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PARTE SECONDA - PALAZZO BUDINI GATTAI CAP. I – IL PALAZZO DAI GRIFONI AI BUDINI GATTAI

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PARTE SECONDA - PALAZZO BUDINI GATTAI

CAP. I – IL PALAZZO DAI GRIFONI AI BUDINI GATTAI

Il palazzo Budini Gattai (Figura 1), situato all’angolo tra Via dei Servi e Piazza Santissima Annunziata nel cuore del centro storico di Firenze, è un edificio dalla lunga e complessa storia, caratterizzato da una forte identità estetica che lo caratterizza rispetto ad altri palazzi coevi nonché da alcuni importanti cantieri di restauro e decorazione che lo hanno visto protagonista nel corso dei secoli124.

Alle origini della storia del palazzo sta la figura di Ugolino Grifoni (1504-1576) il cui casato, originario del territorio di San Miniato al Tedesco, si era trasferito a Firenze agli inizi del Trecento; qui i Grifoni avevano trovato la loro fortuna grazie all’esercizio della professione notarile nonché come ambasciatori e funzionari nell’ambiente politico fiorentino. L’edificazione del palazzo in una zona privilegiata della città di Firenze, caratterizzata da una bassa densità abitativa, ampi spazi verdi e sedi conventuali, si configura come da una parte come l’apice della scalata sociale portata avanti negli anni dalla famiglia Grifoni, dall’altra come forma di riconoscenza verso i Medici inserendosi nel progetto di renovatio urbis che faceva posto alle famiglie fide alla dinastia medicea nei punti cardine della città125. Il palazzo fiorentino diventerà quindi un luogo di celebrazione familiare e di rappresentanza, adibito a ricevimenti nonché sede di fastosi banchetti.

Ugolino Grifoni nasce a San Miniato al Tedesco nel 1504, in gioventù prende i voti dell’ordine agostiniano, ritrovandosi a gestire numerose proprietà ecclesiastiche, impegno portato avanti in maniera non sempre limpida. Momento fondamentale della sua carriera è la nomina a maggiordomo e segretario del duca Alessandro de’Medici intorno alla metà degli anni Trenta, che gli permette di entrare a far parte del potente ambiente mediceo. Questo incarico gli permette di viaggiare al di fuori di Firenze e già nel 1536 è documentata la sua presenza a Roma presso la corte papale.

124 Riguardo alla storia del palazzo dalla sua realizzazione per Ugolino Grifoni fino ai passaggi di proprietà che

lo conducono alla famiglia Budini Gattai nel XIX secolo è strumento fondamentale CALAFATI 2011 con annessa bibliografia, tra cui sono da citare almeno DEL BADIA 1876, pp.41-42; BUCCI 1973, pp. 57-62; GINORI LISCI 1985, pp. 451-455.

125 In alcuni casi i Medici sono giunti a finanziare la costruzione di determinati palazzi fiorentini, come nel caso

di quello del coppiere di corte Antonio Ramirez de Montalvo o di Fabio Arazzola Mondragone, maestro di camera del principe Francesco. Ugolino Grifoni al contrario non ha avuto necessità di nessun finanziamento in quanto già possidente di un notevole patrimonio. CALAFATI 2011, p. 3.

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Con l’avvento al potere di Cosimo I Ugolino diviene segretario particolare di Maria Salviati, madre del nuovo reggente, di cui riesce a conquistare la fiducia; in breve tempo diviene così uno degli uomini chiave del nuovo potere mediceo durante i delicati anni dello smantellamento delle antiche istituzioni repubblicane a favore della famiglia Medici, restaurata nel suo ruolo di guida della città. Ugolino ha la possibilità di accompagnare Cosimo e i suoi figli nei viaggi e nelle cerimonie più importanti.

Nel 1540, su diretta pressione del Granduca, Ugolino Grifoni è nominato tramite bolla papale maestro dell’Ospedale dei Cavalieri di San Jacopo di Altopascio; il ruolo ricoperto si rivela di importanza strategica, assai remunerativo e ricco di implicazioni politiche e militari. Ugolino si configura così come uomo di assoluta fiducia per Cosimo I, nonché perfetto cortigiano, ottimo conoscitore del cerimoniale e più volte tramite di riferimento con la curia pontificia. A partire dal 1561 ottiene la gestione delle proprietà medicee in Francia a partire da quelle parigine.

Qualche anno più tardi le vicende cominciano a prendere una piega differente per il Grifoni: il cardinale Ferdinando de’Medici sembra perdere fiducia in lui a causa della sua spregiudicata gestione dei propri offici; inoltre nel 1575 viene avviato un processo curiale in seguito alla denuncia del visitatore apostolico di papa Gregorio XIII che accusa non a torto Ugolino di non risiedere ad Altopascio, di non assolvere il suo ministero di parroco e di non versare quanto dovuto alla Chiesa. Il processo tuttavia si conclude il 30 ottobre 1576 con l’assoluzione di Ugolino Grifoni che morirà nel suo palazzo fiorentino il primo dicembre dello stesso anno.

La costruzione di due importanti palazzi familiari, a San Miniato e a Firenze, si inserisce bene nell’ottica di spregiudicata ascesa sociale che caratterizza la vicenda biografica di Ugolino. Il palazzo di San Miniato, la cui edificazione è iniziata ante 1551, è opera dell’architetto Giuliano figlio di Baccio d’Agnolo, coadiuvato dal fratello Domenico, mentre il cantiere è probabilmente diretto da Michele Grifoni (1501-1578), uno dei fratelli maggiori di Ugolino. Contemporaneamente a Firenze viene portato avanti l’acquisto di alcuni immobili nella zona d’angolo tra via de’Servi e piazza Santissima Annunziata. Il terreno su cui attualmente sorge palazzo Grifoni apparteneva in origine all’ordine religioso dei Servi di Maria ed era suddiviso in cinque lotti di case, i cui primi interventi di edificazione risalgono al 1454 e che verranno accorpati nei decenni successivi.

Nel 1549 Ugolino acquista la casa fino ad allora affittata dai frati Servi di Maria a Roberto e Federico de’Ricci e ancora nel 1557 risulta acquirente di un’altra casa adiacente, avendo l’idea di unificare i singoli edifici attraverso la realizzazione di un’unica grande dimora. Non

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è certa la data di commissione del progetto da parte di Ugolino Grifoni all’architetto Bartolomeo Ammannati, tuttavia al 1563 risale un impegno di pagamento della somma di 100 ducati a quest’ultimo per il suo lavoro all’interno della fabbrica in via de’Servi.

L’intervento prevede in primo luogo la parziale demolizione delle preesistenze, che vengono mantenute solo se funzionali al nuovo progetto e comunque inglobate in una nuova planimetria regolare. I lavori procedono fino al 1574 quando Ugolino Grifoni è costretto ad interromperli, lasciando in parte incompleta la costruzione del secondo piano in corrispondenza della facciata su Piazza Santissima Annunziata.

Il problema principale di un simile cantiere, nato con l’intento di unificare strutture architettoniche preesistenti, è quello della definizione esterna di un fronte unitario per la nuova struttura; Ammannati ovvia a questa esigenza della nuova cortina laterizia facendone l’elemento di massima originalità e spicco dell’edificio, specialmente se rapportato al coevo panorama edilizio all’interno della città di Firenze. La cortina laterizia presenta una superficie a mattoni a vista, non intonacata, e viene inoltre decorata da una trama di mattoni disposti a tarsie bicrome secondo motivi geometrici, realizzate sia nella facciata in Via dei Servi che in quella su Piazza Santissima Annunziata, probabile rimando alle esperienze romane dell’Ammannati e ai suoi contatti col Vignola. I mattoni di colore più chiaro formano losanghe, rettangoli e cerchi movimentando così la decorazione delle facciate, in special modo per quanto riguarda quella su Via dei Servi che sottolinea così il suo ruolo di facciata principale.

Il perimetro del Palazzo risulta regolare, le facciate esattamente a filo strada e i condizionamenti delle preesistenze impercettibili dall’esterno; a basamento è inoltre posta la tradizionale “panca di via” in pietra bigia, in alcuni punti traforata sotto la seduta in modo da permettere l’illuminazione delle cantine. Le traccia delle preesistenti strutture è percepibile soltanto a livello delle cantine, che rimangono suddivise secondo le costruzioni precedenti nelle loro strutture murarie di fondazione.

