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3. Materiali e metodi ……………………………………………..43 2. Scopo della tesi ………………………………………………...41 1. Introduzione …………………………………………………….3 INDICE

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INDICE

1. Introduzione……….3

1.1 MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO………3

1.1.1 Generalità………...………...3

1.1.2 Classificazione………..4

1.1.3 Patogenesi……….6

1.1.4 Diagnosi………..11

1.1.5 Analisi dei biomarcatori tumorali………...14

1.1.6 Trattamenti terapeutici………16

1.2 LE METALLOPROTEASI DI MATRICE (MMPs)…………...20

1.2.1 Caratteristiche generali………...20

1.2.2 Struttura e classificazione delle MMPs………...21

1.2.3 Ruolo delle metalloproteasi……...……….23

1.2.4 Regolazione delle MMPs………24

1.2.5 Le gelatinasi………25

1.3 PROTEOMA………..30

1.3.1 Definizione………..30

1.3.2 Tecnologie proteomiche………..31

1.3.3 Applicazione della proteomica alla ricerca sul cancro………32

1.4 SECRETOMA CELLULARE……….33

1.4.1 Definizione………..33

1.4.2 Il secretoma nella ricerca contro il cancro………..35

1.4.3 Preparazione in vitro di campioni di secretoma………..36

1.4.4 Problemi nell’analisi del secretoma cellulare……….37

2. Scopo della tesi………...41

3. Materiali e metodi………..43

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2 3.2 ALLESTIMENTO DELLE COLTURE CELLULARI PER LA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI PER L’ANALISI

PROTEOMICA………...45

3.3 CONCENTRAZIONE SOTTO AZOTO DEI CAMPIONI DI SECRETOMA……….46

3.4 PRECIPITAZIONE CON ACIDO TRICLORO ACETICO (TCA)………47

3.5 SCRAPING………48

3.6 DOSAGGIO PROTEICO RC/DC (BIO-RAD)………..49

3.7 ANALISI BIDIMENSIONALE………...51

3.8 ZIMOGRAFIA………..58

4. Risultati e discussione………63

4.1 ANALISI PROTEOMICA GEL-BASED………63

4.2 ZIMOGRAFIA SU GELATINA………..68

5. Conclusioni……….71

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1. Introduzione

1.1 MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO

1.1.1 Generalità

Il mesotelioma maligno (MM) è una neoplasia che si sviluppa a livello del mesotelio, il sottile tessuto che riveste la gran parte degli organi interni; in particolare colpisce le cellule superficiali sierose della cavità pleurica, di quella peritoneale e pericardica, della tunica vaginale, del testicolo e dell’ovaio. Questa tipologia di tumore rappresenta meno dell’1% di tutte le malattie oncologiche e vede nel mesotelioma pleurico maligno (MPM) il suo più ampio rappresentante, con una percentuale del 90-95% su tutti i casi documentati di MM. Si ritiene che l’incidenza del MPM sia in aumento, almeno fino al 2030 [1].

L’esposizione ambientale ed occupazionale all’asbesto (o amianto), risulta essere la causa predominante della malattia (Fig. 1.1). Il diffuso impiego di amianto nel secolo scorso, in combinazione con l'alta bio-persistenza delle sue fibre, spiega l’elevata percentuale di persone esposte al rischio di sviluppare la neoplasia. L'Italia è stata un’importante produttrice e importatrice di amianto grezzo fino al suo divieto nel 1992 e il nostro paese sta conoscendo ora le gravi conseguenze per la salute pubblica. Nel 2008, in Italia, il mesotelioma maligno è stato diagnosticato a 1422 soggetti. Il tasso di mortalità nazionale standardizzato era 3,49 per 100.000 abitanti per gli uomini e 1,25 per le donne, con una vasta variabilità regionale. Il numero dei casi è in lieve crescita tra le donne, probabilmente perché gli ultimi anni di produzione industriale di materiali contenenti asbesto ha portato anche ad un aumento delle lavoratrici impiegate in questo settore. Altri fattori sospetti, che possono contribuire allo sviluppo del mesotelioma, sono: l’infezione da Simon Virus 40, le radiazioni, le infezioni polmonari croniche e la pleurite tubercolare [1-2].

Il tempo di latenza del MPM mostra una grande variabilità, ma un periodo di latenza inferiore a 10 anni è molto raro. La lunga latenza del MPM rende molto difficile la

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diagnosi della malattia e quando i pazienti mostrano i primi sintomi eclatanti quali versamento pleurico, dolore nella parte bassa della schiena o ad un emitorace, dispnea, tosse, febbre, stanchezza, perdita di peso, difficoltà a deglutire, debolezza muscolare, oramai il tumore è considerato già in uno stato avanzato con poche possibilità di trattamento [1].

Fig. 1.1: Rappresentazione schematica di polmone sano vs polmone malato.

1.1.2 Classificazione

In base all’area in cui la neoplasia ha avuto origine, i mesoteliomi si suddividono in: - Mesotelioma pleurico: nasce nella cavità toracica e rappresenta la tipologia più

diffusa (circa 3 casi su 4);

- Mesotelioma pericardico: nasce nella cavità attorno al cuore ed è estremamente raro;

- Mesotelioma peritoneale: nasce nell'addome e rappresenta la quasi totalità dei mesoteliomi esclusi quelli pleurici;

- Mesotelioma della tunica vaginale: nasce dalla membrana che riveste i testicoli ed è molto raro [1].

