il Charlotte Observer e su quella successiva fatta presso un Istituto di Medicina Legale della Virginia. Deaver, invece, crea due personaggi opposti: Rhyme è aiutato infatti da Amanda Sachs, che ne costituisce gli occhi e le braccia sul campo; i suoi romanzi sono avvincenti giochi d’incastro, per cui gli investigatori stessi devono essere un tutt’uno.30

30 S. Marchesi, L’ingresso della scientifica: il police procedural, Giallo e Noir, 2005, ultimo accesso 15 settembre 2014

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Nel 1894 la polizia londinese iniziò a prendere le impronte digitali ai sospetti criminali. A quel tempo, le impronte digitali servivano soprattutto per completare il sistema di identificazione dei criminali, chiamato “antropometria” o “segnaletica”. Quando, sette anni dopo, Scotland Yard instituì il primo archivio ufficiale di impronte digitali in Europa, il sistema antropometrico fu del tutto abbandonato in quanto più complesso. L’introduzione dell’identificazione delle impronte aveva rivoluzionato il metodo di monitoraggio dell’identità sia dei criminali, sia dei cittadini rispettosi della legge. 31

1.2.5 Il giallo in Italia

Nel settembre del 1929 venne inaugurata la collana «I libri gialli» della Mondadori, che costituirà una vera e propria rivoluzione grafica, letteraria e culturale per la narrativa poliziesca italiana. La grafica di copertina sarà così azzeccata da diventare il simbolo di un certo tipo di narrativa e lo renderà riconoscibile al pubblico. Infatti, prima di adottare l’aggettivo «giallo» per identificare il genere narrativo legato e a un’indagine, c’era stato un tentativo di fare perno sulla definizione di «romanzo detettivo» o sul termine thriller o romanzo del brivido. La collana Mondadori sarà in assoluto quella di maggior successo lanciata nel nostro paese, dove si faranno le ossa alcuni dei nomi più interessanti della narrativa italiana di genere di quel periodo. Nel 1931 un decreto ministeriale del regime fascista impose a tutte le case editrici di inserire nelle loro

31 R. R. Thomas, Detective Fiction and the rise of forensic science, Cambridge University Press, Cambridge, 1999.

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collane almeno il 15 per cento di autori italiani, permettendo così a molto professionisti di entrare nel mercato, in particolare in quello del giallo.

Quando debuttò, nel 1931, il thriller italiano nacque molto condizionato: non aveva alle spalle, al contrario di quello inglese e francese, una salda tradizione di letteratura popolare (feuilleton e romanzi d’appendice); la ricerca letteraria italiana si sviluppava su due tracciati divergenti: da una parte prosperava la narrativa sentimentale-romanzesca, di ideologia piccolo-borghese; dall’altra faceva il suo apprendistato una narrativa stilisticamente rigorosa, di stampo moralistico-esistenziale.

Nei primi thriller italiani trionfa l’ideologia manichea della burocrazia legalitaria: prevale il «giudicare» sul «capire», la violenza è vista solo come delitto individuale, effetto di predestinazione patologica caratteriale; l’indagine si preoccupava di ristabilire un ordine robotico; la delinquenza è una colpa astratta; e il giustizialismo è al servizio del moralismo piccolo-borghese.

Negli autori non di routine emergono già gli elementi che caratterizzeranno il thriller all’italiana: il gusto dell’ironia, il progetto intellettuale della contestazione del genere, un’attenzione per le situazioni di emarginazione sociale.32

Tra i migliori giallisti italiani degli anni Trenta troviamo: Augusto De Angelis, Alessandro Varaldo, Giorgio Scerbanenco, Tito Antonio Spagnol, Ezio D’Errico, Guglielmo Giannini. Molti di loro otterranno risultati singolari e unici per l’epoca. In particolare con De Angelis, Scerbanenco e Spagnol si consolida,

32 R. Crovi, Le maschere del mistero. Storie e tecniche di thriller italiani ed estranei, Passigli Editori, Firenze, 2000.