La porta di ingresso principale è posta in posizione centrale sulla facciata in Via dei Servi (Figura 2), con funzione estetica di asse di simmetria. Da questa si accede a un atrio voltato a botte con lacunari che conduce a un vestibolo dove uno scalone sbocca nella loggia aperta sul giardino interno. Il vestibolo è inoltre l’accesso per i quartieri del pianterreno, sei stanze sulla sinistra e altre tre stanze, più uno stanzino e una scaletta privata, sulla destra. La loggia conduce attraverso un ricetto ad una grande sala posta all’angolo tra la piazza e la strada, principale ambiente destinato alla rappresentanza e ai ricevimenti da Ugolino Grifoni. Al secondo piano è ripetuta una sala che ricalca quella ricavata al piano inferiore, mentre rimarrà

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fino al Settecento in parte incompiuto verso l’angolo fra la piazza Santissima Annunziata e l’adiacente loggiato dei Serviti.

All’esterno la scansione dei piani è sottolineata dall’inserimento di marcadavanzali e cornicioni concepiti come continui fregi a nastro. Tra piano terra e piano nobile il fregio è decorato da una classica scansione a metope e triglifi, dove nelle metope si alternano bucrani e patere come motivi decorativi. Il lessico ornamentale cambia invece per il fregio tra il piano nobile e il secondo piano in cui sono presenti mascheroni michelangioleschi e cherubini inseriti all’interno di cartigli. Infine il fregio sotto al frontone è decorato da una teoria di candelabre e grifi di derivazione archeologica romana126.

Ammannati rimarca la preminenza della facciata principale su Via dei Servi attraverso una complessa sovrapposizione di elementi posti in posizione principale. Infatti al centro della facciata, in posizione di spicco e con funzione di asse di simmetria, trovano risalto nell’ordine il grande portone di ingresso, i cartigli con le imprese del granduca Cosimo (sottolineando così il legame che unisce la famiglia Grifoni ai Medici), una serliana, lo stemma Grifoni; al culmine di questo asse si innesta la finestra centrale del secondo piano. Nella facciata su Piazza Santissima Annunziata la soluzione subisce delle calcolate modifiche: il portone di accesso si sposta sulla destra, sfalsando così la simmetria della facciata, e non sono posti stemmi di alcun tipo, riducendo così la struttura centrale alla sovrapposizione di una serliana su una finestra inginocchiata, nuovamente in asse con la finestra centrale del secondo piano. Tutta la superficie delle facciate del palazzo rimane liscia, lasciando a vista la decorazione a laterizio; viene impiegato il bugnato solamente agli angoli dell’edificio, nonché per mettere in risalto i contorni del portone d’ingresso su Via dei Servi e la finestra inginocchiata posta al centro della facciata secondaria.

Le finestre dell’edificio, cinque per ogni piano, su ogni lato sono poste in maniera rigidamente simmetrica avente come riferimento l’asse composto dall’allineamento centrale di portone e serliana; l’unica licenza a tale rigorosa simmetria è data dal già citato posizionamento più a destra del portone della facciata sulla piazza.

Secondo una moda tipica della Firenze cinquecentesca le finestre del pianterreno sono inginocchiate, mettendo così in risalto il basamento dell’edificio con l’impostarsi direttamente sopra la panca di via. La regolarità dei frontoni triangolari di queste finestre è spezzata dall’innesto di una foglia d’acanto posta in posizione centrale, in un artificio di gusto decisamente manierista.

126 Calafati mette in relazione un simile fregio con la decorazione del tempio di Antonio e Faustina nel foro

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Le finestre del piano nobile si innestano direttamente sulla cornice marcadavanzale, il loro vano è inquadrato da una marcata incorniciatura e sono infine sormontate da un ampio frontone semicircolare spezzato simmetricamente in due punti. Più semplici risultano invece le finestre del secondo piano, anch’esse poggianti direttamente sul marcadavanzale, non presentando alcun frontone bensì una incorniciatura sovrastata da un più semplice architrave. Gli elementi di maggiore spicco del palazzo risultano quindi le imprese medicee e lo stemma Grifoni posti in posizione di assoluto rilievo nell’asse centrale della facciata principale su Via de’Servi. Lo stemma Grifoni, ossia il grifone rampante che fornisce il nome alla famiglia, è scolpito in uno scudo in pietra bigia e dalla cornice a volute, posto al di sopra della serliana del piano nobile, risultando in questo modo il vero fulcro di attenzione dell’intera facciata agli occhi dell’osservatore (Figura 3).

In un fregio rettangolare in pietra bigia posto tra il portale di ingresso su Via dei Servi e la serliana sovrastante sono invece scolpite le imprese di Cosimo I de’Medici, protettore di Ugolino Grifoni. Al centro, racchiuso all’interno di una cornice ellittica, campeggia un capricorno stellato, segno zodiacale della ascesa al potere di Cosimo. Simmetricamente sui due lati sono poste due cornici a volute; in quella a sinistra sono poste due ancore incrociate mentre in quello a destra è scolpita una tartaruga con vela.

Come accennato i lavori vengono interrotti nel 1574, lasciando in parte incompleto il secondo piano dell’edificio e buona parte del fregio a mascheroni del piano nobile (Figura 4). Il primo dicembre 1576 Ugolino Grifoni muore nel suo nuovo palazzo fiorentino, così strettamente legato alla sua figura e alla sua ascesa sociale, sorta di sigillo della nuova posizione privilegiata acquisita dalla famiglia Grifoni all’interno della cerchia medicea. Le sue proprietà di Pisa e San Miniato vengono spartite tra i fratelli Michele e Carlo (1530-1554), che daranno origine a due rami distinti della famiglia; differentemente Palazzo Grifoni a Firenze, già suddiviso nel 1565, rimarrà proprietà condivisa.

Nel 1605 Jacopo di Carlo (1542-1606) e Giovanni di Michele (1561-1605) sottoscrivono un atto privato che meglio delinea la suddivisione dell’edificio, assegnando a Jacopo e ai suoi eredi il pianterreno e alla famiglia di Giovanni i piani superiori; i passaggi di proprietà segneranno il continuo cambiamento delle destinazioni d’uso degli ambienti interni nonché la loro trasformazione che subirà numerose trasformazioni nel corso dei secoli. Le due parti del palazzo vengono così tramandate attraverso le due linee familiari conoscendo alterne vicende127. Intorno al 1720 i due rami Grifoni cominciano a manifestare l’interesse per la

127 Nel 1711 l’intero palazzo viene affittato in maniera concorde dagli eredi dei due rami Grifoni al marchese

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riunificazione dell’immobile sotto un’unica proprietà, trovando però più di una difficoltà a causa dei vincoli fissati nel 1565 dallo stesso Ugolino Grifoni intesi a stabilire il tramandarsi delle due proprietà attraverso gli eredi dei fratelli Michele e Carlo. La questione viene risolta solamente attraverso l’intervento diretto del granduca Gian Gastone de’Medici in seguito a una “supplica” di Ugolino di Cosimo Grifoni (1693-1763). Il palazzo viene così unificato nel 1730 da Ugolino di Michele (1709-1730) i cui eredi Pietro Gaetano (1710-1772) e successivamente il suo figlio primogenito Michele (1734-1796) vi apportano nuovi lavori: il primo riorganizza il piano nobile dell’edificio mentre il secondo completa la facciata su piazza Santissima Annunziata rimasta incompiuta per due secoli. Inoltre Pietro Gaetano promuove la costruzione di una piccola cappella al piano nobile dedicata ai santi Pietro e Paolo che viene fatta affrescare al pittore Giovanni Domenico Ferretti128.

Michele di Pietro di Gaetano di Michele Grifoni muore nel 1796 senza lasciare eredi maschi; si estingue così il ramo principale della famiglia e tutti i beni, palazzo di Via de’Servi compreso, sono ereditati in linea trasversale da Gaetano Maria di Giovanbattista di Cosimo (1735-1813). Alla morte del figlio di questi, Michele, scomparso senza eredi maschi la famiglia Grifoni si estingue in maniera definitiva.

Maddalena Barbolani di Montauto, vedova di Michele, lascia il palazzo il 4 aprile 1800 e il 13 giugno dello stesso anno viene acquistato dal Marchese Ferdinando Riccardi (1796-1847), all’epoca già proprietario di un imponente patrimonio immobiliare. Tuttavia i passaggi di proprietà non si arrestano ma anzi si intensificano: alla morte di Ferdinando Riccardi nel 1847, anche lui privo di eredi maschi, il palazzo è ereditato dal nipote Giuseppe Mannelli Galilei, che aggiungerà al suo il cognome dei Riccardi. Lo stesso Giuseppe vende il palazzo al cavaliere Niccolò Antinori (1817-1882) i cui eredi nel 1889129 lo venderanno a loro volta a una famiglia non nobile ma che aveva acquistato una crescente importanza nella Firenze di della seconda metà dell’Ottocento ossia Leopoldo Gattai e il suo genero Francesco Budini, artefici della sistemazione e della nominazione attuale dell’antico Palazzo Grifoni.