Da un punto di vista citomorfologico, l’MPM si può distinguere in tre differenti istotipi (Fig. 1.2):

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- Epitelioide: caratterizzato da cellule cuboidali, cilindriche o appiattite, che danno una struttura prevalentemente tubolare, papillare o tubulo-papillare. Le cellule epitelioidi sono cellule epiteliali che iniziano a funzionare in modo non corretto, e iniziano successivamente a riprodursi in maniera incontrollata, diventando così cellule tumorali. E’ l’isotipo più comune (60-70% dei casi) ed è quello che tende ad avere una migliore prognosi [2]. Inizialmente, il mesotelioma epitelioide era considerato molto frequente, in quanto esso veniva scambiato con un'altra forma di tumore, che è l’adenocarcinoma, a causa della forma delle cellule, per cui si giungeva ad una errata diagnosi microscopica;

- Sarcomatoide o fibroso: formato da cellule fusate (simil fibroblastiche) arrangiate in fasci o distribuite in maniera disordinata, in uno stroma collagenoso più o meno ialinizzato. Rappresenta dal 10 al 20% dei mesoteliomi, ma è il più aggressivo e letale;

- Bifasico o misto: comprende il 30% dei mesoteliomi; vi si vede la coesistenza di aspetti sia del MPM epitelioide sia di quello sarcomatoide [2].

Fig. 1.2: Mesotelioma pleurico maligno al micoscopio: a) epitelioide, b) sarcomatoide e c) bifasico.

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1.1.3 Patogenesi

Nel polmone esposto ad asbesto possono essere rinvenute 5 differenti tipi di fibre: crisotilo, amosite, crocidolite, tremolite ed antofillite. La malattia polmonare da asbesto può presentarsi in varie forme: versamento pleurico benigno, placche pleuriche, ispessimento pleurico diffuso e mesotelioma maligno diffuso.

È stato ampiamente dimostrato come la qualità aerodinamica delle diverse fibre di asbesto sia rilevante nella patogenesi delle lesioni pleuriche: un alto rapporto lunghezza/diametro permette una più profonda penetrazione nelle vie aeree, con aumentato rischio di danno polmonare e pleurico. A questo riguardo la crocidolite ed il gruppo degli anfiboli sono certamente quelli con più elevata patogenicità. Anche l’esposizione a fibre minerali asbestiformi, presenti in ambienti vulcanici, come l’erionite, rientra nell’eziologia del mesotelioma [3].

Assodata la responsabilità dell’asbesto nella maggior parte dei MPM, la patogenesi della malattia riguarda gli effetti delle fibre sull’organismo una volta ingerite od inalate. La penetrazione delle fibre di asbesto può avvenire per ingestione, attraverso gli organi dell’apparato digerente, raggiungendo così la membrana peritoneale oppure per inalazione sfruttando il sistema linfatico. Una volta nella membrana peritoneale o pleurica, le fibre rimangono intrappolate e alterano le cellule mesoteliali tramite processi di irritazione ed infiammazione tali che il peritoneo o la pleura vanno incontro a degenerazione maligna. Come le fibre di asbesto provochino queste alterazioni non è ben chiaro [3,4]. Ciò che è sicuro è che l’asbesto ha la capacità di indurre la formazione di diverse specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dell’azoto, che sono legate alla tossicità polmonare e che contribuiscono al danno al DNA e di conseguenza al danno polmonare [5-7].

Stress ossidativo

Le fibre di asbesto portano alla formazione di radicali liberi attraverso due meccanismi (Fig. 1.3):

- La presenza del ferro nelle fibre di amianto può causare la formazione di radicali idrossilici attraverso reazioni catalizzate dal ferro stesso (meccanismo diretto).

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All’ossidazione del ferro (reazione di Fenton) segue la produzione dei ROS ferro-mediata (reazione di Haber-Weiss) [6, 7];

- L'asbesto può attivare fagociti (macrofagi, come i macrofagi alveolari, e i leucociti polimorfonucleati) per rilasciare una varietà di metaboliti tossici dell'ossigeno, compreso l’anione superossido (O2-), e il perossido di idrogeno

(H2O2)[7].

I ROS generati tramite questi meccanismi producono diversi danni al DNA cellulare, come la rottura del doppio filamento o modificazioni delle basi azotate, come la formazione della 8-idrossi-2'deossiguanosina (8-OHdG), che causa le transversioni G→T ed A→C [7]. La riparazione di queste lesioni nella maggior parte dei casi ripristina la struttura fisiologica del DNA. Tuttavia, possono verificarsi riparazioni anormale del DNA con conseguenti mutazioni geniche, aberrazioni cromosomiche e trasformazione cellulare. Anomalie cromosomiche, come delezioni e riarrangiamenti (traslocazioni, amplificazioni e inserzioni), possono causare alterazioni genetiche permanenti [7].

È stato dimostrato che l'asbesto induce l'espressione e l'attività sia dell’ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS) sia di quella costitutiva nei macrofagi alveolari e nelle cellule mesoteliali [8]. iNOS produce partendo dall’arginina, attraverso una reazione enzimatica, ossido nitrico (•NO) che può interagire con O2• per formare perossinitrito

(•ONOO), un ossidante altamente reattivo che attacca una varietà di bersagli biologici e che può formare •HO come radicale libero mediante un meccanismo ferro-indipendente [6, 7].

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Fig. 1.3: Stress ossidativo delle cellule mesoteliali causato da asbesto e trasformazione in mesotelioma.

La presenza dei macrofagi a livello della pleura genera uno stato di infiammazione che va a ledere sia il normale flusso della linfa che la normale pressione transpleurica, e che risulta in un flusso netto di fluidi e fibre dal parenchima sottostante direttamente nello spazio pleurico [7].

Col tempo, l'infiammazione diventa cronica e svolge un ruolo importante nella carcinogenesi caratterizzata dal persistente rilascio di citochine e ossidanti dai macrofagi che alla fine portano ad ulteriore infiammazione, fibrosi e genotossicità nelle cellule mesoteliali circostanti.

