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Per un itinerario tra le topografie dell’inner space: Miracles of Life di J.G. Ballard

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Academic year: 2021

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CAPITOLO SETTIMO

Per un itinerario tra le topografie dell’inner space: Miracles of Life di J.G. Ballard

Die seelische Arbeit knüpft an einen aktuellen Eindruck, einen Anlaß in der Gegenwart an, der imstande war, einen der großen Wünsche der Person zu wecken, greift von da aus auf die Erinnerung eines früheren, meist infantilen, Erlebnisses zurück, in dem jener Wunsch erfüllt war, und schafft nun eine auf die Zukunft bezogene Situation, welche sich als die Erfüllung jenes Wunsches darstellt, eben den Tagtraum oder die Phantasie, die nun die Spuren ihrer Herkunft vom Anlaß und von der Erinnerung an sich trägt.

S.FREUD,«Der Dichter und das Phantasieren», 1907

Ma tu vuoi restarci dentro, nel fosso; a pescarci le anguille del tuo passato.

E.MONTALE, L’anguilla, 1948

Nelle opere che ne compongono la produzione narrativa, la scrittura di James Graham Ballard (1930-2009) esibisce come segno dominante una singolare combinazione di elementi che ne sanciscono l’unicità nel panorama della letteratura fantascientifica (e non solo fantascientifica, come si dirà in seguito), al cui reindirizzamento essa ha contribuito tramite l’adozione di moduli tematici e formali1

squisitamente avanguardistici.

La prosa di Ballard, insieme a quella di autori del calibro di Brian Aldiss e John Brunner, inaugura infatti lo schiudersi di una parentesi che impone alla branca del

1

Non è qui in proposito di offrire un’analisi delle proposte formali e stilistiche che, insieme a quelle tematiche – sulle quali invece ci soffermeremo ampiamente più avanti – rappresentano uno dei tratti degni di particolare attenzione all’interno della produzione ballardiana. Basterà rilevare che la questione è stata affrontata da Rick McGrath nell’articolo «J.G. Ballard’s Graphic Experiments», reperibile e consultabile al seguente sito web: http://www.jgballard.ca/criticism/ experimental_fiction.html.

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fantastico compresa sotto il nome di science fiction2 uno sperimentalismo senza precedenti, gli esiti del quale si manifestano significativamente all’interno della cosiddetta corrente New Wave.

Emersa negli anni ’60 in seno alla rivista New Worlds e affermatasi nel corso del decennio successivo, quando le istanze innovatrici nelle quali possiamo distinguere le sue linee portanti vengono a convergere con il tematismo anticonvenzionale dell’appena nata Pop Art e con i fondamenti della logica surrealista (una logica, si ricorderà, che conferisce centralità all’inconscio e all’evidenziazione del suo linguaggio), la New Wave ha come caratteristica precipua quella di privilegiare un tipo di narrativa proiettata verso il futuro immediato, nel cui ambito l’illustrazione degli avventurosi viaggi alla scoperta di mondi sconosciuti e lontani cede il passo all’indagine degli itinerari compiuti dall’uomo in un contesto alienante3.

Insistita e ricorrente, nella fisionomia della letteratura ricondotta a tale filone, è la tendenza a inglobare il rifiuto per la retorica delle battaglie interplanetarie, dello spazio stellato e del novum scientifico4, ed esibire in alternativa a essa una facies espressiva che, contemplando la rappresentazione delle patologie generate dall’interferenza tra immaginario e realtà, si connette sotto il profilo tematico «alla chimica delle sostanze psicotrope ed alla neurobiologia degli stati di coscienza alterati»5.

Analogamente, l’interesse soggiacente alla prosa di Ballard, che è stato a ben vedere riconosciuto quale portavoce della New Wave britannica, è quello di concorrere a un processo di svecchiamento rivolto a contrastare la deriva manieristica della fantascienza,

2

Benché le linee espressive di tale filone siano il portato di numerose ricerche, non vi faremo riferimento se non per ricollegarci alle tematiche emergenti nell’autobiografia che costituirà il focus argomentativo del presente capitolo. Per un quadro d’insieme sulla riflessione teorica che la critica ha dedicato alla letteratura fantascientifica, si vedano i seguenti volumi: R.LUCKHURST, Science

Fiction, Polity, Cambridge 2005, A. ROBERTS, Science Fiction, Routledge, London-New York 20062 e M.K.BOOKER –A.M.THOMAS (eds.), The Science Fiction Handbook, Wiley-Blackwell, Malden (Maryland)-Oxford 2009. Per quel che riguarda l’ambiente italiano, un’interessante e approfondita panoramica sulla letteratura fantastica, con le cui pregresse forme la fantascienza intrattiene un debito inoppugnabile, si può reperire in S.ALBERTAZZI (a cura di), Il punto su: la

letteratura fantastica, Laterza, Bari 19952.

3

Cfr. F.GIOVANNINI –M.MINICANGELI, Storia del romanzo di fantascienza: guida per conoscere

(e amare) l’altra letteratura, Castelvecchi, Roma 1998, p. 25. 4

Sono infatti questi i tratti prototipici e paradigmatici dei racconti prodotti durante la cosiddetta epoca d’oro della letteratura di fantascienza, nel periodo compreso tra gli anni ’30 e ’40 del ’900. Quanto al termine «novum», esso è designato dal critico Darko Suvin come un elemento impossibile nel mondo empirico, ma scientificamente accettabile nell’universo fittizio della letteratura perché validato dalla logica cognitiva. In virtù del suo carattere innovativo il novum è capace di suscitare, all’interno dei racconti di fantascienza, un senso di straniamento (Suvin parla nello specifico di cognitive estrangement) che induce il lettore alla riflessione critica e alla percezione del valore differenziale tra due diverse dimensioni temporali.

5

A. PASQUINO, «Scienza e letteratura: elaborazioni concettuali ed investimenti estetici nei due campi», in M. Donzelli (a cura di), Comparatismi e filosofia, Liguori, Napoli 2006, pp. 117-28, qui p. 124.

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della quale non esita a segnalare il ripiegamento su stilemi compassati, nutriti dalla fede nel progresso e da una decantata accettazione dell’avanzamento tecnologico, con cadenze debitrici di tematiche – l’esplorazione dello spazio extraterrestre, la conquista e la colonizzazione dei pianeti, l’incontro con forme di vita aliene, per menzionarne soltanto alcune – innestatesi nelle convenzioni del genere a partire soprattutto dalla fine degli anni ’30.

L’insofferenza dell’autore nei confronti degli intrecci tipici della tradizionale space opera avventurosa è resa palese dalla svolta epistemica che ne investe la produzione narrativa all’inizio degli anni ’70, ossia nel momento in cui le storie apocalittiche e proto-ambientaliste dei primi romanzi – da The Wind from Nowhere (1961) e The Drowned World (1962) a The Drought (1964)6 e The Crystal World (1966)7 – lasciano il campo a racconti dall’afflato ancor più profondamente speculativo8

, i quali fanno leva sulla psicologia e sulle fantasie allucinate di personaggi appartenenti a contesti dove «[il] progresso, [la] tecnologia e [l’]organizzazione sociale si risolvono fatalmente in catastrofe»9.

Benché non sconfessi la portata immaginativa della science fiction, di cui dichiara esautorato il potenziale dopo l’allunaggio di Armstrong nel 1969, ma che continua pur tuttavia a ritenere l’unico genere in grado di registrare la trasformazione della soggettività nell’era della rivoluzione tecnologica10

, Ballard approda così a un tipo di fiction

6

The Drought è in realtà il titolo dell’edizione inglese del romanzo, uscita in forma riveduta e

ampliata presso la casa editrice Jonathan Cape nel 1965. Il 1964 corrisponde all’anno dell’edizione originale dell’opera, che viene pubblicata negli Stati Uniti con il titolo The Burning World.