128 Giovanni Domenico Ferretti (1692-1768) è stato un artista di grande rilievo nella Toscana settecentesca. Nato

a Firenze da famiglia originaria di Imola, entra a bottega dall’imolese Francesco Chiusari nel 1708 per poi perfezionare la sua formazione a Firenze e Bologna dove realizza le sue prime opere, soprattutto affreschi religiosi, a partire dalla decorazione del soffitto di Santa Chiara a Firenze. Diventa in breve artista di spicco, ricercato e costantemente al lavoro, nonché membro dell’Accademia del Disegno di Firenze dove negli anni successivi ricoprirà importanti cariche. Si segnalano gli affreschi nella cupola della cattedrale di Imola, quelli a Palazzo Amati-Cellesi a Pistoia, nel coro e nell’abside della chiesa della Badia a Firenze e in numerose altre chiese in Toscana, a Palazzo Sansedoni a Siena, nonché la controversa collaborazione con l’Arazzeria Granducale. Tra le sue imprese più vaste vi è infine la decorazione ad affresco per la chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, a cui si dedica fino all’anno della morte, lasciando l’opera incompiuta. Vedi MASER 1968, BALDASSARRI 2002.

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Figura 70 - Firenze, facciata di Palazzo Budini Gattai su Piazza Santissima Annunziata nella sua sistemazione attuale (fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Palazzo_budini_gattai_01.JPG)

Figura 71 - Palazzo Budini Gattai, rilievo della facciata di Via dei Servi dopo i restauri ottocenteschi da DEL BADIA 1876, tav. CXVI (Fonte: CALAFATI 2011, p. 285)

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Figura 72 - Firenze, Palazzo Budini Gattai, facciata su Via dei Servi, particolare della serliana e della copia ottocentesca dello Stemma Grifoni nella sistemazione attuale (Fonte CALAFATI 2011, Tav. III)

Figura 73 - Veduta di Palazzo Grifoni e di Piazza Santissima Annunziata, disegno acquerellato, primi anni del XVII secolo (Fonte: CALAFATI 2011, p. 207)

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CAP. II – LA FAMIGLIA BUDINI GATTAI NELL’OTTOCENTO

La storia dell’ascesa della famiglia Budini Gattai (Figura 6), non di nobili origini né erede di grandi proprietà ma comunque destinata a lasciare una rilevante traccia all’interno di uno dei palazzi storici del centro di Firenze, si lega fortemente alla storia coeva della città toscana. Il contesto storico fiorentino, caratterizzato dall’esperienza della trasformazione in capitale con i suoi sconvolgimenti urbanistici, le continue imprese improntate alla volontà di modernizzazione - non sempre riuscita - permette infatti una grande fonte di lavoro e quindi di guadagno per chi sia capace di catalizzare i flussi di investimenti pubblici e privati che in quegli anni investono la città. Si tratta di un luogo e di un periodo in cui muovendosi con accortezza e intelligenza è possibile accumulare ingenti somme di denaro, pronte per essere reinvestite con altrettanta oculatezza. Le vicende economiche di Leopoldo Gattai e di suo genero Francesco Budini sono decisamente paradigmatiche di un simile contesto130.

Leopoldo Gattai nasce a Firenze nel 1821 mentre il suo futuro socio, di una generazione più giovane, nasce a Castel Bolognese nel 1839 da una famiglia originaria di Fiesole che si trasferisce a Firenze mentre Francesco è ancora bambino.

Secondo Averardo Pippi131 il giovane Leopoldo viene mandato dal padre a lavorare come manovale in un’impresa che stava portando avanti i lavori per la strada di Fiesole, così da educarlo ai lavori umili. Chiaramente si tratta di un ricordo tratto da un necrologio ad opera di un amico di famiglia, quindi da prendere con il beneficio del dubbio in quanto parte di un ritratto idealizzante della giovinezza di Leopoldo nobilitata dalla fatica del lavoro, raccontata però quando era ormai da tempo un ricco proprietario terriero decisamente benestante. Tuttavia resta una testimonianza indicativa se non delle origini della famiglia almeno della immagine che di queste voleva essere fornita una volta raggiunto l’apice della carriera e della ricchezza.

Quale che sia stata la sua formazione lavorativa già nel 1850, in occasione degli accolli per la massicciata di Piazza Maria Antonia attuale Piazza dell’Indipendenza, Leopoldo Gattai figura con il titolo di mastro muratore con la particolare specializzazione nella realizzazione di

130 Riguardo Lepoldo Gattai, Francesco Budini e la ditta Gattai Budini vedi PIPPI 1896, PIPPI 1898, GINORI

LISCI 1985 pp. 454-455, PRESCIUTTI PRIMI 1991-1992, pp. 310-313, FABBRINI 2009. Per la stesura di questo capitolo mi sono inoltre stati fondamentali i colloqui avuti con Roberto Budini Gattai, uno degli eredi della famiglia e attuale proprietario del palazzo.

131 Averardo Pippi è uno scrittore e professore fiorentino sulla cui vita e carriera si trovano poche informazioni,

tuttavia risulta autore di alcune guide dedicate alle campagne fiorentine nonché commenti di opere di letteratura e storia; doveva inoltre essere una figura vicina alla famiglia Budini Gattai in quanto è autore dei necrologi pubblicati in ricordo sia di Leopoldo Gattai che di Francesco Budini. Vedi PIPPI 1896 e PIPPI 1898.

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pavimentazioni stradali132. Proprio questo settore risulta essere la prima area di interesse per la ditta Gattai, campo di applicazione che d’altronde negli anni di Firenze capitale garantirà numerose commissioni e un ritmo lavorativo pressoché costante.

Dal 1862 cominciano per l’impresa di Leopoldo Gattai una serie di commissioni importanti e remunerative, destinate a farsi sempre più numerose e intense negli anni successivi in cui si compie la trasformazione urbanistica della città. Si rivela inoltre con sempre maggiore evidenza come il principale campo di lavoro sia quello legato alla realizzazione di infrastrutture, scavi e fondazioni, elementi sempre necessari e di cui la richiesta è continua, se non addirittura crescente.

In primo luogo la ditta Gattai si occupa della sistemazione della platea di fondazione, ossia la struttura in calcestruzzo che funge da base, alla quarta luce del ponte alle Grazie. In seguito la ristrutturazione del sistema fognario fiorentino, non più capace di ovviare alle necessità di una città che puntava ad espandersi e modernizzarsi, consente all’impresa la realizzazione di fogne, fognoli e marciapiedi in via del Prato.

Di grande rilievo risulta l’appalto, ottenuto nel 1867, per la costruzione di parte del nuovo Lungarno Serristori. I lavori si fanno più impegnativi e toccano luoghi chiave della nuova definizione urbanistica della città, permettendo un’ampia visibilità all’impresa. In questo particolare caso l’impegno è assai notevole, ma ciò non sembra assolutamente impensierire l’intraprendente Leopoldo Gattai: come spiega Fabbrini “si tratta di ridisegnare, espropriandone una porzione, il giardino Serristori, eliminare la passeggiata pensile che raggiunge il Caffehaus sul Ponte alle Grazie (del quale, peraltro, si interra l’ultimo arco) e di coprire a volta l’antica gora dei mulini trecenteschi demoliti nell’occasione”133

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In questi anni lavori e commissioni si succedono con ritmo davvero febbrile: l’impresa Gattai risulta accollataria con il Comune di Firenze per il lastrico di Corso Vittorio Emanuele (ora Corso Italia), dei lavori per la strada Nazionale Lucchese - con annesso mantenimento di questa per cinque anni dalla data di conclusione dei lavori - nonché per la realizzazione di Lungarno Torrigiani. Riceve inoltre dal Genio Militare l’incarico di compiere alcune ristrutturazioni nel convento di Santa Apollonia, dal 1864 adibito ad uso militare, e il permesso di intervenire alle trasformazioni che stanno interessando l’Ospedale militare. Leopoldo Gattai dimostra una certa spregiudicatezza imprenditoriale accettando continuamente nuove commissioni mentre sono ancora aperti e in pieno corso i lavori per le precedenti; ad esempio nel 1871 aggiunge a queste commissioni il non trascurabile impegno

132 FABBRINI 2009, p. 3.

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di edificare parte dei nuovi palazzi nella zona di Porta alla Croce, da lì a breve rinominata Piazza Beccaria, uno dei luoghi cardine della trasformazione di Firenze secondo il piano ideato da Giuseppe Poggi. Qui vengono abbattute le antiche mura delle città, lasciando come unica testimonianza del passato la monumentale Porta alla Croce, per creare una grande piazza circolare con funzione di svincolo stradale; al Gattai spetta la realizzazione del blocco compreso tra via Manzoni e l’attuale viale Gramsci. Contemporaneamente l’intervento dell’impresa è testimoniato in un altro luogo poggiano quale la nuova Piazza della Libertà in cui si occupano della costruzione di un edificio con loggiato progettato dallo stesso Poggi. A scorrere il repertorio degli affari generali presso l’Archivio del Comune di Firenze si nota come a partire dal 1868-1869 il nome di Francesco Budini cominci ad associarsi a quello del Gattai. Francesco Budini in precedenza aveva un’impresa di costruzioni gestita insieme ai fratelli, attiva ma non legata a imprese di particolare rilievo. Attraverso il matrimonio con Zelinda Gattai, figlia di Leopoldo, e l’entrata come socio di pari importanza nella impresa di Gattai (che assume così la nuova ragione sociale di “Gattai-Budini”), Francesco Budini si inserisce come nuovo protagonista sia nelle vicende familiari che nelle imprese edili, mostrando anch’egli una importante dose di intraprendenza e fiuto commerciale.