Molte citochine e fattori di crescita sembrano implicati nella patogenesi del MPM causato da asbesto, tra cui il fattore di necrosi tumorale  (TNF-α), il fattore di crescita trasformante  (TGF-β), il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), il fattore di crescita insulino-simile (IGF), l’interleuchina-6 (IL-6), l’interleuchina-8 (IL-8), il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), ed il fattore di crescita

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degli epatociti (HGF) [9]. L’asbesto determina l’espressione dei recettori TNF-R1 per il TNF-α a livello delle cellule mesoteliali, il TNF-α si lega ai suoi recettori e attiva la via del NF-ϰB, che aumenta la percentuale di cellule mesoteliali che sopravvivono all’esposizione e al contatto con l’asbesto [10]. A livello macrofagico, inoltre, si verifica la produzione di linfochine che sono in grado di deprimere la risposta immunitaria. L’attivazione della via del NF-ϰB, stimolata dal TNF-α, permette alle cellule mesoteliali, con danni al DNA indotti dalle fibre di asbesto, di dividersi piuttosto che morire, grazie alla stimolazione di diversi oncogeni e, se si sono accumulati sufficienti danni genetici, di trasformarsi in cellule neoplastiche [10]. Il VGEF e il PGDF sono invece importanti fattori proangiogenetici. Un aumento dei valori di VEGF è stato riscontrato nell’essudato pleurico di pazienti affetti da MPM rispetto a pazienti con una malattia pleurica non maligna ed è emersa una significativa correlazione inversa tra il livello sierico del VEGF e la sopravvivenza del paziente [7].

Alterazioni geniche

La crescita del MPM è legata ad alterazioni del DNA che consentono di evadere il sistema dell’apoptosi cellulare e di modificare il normale ciclo vitale delle cellule. I geni maggiormente coinvolti sono (Fig. 1.4):

- CDKN2A/ARF (Cyclin-dependent kinase inhibitor 2A/alternative reading frame

inactivation) codifica per gli oncosopressori p16 (INK4a) e p14 (ARF);p16 inibisce la chinasi-ciclina dipendente 4, controllando in tal modo la fosforilazione della proteina del retinoblastoma, quindi l’arresto del ciclo cellulare in G1, mentre p14 promuove la degradazione MDM2 (mouse double

minute 2), prevenendo la degradazione di p53 mediata da MDM2. La delezione

omozigotica del CDKN2A/ARF è presente nel 70% dei MPM di tipo epitelioide e nel 100% dei MPM di tipo sarcomatoide [11]. Studi in vivo [12] hanno dimostrato che l’inattivazione concomitante di INK4a e ARF accelera fortemente lo sviluppo del mesotelioma;

- NF2 (neurofibromatosis type 2) codifica per la proteina oncosoppressore Merlin, che regola due importanti vie di segnalazione cellulare: mTor (mammalian

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10 target of rapamycin) e Hippo. Merlin modula negativamente la pathway mTor,

coinvolta nella crescita e nella sopravvivenza cellulare, che risulta attivata in molti tumori maligni e quindi associata ad una ridotta sopravvivenza in pazienti con MPM [11,13]. La via di segnalazione Hippo controlla le dimensioni, lo sviluppo e la differenziazione degli organi e la regolazione dei tessuti, limitando la crescita e la divisione delle cellule e promuovendo l'apoptosi. Anche la

pathway Merlin-Hippo risulta frequentemente inattivato nelle cellule di MPM

[11]. Poiché sono state spesso rilevate mutazioni di NF2 nel MPM, sono stati sviluppati modelli murini NF2-knockout per confermare il significato dell’inattivazione di NF2 nella patogenesi del MPM. La perdita dell’allele NF2

wild-type, che porta all’inattivazione biallelica, è stata osservata in tutti i MPM

indotti da asbesto in topi NF2 (+/-) e nel 50% dei MPM di topi wild-type esposti all'asbesto [14];

- BRCA1-BAP1 (BRCA1-associated protein-1 inactivation) codifica per la proteina BAP1, che svolge un importante ruolo nella pathway ubiquitina-proteasoma per la ‘deubiquitinazione’ dell’istone e risulta così funzionalmente implicata in vari processi biologici, tra cui la dinamica della cromatina, la risposta ai danni del DNA e la regolazione del ciclo e della crescita cellulare [11,13]. Mutazioni nella linea germinale di BAP1 sono state di recente riscontrate in famiglie con un'alta incidenza di MPM. Inoltre sono state individuate mutazioni somatiche di BAP1 in circa il 20% di tutti i casi di MPM [15];

- PTEN (phosphatase and tensin homolog) ha la funzione di antagonizzare la via di segnalazione del fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K/Akt), la cui attivazione è necessari per la crescita, la sopravvivenza, e la proliferazione cellulare. Infatti, vari tipi di cancro mostrano una sovra-attivazione in questa via biochimica. Akt fosforila direttamente e attiva mTOR ed è un inibitore dell’apoptosi [11,13]. Campioni tissutali tumorali di MPM mostrano alti livelli di espressione di Akt fosforilata; inoltre, è stato osservata una scarsa sopravvivenza dei pazienti con MPM che non esprimono PTEN [16]. PTEN inibisce la fosforilazione MDM2, necessaria per il trasferimento nucleare e di conseguenza, la degradazione della p53 [11].

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Fig. 1.4: Geni e proteine coinvolti nello sviluppo del mesotelioma maligno.

1.1.4 Diagnosi

La diagnosi morfologica di mesotelioma pleurico è generalmente fatta da una biopsi a pleurica, preferibilmente durante la toracoscopia [17].