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Si tratta dell’altrimenti detta «tetralogia dei quattro elementi», così definita per il modo in cui Ballard incentra i romanzi che ne fanno parte su uno dei quattro elementi aristotelici (rispettivamente l’aria, l’acqua, il fuoco e la terra). Per maggiori approfondimenti in materia, rinviamo al seguente articolo: E.GOMEL, «Everyday Apocalypse. J.G. Ballard and the Ethics and Aesthetics of the End of Time», Partial Answers, 8(1), 2010, pp. 185-208.

8

Afflato che ben collima con l’idea secondo cui l’intento di ogni autore di fantascienza dovrebbe essere quello di devolvere il proprio impegno alla dissezione scrupolosa del reale: «In essence, science fiction is a response to science and technology as perceived by the inhabitants of the consumer goods society, and recognizes that the role of the writer today has totally changed – he is

now merely one of a huge army of people filling the environment with fictions of every kind. To survive, he must become far more analytic, approaching his subject matter like a scientist or

engineer. If he is to produce fiction at all, he must out-imagine everyone else, scream louder, whisper more quietly. For the first time in the history of narrative fiction, it will require more than talent to become a writer» (J.G.BALLARD, «Fictions of Every Kind», Books and Bookmen, 5, 1971, <http://www.jgballard.ca/non_fiction/jgb_fictions.html>.

9

T.PINCIO, «Aveva un’idea catastrofica del progresso», La Repubblica, 20 aprile 2009. Articolo

reperibile e consultabile al seguente indirizzo web: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/ repubblica/2009/04/20/aveva-un-idea-catastrofica-del-progresso.html.

10

Cfr.R. LUCKHURST, op. cit., p. 151. Ci limitiamo, per brevità, a segnalare soltanto una delle

numerose dichiarazioni indicative dell’atteggiamento nutrito dall’autore nei confronti della letteratura fantascientifica: «Above all, science fiction is likely to be the only form of literature which will cross the gap between the dying narrative fiction of the present and the cassette and videotape fictions of the near future. […] At present science fiction is almost the only form of

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maggiormente incline a una distensione del rapporto intrattenuto dal «mondo dell’illusione narrativa» con quello «della realtà empirica dell’autore e del lettore»11

.

Rientrano in questa fase romanzi e racconti che esibiscono una forte sincronicità di temi e motivi – si pensi in tal caso alla vocazione di aderenza alla rappresentazione dell’inner space sulla quale insisteremo più avanti – poi incessantemente riproposti nell’arco di tutta la successiva produzione ballardiana. Nelle opere più mature dello scrittore, spiega Laura Di Michele,

[i] […] personaggi si muovono con ostinazione nelle intersezioni distorte spazio-temporali, fra realtà allucinata e iperrealtà surreale, così che il viaggio-ricerca si rivela come lo strumento narrativo più idoneo a colmare il divario fra reale e fantastico, per penetrare nello spazio interiore del personaggio. E così accade che, all’interno della […] narrativa [di Ballard], i due ambiti finiscono per confondersi, per cambiare di posizione e di funzione, come si può facilmente verificare a mano a mano che si procede nella lettura delle prime opere, prevalentemente liriche e oniriche – nelle quali l’opposizione violenta realtà/finzione ha ancora ragion d’essere – fino a Crash […], brutale rappresentazione del mondo contemporaneo, ove l’iperrealtà sconfigge finzione e realtà, sostituendole. Ballard […] conduce i personaggi dalla sfera della natura violata, tecnologizzata, a quella della visione, del sogno, della creazione artistica e della follia in una sorta di itinerario spirituale, attraverso il quale essi possano recuperare una fisionomia umana, identificabile, che hanno smarrito nell’alienazione del mondo moderno12.

Dipintoci da più parti come fine esegeta dell’entropia del mondo globale, Ballard si è quindi imposto all’attenzione del pubblico e della critica per l’atteggiamento lucido e disincantato con cui ha ritratto un’umanità in transizione, sempre più invischiata «nella complessa rete di iconografie consumistiche, di immagini pubblicitarie, di stimoli audiovisivi mistificatori e di miti contemporanei»13.

Ciò risulta tanto più chiaro se prendiamo in considerazione un’opera come The Atrocity Exhibition (1970, pubblicata negli Stati Uniti con il titolo Love and Napalm. Export USA), nella quale il lettore è chiamato a confrontarsi con una galleria di immagini sottratte a uno scenario spietatamente reale. Uno dei tratti salienti è qui da rintracciarsi nel decadimento delle certezze relative alla possibilità di individuare un esatto discrimine tra quello che procede dalla Storia – in altre parole, un patrimonio documentale che si presuppone oggettivo perché ad ampia condivisione nella comunità – e quello che invece è frutto di arbitrio, e che, in quanto tale, appartiene alla sfera della soggettività.

fiction which is thriving, and certainly the only fiction which has any influence on the world around it. The social novel is reaching fewer and fewer readers, for the clear reason that social relationships are no longer as important as the individual’s relationship with the technological landscape of the late 20th century» (J.G.BALLARD, «Fictions of Every Kind», cit.).

11

L.DI MICHELE, «Il romanzo prismatico di J.G. Ballard », Anglistica, 23(2-3), 1980, pp. 225-91, qui p. 238.

12

Ivi, pp. 239-40.

13

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Nella sua celeberrima raccolta Ballard fornisce infatti

a one-sided, reduced version of what is still recognizably the contemporary environment of his readers. The central idea is that the products of science and technology have saturated the world, so that we are living in a giant labyrinth of fiction. […] Ballard’s meticulous descriptive prose, his well-chosen list of significant twentieth-century milestones, and the obsessional reenactments of his central character together form a potent and thought-provoking vehicle in which the undercurrents of the period become a repellent collage, a picture of mental turmoil14.

Nel tenere le proprie fantasie radenti il presente, Ballard ha saputo notomizzare la (post)modernità in modo audace, optando per una prosa di scavo che ha reso visibili i nodi di un’epoca il cui maggiore contrassegno risiede nel dissesto degli apparati sociali e, per riprendere Baudrillard, da un senso effuso di straniamento dinanzi alla proliferazione di segni disancorati da ogni modello concreto e rinvianti, nella propria autoreferenzialità, nient’altro che a se stessi15

.

La «derealizzazione del mondo esterno» da un lato, e la «culturalizzazione [di una] società»16 sottoposta alle mediazioni di referendi fittizi dall’altro, intervengono, perciò, a

sostanziare i piani dell’invenzione e del discorso narrativo realizzato dall’autore, il quale arricchisce il proprio repertorio con immagini e riferimenti deputati a illustrare gli effetti

stranianti prodotti nell’era postbellica dall’assuefazione ai simulacri del reale, ovvero alle riproduzioni, alle immagini e alle narrazioni di cui dispone la comunicazione di massa per favorire il controllo sociale e psicologico.

Nell’opuscolo della controversa mostra che segnerà la genesi di Crash (1973), Ballard sottolinea d’altronde in modo esemplare come il sodalizio tra ragione e incubo incombente sugli anni ’60 abbia incrementato l’ambiguità del mondo: nel panorama del ventesimo secolo, ci dice, imperversano attraverso i canali mediatici gli spettri di tecnologie sinistre e di sogni resi accessibili dal denaro, mentre i sistemi delle armi nucleari insieme alla pubblicità abitano un territorio dominato dall’esaltazione merceologica, e l’atrofizzazione

14

M.P.FLETCHER –J.L.THORSON (eds.), Reader’s Guide to Twentieth-Century Science Fiction, American Library Association, Chicago-London 1989, p. 41.