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in Italia, la consapevolezza che un buon romanzo thrilling poggia su una macchina romanzesca complessa, su un impianto di suspense senza smagliature, su congegni aneddotici molto precisi, su una buona trama ma anche su una caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti.

Augusto De Angelis è uno dei primi autori in Italia a chiedersi se possa esistere una poetica del giallo e se la nostra letteratura poliziesca possa risultare originale e non puramente derivativa rispetto ai modelli esteri. De Angelis difende a spada tratta la letteratura di genere e la sua possibilità di essere scritta in Italia, dando consigli ai suoi colleghi e stoccate ai critici. Convinto delle sue asserzioni, egli darà vita alle avventure del commissario De Vincenzi, «commissario poeta» che lavora solitamente a Milano ma che talora indaga anche a Cinecittà. Le sue inchieste furono pubblicate tra il 1935 e il 1942. Il commissario De Vincenzi, nel suo spleen, è vicino ad Auguste Dupin di Edgar Allan Poe e la definizione di commissario-poeta, voluta dal suo creatore, sembra calzare a pennello a un eroe che passa le nottate nel commissariato di piazza San Fedele leggendo Platone, Oscar Wilde, D.H. Lawrence e Freud. Egli non è un poliziotto che segue le indagini in maniera abitudinaria: fa poco uso dei rilievi dei colleghi della Scientifica, tiene soprattutto conto degli indizi psicologici, dei caratteri morali del delitto, dell’importanza dell’ambiente e la sua influenza sull’assassino e sulle sue azioni.33

All’inizio degli anni Quaranta, l’esperimento di un thriller all’italiana che cercava innesti con una letteratura e una cultura nazionale in trasformazione da

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un momento di crisi a uno di rinnovamento, viene interrotto dal regime fascista, che non ama si parli di una società malata e nevrotica in un regime che recita un mistificatorio perbenismo. Infatti, nel 1941, la collana mondadoriana «I Libri Gialli» venne chiusa per l’intervento della censura fascista, ostile a una narrativa che elaborava storie di delitti; e nel 1943 vennero addirittura soppresse tutte le iniziative editoriali intese a produrre thriller. «Il Giallo Mondadori» riaprì nell’aprile 1946.

Il thriller ricomparirà negli anni Cinquanta con i romanzi di Guglielmo Giannini, Sergio Donati, Moretti e Ciabattini. Nei loro romanzi l’Italia del primo improvviso boom economico del secondo dopoguerra, esorcizza il benessere e l’ambiguità del successo sociale attraverso un’esplosione di storie di emarginati sperduti e braccati nei labirinti umani. Gli autori degli anni Cinquanta curano molto l’intreccio e poco i caratteri, molto la struttura romanzesca e poco la scrittura narrativa.

I nuovi autori del thriller italiano degli anni Sessanta/Novanta tentano la strada di una narrativa popolare di non evasione. Nell’Italia pre-Sessantotto, erano «popolari» il gioco del calcio e le canzonette; in una società sostanzialmente depoliticizzata e consumistica, erano «popolari» anche i varietà televisivi, i rotocalchi, il fumetto sadico e porno. In una situazione di comunicazione sociale così depressa, i nuovi autori italiani hanno cominciato a sperimentare una narrativa popolare che rivolge un occhio all’intreccio romanzesco e uno al costume sociale.

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Lo scrittore Giorgio Scerbanenco ha offerto, in questi anni, una splendida saga nera sul deterioramento del tessuto sociale urbano lombardo. Lo Scerbanenco autore delle avventure di Duca Lamberti, è un romanziere amaro e tenero, nervosamente femminista, di un romanticismo straziato e spietato e di una straordinaria pietà. Egli sarà, alla fine, ricordato soprattutto per gli straordinari racconti di Milano calibro 9 e Il Centodelitti, racconti di grande proprietà sociologica, che fanno di lui, dopo Moravia, Buzzati e Calvino, il quarto impegnativo scrittore di racconti del secondo dopoguerra italiano.