La diagnosi di mesotelioma peritoneale e pleurico è spesso ritardata a causa di un lungo periodo di latenza tra l'inizio e la presentazione clinica di sintomi comuni e non specifici. Il primo passo verso la diagnosi del MPM è verificare la presenza di liquido pleurico a livello della cavità toracica a cui seguiranno esami più specifici, quali:

- Analisi del liquido pleurico. Il liquido pleurico è costituito da sangue ed essudato con un’elevata concentrazione di proteine e lattato deidrogenasi nonché un’elevata conta cellulare. Si tratta, comunque, di dati aspecifici tipici anche di altre condizioni patologiche; inoltre, la sensibilità dell’analisi citologica del liquido pleurico è bassa e da circa l'85% del liquido analizzato si hanno letture negative o non decisive [18];

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- Radiografia del torace. Viene condotta mediante l'utilizzo di raggi X. Il risultato è un'immagine che evidenzia in modo differente le ossa e i parenchimi polmonari rispetto ai tessuti molli (muscoli e pelle), perché le ossa sono strutture più compatte e appaiono più chiare rispetto agli altri tessuti. Evidenzia anomalie nella pleura o nei polmoni, come modificazioni dello spessore o depositi di calcio [19]. E’ anche possibile osservare placche ed ispessimenti pleurici correlati ai depositi di asbesto. È comune un aumento di spessore della grande scissura secondario alla neoplasia. L’emitorace interessato può risultare di volume normale malgrado la presenza di un abbondante versamento (Fig. 1.5);

Fig. 1.5: Radiografia toracica di un paziente con MPM.

- Tomografia del torace (TC). La Tomografia Computerizzata o TC, è una metodica di diagnostica per immagini che utilizza raggi X. Grazie ad una valutazione statistico-matematica (computerizzata) dell'assorbimento di tali raggi X da parte delle strutture corporee esaminate, si ottengono immagini di sezioni assiali del corpo umano con la possibilità di evidenziare l'effusione pleurica, l'ispessimento della pleura, la sua calcificazione, l'ispessimento delle

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fessure interlobulari e l'eventuale invasione della parete toracica. Tale metodica, tuttavia, non è in grado di dare informazioni che permettano di distinguere le modificazioni indotte da neoformazioni benigne e da quelle causate da neoplasie maligne, o di distinguere tra adenocarcinoma del polmone e mesotelioma [18]; - PET. La tomografia ad emissione di positroni (PET) permette di identificare le

cellule che stanno crescendo più velocemente e che corrispondono alle cellule neoplastiche. La valutazione delle immagini, ottenute con questa tecnica, permette la distinzione tra tumori e lesioni di altro genere e l’eventuale valutazione di avanzamento del tumore verso i linfonodi ed altre parti del corpo [20];

- Toracoscopia. Con questa tecnica si ha una buona visualizzazione dell’anatomia endotoracica con possibilità di ottenere una diagnosi istologica (almeno 5 biopsie della pleura compromessa), un giudizio di estensione tumorale loco-regionale e di praticare, qualora si ritenga opportuno, una efficace pleurodesi chimica. In questo caso è sufficiente l’anestesia locale con l’utilizzo di un toracoscopio dotato di un canale operativo introdotto attraverso un singolo accesso [21];

- Biopsia. I campioni prelevati con la biopsia possono essere sottoposti ad analisi immunoistochimiche per vedere le proteine espresse sulla superficie della cellul a e/o genetiche per individuare l'espressione di geni tipici del mesotelioma così da permettere la distinzione tra mesotelioma ed altri tumori ed eventualmente anche tra i vari isotipi di mesotelioma stesso;

- VATS. La Video Assisted Thoracic Surgery (VATS) consente l'esplorazione di tutta la superficie pleurica, parietale e viscerale attraverso l’uso di uno strumento cannulare collegato ad una telecamera. Permette di effettuare ampie biopsie pleuriche e, quando necessario, anche di asportare noduli polmonari periferici; - Risonanza magnetica nucleare (NMR). Questa tecnica per immagini consente,

senza l’utilizzo di raggi X, di ottenere immagini dettagliate dei tessuti molli del corpo. In particolare per il mesotelioma può essere utile per valutare le condizioni del diaframma [20];

- Esami del sangue. Attualmente, il prelievo ematico e le consecutive analisi non sono considerati come strumenti efficaci per la diagnosi, ma piuttosto per

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avvalorare un’ipotesi già confermata con altre tecniche o per seguire l'andamento della malattia durante e dopo il trattamento. Si misurano in particolare i livelli di SMRP (serum mesothelin related protein), la cui concentrazione è elevata in più dell’84% dei mesoteliomi. Inoltre, si valutano le concentrazioni del Cancer Antigen 12 e del Cancer Antigen 15-3 (CA 12 e CA 15-3), dell’acido ialuronico, dell’osteopontina, della desmina, della vimentina e della prelamin-A che sono altri possibili marcatori per il MPM, ma con ridotta specificità e sensibilità [21].

1.1.5 Analisi dei biomarcatori tumorali

Vari biomarkers con diversa specificità e sensibilità sono stati studiati in relazione alla diagnosi e alla prognosi di MPM ed in molti studi sono stati riportati risultati contraddittori. Il gold standard attuale nella diagnosi del MPM è una combinazione di due marcatori immunoistochimici negativi e due positivi validi per il MPM di tipo epitelioide e di tipo bifasico, ma non per quello di tipo sarcomatoide poiché non ha marcatori specifici, il che rende più difficile la sua diagnosi [22].