15

Cfr. L.DI MICHELE, op. cit., pp. 253-54. La convergenza della prosa fantascientifica di Ballard con alcuni punti nodali delle disquisizioni condotte da Baudrillard sulla simulazione e l’iperreale (un sistema costituito da simulacri che riproducono la realtà e ne fanno successivamente le veci) nella cosiddetta società mediatica è stata rilevata dallo stesso filosofo francese, che in un saggio del 1976 ha compiuto un’esegesi del romanzo Crash improntata alla dimostrazione di come in esso Ballard abbia saputo ritrarre la “teocrazia” mediatico-tecnologica del mondo contemporaneo (cfr. J.BAUDRILLARD, «Two Essays: ‹Simulacra and Science Fiction› and ‹Ballard’s Crash›», Science-Fiction Studies, 18, 1991, pp. 309-20). Sull’argomento si vedano in particolare B.BUTTERFIELD,

«Ethical Value and Negative Aesthetics. Reconsidering the Baudrillard-Ballard Connection»,

PMLA, 1, 1999, pp. 64-77eA.DAY, «Ballard and Baudrillard. Close Reading Crash», English, 49, 2000, pp. 277-93.

16

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di sentimenti ed emozioni ha dato adito a patologie cui l’individuo cerca di conferire una forma concreta17.

Dalla narrativa inaugurale della fase post-fantastica fino alla tetralogia romanzesca più recente (Cocaine Nights [1996], Super-Cannes [2000], Millennium People [2003], Kingdom Come [2006]), Ballard sovraccarica pertanto le proprie opere di ipotesi cupe sul destino dell’odierno consorzio umano, di cui illustra con occhio clinico l’incapacità, ormai endemica, di sottrarsi al destino di inevitabile barbarie al quale lo hanno indotto l’opulenza e le illusioni affabulatrici dei media. (Può essere interessante ricordare che l’aggettivo «ballardiano» è stato introdotto nel Collins English Dictionary appunto come equivalente semantico delle condizioni descritte nell’opus di Ballard, dove lo sguardo si appunta ossessivamente su «bleak man-made landscapes and the psychological effects of technological, social or environmental developments»).

Dietro le distopie di sapore orwelliano degli ultimi romanzi troviamo così un autore convinto che il singolo e la comunità possano risvegliarsi dal proprio torpore assuefatto soltanto mediante «la pratica di una violenza insensata e rigenerante, controllata da psicopatici privi di scrupoli o idealisti dalla logica impazzita»18. Su questo, i ragionamenti più persuasivi provengono dallo stesso Ballard, il quale condensa nel modo che segue la sua posizione:

My real fear is that boredom and inertia may lead people to follow a deranged leader with far fewer moral scruples than Richard Gould, that we will put on jackboots and black uniforms and the aspect of the killer simply to relieve the boredom. A vicious and genuinely mindless neo-fascism, a skilfully aestheticised racism, might be the first consequence of globalisation, when Classic Coke® and California merlot are the only drinks on the menu. At times I look around the executive housing estates of the Thames Valley and feel that it is already here, quietly waiting its day, and largely unknown to itself19.

Preludendo alle voci critiche che si sarebbero in seguito mobilitate attorno all’esperienza artistica di Ballard per metterne in luce i germi innovativi e fortemente anticipatori del panorama sociologico contemporaneo, David Pringle definisce con queste parole, in una delle prime monografie sull’autore, gli sviluppi futuri della sua carriera:

17

Cfr. J.G.BALLARD, The Kindness of Women, Harper Collins, London 2005 [1991], pp. 226-27.

18

G.SCATASTA, «L’estremismo, malattia senile della borghesia: conflitti nella narrativa recente di

James G. Ballard», in V. Fortunati – D. Fortezza – M. Ascari (a cura di), Conflitti: strategie di

rappresentazione della guerra nella cultura contemporanea, Meltemi, Roma 2008, pp. 133-38, qui

pp. 137-38. Kingdom Come, l’ultimo romanzo di Ballard, offre un esempio decisivo delle patologie scaturite dal capitalismo avanzato della contemporaneità: difatti esso si presenta come «un incubo in cui si fondono fascismo e consumismo, cementati dal tifo sportivo, dall’assalto alle case degli immigrati pakistani, indiani o polacchi, dallo squallido fascino di un presentatore televisivo convinto di essere un nuovo messia o un nuovo führer» (ivi, p. 138).

19

JEANETTE BAXTER, «Age of Unreason», The Guardian, 22 June 2004, <http://www.theguardian. com/ books/2004/jun/22/sciencefictionfantasyandhorror.jgballard>.

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«Ballard’s reputation will grow in the decades to come, and he is likely to become recognized as by far and away the most important literary figure associated with the field of science fiction. More than that: he will be seen as one of the major imaginative writers of the second half of the 20th century – an author for our times, and for the future»20.

Scrittore non soltanto del proprio tempo, dunque, ma anche di un futuro ai cui possibili risvolti è stato capace di guardare con occhio acutamente analitico e indagatore, Ballard ha in effetti proposto al pubblico una narrativa foriera di angoscianti anticipazioni – una delle perifrasi più usate dalla letteratura critica è appunto quella che lo descrive nei termini di profeta delle perversioni e delle fantasie allucinate del mondo contemporaneo – su eventi che, pur preservando la propria portata avveniristica, con l’integrazione nel nostro presente del futuro narrativamente prospettato si sono confermati come possibilità quanto mai attuali, la cui matrice distintiva sta nella riconduzione allo status esistenziale di un’umanità lacerata, per la quale la dissoluzione è divenuta un’ipotesi tutt’altro che improbabile21

. Nella ricca partitura narrativa di Ballard si inseriscono allora romanzi come il già menzionato The Drowned World, nel quale l’autore affronta le implicazioni ecologiche del surriscaldamento globale con decenni di anticipo rispetto alla ratifica e alla successiva esecuzione del Protocollo di Kyoto; così come risaltano le memorabili pagine di Millennium People, che nel mettere in scena la rivolta dei ceti medi a suon di bombe e attentati sembra preconizzare, mostrandocene le conseguenze più radicali, l’allarmismo terroristico diffusosi nella capitale londinese a poca distanza dalla sua prima pubblicazione22.

20

D. PRINGLE, Earth is the Alien Planet. Ballard’s Four Dimensional Nightmare (1979), cit. in D. Oramus, Grave New World. The Decline of the West in the Fiction of J.G. Ballard (Introduction,

Part 1), 2007. Il testo del presente contributo è reperibile e consultabile al seguente indirizzo web: http://www.ballardian.com/grave-new-world-introduction-part-1.

21

Questo è lo scenario sullo sfondo del quale Sergio Solmi analizza l’affermarsi della science

fiction nella prefazione a Le meraviglie del possibile: antologia della fantascienza, Einaudi, Torino

1992 [1959], pp. ix-xxiv, qui p. x. Dal punto di vista delle scelte narrative, nella produzione di Ballard – e in special modo in quella riconducibile alla fase fantascientifica dell’autore – emerge una versione del reale declinata in senso apocalittico (cfr. sull’argomento L.J.FIRSCHING, «J.G. Ballard’s Ambiguous Apocalypse», Science Fiction Studies, 12, 1985, pp. 297-310), che risponde sotto molteplici aspetti alle proposte di molta della letteratura fantascientifica prodotta a partire dalla seconda metà del ’900 sia in Europa che oltreoceano. Le narrazioni riconducibili a questo specifico e a lungo bistrattato filone della letteratura, chiarisce Solmi, sono spesso «imperniate su anticipazioni d’ordine sociologico-politico, [che] ‹estrapolando› dalle esperienze di un’epoca che ha conosciuto i campi di concentramento e il ‹lavaggio dei cervelli›, campiscono nell’avvenire spaventevoli dittature, o mostruose emprises chimiche o telepatiche sulla volontà e sul pensiero stesso degli uomini […]. Altre storie, poi, insistono sull’Apocalisse atomica e cosmica: la fine del mondo è uno dei temi frequenti della narrativa scientifica americana, che vi riproduce accenti di desolate profezie bibliche, o vi denuncia moralisticamente i germi distruttivi che operano nella presente società» (ivi, pp. xv-xvi).

22

Il romanzo si apre infatti con un’esplosione all’aeroporto di Heathrow, in prossimità dello stesso terminale di cui la polizia londinese dispone l’evacuazione, nel febbraio del 2003, come misura difensiva contro un supposto attacco terroristico.