Con il definitivo trasferimento della capitale da Firenze a Roma nel 1871 l’impresa comprende le nuove possibilità che si aprono nella neoeletta capitale del regno e abbandona momentaneamente la città toscana come suo principale campo di azione. Già nel 1873 figura come facente parte dell’impresa Esquilino, della quale una metà era sostenuta dalla Banca Italiana di Costruzioni e dalla Compagnia Commerciale Italiana entrambe con sede a Genova, e per l’altra metà dalla Compagnia Fondiaria Italiana; tramite questa impresa composita si occupa della realizzazione di un edificio abitativo nella zona di via Principe Umberto presso il colle Esquilino.

Riuscita ad affrancarsi dalla situazione fiorentina l’impresa nel 1879 conduce dei lavori per gettare la diga rettilinea del nuovo punto franco della città, alla quale si collega la linea ferroviaria proveniente dalla stazione marittima da poco costruita tra il 1856 e il 1858 all’esterno della cinta daziaria134

; in questo modo la stazione si trova ad acquisire una nuova darsena e un bacino di carenaggio. Segue poi la partecipazione della ditta alla costruzione della “Fabbrica d’Armi” a Terni per cui la Gattai-Budini erige lo stabile per i laboratori e il deposito delle armi; nel contesto di questi lavori viene deviata parte delle acque del fiume Nera attraverso un canale artificiale di tre chilometri in modo da fornire l’energia necessaria per azionare le macchine dell’acciaieria. Si dimostra così ancora una volta la particolare

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perizia tecnica che contraddistingue l’impresa, che bene spiega le numerose commissioni ricevute e gli appalti vinti dalla Gattai-Budini.

L’ultima grande realizzazione portata avanti dalla ditta di Leopoldo Gattai e Francesco Budini è anche la loro ultima, sorta di canto del cigno di una ditta che sembrava non conoscere arresti. Nel 1883 i due ottengono infatti l’accollo per costruire il tratto Firenze - Vaglia nella ferrovia che unisce il capoluogo toscano a Faenza. È un lavoro di straordinaria difficoltà e imponenza per l’asperità delle zone del Mugello che la ferrovia si ritrova ad attraversare e che quindi più di ogni altra commissione mette a cimento le capacità ingegneristiche e organizzative della ditta. I colli da superare mediante gallerie e trafori sono infatti numerosi, ma è soprattutto la natura del terreno, particolarmente franoso e ricco d’acqua, a rendere impegnativa l’opera e difficoltosi gli scavi necessari. I lavori tengono impegnata la ditta per sette anni, risultando terminati solamente nel 1890.

Con la costruzione di parte del tratto ferroviario Firenze - Faenza la storia della Gattai-Budini raggiunge il suo apice ma anche la sua conclusione. Nel 1890 infatti, al massimo del successo e della ricchezza, Leopoldo e Francesco decidono di liquidare la società e di cambiare radicalmente la loro attività, investendo il loro considerevole capitale nell’acquisto di proprietà terriere in Toscana. Avviene così una brusca virata e la ditta Gattai-Budini diviene più semplicemente la famiglia Budini Gattai, proprietaria di numerose fattorie a Reggello, nella Val di Chiana e nel Senese135.

Non è del tutto chiaro il motivo di un simile brusco cambiamento, avvenuto oltretutto nel momento di massimo successo imprenditoriale. Memorie interne alla famiglia136suggeriscono che Leopoldo e Francesco non riscontrassero nei propri eredi lo stesso interesse e le stesse capacità per mandare avanti la ditta di famiglia, preferendo così chiuderla e investire in un settore a loro totalmente nuovo ma dalle rendite più sicure e costanti. Si può inoltre leggere l’episodio come una raggiunta consapevolezza del proprio avanzamento sociale: una famiglia non nobile si ritrova con una immane ricchezza di recente acquisizione, dovuta a un eccezionale senso per gli affari e alla capacità si seguire e profittare dei cambiamenti storici e sociali a loro coevi. Può quindi ritenere conclusa in maniera soddisfacente la propria ascesa sociale che deve essere consolidata in maniera da mantenersi stabile e sicura per i futuri eredi, meno interessati a proseguire i mezzi che quella ricchezza avevano procurato. Le vaste proprietà terriere erano tradizionalmente la principale fonte di ricchezza, e spesso anche

135 Leonardo Ginori Lisci fornisce ulteriori informazioni sul soggetto specificando come “le fattorie principali

acquistate dai Budini Gattai furono: Cavaglioni nel Senese, Bonsi e Casamora nel Valdarno superiore, Fratta, Montecchio e Brolio in provincia di Arezzo e nella Val di Chiana”. GINORI LISCI 1985, p. 456.

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motivo di vanto e nobiltà, dell’aristocrazia toscana a cui forse Leopoldo Gattai e Francesco Budini cercano ormai di avvicinarsi. In quest’ottica di consolidazione del nuovo status sociale acquisito si può leggere anche l’acquisto di un nuovo palazzo di famiglia, all’interno di una dimora storica, centralissima e ricca di memorie nobili, il cui stesso aspetto esterno è un unicum nel panorama urbano fiorentino. Così a un solo anno di distanza i Budini Gattai da una parte acquistano dalla famiglia Antinori lo storico Palazzo Grifoni, d’ora in poi noto come Palazzo Budini Gattai, per eleggerlo a propria dimora, mentre dall’altra liquidano la propria società con l’obiettivo di investire in proprietà terriere. Tramite un’importante campagna di restauro e decorazione, per cui si rivolgono a personalità di spicco nell’ambiente fiorentino, viene così conferita la propria impronta a un pezzo di storia dell’architettura locale, legandolo in maniera indissolubile al nome della famiglia.

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Figura 75 - Firenze, Palazzo Budini Gattai, parete d’ingresso dello Scalone, stemma della famiglia Budini Gattai dipinto di Augusto Burchi (foto Daniele Galleni, data 26/7/2013).

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CAP. III – IL RESTAURO ARCHITETTONICO DEL PALAZZO

III.1 L’architetto Giuseppe Boccini

Per effettuare il restauro del Palazzo di recente acquisizione i Budini Gattai decidono di rivolgersi all’architetto Giuseppe Boccini137, all’epoca figura di spicco, un buon nome da legare a una nuova impresa che possa servire a dare lustro e fama a una famiglia che da poco si è affacciata alla ribalta della scena fiorentina.

Giuseppe Boccini nasce a Firenze il 13 novembre del 1840; suo padre, Placido Boccini, è funzionario del granducato di Toscana con l’incarico di capo sezione al ministero degli Esteri. A Firenze il giovane Giuseppe frequenta le Scuole Pie, l’istituto tecnico e infine il corso di architettura presso la Regia Accademia di Belle Arti riuscendo nel 1865 a vincere il premio triennale. Avviatosi alla professione entra nello studio dell’architetto Mariano Falcini138

, presso il quale rimane fino al 1876. In questo periodo di lavoro e apprendistato collabora con Falcini a diversi progetti, alcuni di una certa rilevanza, quali la realizzazione della sala del Senato agli Uffizi e la costruzione dell’Osservatorio astronomico e meteorologico sulla collina di Arcetri presso Firenze (Figura 7), oltre a partecipare nel 1873 al concorso internazionale per il monumento al principe Michele Obrenovič a Belgrado classificandosi secondo.