I marcatori immunoistochimici vengono sfruttati anche per ottenere una diagnosi differenziale tra MPM e adenocarcinoma, tra questi i più importanti sono:

- Calretinina, è una proteina legante il calcio della famiglia EF-hand, che è abbondantemente espressa nei neuroni e che si ritiene svolga un ruolo chiave nella trasduzione somatosensoriale [23]. Fra gli immunomarkers, la calretinina sembra essere la più importante nel differenziare il MPM dall’adenocarcinoma mammario e polmonare, a condizione che solo una diffusa reazione nucleare sia considerata positiva. La calretinina è principalmente utilizzata per la diagnosi del MPM epitelioide, poiché la sua espressione è diminuita in aree con differenziazione sarcomatosa, ed ha un valore limitato nel discriminare il MPM dal carcinoma sieroso o squamoso [22];

- Citocheratina 5, le citocheratine (CK) sono filamenti intermedi ubicati nel citoplasma di quasi tutte le cellule epiteliali e sottoclassi di cellule non epiteliali tra cui le cellule mesoteliali. Sono CK5 positivi la grande maggioranza dei

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MPM, ma anche il carcinoma a cellule squamose, il carcinoma mammario

basal-like, il carcinoma ovarico sieroso ed endometrioide, mentre adenocarcinomi del

polmone e della mammella sono per lo più negativi [22];

- Podoplanina, è una sialoglicoproteina primaria rilevata nei podociti, coinvolta nello sviluppo embrionale, ed espressa in diversi tessuti normali, comprese le cellule endoteliali, linfatiche e mesoteliali. Ha un importante ruolo nel differenziare il MPM dall’adenocarcinoma [24]. La podoplanina può anche essere espressa nei carcinomi squamosi e sierosi e studi contrastanti riguardano la sua espressione in aree a differenziazione sarcomatosa ed è quindi limitatamente usata in questi casi [22];

- Wilms’ tumor (WT) 1 protein, è un gene oncosoppressore assente o mutato nel

tumore di Wilm’s, mentre in pazienti con MPM risulta alterata l’espressione proteica della WT1. WT1 è un biomarker per il MPM in grado di differenziarlo dall'adenocarcinoma del polmone, ma non dall’adenocarcinoma al seno [22]. E’ stato anche suggerito che WT1 possa rappresentare un potenziale bersaglio terapeutico per il MPM a causa della sua sovraespressione unica, nonché un fattore prognostico negativo del MM peritoneale.

Come marcatore negativo il CL4 (claudin-4) è il più specifico, non ha mai dato esiti positivi in test di MPM, altri sono l’antigene carcinoembrionico (CEA), il fattore di trascrizione tiroideo (TTF1) o il recettore per gli estrogeni [22].

Altri marcatori tumorali si ritrovano nel siero e nel liquido pleurico, ma rispetto ai precedenti mostrano minore sensibilità e/o specificità:

- Mesotelina, è una glicoproteina di membrana espressa in vari tipi di tumore tra cui il MPM. I livelli di mesotelina nel liquido pleurico sono particolarmente elevati in pazienti con MPM rispetto a pazienti con metastasi pleuriche di carcinomi o con lesioni pleuriche benigne. Inoltre, i livelli di mesotelina nel liquido pleurico sono superiori ai rispettivi valori sierici e mostrano una più elevata sensibilità rispetto ad un esame citologico, 71% contro 35% e una specificità del 89% contro il 100% [25];

- Osteopontina (OPN), è una proteina extracellulare di adesione delle cellule implicata nella regolazione della diffusione metastatica delle cellule tumorali ed anche nelle vie di segnalazione cellulare associate con la carcinogenesi indotta

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da asbesto. OPN è un biomarker promettente che potrebbe essere utilizzato per discriminare tra individui esposti all'asbesto asintomatici e pazienti in stadio precoce di MPM, ma la sua utilità nello screening è ostacolata a causa della bassa specificità [22]. I suoi livelli plasmatici sono elevati in pazienti con MPM sarcomatoso;

- Fibulina-3, è una glicoproteina extracellulare, poco espressa nei tessuti normali, che sembrava aver dato buoni risultati nel discriminare tra soggetti con MPM e soggetti sani esposti all’asbesto [26]. Tuttavia i primi risultati fortemente incoraggianti non sono stati ulteriormente confermati per cui risulta inaffidabile [22];

- MicroRNA (miRNA), sono piccoli segmenti di RNA non codificante, tessuto-specifici, che hanno trovato largo uso come marcatori biologici in vari tipi di tumori maligni. Diversi miRNA sono stati identificati in linee cellulari di MPM e possono quindi diventare promettenti markers prognostici e diagnostici [22]. Nuovi biomarkers sono ricercati anche fra i geni che risultano maggiormente mutati nel MPM, come CDKN2A, NF2 e BRCA1 [22], ma lo stato di conoscenza attuale non è soddisfacente e sebbene stiano emergendo biomarkers promettenti, sono necessarie ulteriori ricerche prima dell’applicazione clinica.