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Robert Platzner riassume la questione in questi termini:

J.G. Ballard is probably one of the most widely read literary catastrophists of our time. In four major novels and dozens of short stories Ballard has effectively and repeatedly extinguished all life on this planet, and while not all of his books are doomsday books, the apocalyptic mode

clearly suits him and undoubtedly represents a commitment to a personal obsession. The intensity of his writing often seems to be in direct proportion to the magnitude of the

horrors he invokes, and like the author of the Book of Revelations, Ballard occasionally exhibits signs of grim satisfaction at the spectacle of world annihilation. […] at the heart of Ballard’s eschatology is a vision of irreversible, regressive transformation – of entropy as a form of galactic and psychic metamorphosis. […] And when given a choice between a big bang and a little whimper, Ballard almost always chooses the latter, placing his fin-de-siècle characters in a twilight kingdom, where only change is constant, and constantly degenerative. […] Ballard appears to have little interest in the technology of survival. In nearly all of his future societies, human civilization (or, more precisely, advanced industrial capitalism) is given only a marginal chance, at best, of adapting to a changing environment whose destructive powers have become overwhelming23.

In modo spesso immediatamente manifesto, l’esperienza che Ballard compie del fantastico e del distopico non è disancorata dal reale, ma, come si è cercato di suggerire, subisce l’ascendente di contesti che con le loro peculiarità hanno consentito l’affacciarsi sull’orizzonte dell’esistenza dell’autore di cognizioni determinanti per l’atteggiamento nutrito da quest’ultimo verso l’arte e la vita.

Il principio generatore da cui ha origine l’apparato narrativo e speculativo di Ballard può individuarsi, con maggiore esattezza, nella prolungata esposizione alle suggestioni di alcuni luoghi “limite”, nei quali la critica stessa ha riconosciuto le fondamenta di un immaginario qualificabile come un vero e proprio laboratorio onnicomprensivo dei materiali da cui la fiction dell’autore ha tratto un imprescindibile alimento.

È una connessione, quella tra serbatoio mitopoietico dell’artista e spazi del vissuto, su cui Rubino insiste particolarmente quando rileva che: «l’immaginario umano, lungi dal configurarsi come confusa e anarchica endogenesi di labili fantasmi, trova nella spazialità una forma che è la condizione della sua esistenza e consistenza […]. Spazio e immaginario si rivelano strettamente solidali: le premesse e modalità di apparizione dell’uno risultano dipendenti da quelle dell’altro»24

. Si dirigono in tal senso le successive valutazioni dello studioso, il quale aggiunge:

Il nesso spazio-immaginario, esplicabile e misurabile solo in termini parziali, mediati a posteriori quando opera nell’intimo del vissuto quotidiano, individuale e collettivo, assume una sua conformazione più diretta e verificabile nell’atto in cui si esplica in un «corpus» testuale, letterario o artistico che sia. E tornando alla narrativa, se lo spazio romanzesco designa per trasposizione simbolica il modo nel quale l’uomo vive in rapporto con l’ambiente, lo spazio

23

R. PLATZNER, «The Metamorphic Vision of J.G. Ballard», Essays in Literature, 10(2), 1983, pp. 209-17, qui pp. 209-10.

24

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romanzesco investito, avvolto, intriso dall’immaginario manifesta la qualità di quel rapporto, cioè la sua tessitura emotiva, affettiva, fantastica, estetica. Il modello relazionale che ne emerge investirà innanzi tutto l’atteggiamento dell’autore rispetto al mondo sensibile, ovvero quel che è stato spesso chiamato il suo «universo immaginario», veicolato dall’assetto globale dell’opera, e si articolerà più dettagliatamente all’interno della diegesi, attraverso il confronto del narratore e/o dei vari personaggi con il contesto ambientale in cui evolvono […]25.

Se, in sostanza, l’immaginario individuale tende a scorgere nella spazialità l’elemento tramite cui conferire concretezza ai suoi contenuti e al tempo stesso mediarne il manifestarsi, instaurando con essa un rapporto di inscindibile e mutua dipendenza che l’arte ha la facoltà di rendere più pienamente tangibile, allora possiamo assumere, per ricollegarci al discorso qui intrapreso sulle fondamenta tematiche dell’opera di Ballard, che il macrotesto dell’autore riflette in modo sintomatico le connessioni suggeriteci da Rubino, e lo fa disponendosi secondo le linee dettate da alcuni specifici luoghi, ognuno dei quali designabile come effettivo induttore di altrettanto specifiche pulsioni e valenze simboliche26.

Sarà sufficiente ricordare, per quanto concerne tali spazialità (spazi reali e concreti, strettamente coinvolti nella vita di chi li ha esperiti), che Ballard trascorre a Shanghai gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza, un periodo questo di particolare rilievo

all’interno del processo formativo e dell’orientamento futuro dell’io, durante il quale il giovane Jim matura una profonda sensibilità nei confronti della metropoli asiatica e del

suo fascino di spazio ibrido tra la cultura asiatica e quella occidentale.

Leggiamo in proposito tra le pagine del romanzo semi-autobiografico The Kindness of Women (1991): «But I felt a surge of excitement on entering Shanghai. To my child’s eyes, which had seen nothing else, Shanghai was a waking dream where everything I could imagine had already been taken to its extreme. The garish billboards and nightclub neon signs, the young Chinese gangsters and violent beggars watching me keenly as I pedaled past them, were part of an overlit realm more exhilarating than the American comics and radio serials I so adored»27.

Subito dopo l’invasione giapponese del 1941, lo spazio della quotidianità cittadina, che Ballard ha assunto quale paradigmatica epitome di una degradata, ma non per questo meno stupefacente realtà, viene repentinamente rimpiazzato dal campo di concentramento giapponese di Lunghua, dove l’autore rimane internato per i successivi quattro anni.

Una parentesi, quella appena indicata, nella quale giunge a compimento la sua iniziazione alla vita e vengono al contempo poste le basi per gli innesti della fiction futura, come lasciano ben intendere gli estratti delle numerose interviste alle quali Ballard si è

25 Ivi, pp. 18-19. 26 Cfr. ivi, p. 20. 27

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prestato nel corso degli anni: «Presumably the sources of my imagination», dichiara in una di esse, «at least, run back to a world beyond my adulthood»28.

Quando giunge in Inghilterra al termine del conflitto, Ballard sperimenta la crisi comune a ogni outsider: ai suoi occhi di bambino nutritosi di fantasie e di meditazioni sull’Occidente, la madrepatria si presenta non come uno dei suoi capisaldi, ma come un ambiente estraneo e desolatamente triste, che contravviene in toto alla aspettative maturate durante gli anni di prigionia.

Ce ne porta conferma un documento realizzato da Pringle sulla scorta delle dichiarazioni autobiografiche dell’autore, dove quest’ultimo attesta il proprio sconforto dinanzi allo scenario offerto dalla capitale nell’immediato dopoguerra: «L’Inghilterra mi sembrava un paese molto strano. Sia il paesaggio sia gli scenari sociali e psicologici sembravano soggetti ideali per l’analisi – rispetto alle mie esperienze, di gran lunga più rigidi, repressi e soffocanti. Provenivo da Shanghai, dalla Guerra che aveva scosso tutto dalle fondamenta, ero tornato in Inghilterra e mi trovavo di fronte questo mondo puritano e ottuso – questa era la società più repressa che avessi mai conosciuto!»29.

È stato esattamente questo suo primo senso di straniamento, per anni restio a dileguarsi, che ha consentito a Ballard di sviluppare quella caratteristica sensibilità che gli consentirà di penetrare nella psiche dell’uomo occidentale, portando a maturazione i suoi mezzi espressivi e i suoi intenti più fortemente iconoclasti.

Cruciale, nel progetto di Ballard, è stata perciò l’aderenza a una dimensione topologica che ha riproposto in modo pressoché costante un modello spaziale carico di una simbolicità allusiva30, del quale gli studiosi hanno più volte sottolineato il rapporto di ineludibile dipendenza eziologica dai luoghi dove si situano le coordinate delle prime esperienze dell’autore. Questo per il motivo che luoghi come Shanghai e Shepperton, nei quali con il tempo si sono insediate valenze molteplici, costituiscono i cardini dell’impalcatura esistenziale di Ballard, e di conseguenza il centro vivo dello sguardo da lui rivolto al mondo.