Nel 1876 si affranca da Falcini divenendo socio del Collegio degli Architetti ed Ingegneri di Firenze, dove ricoprirà più di una volta la carica di Consigliere139 svolgendo diverse mansioni. Allo stesso anno risale il progetto per un teatro lirico da realizzarsi nella città di Odessa. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta la fama di Boccini si consolida e comincia a ricevere importanti commissioni da parte della nobiltà e della ricca borghesia fiorentina. Per diversi membri della famiglia dei baroni Franchetti progetta ville e vilini a Firenze, Città di Castello e Piediluco; nel 1879 realizza il palazzo della Cassa di Risparmio di Imola e più tardi, tra il 1887 e il 1888, la villa del celebre attore Ernesto Rossi a Montughi.

Negli stessi anni Boccini sembra come specializzarsi in una precisa categoria architettonica per la quale riceve numerose commissioni, segno evidente del suo successo nel campo, ossia

137 Piuttosto scarsa è la bibliografia riguardo a Boccini, la cui figura attende ancora una riscoperta sistematica. Si

possono comunque citare DE GUBERNATIS 1906, p. 61; PICCARDI 1969; CRESTI ZANGHERI 1978, p. 32.

138 Mariano Falcini (1804-1889), nato a Campi Bisenzio presso Firenze, riceve la sua prima formazione

artigianale grazie al padre, di professione stipettaio, impegnandosi nella realizzazione degli arredi per alcune dimore fiorentine. Studia architettura a Firenze legandosi al nome di Pasquale Poccianti, allora al massimo della carriera, che gli fa da maestro coinvolgendolo nei suoi progetti tra cui quello per il Cisternone di Livorno. Nel 1832 vince il pensionato artistico a Roma e nel 1835 ottiene il posto di architetto aggregato all’uffizio delle Regie Fabbriche cominciando una fortunata carriera lavorativa con numerose commissioni sia statali che private, a cui si somma dal 1850 quella di professore presso l’Accademia fiorentina. Vedi COZZI 1994.

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la cappella funeraria. Può darsi che abbia traslato un simile interesse dal suo maestro Mariano Falcini, anch’egli molto attivo del campo nonché dal 1864 artefice della nuova sistemazione del cimitero delle Porte Sante sulla collina di San Miniato al Monte che diverrà negli anni successivi il luogo di sepoltura prediletto per i membri di spicco dell’ambiente fiorentino140

. E proprio nel cimitero delle Porte Sante Boccini realizza più di una cappella funeraria di rilievo, proponendo uno stile tendenzialmente neomedievale ma che apre a più di una sfumatura in senso gotico o romanico141. Di impianto solido e più romanico figura ad esempio la Cappella della famiglia Barbera (1880 - Figura 8), tra i cui membri si distingue soprattutto l’editore Gaspero Barbera, su pianta quadrata, timpanata con acroteri e ornata in facciata da colonne sostenenti un portale a tutto sesto accordato tramite una modanatura all’oculo sovrastante142. Forme marcatamente più neogotiche si possono invece ritrovare nella cappella Lodomez (1877 - Figura 9) caratterizzata da acute cuspidi fiorite, grandi bifore trilobate sulle facciate e quattro massicci pilastri poligonali posti agli spigoli143; questa cappella destò grande ammirazione nell’ammiraglio russo Nicola Arcos che nel 1881 la farà replicare nel cimitero di Nicolaev presso Odessa.

Meno caratterizzate risultano le più tarde cappelle Ricci (1893 - Figura 10) e Brogi (1894 - Figura 11), ravvivate solamente da qualche elemento gotico come l’arco a sesto acuto sostenuto da colonne e la cuspide a mensole nella Ricci o le bifore trilobate nei prospetti laterali e il grande arco polilobato posto a sovrastare l’entrata nella Brogi144

. Sempre alle Porte Sante Boccini progetta anche le sepolture delle famiglie Burgissier, Giamari e di quello stesso Ernesto Rossi per cui aveva realizzato la villa di Montughi, tuttavia smantellate o distrutte durante le successive trasformazioni del cimitero145.

Alle Porte Sante avviene anche il primo contatto tra Giuseppe Boccini e i Budini Gattai per cui tra il 1881 e il 1882 realizza la cappella di famiglia (Figura 12); si tratta di un edificio a pianta rettangolare di gusto neogotico ben caratterizzato all’esterno dalla doppia cromia di marmo rosso alternato a marmo bianco. Gli elementi decorativi sono numerosi, capaci di renderla una presenza di spicco anche nell’affollato cimitero fiorentino: la porta d’ingresso a sesto acuto, polilobata, è affiancata ai lati da due colonne tortili che reggono i pinnacoli incornicianti la svettante cuspide fiorita. I lati lunghi sono aperti da due ampie trifore a tutto sesto in cui ritornano le colonne tortili, così come nella bifora a tutto sesto posta nella parete

140 SALVAGNINI 2001, p. 9. 141

Per le opere di Boccini presenti nel cimitero delle Porte Sante vedi COZZI 2001, p. 20.

142 SALVAGNINI 2001, p. 170. 143 Ivi.

144 Ibidem, pp. 112-113. 145

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opposta all’entrata. Sopra la porta di ingresso è posta l’iscrizione a caratteri gotici Cappella

Gattai Budini, ricalcando l’ordine dei nomi posto nella ragione sociale della ditta che vede la

preminenza di Leopoldo Gattai, e non ancora la formula Budini Gattai che diverrà abituale in seguito dando nome al palazzo di famiglia. Inoltre la cappella riporta scolpita la firma G.

Boccini Arch. 1882 (Figura 13).

Il cimitero delle Porte Sante non è l’unico in cui Boccini si trova a operare, nel vecchio cimitero israelitico progetta infatti la sepoltura della famiglia Franchetti e in quello nuovo presso Caciolle le tombe Uzielli e Modigliani. E sempre nell’ambito dell’arte funeraria si occupa della progettazione alle porte di Firenze del cimitero degli acattolici detto “degli Allori”.

All’epoca in cui la famiglia Budini Gattai si rivolge a Boccini per il restauro del palazzo in Via dei Servi - probabilmente soddisfatti del risultato ottenuto anni addietro nei lavori per la cappella di famiglia - questi risulta un architetto in ascesa, ancora legato a specifiche commissioni private quali ville o edilizia funeraria; è soprattutto nell’ultimo decennio dell’Ottocento che Boccini lascerà la sua impronta in più di un punto di rilievo all’interno del nuovo assetto urbanistico fiorentino.

Nel periodo degli sventramenti del centro storico di Firenze Boccini realizza nel 1893 per la famiglia Levi uno dei palazzi (Figura 14) che chiudono la Piazza Vittorio Emanuele, attuale Piazza della Repubblica, là dove solo pochi anni prima sorgeva l’antico mercato della città; all’anno precedente risalgono invece i Grandi Magazzini Catastini in via Calimala, dalla ricca facciata realizzata a graffito146 (Figura 15). Sempre nel centro di Firenze si occupa della costruzione di Palazzo Burgissier, altra famiglia il cui nome è legato anche a una cappella funebre da lui progettata, e di Palazzo Philipson in Piazza dell’Indipendenza.

In questi anni la fama di Boccini è ormai consolidata ed è un celebre rispettato professionista, come ci testimoniano le numerose onorificenze da lui ricevute. Dopo essere stato eletto nel 1881 “Accademico Corrispondente” presso il Collegio dei Professori della Reale Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1894 diviene “Accademico Residente”. Viene inoltre eletto consigliere provinciale dal 1895 ed è a più riprese deputato provinciale, nel 1895, 1898, 1899. Nel 1898 viene nominato architetto dell’Opera del Duomo.

L’ultima grande impresa a cui è associato il nome di Giuseppe Boccini è la costruzione della Chiesa ortodossa russa di Firenze in via Leone X su progetto dell’architetto russo Michail Preobrazenskij; nel giugno del 1899 vengono cominciati i lavori, molto seguiti dalla comunità

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russa risiedente a Firenze, tuttavia il 31 dicembre 1900 Boccini muore senza riuscire a vedere la conclusione dell’opera.

Figura 76 - L'Osservatorio astronomico e metereologico di Arcetri nel giorno della sua inaugurazione, il 27 ottobre 1872 (Fonte: http://www.arcetri.astro.it/informazioni/cenni-storici).

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Figura 77 - Giuseppe Boccini, cappella funeraria della famiglia Barbera, Firenze, Cimitero delle Porte Sante (Fonte: Salvagnini 2011, p. 170).

Figura 78 - Giuseppe Boccini, cappella funeraria della famiglia Lodomez, Firenze, Cimitero delle Porte Sante (Fonte: Salvagnini 2011, p. 170).

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Figura 79 - Giuseppe Boccini, cappella funeraria della famiglia Ricci, Firenze, Cimitero delle Porte Sante (Fonte: Salvagnini 2011, p. 113).