1.1.6 Trattamenti terapeutici

Il MPM è una malattia per la quale non esiste un protocollo terapeutico standardizzato, in quanto tutti i tipi di trattamento sono gravati da un alto tasso di recidiva e una scarsa sopravvivenza. I principali tipi di trattamento utilizzati sono: - La chirurgia, a scopo curativo o palliativo. Nel primo caso l'intervento è mirato a

rimuovere completamente il tumore che deve essere ben localizzato, mentre nel secondo caso il tumore è già diffuso e lo scopo principale del trattamento chirurgico è quello di prevenire o ridurre i sintomi. La sintomatologia dolorosa e la dispnea dovute al versamento pleurico possono anche essere alleviate mediante la toracentesi, ma purtroppo questa procedura va ripetuta periodicamente, dal momento che il liquido tende a riformarsi [1];

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- La radioterapia, che può essere utile per le persone che, per diversi motivi, non possono essere sottoposte ad intervento chirurgico e può avere uno scopo palliativo. Questo tipo di terapia può essere usata anche dopo la chirurgia (radioterapia adiuvante) per distruggere i piccoli gruppi di cellule tumorali non visibili e quindi non asportabili nel corso dell'intervento chirurgico [20];

- La chemioterapia per il mesotelioma si basa sull'uso di un singolo farmaco o di combinazioni di più farmaci e può contribuire a rallentare la progressione della malattia anche se difficilmente riesce a curarla in modo definitivo. L’unica terapia di prima linea, accettata dalla FDA per pazienti con MPM non operabili, è la combinazione cisplatino/pemetrexeb (potente inibitore di 3 enzimi coinvolti nella sintesi di purine e pirimidine) [27]. Diversi studi di fase II indicano che anche la combinazione di platino e gemcitabina è una ragionevole opzione per la terapia sistemica di prima linea, considerando il profilo della sua tossicità accettabile, il buon tasso di risposta e il suo beneficio clinico per i pazienti [ 28]. Attualmente, la gemcitabina come terapia di prima linea non è supportata per la mancanza di studi di fase III, tuttavia viene usata da sola od in combinazione con il platino come terapia di seconda linea [27]. La conoscenza delle vie di segnalazione cellulare maggiormente coinvolte nel mesotelioma ha condotto all’utilizzo nel trattamento del MPM di farmaci come anticorpi monoclonali e inibitori specifici delle chinasi (Fig. 1.6). Per contrastare la sovraespressione del EGFR (epidermal growth factor receptor ), sono stati utilizzati in studi di fase II erlotinib e gefitinib (inibitori tirosin-chinasici, TKI) che però non hanno mostrato alcuna efficacia. Al contrario è stato visto [29] che il lapatinib (un altro EGFR-TKI) migliora la citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC) mediata da rastuzumab e cetuximab in linee cellulari MPM e in cellule MPM derivanti da pazienti, suggerendo che questa combinazione di farmaci possa essere una strategia terapeutica efficace per il trattamento del MPM. È stata valutata (in studi di fase II) l'efficacia del cixutumumab, un anticorpo monoclonale umano, in relazione con IGF-1R ed è stata trovata una forte correlazione tra il livello di espressione di IGF-1R e l’attività anti-tumorale del cixutumumab. L’inibizione cixutumumab-mediata della proliferazione cellulare, così come la morte cellulare cixutumumab-indotta tramite ADCC, sono

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dipendenti dall’espressione di IGF-1R [27]. Risultati promettenti su test cellulari riguardano il tivantinib, un inibitore selettivo dell’oncogene MET, in associazione con due inibitori di PI3K e mTOR [30]; per valutare la reale efficacia di questa combinazione sono attualmente in corso ulteriori studi clinici. L’inibizione della via PI3K/mTOR ha dimostrato di sensibilizzare le cellule MPM alla chemioterapia attraverso un meccanismo che coinvolge la

down-regulation di efflusso dei farmaci mediata dal trasportatore ABCG2. Questa

scoperta ha importanti implicazioni terapeutiche, considerando che attualmente i farmaci citotossici utilizzati nel trattamento MPM, come pemetrexed e doxorubicina, sono ben noti substrati di ABCG2 [27]. Il defactinib, inibitore di FAK (focal adhesion kinase), attivo soprattutto in caso di perdita della proteina merlin, ha dato buoni risultati nel ridurre la sottopopolazione di cellule staminali tumorali (CSC) del MPM e, nonostante la sua efficacia non sia stata confermata nei trial clinici, i risultati preliminari indicano che il trattamento con defactinib per 12 o 35 giorni è associato a riduzione del volume del tumore e immunomodulazione [31]. È in fase di studio II l’associazione tra cisplatino/ pemetrexeb e ganetespib, un inibirore orale della HSP90 (heat shock protein 90). HSP90 è uno chaperone molecolare che controlla la stabilità di molte proteine associate con la proliferazione e la morte di cellule cancerose. Gli inibitori HSP90 sono in grado di reprimere la proteina MDM4, una molecola MDM2-simile coinvolta nella regolazione negativa di p53[27].Tra i farmaci anti-angiogenesi, il bevacizumab ha dato buoni risultati. Si tratta di un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di neutralizzare tutte le isoforme di VEGF umano. Il trattamento con bevacizumab inibisce lo sviluppo del tumore nel torace ed il versamento pleurico in topi con SCID (severe combined

immunodeficiency) ortotopicamente inoculati con cellule di MPM secernenti

VEGF [27]. Zalcman et al. [32] hanno riportato che l'aggiunta di bevacizumab alla combinazione di cisplatino e pemetrexed migliora la sopravvivenza complessiva a 18,8 mesi rispetto 16,1 mesi. Ulteriori sperimentazioni stanno valutando nuove combinazioni terapeutiche di pemetrexed e cisplatino con altri farmaci anti-angiogenici come ad esempio nintedanib e cediranib [27]. Amatuximab e Anetumab-ravtansine sono in fase di studio come anticorpi

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mesotelina, una glicoproteina fisiologicamente espressa sulle cellule mesoteliali , ma altamente presente nei MPM. Sono anche in fase di studio anticorpi che agiscano da inibitori su CTLA-4 (cytotoxic T-lymphocyteassociated antigen 4), un recettore immunosoppressore, su 1 (programmed death) e PD-L1(Programmed death-ligand 1), che regolano le cellule T effettrici nelle ultime fasi della risposta immunitaria nei tessuti periferici [27]. Gli studi preclinici indicano che il targeting simultaneo di più componenti delle principali vie di segnalazione o l’uso di una terapia sequenziale potrebbero essere una preziosa opzione terapeutica per la gestione del MPM, consentendo di ridurre le dosi dei singoli farmaci e limitando lo sviluppo di vie alternative.