28

T.FRICK, «J.G. Ballard», The Art of Fiction, 85, 1984, pp. 133-60, qui p. 146.

29

D. PRINGLE, «Biografia: da Shanghai a Shepperton», in J.G. Ballard, Visioni, tr. it. a cura di G. Carlotti – S. Murer, Shake, Milano 2008, pp. 9-33, qui p. 15.

30

Analizzando la dimensione cronotopica del romanzo Chronopolis (1971), e concentrandosi successivamente sugli aspetti caratteristici della psicogeografia ballardiana (ove con tale termine si allude agli effetti – consci o meno – di un dato ambiente sul comportamento individuale), Ignazio Sanna nota che «the interplay between the psyche and the environment is one of the pillars of Ballard’s poetics. We can go as far as to claim that quite often the landscape is even one of the main characters of his works, so high is the interplay level with human characters» (I.SANNA,

«Time and Space in J.G. Ballard Chronopolis», Between, 1(1), 2011, pp. 2-13, qui p. 7). Per un riscontro sulla questione, si veda inoltre D.LOCKTON, «J.G. Ballard & Architectures of Control», 2008, articolo reperibile e consultabile al seguente indirizzo web: http://www.ballardian.com/jg-ballard-architectures-of-control.

(11)

Si può perciò plausibilmente pensare che, al pari di quella di McGahern di cui abbiamo disquisito nel precedente capitolo, la narrativa di Ballard ostenti una sostanziale uniformità alla luce dell’incidenza che su di essa hanno avuto gli spazi sopra menzionati, la frequentazione dei quali ha generato risposte immaginative poi estrinsecatesi, all’interno del macrotesto dell’autore, in un’incessante ricorsività di temi e motivi.

Sennonché, comparata con quella di McGahern, la rappresentazione delle topografie del vissuto personale è sottoposta in Ballard a un trattamento ancor più idiosincratico, che è esito della volontà di addentrarsi nelle suggestioni offerte da una manipolazione non convenzionale del dato topologico e della stessa materia narrativa: su tale fronte, ci è di sostegno V. Vale, il quale evidenzia come la caratteristica tipica ed essenziale della letteratura ballardiana sia appunto quella di «decodificare le realtà perverse che sottendono la “realtà ufficiale”» tramite il ricorso a metodi talmente originali da sortire, nella loro «onestà incondizionata», effetti potenzialmente sconcertanti31.

Nell’ipotesi che le origini dell’iconografia di Ballard siano rapportabili a una spazialità dai tratti ben definiti ci conforta, oltre alla narrativa autobiografica dello scrittore – su cui ci soffermeremo a breve – un numero consistente di interventi nei quali i materiali della fantascienza sono collegati in modo alquanto esplicito alle esperienze personali e alle fantasie che certi luoghi hanno saputo suscitare.

Si interroga Ballard in un saggio non a caso dedicato alla disamina del vincolo esistente tra reminiscenze infantili e universo creativo dell’età adulta:

How far do the landscapes of one’s childhood, as much as its emotional experiences, provide an inescapable background to all one’s imaginative writing? Certainly my own earliest memories are of Shanghai during the annual long summer of floods, when the streets of the city were two or three feet deep in a brown silt-laden water, and where the surrounding countryside, in the center of the flood-table of the Yangtze, was an almost continuous mirror of drowned paddy fields and irrigation canals stirring sluggishly in the hot sunlight. On reflection it seems to me that the image of an immense half-submerged city overgrown by tropical vegetation, which forms the centerpiece of The Drowned World, is in some way a fusion of my childhood memories of Shanghai and those of my last 10 years in London32.

Ad avvalorare il rapporto di stretta correlazione tra i luoghi intimamente esperiti e l’esperienza artistica di Ballard è da rilevarsi infine l’operatività del concetto di spazio interiore, che viene prospettata nel ben noto saggio «Which Way to the Inner Space?» (1962)33.

31

J.G.BALLARD, Visioni, cit., p. 48.

32

J.G.BALLARD,«Time, Memory and the Inner Space», The Woman Journalist Magazine, 1963, <http://www.jgballard.ca/non_fiction/jgb_time_memory_innerspace.html>.

33

Saggio in cui Ballard afferma: «The biggest developments of the immediate future will take place, not on the Moon or Mars, but on Earth, and it is inner space, not outer, that needs to be explored. The only truly alien planet is Earth» (J.G.BALLARD, «Which Way to the Inner Space?» (1962), cit. in D. Seed(ed.), A Companion to Science Fiction, Blackwell, London 2005, p. 334).

(12)

L’elaborazione poetica e narrativa dell’inner space, la cui necessità è imposta secondo Ballard dalla decadenza di slancio immaginativo registrabile nella letteratura fantascientifica della seconda metà del ’900, si caratterizza per la variazione sintomatica dei temi che essa vuole veicolare: tale spazio è difatti un ambito di indagine destinato a sopperire alle lacune rappresentative delle narrazioni incentrate primariamente sull’outer space (lo spazio che la fantascienza tradizionale adibisce a scenario, si è detto, di rutilanti epopee galattiche) con la delineazione della sfera cognitiva dell’individuo – del quale vengono sottoposte al vaglio le fantasie speculative, le pulsioni e le patologie – e delle sue intangibili ma onnipresenti connessioni con il mondo esterno34. Sottolinea Ballard:

Senza voler suggerire in nessun modo che l’atto di scrivere sia una forma di autoanalisi creativa, sento che lo scrittore di fantasy abbia una marcata tendenza a selezionare immagini e idee che riflettano direttamente i paesaggi interni della sua mente, e il lettore deve interpretarli a questo livello, distinguendo tra il contenuto manifesto, che può apparire oscuro, senza senso o angoscioso, e il contenuto latente, il vocabolario privato di simboli estratto dalla mente dello scrittore. Gli universi onirici, paesaggi sintetici e plasticità di forme visive inventate dallo scrittore di fantasy, sono gli equivalenti esterni del mondo interiore della psiche e siccome questi simboli prendono impulso dai periodi più confusi e formativi delle nostre vite, essi sono spesso sculture temporali di una terrificante ambiguità. Questa zona la considero “spazio interiore”, paesaggio interno di domani che è una immagine trasmutata del passato e una delle aree più fertili per lo scrittore che si basa sull’immaginazione35.

Questo serve a spiegare l’apertura alla psicanalisi del macrotesto ballardiano, all’interno del quale la scrittura, costantemente agglutinata da una cifra ideologica che restituisce il ritratto dell’Occidente come luogo di orrore e declino, viene riservata alla narrazione impietosa delle psicosi della società globale, ma può anche tramutarsi – ne danno ampia dimostrazione le pagine del romanzo autobiografico Empire of the Sun (1984) e del già menzionato The Kindness of Women – in dispositivo attraverso cui sondare la storia intima dell’autore e avere un più diretto accesso ai contenuti latenti della sua mente36, o, per ricorrere alle parole dello stesso Ballard, a un «vocabolario privato di

34

Di qui la connessione della poetica ballardiana con il Surrealismo, cui dedicheremo maggiore attenzione nella pagine seguenti.

35

J.G.BALLARD, «Tempo, memoria e spazio interiore», cit., p. 39.