Figura 80 - Giuseppe Boccini, cappella funeraria della famiglia Brogi, Firenze, Cimitero delle Porte Sante (Fonte: Salvagnini 2011, p. 116).

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Figura 81 - Giuseppe Boccini, cappella funeraria della famiglia Budini Gattai, Firenze, Cimitero delle Porte Sante (foto Daniele Galleni, 12/1/2013)

Figura 82 - Giuseppe Boccini, cappella funeraria della famiglia Budini Gattai, particolare con firma e data, Firenze, Cimitero delle Porte Sante (foto Daniele Galleni, data 12/1/2013)

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Figura 83 - Giuseppe Boccini, progetto per Palazzo Levi in Piazza Vittorio Emanuele (Fonte: repertorio on line dell’Archivio storico del Comune di Firenze http://archivistorici.comune.fi.it/cgi-bin/easyweb/ewposttest)

Figura 84 - Giuseppe Boccini, progetto per i Grandi Magazzini Catastini in Via Calimala (Fonte: repertorio on line dell’Archivio storico del Comune di Firenze

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147 III.2 L’intervento

La ricostruzione dell’intervento di restauro portato avanti da Giuseppe Boccini a Palazzo Budini Gattai presenta alcune difficoltà: gravissima lacuna è infatti la mancanza all’interno dell’archivio di famiglia dei documenti relativi all’impresa. Essendo quindi costretti a fare di necessità virtù un’indagine in questo senso deve svolgersi giocoforza con criteri che potremmo definire di derivazione purovisibilista: per comprendere quindi in cosa è consistito il restauro bocciniano conviene partire da documenti precedenti al restauro, quali descrizioni, resoconti e fotografie d’epoca, come già tentato dai pochi studiosi interessati all’argomento147

, nonché dall’analisi diretta del tessuto murario e degli elementi lapidei dell’edificio.

Di grande importanza risulta una fotografia ottocentesca del palazzo (Figura 16), antecedente al 1885 e pubblicata all’interno di Die Architektur der Renaissance in Toscana, vasta opera in dodici parti suddivise in due volumi curata da Carl von Stegmann e Heinrich von Geymüller che si propone di antologizzare l’architettura rinascimentale toscana attraverso un vasto repertorio di tavole e fotografie. I singoli fascicoli hanno differenti date di pubblicazione, ma quello dedicato agli architetti Dosio, del Tasso, Cristofanello, Vasari e Ammannati viene pubblicato tra i primi nel 1885. La fotografia contenuta al suo interno si rivela estremamente preziosa in quanto fornisce la possibilità di comprendere lo stato del palazzo pochi anni prima dell’acquisto da parte dei Budini Gattai.

L’erudito fiorentino Iodoco del Badia cita Palazzo Budini Gattai con i relativi recenti lavori di restauro all’interno della sezione a questo dedicata in Raccolta delle migliori fabbriche

antiche e moderne di Firenze disegnate e descritte da Riccardo ed Enrico Mazzanti e Torquato Del Lungo, architetti, altra opera in più parti pubblicata a partire dal 1876. Del

Badia riporta subito come “per le ingiurie del tempo era questa fabbrica così ridotta esternamente in squallidissimo stato dal quale l’hanno tolta i nuovi proprietari che, dopo pochi mesi dalla compra, han dato opera al restauro.”148

I problemi di conservazione delle facciate del palazzo dovevano cominciare a essere piuttosto gravi se sono messi così in risalto dall’autore; è inoltre interessante notare come i lavori di restauro siano stati decisi poco tempo dopo l’acquisto da parte dei Budini Gattai, forse per ovviare a una situazione che andava facendosi sempre più critica o forse in quanto era già stabilito di dare un’impronta più

147 Lo studio più completo rimane PRESCIUTTI PRIMI 1991-1992, oltretutto piuttosto approfondita dal punto

di vista tecnico in quanto tesi di laurea di due studentesse di architettura. Riporta l’importante fonte di DEL BADIA 1876, interessata ai lavori nel palazzo, e sono inoltre le prime studiose a citare la fotografia precedente ai lavori di restauro contenuta in STEGMANN GEYMÜLLER 1885-1908, p. 82, punto di partenza fondamentale. Il lavoro delle due studiose è la principale fonte anche per CALAFATI 2011, pp. 226-238 che però non mostra particolare interesse per le vicissitudini ottocentesche del palazzo.

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personale al nuovo palazzo di famiglia attraverso una mirata serie di lavori sia esterni che interni.

Ritornando alla fotografia pubblicata nell’opera dei due studiosi tedeschi si può avere un riscontro visivo del degrado citato da Del Badia. In primo luogo risalta il fatto che sia il fregio tra il piano nobile e il secondo piano che quello alla sommità dell’edificio siano in larga parte incompiuti in quanto i bassorilievi sono visibili solamente agli angoli del palazzo e, nel caso di quello posto in sommità, fino a metà della facciata su Via dei Servi. Si notano inoltre molteplici elementi lapidei danneggiati, nei mensoloni delle finestre inginocchiate al pianterreno nonché in molti dei timpani sovrastanti le aperture dei vari piani. La panca di via al pianterreno presenta delle interruzioni in corrispondenza di alcune delle finestre inginocchiate. I mattoni in laterizio che incorniciano le stesse finestre del pianterreno risultano danneggiati, particolarmente sbiaditi in modo da formare una sorta di alone più chiaro intorno a queste. Meno grave a livello strutturale, ma comunque indice di una certa trascuratezza, è la situazione delle grondaie per lo scolo delle acque, in numero eccessivo e distribuite in maniera irregolare e senza alcun rispetto per l’armonia della facciata; inoltre sembrano scaricare l’acqua direttamente sul muro a laterizio del pianterreno, anziché farla defluire sul livello stradale, rischiando così infiltrazioni di umidità.

Iodoco del Badia fornisce una sommaria descrizione dei principali interventi realizzati da Giuseppe Boccini, che sono probabilmente quelli più evidenti per un osservatore esterno che non abbia seguito da vicino il lavoro del cantiere come doveva essere il Del Badia; scrive infatti:

“è stato interamente ripristinato il bel muricciolone che serve d’imbasamento, rifatto gran parte del pietrame delle finestre, scolpito di nuovo lo stemma Grifoni, compiuto il fregio a maschere e cartelle del piano secondo e quello superiore sotto il cornicione, del quale non esisteva che l’accenno alle due estremità ed un breve tratto nel mezzo della facciata sulla via dei Servi. Del cornicione erano al posto tutte le mensole superiori di pietra, e solamente era completo in piccola parte sull’angolo della piazza. Fra i miglioramenti fatti evvi quello di aver tolto dall’esterno le persiane che danneggiavano e nascondevano in parte gli ornati delle finestre.”149

Si delineano così alcuni degli interventi più evidenti: il compimento dei fregi rimasti interrotti, in maniera filologica riprendendo le decorazioni originali cinquecentesche o ancora il ripristino della panca di via nella sua intera lunghezza. L’antico stemma che col tempo doveva essersi talmente corroso da risultare quasi illeggibile - come in effetti sembra anche

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nella già citata fotografia precedente i lavori - viene sostituito da una copia identica scolpita inoltre nello stesso materiale dell’originale, la pietra bigia.

Le vecchie persiane lignee, non particolarmente capaci di armonizzarsi con gli equilibri della facciata in laterizio concepita da Ammannati, vengono sostituite con altre scorrevoli, più discrete grazie al loro essere poste all’interno della muratura; questa operazione di smantellamento e installazione deve comunque aver comportato il parziale scasso della parete interna dell’edificio in corrispondenza con le nicchie necessarie per accogliere il nuovo infisso nello spessore murario150.

Le grondaie vengono ridistribuite in maniera più ordinata, meglio organizzate seppur in numero minore, e sostituite con altre più nuove, realizzate in rame, poste accanto alle bugne angolari e concepite in modo tale da rientrare nella muratura prima di scaricare a terra, così da evitare i precedenti problemi di infiltrazioni di acqua piovana151. Una conferma tangibile alla descrizione dei lavori come illustrata da Del Badia si può avere confrontando la già citata fotografia ante 1885 con due fotografie (Figure 17 e 18) del fondo Alinari risalenti ai primi anni del Novecento in cui si ha testimonianza concreta delle modifiche apportate.

Più complessi gli interventi che interessano la cortina laterizia, e meno individuabili sulla base di un semplice confronto fotografico152. Soprattutto al pianterreno l’edificio presentava numerosi laterizi scagliati, in uno stato di alveolizzazione più o meno avanzata che comportava distacco di materiale e anche in diversi settori dei piani superiori il materiale laterizio appariva degradato o danneggiato da lesioni evidenti. Di fronte a questo problema è stato deciso di agire secondo procedure differenti a secondo della gravità del livello di deterioramento.