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1.2 LE METALLOPROTEASI DI MATRICE (MMPs)

1.2.1 Caratteristiche generali

Il turnover delle proteine è un evento molto importante sia per lo sviluppo che per la sopravvivenza di un organismo. Le proteasi sono degli enzimi in grado di scindere il legame peptidico delle proteine mediante una reazione di idrolisi (Fig. 1.7). Quindi fanno parte della grande famiglia delle idrolasi.

Fig. 1.7: Processo di idrolisi del legame peptidico.

Le proteasi (peptidasi) possono essere di due tipi: endopeptidasi ed esopeptidasi. Le prime idrolizzano il legame peptidico all’interno della proteina, le altre invece scindono i legami alle estremità del peptide. Le proteasi possono essere classificate secondo il loro residuo amminoacidico necessario per la catalisi, oppure in base al cofattore indispensabile per la reazione in quattro categorie: serin proteasi, cistein proteasi, aspartato proteasi e metalloproteasi [33]. Le metalloproteasi sono il gruppo più numeroso e poco meno della metà di questi enzimi, appartengono alla famiglia delle “Metzincins” [34]. Le “Metzincins” sono una famiglia di endopeptidasi Zn2+

dipendenti che include le metalloproteasi di matrice o matrixine (MMPs), le astacine, le serralisine e le adamalisine. Sono caratterizzate da una struttura tridimensionale simile, da un motivo conservato che lega lo ione metallico (HEXXHXXG/NXXH/D) e da un residuo di metionina che forma un “Met-turn” otto residui a valle in modo da

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migliorare la stabilità del sito catalitico. Secondo la classificazione EC ( Enzyme

Commission) le matrixine sono delle idrolasi, ovvero delle endopeptidasi Zn+2 e Ca+2 dipendenti in grado di degradare quasi tutte le componenti della matrice (ECM) , ma anche proteine non appartenenti alla matrice. Queste proteasi quindi sono in grado di processare altre componenti come per esempio le molecole di adesione, fattori di crescita, citochine, chemochine e recettori cellulari con conseguenti cambiamenti della fisiologia cellulare [33-35].

1.2.2 Struttura e classificazione delle MMPs

Il criterio per stabilire l’appartenenza alla famiglia delle matrixine è l’omologia della sequenza genomica con quella codificante il dominio catalitico della Fibroblast Collagenase, (MMP-1), la prima ad essere scoperta. Questi enzimi catalizzano l’idrolisi dei propri substrati a pH neutro [36].

Una tipica metalloproteasi è costituita da un prodominio di circa 80 aminoacidi, un sito catalitico di circa 170 aminoacidi, un peptide linker di variabile lunghezza (detto

hinge region) ed un dominio hemopexin-like di circa 200 aminoacidi [35] che

determina la specificità di substrato delle metalloproteasi di matrice e media l’interazione con gli inibitori endogeni tessutali, TIMP (tissue inhibitors of

metalloproteinases) [36]. La proteina viene secreta nella sua forma inattiva

(pro-MMP) (Fig. 1.8), nella quale l’atomo di zinco presente nel sito catalitico non è disponibile alla formazione di legami per la presenza di una cisteina. L’attivazione deriva quindi dall’esposizione del sito catalitico, che può così interagire con i substrati. L’attivazione può essere di due tipi, enzimatica o non enzimatica: nel primo caso avviene per azione di enzimi proteolitici, fra i quali plasmina o altre MMPs [37].

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Fig. 1.8: Struttura delle metalloproteasi. Abbreviazioni: SP, peptide segnale (sequenza di secrezione); Pro, prodominio; Catalytic, sito catalitico; FN, dominio fibronectin-like; HG, hinge region; TM, dominio transmembrana; GPI, glycosylphosphatidylinositol

anchor; Zn, atomo di zinco. Alcune MMPs presentano un sito di clivaggio di tipo

furinico (Furin) tra il prodominio e il sito catalitico.

La famiglia delle MMPs comprende almeno 25 enzimi, di cui 24 sono stati trovati nei mammiferi. Sulla base della specificità del substrato, della somiglianza della loro sequenza amminoacidica e dell’organizzazione dei domini le MMPs sono suddivise in sei gruppi: le collagenasi, le gelatinasi, le stromalisine, le matrilisi ne, le MMPs con dominio transmembrana (MT-MMP) e le MMPs con un’ancora di membrana formata dal glicosilfosfatidilinositolo (GPI) [36].

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1.2.3 Ruolo delle metalloproteasi

Le MMPs possono potenzialmente degradare tutte le molecole strutturali della matrice extracellulare e anche diverse proteine pericellulari, circolanti e di superficie. Le matricine possono regolare il comportamento cellulare attraverso:

- l’alterazione delle interazioni cellula-matrice e cellula-cellula;

- la liberazione, attivazione od inattivazione di molecole di segnalazione (mediatori chimici autocrini e paracrini);

- la potenziale attivazione o inattivazione dei recettori della superficie cellulare [38].

Le MMPs non possono quindi essere considerate solo dei semplici enzimi. Alcune MMPs possono attivare segnali intracellulari e pertanto hanno una potenziale capacità di avviare numerose funzioni cellulari. Ad esempio, la MMP-2 in vitro è necessaria e sufficiente ad indurre la transizione epitelio-mesenchimale (EMT) delle cellule epiteliali tubulari, così come la MMP-3 induce l’espressione del gene Rac1, che causa un incremento nelle cellule delle specie reattive dell’ossigeno e promuove la EMT.