36

In un’indagine sul macrotesto autobiografico di Ballard, Roger Luckhurst muove infatti da tali premesse: «Empire of the Sun and The Kindness of Women can be detached from the oeuvre in their generic shift; both can be read as new additions to an honorable “confessional” mode, thus escaping the derogatory appellation of “science fiction”. At the same time these texts can then be reattached to the oeuvre as “straight” texts which finally decode the bizarre and perverse aberrations that had gone before, rendering the fiction autobiographically comprehensible. This reading of the “autobiographies” as petition – a kind of apologia or entreaty – suppresses both the fictionality of the texts, which holds them much closer to the science fiction than is admitted, and the inevitable dependence on the prior work that a structure of detachment/reattachment necessitates. The petition for separability becomes mired in the complex repetitions that fold the texts back into the oeuvre. The dominant media reception of these works clearly deployed them as autobiographical decoding machines […]. The logic of this repeated argument is a retrospective

(13)

simboli» il cui destino è quello di essere puntualmente “alterato” (trasformato cioè in «immagini e idee», «universi onirici, paesaggi sintetici e plasticità di forme visive») dall’immaginazione e restituito al lettore tramite l’opera letteraria.

Analizzate in tale luce, e ancor più distintamente in aderenza alle precedenti valutazioni intorno ai luoghi che ne hanno scandito le fasi, l’esperienza biografica di Ballard e la sua evoluzione di scrittore documentano un confronto incessante con Shanghai e Shepperton, i due poli ai quali quest’ultimo ha imputato un ruolo determinante nell’articolazione dei propri paesaggi interiori.

Per tale motivo, nelle prossime pagine, ci confronteremo con una linea interpretativa che si pone lo scopo di verificare la salienza del suddetto binomio nell’ultima opera ballardiana, l’autobiografia Miracles of Life (2009)37

. Il principio seguìto sarà quello di leggere il suddetto testo dal punto di vista della connessione tra il sé autobiografico e gli spazi da questi frequentati, considerandolo come una totalità strutturata e complessa da mettere in rapporto con le conclusioni di matrice generale avanzate nei capitoli precedenti, e al tempo stesso con l’insieme di studi, circoscritti al profilo specifico dell’autore, che hanno valutato la tipicità della componente spaziale nelle sue opere a carattere più marcatamente autobiografico.

L’autobiografia è un racconto che narra, nel suo impianto più prototipico, il modo in cui una personalità si è prodotta e ha continuato a formarsi lungo un percorso tradizionalmente ritmato dalle tappe dell’infanzia, della giovinezza e dell’età adulta: benché incompleta per natura – questo in quanto costretta entro i limiti di un resoconto che non può contemplare la rappresentazione, da parte del firmatario-protagonista, della sua morte avvenuta – la storia di vita è quindi uno strumento incisivo e maieutico per colui che si fa carico della sua redazione, perché per mezzo di essa sono riscattati dalla memoria, per essere elaborati e impressi sulla pagina, quegli avvenimenti ai quali viene riconosciuta una maggiore influenza, per non dire una diretta responsabilità, nella determinazione del destino e della Bildung individuale. Si può allora evincere, sottolinea Lucia Boldrini parafrasando Mark Freeman, che l’autobiografia è

rereading of the prior science fiction as encrypted autobiographical performance. Inverting the order of the series, Empire and Kindness become the paradigms that decrypt and displace the science fiction from simple self-identity; a nongeneric “secret” can now be implanted to explain Ballard’s perverse attachment to such a juvenile genre» (R.LUCKHURST, «Petition, Repetition, and “Autobiography”. J. G. Ballard’s Empire of the Sun and The Kindness of Women», Contemporary

Literature 35(4), 1994, pp. 688-708, qui pp. 690-91. Corsivi nel testo). 37

Useremo in seguito, per le citazioni, l’abbreviazione ML per Miracles of Life. Per il testo seguiamo la seguente edizione di riferimento: J.G. BALLARD, Miracles of Life: Shanghai to

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un racconto sul passato il cui significato si colloca nel presente ed in cui la “verità” non indica corrispondenza tra ciò che viene scritto e ciò che è stato, ma si crea nel momento in cui il passato viene organizzato nella scrittura autobiografica. Il concetto di sviluppo della personalità non va in senso cronologico dal passato verso il presente ma è retrospettivo, e l’autobiografia allora non riproduce ma produce i significati della vita nel momento in cui li elabora per la/nella scrittura, rivelando un mondo che non sarebbe esistito se non fosse stato scritto38.

In un’autobiografia, fatti ed eventi si caricano conseguentemente di significati che possono giustificarne la reviviscenza all’interno di un corpus di testi, qualora soprattutto il materiale che viene attinto dall’esistenza si presenti come costantemente rielaborato nella finzione letteraria. A fissare una simile interpretazione sono le parole di Gusdorf, che sostiene:

Experience is the prime matter of all creation, which is an elaboration of elements borrowed from lived reality. One can exercise imagination only by starting from what one is, from what one has tried either in fact or in wish. Autobiography […] ordinarily fancies that it is restoring [this privileged content] as it was, but in giving his own narrative, the man is forever adding himself to himself. So creation of a literary world begins with the author’s confession: the narrative that he makes of his life is already a first work of art, the first deciphering of an affirmation that, at a further stage of tripping down and recomposing, will open out in novels, in tragedies, or in poems. The novelist François Mauriac is doing no more than repeating an intuition well-known to many writers when he says: «I think that every great work of fiction is simply an interior life in novel form»39.

Questo è quanto possiamo intuire, in relazione al macrotesto qui oggetto di esame, dalla lettura di Empire of the Sun e The Kindness of Women, due tra le opere dove Ballard ha accordato la propria preferenza alla forma del racconto autobiografico, affrontando per la prima volta un discorso narrativo dalla natura segnatamente allotria rispetto a quella dei testi che le hanno precedute.

Mentre non vi è dubbio che uno dei comuni denominatori della fiction di Ballard risieda, come abbiamo avuto più volte occasione di ribadire, nella resa narrativa delle idiosincrasie della contemporaneità, che egli realizza con acuta intuizione sociologica e prolettica40, è altresì chiaro che la congruenza tematica tra Empire e Kindness – testi nei

38

L. BOLDRINI, Biografie fittizie e personaggi storici: (auto)biografia, soggettività, teoria nel

romanzo inglese contemporaneo, ETS, Pisa 1998, p. 39. 39

G.GUSDORF, «Conditions and Limits of Autobiography», cit., pp. 45-46.

40

Come ci ricorda Dominika Oramus, «Ballard’s fiction (and some of his non-fiction) [is] a record of the gradual internal degeneration of Western civilization in the second half of the twentieth century. In sundry ways and styles Ballard’s ostensibly very heterogeneous oeuvre depicts the same intangible catastrophe that has happened to the world. Contemporary reality is thus presented in his late prose as “post-apocalyptic”: though we are not literally living amidst the ruins, the golden age is far behind us and we are witnessing the twilight of the West. It is difficult to pinpoint the exact moment in the past when things went wrong, but that fateful turn has undeniably taken place and wrought grave spiritual change. Thus do we hear the death knells of our civilization, one growing increasingly hostile to individuals and erecting a cult of violence» (D.ORAMUS, op. cit.).

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quali vengono narrate, rispettivamente, la permanenza in Cina durante il secondo conflitto mondiale, e gli anni irrequieti della maturità – vada ricercata nell’incardinamento della narrazione entro le coordinate della vita personale dell’autore e nella definizione delle costellazioni di temi e simboli destinati a pervadere la sua intera produzione letteraria.

Vicine alla scrittura del sé per la marca essenziale del proprio impianto (lo sguardo appuntato sul costruirsi dell’identità, il ripiegamento verso il mondo interiore), e ostentanti – sebbene per vie oblique, come tra poco vedremo – il coinvolgimento emozionale e soggettivo notoriamente addotto quale aspetto peculiare dell’autobiografia, le suddette opere, pur se qualificate nei termini di «fictional autobiographies» che in deroga alle convenzioni del genere propongono un consapevole amalgama tra storia personale e finzione41, offrono una chiara conferma dell’inserimento in una fase anticipata, prodromica rispetto alla realizzazione di ML.

Autobiografia, quest’ultima, che si qualifica pertanto come tassello conclusivo di una trilogia42 votata all’individuazione di tracciati, comuni all’esperienza e alla memoria, che la critica ha valutato come connessi in modo inestricabile agli avvenimenti suscitatori di esperienze apicali43 emotivamente forti nella vita di Ballard.