Nei settori della cortina muraria in cui il degrado del laterizio risultava sì presente ma non eccessivo viene optato per una soluzione non eccessivamente invadente, ma anche meno definitiva: dove le scagliature risultavano più lievi si è proceduto a un livellamento delle asperità mediante la uniforme stesura di malta di calce successivamente colorita con un pigmento rosso così da uniformarsi al colore dominante del laterizio originario.

Nelle zone in cui il degrado era più avanzato e comprometteva gravemente l’aspetto dell’edificio si è proceduto alla rimozione e sostituzione di interi filari in un intervento piuttosto invasivo che però si è fatto scrupolo di armonizzarsi con le parti originali del rivestimento. Per fare ciò si è dunque fatto ricorso alla sostituzione integrale degli elementi

150 PRESCIUTTI PRIMI 1991-1992, p. 321. 151 Ivi.

152 Per la comprensione degli interventi più strettamente tecnici si rivela uno strumento fondamentale

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danneggiati attraverso quel particolare procedimento di restauro architettonico chiamato “scuci e cuci”, ossia la costruzione di una muratura nuova da realizzare al posto dei settori danneggiati. In tale operazione si procede rimuovendo a piccoli tratti le parti di muratura degradate partendo dal basso e poi sostituendole gradualmente, sempre partendo dal basso con nuova muratura; a seconda dello stato generale della parte danneggiata si può decidere di sostenere l’operazione mediante una puntellatura. Inoltre prima di inserire nella vecchia la nuova muratura i bordi di contatto devono essere regolarizzati così da facilitare le ammorsature, raschiati per eliminare la vecchia malta e lavati con abbondante acqua in modo da migliorare l’adesione della nuova malta ai vecchi conci153

.

A Palazzo Budini Gattai la tecnica dello “scuci e cuci”, oltre che nei settori dove la cortina laterizia risultava deteriorata, è stata utilizzata inoltre per tamponare le buche pontaie, necessarie per il fissaggio delle impalcature alle facciate del palazzo. Nell’utilizzare una simile soluzione, che corre sempre il rischio di essere piuttosto invasiva per l’aspetto esterno dell’edificio, è stata fatta grande attenzione al rispetto dei delicati giochi cromatici cinquecenteschi basati sulle differenze sfumature dei mattoni della facciata: rari sono infatti i casi in cui una sostituzione di materiale abbia intaccato i disegni geometrici concepiti dall’Ammannati.

Il degrado generale dell’esterno di Palazzo Budini Gattai aveva intaccato anche i numerosi elementi in pietra che ne ornano le facciate. Come già detto lo stemma Grifoni, eccessivamente corroso dal tempo e dagli agenti atmosferici, viene sostituito da una copia fedele (Figura 19). In maniera analoga la sostituzione degli elementi lapidei interessa anche le incorniciature delle finestre e i loro timpani, pesantemente danneggiati come è ben visibile dalla fotografia precedente il restauro di Boccini. Naturalmente un simile intervento di sostituzione ha implicato ancora una volta l’utilizzo della tecnica “scuci e cuci” per sostituire i mattoni in laterizio che incorniciavano le finestre (Figura 20); non sarebbe stato altrimenti possibile smurare i timpani e le incorniciature danneggiati per essere sostituiti da copie. Per quanto riguarda gli elementi lapidei deteriorati tra le bugne angolari, i conci che incorniciano i portali, le serliane, la cornice a bucrani e patere tra pianterreno e piano nobile (l’unica ad esser stata completata prima dei lavori bocciniani) viene operata una tecnica di sostituzione mirata dei singoli elementi danneggiati; questi vengono infatti asportati e sostituiti con copie, incollate alle parti superstiti.

Si può quindi dire che per quanto riguarda l’aspetto esterno di Palazzo Budini Gattai l’architetto Giuseppe Boccini si sia mosso ispirandosi a criteri di rispetto filologico per

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l’aspetto originario dell’edificio. Le sostituzioni e i completamenti vengono eseguiti in maniera da armonizzarsi con l’aspetto del palazzo, rispettandone ogni elemento antico. Può essere ad esempio molto indicativo che i nuovo acquirenti abbiano preferito riproporre una copia dell’antico stemma Grifoni anziché sostituirlo con il proprio stemma di famiglia. Evidentemente l’aspetto esterno del palazzo era ritenuto ormai storicizzato, e anzi la sua caratteristica del laterizio a vista gli doveva conferire una precisa personalità percepita come un valore aggiunto; Leopoldo Gattai e Francesco Budini dovevano con ogni probabilità essere consci che mantenendo l’aspetto storico del palazzo si sarebbero legati a una parte importante, e ben riconoscibile, della storia più illustre della città.

I lavori che Boccini porta avanti all’interno del palazzo sono invece di segno diametralmente opposto, mirando a smantellare l’antico assetto (come d’altronde era già successo a più riprese nella storia dei passaggi di proprietà dell’edificio) a seconda dei desiderata dei nuovi proprietari. È infatti negli interni che i Budini Gattai lasciano la propria riconoscibile impronta, legando indissolubilmente il proprio nome alla storia del palazzo.

La distribuzione settecentesca degli ambienti infatti subisce ingenti modifiche, non solo tramite gli invasivi interventi di ristrutturazione ma anche con lo spostamento e l’inserimento di tramezzi e con la variazione di destinazione d’uso dei vari locali154

.

All’interno del palazzo la trasformazione di maggior rilievo è senza dubbio la sostituzione della scala antica, ripida e di dimensioni limitate, con un imponente scalone doppio con una branca centrale e due laterali superiori. Come sarà dimostrato anche dalla nuova decorazione pittorica è l’ambiente che più di tutti si preme di sottolineare la nuova proprietà del palazzo ad opera dei Budini Gattai, a partire da un nuovo e più imponente scalone d’entrata, sorta di presentazione dei nuovi proprietari per chiunque entrasse nel palazzo. L’intervento è impegnativo e comporta lo sventramento di parte dell’edificio nei locali adiacenti l’antica scala, dal pianterreno al sottotetto. A coronare lo scalone con luce zenitale è aperto un nuovo lucernario che verrà chiuso da una vetrata appositamente commissionata alla vetreria di Francesco Mossmeyer155 e disegnata da Augusto Burchi.

La scala precedente univa tutti i livelli del palazzo, dal pianterreno al sottotetto, mentre il nuovo scalone si arresta al piano nobile; questo comporta la creazione di una scaletta di servizio, piccola e funzionale, ricavata occupando parte di alcuni ambienti affacciantisi sulla

154 Ibidem, pp. 326-328.

155 Francesco Mossmeyer, chimico e pittore di origine tedesca ma di carriera italiana, è molto attivo tra la fine

dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento come realizzatore di vetrate in stile antico su disegno proprio o di altri, come nel caso del lucernario di Palazzo Budini Gattai. Dal 1906 si lega alla Manifattura Felice Quentin di Firenze con cui realizza alcune delle sue opere principali quali i rifacimenti delle vetrate per la Chiesa di Santa Chiara ad Assisi e per quelle di San Francesco e Santa Caterina a Pisa, risalenti alla seconda metà degli anni ’20. Vedi CRESTI 1985; LENZI 2003, pp. 31-32.

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piazza. Viene invece eliminata la contigua scaletta interna al quartiere ad angolo fra Via dei Servi e Piazza Santissima Annunziata; analogamente un’altra scaletta di servizio, ubicata nell’ala sinistra del palazzo, che attraversava tutti i piani dalle cantine al sottotetto è sostituita da un’altra più ampia che però si limita a collegare il pianterreno al secondo piano.

L’apertura del lucernario sopra al nuovo scalone d’ingresso comporta inoltre la demolizione di molti dei locali del sottotetto che viene drasticamente dimensionato. In questo contesto si può forse inserire un altro lavoro che si deduce da un confronto con la fotografia pubblicata da Stegmann e Geymüller e altre fotografie Alinari successive ai lavori di restauro ma non citata dagli studi successuvi, ossia la muratura delle finestrelle quadrate immediatamente sottostanti al cornicione del palazzo; muratura che deve essere inoltre stata necessaria per poter compiere il fregio del secondo piano. Si nota inoltre la riapertura dell’ultima finestra a destra nel secondo piano, precedentemente murata in data incerta.

Simili ristrutturazioni devono aver compromesso l’assetto statico dell’edificio che Boccini ha dovuto ripristinare con un intervento di consolidamento che prevede l’inserimento di tiranti in ferro passanti a filo dei muri portanti all’interno dei locali del pianterreno.