Nei romanzi degli autori thriller degli anni Sessanta/Novanta, si muovono poliziotti disadattati, poliziotti corrotti, giornalisti senza più sicurezza carismatica, pubblicitari che insegnano a vendere l’anima, scrittori che hanno programmato la mercificazione della propria fantasia, donne che hanno venduto la propria libertà, poveri uomini vittime della disonestà collettiva, mafiosi subdoli e osceni per stupidità: non c’è quindi dubbio che la narrativa thrilling stia occupando il posto della letteratura della realtà abbandonato dalla narrativa non di genere che sembrava andare di nuovo all’epifania dell’Io.

Nel suo progressivo sviluppo qualitativo, il thriller di questi anni, ha occupato un posto sempre più solido nell’ambito del romanzo di costume, rivelandosi un prodotto seriale ma speciale, espressivamente elaborato più che artigianale, analitico più che d’azione; una narrativa che si porta dietro la buona coscienza letteraria; si è fatto, cioè, strumento d’indagine dei processi di trasformazione del paese.34

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Nel 1980 viene pubblicato Il nome della rosa, un giallo storico di Umberto Eco ambientato nel Medioevo, che senza dubbio rappresenta il poliziesco italiano di maggior successo internazionale, tradotto in numerose lingue. Con questo romanzo Eco affronta per la prima volta la narrativa e costruisce sulla struttura del classico giallo deduttivo un’opera ricca di riferimenti alla semiotica, all’analisi biblica, agli studi medievali, alla politica e alla filosofia.

A partire dagli anni Ottanta comincia una stagione di rinnovata popolarità e fortuna della narrativa poliziesca italiana, segnata non solo dal successo della narrativa di Andrea Camilleri e del suo commissario Montalbano, ma anche dall’affermazione di un buon numero di nuovi autori, ciascuno caratterizzato da uno stile personale, tra cui spiccano i nomi di Carlo Lucarelli, Loriano Macchiavelli, Gianrico Carofiglio e Giorgio Faletti.

1.3 Caratteristiche del thriller

Ogni giallo racconta la stessa storia: qualunque sia il delitto, in qualunque luogo e con qualunque protagonista si svolga, il detective farà sempre la stessa cosa, ossia cercherà di sapere, di ricostruire l’accaduto, in primo luogo per sé, nella sua testa; e poi per spiegarlo nei termini delle cause e degli effetti all’autorità che provveda a emettere una sentenza conclusiva.

Il giallo è una metafora: come ogni metafora che si rispetti, esso funziona da nome per un’esperienza, il conoscere umano, sulla quale di solito non ci si interroga e che perciò non potrebbe essere facilmente descritta e nominata. Il giallo è, per di più, la metafora del conoscere umano visto sotto l’aspetto della

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sua piena realizzazione: si arriva, infatti, sempre a sapere come sono andate esattamente le cose.

La parte più consistente dell’indagine si svolge sul terreno dialogico, ovvero mediante l’uso della parola che ha come scopo la volontà di stabilire e mantenere il rapporto con altri soggetti, prima ancora di stabilire un argomento o un contenuto.

Nel dialogo, la funzione prevalente è quella fàtica, di contatto tra i partecipanti, oppure la funzione emotiva che chiama in causa il soggetto enunciatore. Nessuna delle due si lascia ridurre alla modalità dichiarativa che, invece, progressivamente seleziona, mette a fuoco e descrive i contenuti di osservazione, né si lascia ridurre alla determinazione di una sequenza argomentativa logica.

Ogni giallo prevede un segno iniziale, costituito dalla vittima, e un altro insieme numeroso di tracce. Con il termine “traccia” intendiamo ogni entità fisica prodotta e lasciata in un luogo, di solito la scena del delitto, da un agente. Quindi la vittima non è l’unica traccia di partenza. Alla raccolta delle tracce segue la loro interpretazione, cioè la ricerca di come siano state prodotte e da chi. Una volta individuate e identificate, queste vanno collegate l’una all’altra in una catena che descrive lo svolgimento dell’accaduto. Questo metodo si riassume in tre fasi:

1. Osservazione delle entità fisiche, cioè raccogliere le unità materiali presenti sulla scena del crimine (macchie, polveri, rami spezzati, impronte sul terreno e così via);

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