Umberto Rossi, che rintraccia nel repertorio metaforico delle tre opere il principale collante alla loro eterogeneità di statuto («[b]etween traumatic denial and voyeuristic contemplation, the screen [screen memories are memories which are not necessarily

41

La commistione tra elementi finzionali e non all’interno delle opere oggetto di discussione è resa esplicita anche dall’epitesto autoriale. Di Kindness Ballard dichiara per esempio: «[it] is my life seen through the mirror of the fiction prompted by that life. It is not just an autobiographical novel; it is an autobiographical novel written with the full awareness of the fiction that that adult life

generated» (W. SELF, «Conversations. J.G. Ballard» (1995), cit. in Jeanette Baxter (ed.),

J.G. Ballard. Contemporary Critical Perspectives, Continuum, London-New York 2008, p. 70). 42

Adolfo Fattori tiene tuttavia a precisare che la trilogia potrebbe arricchirsi di un ulteriore elemento, passibile di essere definito nei termini di saggio autobiografico: «con Fine millennio:

istruzioni per l’uso [A User’s Guide to the Millennium, 1996] lo scrittore britannico già ci aveva

fornito quella che di fatto è una autobiografia in forma non ortodossa, fatta di articoli e brevi saggi, scritti fra il 1962 e il 1995. E mescolati fra loro, perché organizzati per argomenti, e non in ordine cronologico. L’aspetto affascinante di questa raccolta – che poi verrà confermato indirettamente, sotto traccia, dalla autobiografia vera e propria – è che possiamo rintracciarvi non solo le ossessioni di Ballard: i mass media – e prima di tutto il cinema – i personaggi/icona del XX secolo, il rapporto uomo/ambiente, giusto per citarne alcune, ma anche le radici profonde dei suoi romanzi e dei suoi racconti, alimentate dallo sguardo laterale che lo ha sempre accompagnato. Perché questo incantevole ‹osservatore disincantato› – per parafrasare Walter Benjamin – dell’immaginario e del potere, se in I miracoli della vita ci racconta appunto della sua, e quindi del suo nomadismo geografico e interiore, disseminando così gli indizi per dedurre le ispirazioni profonde della sua narrativa, con Fine millennio ce ne fornisce per così dire le prove, riprendendo in forma saggistica gli stessi temi ispiratori dei suoi racconti e romanzi» (A. FATTORI, «Un apolide della consapevolezza», Quaderni d’altri tempi, 22, 2009, pp. 1-6, qui p. 1. Corsivi nel testo).

43

«Le esperienze apicali», specifica al riguardo Duccio Demetrio, «sono i momenti che segnano importanti discontinuità, passaggi, occasioni di riflessività, di conoscenza e cura di sé, oltre che le

tangibili espressioni dell’irriducibile complessità del soggetto adulto» (D. DEMETRIO, op. cit., p. 120).

(16)

historically accurate but which function in order to repress traumatic experiences] may offer a unifying figure for Ballard’s “Life Trilogy”»)44

, getta luce sulla questione recuperando le considerazioni avanzate da Smith e Watson sulle pratiche autobiografiche: «Ballard life narratives are not viewed as discrete elements in a series, but as a ‹set of ever-shifting self-referential practices that engage the past in order to reflect on identity on the present›»45

.

Quantunque vi siano molti elementi che, all’altezza del livello diegetico, vengono riproposti in ML senza scarti sostanziali rispetto ai due precedenti testi – tra i tanti, quelli più significativi riguardano la rappresentazione degli scenari traumatici delle atrocità belliche, identificate come una tra le cause induttrici del nichilismo ballardiano46 –, ciò nondimeno non ci trattiene dal considerare la suddetta autobiografia come provvista di un proprio grado di novità e autonomia.

In essa si possono infatti individuare sia differenze di ordine “generico”, sancite dalla qualifica (quella di autobiografia, appunto) che è assegnata al testo dal titolo e dal mantenimento della “giurisdizione” della scrittura del sé, cui il peritesto allude riconducendo l’opera a una pratica letteraria distinta, sia differenze di ordine prettamente contenutistico (dovute cioè all’introduzione di eventi facenti capo a una porzione ulteriore della vita di Ballard), per le quali sembrerebbero più che appropriate le valutazioni di Brian Finney: «the act of writing an autobiography can become part of the life being written about, as Montaigne realized centuries ago in remarking on his autobiographical Essays ‹I have no more made my book than my book has made me›. Necessarily this means that each new attempt at autobiography will tell a different story since the story has changed in the course of its telling and as a result of it»47.

44

U. ROSSI, «Mind is the Batterfield. Reading Ballard’s “Life Trilogy” as War Literature», in

J. Baxter,J.G. Ballard, cit., pp. 66-77, qui p. 77. Rossi traccia un discrimine ancora più sottile tra i

testi che rientrano nella trilogia, categorizzando Empire come novel autobiografico («a novel based on real-life events»), Kindness come narrazione autofinzionale («a ‹fictional narrative in the first-person mode› where the author conflates real and fictional elements»), e infine ML come racconto propriamente autobiografico («an autobiographical life narrative»). Per precisazioni ulteriori sulla classificazione di cui sopra, cfr. ivi,p. 70.

45

Ibidem.

46

Il commento di questo specifico punto verrà demandato a citazioni più pertinenti nelle pagine che seguono. Per il momento accontentiamoci di osservare che l’esperienza traumatica vissuta durante la guerra condizionerà a tal punto l’autore da far sentire i propri effetti fin dalle sue prime prove letterarie, come tiene a sottolineare anche Rossi: «Like the author figure of Kindness, whose mind is violated and stimulated by the violence of war so as to make him want to reproduce it imaginatively over and over again, J.G. Ballard’s exposure to the heinous physical and psychological realities of the Second World War left such deep traces in his mind so as to inform everything he has written since the publication of his first short story, ‹Prima Belladonna›, in 1956» (ivi, p. 67).

47

B.FINNEY, op. cit., pp. 12-13. Questo è d’altronde quanto assume Rossi quando sostiene che il

corpus autobiografico di Ballard si compone di opere designabili nei termini di «ever-shifting

(17)

Un ulteriore distinguo tra ML e gli altri due volumi facenti parte del trittico autobiografico poc’anzi individuato è imposto dalla maggiore “trasparenza” di cui Ballard pare servirsi nel profilare il proprio ritratto, laddove in Empire e Kindness l’uso di alterazioni biografiche, insieme al “riciclaggio” deliberato dei materiali già comparsi nella fiction fantascientifica dell’autore, crea un’interferenza palese tra i piani fittizi del romanzo e quelli dell’autobiografia, che per statuto si suppongono meno votati alla riproduzione romanzata del vissuto48.

Paludata dell’intenzione progettuale di dare rilievo alle apicalità di una vita in modo volutamente umbratile e parziale rispetto alle vicende biografiche, la scrittura di Empire e Kindness procede così tra mirati occultamenti (per esempio, l’omissione in entrambi i testi delle figure genitoriali), permutazioni narrative (di semplici dettagli, se non addirittura di interi paragrafi, che accomunano i romanzi alle opere autobiografiche) e strategiche rivelazioni49 attraverso le quali Ballard segnala il carattere fittivo dell’impalcatura narrativa adottata:

Both “autobiographies” mythologize, which is to say that they take elements of the same compulsively repetitive landscapes, scenarios, and images and recombine them in fictions which yet teasingly and forever undecidably play within the frame of the “autobiographical” There is no authenticity here, no revelatory disclosure of (in Gusdorf’s insistent phrase) «deeper being». Indeed, perversely, there is a positive valorization of “inauthenticity” and mediation, such that what is most intensely felt is the most mediated, always already a restaging, a repetition50.

Come ogni autobiografia, ML condensa invece il proprio nucleo fondante nel recupero degli eventi, delle esperienze e delle relazioni compartecipanti alla costruzione dell’interiorità di Ballard, procedendo così a un’ermeneutica della vita che, a completamento di quanto indicato in Empire e Kindness, svela le linee germinali della

48

Cfr. R.LUCKHURST, «Petition, Repetition, and “Autobiography”», cit., p. 694.