L’intervento di Boccini all’interno del palazzo ha avuto tempi relativamente brevi, forse anche a causa di sollecitazioni da parte dei proprietari che desideravano avere i nuovi ambienti ultimati e pronti per essere decorati in tempi brevi. All’entrata dello scalone una tarsia marmorea sul pavimento riporta infatti l’anno MDCCCCXXXXII e il resto degli ambienti dove comunque essere terminato prima dell’intervento decorativo di Augusto Burchi e bottega, che ha luogo tra il 1892 e il 1894 a seconda dei locali.

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Figura 86 - Fotografia Alinari di Palazzo Budini Gattai a inizio Novecento, dopo i lavori di restauro di Boccini (Fonte: CALAFATI 2011, immagine 18).

Figura 87 - Fotografia Alinari di Piazza Santissima Annunziata e del Palazzo Budini Gattai a inizio Novecento, dopo i lavori di restauro di Boccini (Fonte: CALAFATI 2011, immagine 19).

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Figura 88 - Firenze, Palazzo Budini Gattai, copia ottocentesca dello stemma della famiglia Grifoni posto sulla facciata in Via dei Servi (Fonte: CALAFATI 2011, immagine 47).

Figura 89 - Palazzo Budini Gattai, particolare di una finestra inginocchiata della facciata su Via dei Servi. Accanto alla voluta ionica che sorregge il timpano della finestra è probabilmente visibile la traccia di un intervento "scuci e cuci" volto alla rimozione della voluta stessa. Si nota la diversa tonalità di colore che crea

uno stacco con i laterizi originali, interrompendone i disegni geometrici (Foto Daniele Galleni, data 26/7/2013)

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CAP. IV – AUGUSTO BURCHI E GLI ESORDI DI GALILEO CHINI E GIULIO BARGELLINI

I Budini Gattai investono con enorme attenzione nel restauro esterno e nella ristrutturazione interna dell’antico Palazzo Grifoni. Così come era successo nella scelta dell’architetto Giuseppe Boccini, all’epoca nome di spicco nel panorama artistico fiorentino, analogamente accade per quanto concerne la nuova decorazione interna. Anzi, forse la scelta è ancora più mirata, in quanto all’esterno si cerca di conferire un aspetto filologico al palazzo, mentre all’interno trovano spazio i desideri e le commissioni esclusive dei nuovi proprietari.

A questa altezza cronologica ricorrere all’opera di Augusto Burchi vuol dire legarsi direttamente all’alta società fiorentina attraverso uno dei suoi più celebri decoratori. Burchi è infatti all’apice della carriera e della gloria, negli anni coevi all’encomiastico articolo della Vanzi Mussini. È un rispettato professore all’Accademia di Belle Arti di Firenze, ha un curriculum artistico in cui compaiono nomi illustri quali i marchesi Ginori, il principe Strozzi, i marchesi Strozzi di Mantova, il conte Bastogi e altri personaggi di rilievo. Permettersi il lusso di ingaggiare Augusto Burchi vuol dire quindi far comprendere alla società che si è entrati nel novero dell’élite che conta, che si può dialogare da pari a pari con buona parte dell’aristocrazia fiorentina.

Burchi riceve un incarico impegnativo per la metratura di pareti da decorare ma non eccezionale rispetto ad altre precedenti commissioni; si tratta di realizzare l’apparato decorativo di alcuni locali del piano nobile e del pianterreno, ponendo particolare attenzione ad alcuni ambienti chiave quale il monumentale scalone d’entrata, appositamente voluto dai Budini Gattai, o la grande sala posta all’angolo tra Via dei Servi e Piazza Santissima Annunziata; altre stanze di passaggio vengono invece decorate con motivi più semplici. La presenza di Galileo Chini tra i giovani assistenti che popolavano la bottega di Burchi ci permette di osservare con maggiore dovizia di dettagli l’organizzazione del lavoro all’epoca della massima popolarità del decoratore fiorentino; nei suoi tardi appunti biografici156 Chini infatti si concentra con particolare attenzione, e volendo anche con sincero affetto, sul suo periodo di apprendistato presso Augusto Burchi, ricordandone i modi di fare, la suddivisione del lavoro e gli altri giovani assistenti presenti. Chiaramente si tratta di ricordi scritti a una distanza di quasi sessant’anni dai fatti, quindi da prendere con il beneficio del dubbio per quanto riguarda nomi e dettagli, e anche col sospetto che l’anziano e malato Chini possa guardare con eccessivo rimpianto e estrema idealizzazione ai tempi della sua giovinezza.

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Galileo Chini aveva già avuto modo di entrare in contatto con Burchi, in occasione della celebre campagna di restauri nella chiesa di Santa Trinita, in cui il giovane artista collabora assieme allo zio Dario; ed è grazie alla raccomandazione di quest’ultimo che riesce ad entrare a far parte della bottega di Burchi attiva a Palazzo Budini Gattai.

Leggendo le memorie di Chini si apprende quale doveva essere la prassi abituale di Augusto Burchi, almeno da quando è divenuto sufficientemente celebre e facoltoso da potersi permettere dei giovani allievi al suo servizio. All’epoca, ossia intorno al 1893 quando Chini aveva venti anni, Burchi conduceva in contemporanea i lavori di decorazione nei differenti ambienti di Palazzo Bastogi, oltre a insegnare regolarmente presso l’Accademia di Belle Arti. Il lavoro degli assistenti gli era dunque indispensabile per tenere fede alle commissioni ricevute. Chini ricorda infatti la presenza di più di un’apprendista ma per la maggior parte si trattava di “artigiani di poco conto”157

. Qualcuno però riesce a distinguersi dal gruppo e Chini si sofferma di più a delineare la personalità di alcuni compagni di lavoro: tale Corti “uomo di fiducia del professore”158

, di età più matura rispetto agli altri, si occupa di mostrare al giovane Galileo gli ambienti da decorare, rivelandosi come una sorta di secondo capo bottega volto a coordinare il lavoro altrui in assenza di Burchi, e specializzato inoltre un nella pittura di quadrature nonché tecnico dei materiali; un giovane pittore romagnolo chiamato Tonti o Torti (l’anziano Chini sembra confondere i due nomi usandoli in maniera interscambiabile, forse facendo confusione con il già citato Corti) volenteroso ma lento esecutore delle indicazioni ricevute; tale Massari, il cui principale incarico era quello di bucare gli spolveri in vista della stesura degli affreschi; un giovane di cui Burchi ricorda solo il soprannome con cui era abitualmente chiamato, Cimodoce, che aiutava Corti a preparare le dorature degli stucchi. Ma soprattutto spicca la figura del giovane Giulio Bargellini159, di soli quattro anni più grande di Chini ma con già alcune esperienze decorative alle spalle, con cui l’anziano Galileo sostiene di aver avuto un’immediata e profonda amicizia; tuttavia Bargellini abbandona l’impegno

157 BENZI 1998, p. 34.

158 Ibidem, p. 36.

159 Giulio Bargellini (1869-1936) nasce a Firenze dove frequenta l’Accademia di Belle Arti in cui studia pittura e

intaglio del legno con lo scultore lucchese Augusto Passaglia (1838-1918). Dopo aver vinto nel 1896 il concorso per il pensionato artistico nazionale si stabilisce a Roma, inserendosi con facilità nell’ambiente artistico romano come testimoniano i suoi rapporti con artisti quali Maccari, Morelli, Michetti e Piacentini, determinanti per la formazione di un suo linguaggio artistico. Partecipa a numerose Biennali veneziane e a diverse esposizioni in Italia e all’estero. Tra i suoi lavori più ricordati figurano le lunette a mosaico realizzate per il propileo e i disegni per i mosaici della cripta, entrambi all’interno del Vittoriano a Roma. Decora inoltre numerosi palazzi e ville private, tra cui Villa Targioni a Calenzano edificata dall’architetto fiorentino Enrico Fantappiè tra 1905 e 1907; tra le sue imprese pubbliche spiccano invece le decorazioni nel palazzo della Banca d’Italia e nel palazzo di Giustizia a Roma, nonché gli affreschi nel ministero degli Interni e nel palazzo dell’Istituto nazionale delle Assicurazioni sempre a Roma. Dal 1912 Bargellini p inoltre titolare del corso di decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma. Muore a Roma il 10 marzo 1936 mentre lavora ai cartoni per la decorazione della cattedrale di Messina, incarico assunto dopo la morte di Aristide Sartorio a cui erano stati inizialmente affidati. Vedi BATTAGLINI DI STASIO 1964.

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