49

Precisa Luckhurst: «What is required is a close analysis of how the attempt to distinguish the “autobiographies” from the fictional oeuvre runs into difficulties. Detached from the science fiction, Empire and Kindness must nevertheless obliquely repeat it in order to render it autobiographically readable. The injunction is to read Ballard’s oeuvre backwards: the tropicalized London landscapes of The Drowned World find their generation in the Shanghai skyline reflected on the paddy fields beyond the Lunghua camp, the detention center where Ballard, in his boyhood, was interned by the Japanese from 1942 to 1945; the obsession with dreams of flight in much of Ballard’s work reverts back to childhood obsession and the “liberation” of Shanghai by the American air force, staged in Empire as an almost theatrical performance just beyond the limits of the camp. Kindness accelerates this process of identification: Ballard’s brief career as an air force pilot in Canada in the 1950s ties in to Traven’s obsession with nuclear war in Ballard’s famous experimental short story ‹The Terminal Beach›; his endlessly rehearsed anecdote about his one disastrous experience with LSD equates with the bizarre visions of The Crystal World no less than the transmogrification of Shepperton (Ballard’s hometown) in The Unlimited Dream Company (ivi, p. 694).

50

(18)

mitografia dell’autore e illumina la “genesi” dei luoghi dei quali sarebbero giunti i riverberi nelle opere di tutta la sua letteratura.

Il sottotitolo dell’opera, Shanghai to Shepperton, assicura un effetto ancor più significativo in rapporto al peso rivestito dalle “residenzialità territoriali” che hanno condizionato lo stato di solidificazione nella memoria delle idee e delle ossessioni poi convertite nell’onnipresente repertorio del macrotesto ballardiano51

.

Il peritesto, come è stato possibile constatare anche relativamente all’opera di Lively52

, costituisce già di per sé un punto di riferimento essenziale, poiché preannuncia in modo tutt’altro che velato la costruzione dell’autobiografia secondo un’architettura tematico-argomentativa di tipo bipolare: il testo, difatti, è ripartito in due principali sezioni (tra l’altro pressoché uguali anche per dimensione, raggiungendo ognuna la lunghezza di circa cento pagine), adibite rispettivamente al racconto degli anni vissuti in Estremo Oriente – dal 1930 al 1945 – e del periodo trascorso in Inghilterra, che Ballard suggella con la rivelazione della diagnosi di una malattia terminale.

Non è pertanto da escludere che l’autore abbia voluto tradurre il proprio itinerario esistenziale in senso geografico, con l’indicazione dei principali punti attraverso i quali esso si snoda. Quanto appena puntualizzato trova una congrua rispondenza nelle considerazioni di Finney in merito allo spazio del testo autobiografico (quello cioè «relativo alle forme e alle sostanze dell’espressione»), che in sinergia con lo spazio della diegesi (detto altrimenti, lo spazio «legato alle forme e alle sostanze del contenuto, […] quello […] rappresentato o denotato del quale ogni autore e ogni lettore hanno un’esperienza extratestuale»)53

fornisce una traccia preliminare delle modalità mediante le quali l’autobiografo struttura e conferisce un senso ai propri ricordi:

Inner form [what, according to Georg Misch, «gives the recollected material form from within»] structurally reflects the theme of the book, the theme being concerned with the meaning which the reflecting consciousness of the autobiographer makes of his life in the process of, not creation, but re-creation. One might say that inner form evolves out of the autobiographer’s urge to make sense of his life. Form in this sense represents the degree to

51

ML sembrerebbe perciò conformarsi alle ipotesi che hanno avanzato Olney e Gusdorf – o, ancora più in generale, coloro che Luckhurst denomina i “metafisici” della scrittura del sé – circa la funzionalità dell’autobiografia in relazione a un corpus di opere redatte dal medesimo autore, delle quali quest’ultima incarnerebbe l’indice rivelatore capace di dischiuderne i significati più reconditi. Come vuole Olney, «[a] man’s autobiography is […] like a magnifying lens, focusing and intensifying that same peculiar creative quality that informs all the volumes of his collected works; it is the symptomatic key to all else that he did and, naturally, to all that he was» (J. OLNEY,

Metaphors of Self, cit., pp. 3-4). Su quanto appena illustrato si veda R.LUCKHURST, «Petition,

Repetition, and “Autobiography”», cit., p. 691.

52

Cfr. supra, cap. 5.

53

Questa e la precedente citazione sono tratte da G.RUBINO, «Spazi naturali, spazi culturali», in F.Sorrentino, op. cit., pp. 39-51, qui p. 39.

(19)

which an autobiographer has successfully discovered a shape or meaning to the life about which he is writing54.

Il primo termine del binomio spaziale suggeritoci dal titolo dell’autobiografia, che Ballard ha voluto coincidente con Shanghai, individua quello che per lo scrittore è il chiaro analogon del tempo dell’infanzia e della prima giovinezza. In quanto tale, lo spazio della metropoli viene reso oggetto di una reminiscenza che, fin dalle pagine di esordio dell’opera, lo pone in rapporto diretto con le prime esplorazioni e scoperte dell’autobiografo, non a caso illustrateci da una scrittura innervata in un diffuso senso di meraviglia, dove le immagini cittadine, minuziose e particolarmente tese agli accertamenti visivi, si dilatano per cumulazione di osservato, caricandosi di nessi affettivi ed emotivi che le immettono in una trama di relazioni significanti e che ne inficiano così la semplice assimilazione ai canoni della descrizione “pura”55

.

Sono molti i passaggi descrittivi che, in modo analogo a quello qui di seguito riportato, attestano il peso emotivo rivestito da Shanghai, luogo questo connotabile quale “primal landscape”56

cui l’autore ascrive un’influenza decisiva nella creazione dei suoi futuri universi testuali, come è stato d’altronde suggerito dalla citazione posta in esergo sotto il titolo e desunta da Freud:

Looking back, and thinking of my own children’s upbringing in Shepperton, I realise that I had a lot to take in and digest. Every drive through Shanghai […] I would see something strange and mysterious, but treat it as normal. I think this was the only way in which I could view the bright but bloody kaleidoscope that was Shanghai – the prosperous Chinese businessmen pausing in the Bubbling Well Road to savour a thimble of blood tapped from the neck of a vicious goose tethered to a telephone pole; young Chinese gangsters in American suit beating up a beautiful White Russian bad-girls smiling at passers-by […]. Nevertheless, Shanghai

struck me as a magical place, a self-generating fantasy that left my own little mind far behind.

There was always something odd and incongruous to see […]. Anything was possible, and everything could be bought and sold. In many ways, it seems like a stage set, but at the time it

was real, and I think a large part of my fiction has been an attempt to evoke it by means other than memory. (ML, pp. 5-6. Corsivi miei)

Allo stesso modo, Shanghai funge da eccipiente primo della propensione di Ballard ad abbracciare il repertorio della letteratura fantascientifica, da lui scelto al fine di convogliarvi il potenziale immaginifico che la città – deposito straordinario di spaccati che

54

B.FINNEY, op. cit., p. 73.

55

Ossia la descrizione, come ribadito altrove (cfr. supra, cap. 6), il cui valore si esaurisce in una funzione esornativa e ritardante (cfr. G.GENETTE, «Frontières du récit», cit., pp. 58-59).

56

Come ci ricorda Jennifer Sinor riportando un’espressione usata da Scott Sanders in Staying Put

(1993), viene definito tale il luogo con il quale confrontiamo ogni altra località (J. SINOR –

R.KAUFMAN (eds.), Placing the Academy. Essays on Landscape, Work, and Identity, Utah UP, Logan 2007, p. 23). Un riscontro analogo è stato effettuato, sulla scorta di Lando (cfr. F.LANDO,

op. cit., p. 204), nel cap. 6 della presente dissertazione, al quale rinviamo per gli aspetti più

Riferimenti

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