La distruzione della matrice subcellulare, mediata dalle MMPs, può indurre l’apoptosi, rivestendo così un ruolo chiave nella morte cellulare fisiologica. Controllando l’adesione cellulare e l’organizzazione del citoscheletro, le matrici extracellulari regolano processi di base come la forma, il movimento, la crescita, la differenziazione e la sopravvivenza della cellula. Di conseguenza, le MMPs, modificando la composizione e l’organizzazione strutturale della ECM, influenzano gli stessi processi [38].

Sequestrando le molecole di segnalazione, come i fattori di crescita, ed agendo come ligandi per i recettori di adesione, come le integrine, la ECM influenza il comportamento cellulare. La matrice extracellulare agisce pure come riserva per diversi fattori di crescita e per diverse citochine. Una volta che le molecole della ECM vengono degradate, i fattori di crescita e le citochine sono liberati. Per esempio, la ECM agisce come un deposito di TGF-β, e la sua degradazione da parte delle MMPs 2 e 9 rende il TGF-β sequestrato capace di svolgere le proprie funzioni biologiche.

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Tali funzioni biologiche sono di tipo inibitorio nei confronti delle MMPs. Così l’attivazione e il rilascio del TGF-β potrebbero agire da feed-back negativo prima per le MMPs, e poi per il rilascio del TGF-β stesso.

Le MMPs possono influenzare il comportamento cellulare tramite:

- la scissione delle proteine d’adesione cellula-cellula, come la 3 e la MMP-7, entrambe in grado di scindere la proteina di giunzione aderente E-caderina. Il rilascio di un frammento extracellulare solubile altera l’aggregazione cellulare e promuove l'invasione delle cellule in modo paracrino indipendente dalla scissione stessa [38];

- il rilascio di molecole di superficie bioattive, per esempio la MMP-3 può rilasciare l’L-selectina solubile dai leucociti, può rilasciare il fattore di crescita attivo EGF-simile che lega l’eparina (HB-EGF) dalla superficie delle cellule, con l'adesione in un secondo sito poco lontano dalla membrana cellulare. La MMP-7, invece, può indurre apoptosi mediata dal recettore Fas rilasciando il ligando del Fas attivo dalla superficie delle stesse cellule bersaglio [38];

- la degradazione di molecole di superficie che trasducono i segnali dall’ambiente extracellulare, come le MT-MPPs, che possono degradare la transglutaminasi tissutale della superficie cellulare, un co-recettore legante le integrine che promuove l'adesione e la diffusione di cellule sulla fibronectina e può così regolare la migrazione delle cellule di cancro positivamente o negativamente, a seconda del tipo di ECM che le cellule incontrano [38,39].

1.2.4 Regolazione delle MMPs

Le cellule non possono rilasciare in maniera indiscriminata proteasi, perché questo porterebbe ad un grave danno per i tessuti. Le proteasi, come anche le MMPs, sono secrete o ancorate alla membrana cellulare permettendo così di indirizzare la loro specifica attività catalitica verso determinati substrati nello spazio pericellulare [40]. L’espressione delle metalloproteasi di matrice è finemente regolata a livello di trascrizione, secrezione ed attivazione. Inoltre questi enzimi possono essere inibiti anche dopo l’attivazione sia da specifici inibitori delle matrixine, come i TIMPs, che

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da inibitori non specifici delle proteasi, come l’inibitore di proteasi-α1 e la macroglobulina-α2. In vitro le MMPs possono essere attivate da alcune proteasi come la plasmina, da altre metalloproteasi come la MMP-3 e le MT-MMPs, o da composti chimici [36]. Un notevole aumento di espressione dei membri delle metalloproteasi di matrice si osserva in condizioni patologiche caratterizzate da una degradazione del tessuto connettivo, come per esempio nell’artrite e nelle neoplasie. Di conseguenza conoscere i meccanismi molecolari che controllano l’espressione di queste proteasi in condizioni fisiologiche e patologiche potrebbe portare allo sviluppo di eventuali specifiche azioni terapeutiche [40].

1.2.5 Le gelatinasi

Esistono due tipi di gelatinasi: la gelatinasi A (MMP-2, collagenasi di 72 kDa di tipo IV) e la gelatinasi B (MMP-9, gelatinasi di 92 kDa). Queste proteasi prendono il nome dalla loro efficienza nel degradare tutti i tipi di gelatina che si formano dalla denaturazione dei vari tipi di collageno. Il collageno, dopo essere stato degradato dalle collagenasi, a 37°C si denatura formando la gelatina [35].

Le gelatinasi sono capaci di degradare il collageno di tipo IV, V, VII, la gelatina, l’elastina, il core proteico dei proteoglicani, la MBP (proteina basica della mielina), la fibronectina, la fibrillina-1 e i precursori del TNF-α e dell’interleuchina (IL-)1b [36,41]. Le gelatinasi hanno un ruolo importante nella degradazione della matrice extracellulare e nel rimodellamento tessutale in vari stati fisiologici come l’impianto della blastocisti nell’utero e la riparazione delle ferite [36]. Rispetto alle altre MMP, lo stato di attivazione delle gelatinasi è importante anche per la loro affinità al substrato. Per esempio la pro-MMP-9 ha una maggiore affinità per il collageno di tipo I e per la gelatina ed una minore affinità per il collagene di tipo IV. Le due gelatinasi, nonostante le loro caratteristiche comuni hanno un effetto opposto nelle malattie infiammatorie intestinali IBD (Inflammatory Bowel Disease), infatti le MMP-2 prodotte dalle cellule dell’epitelio svolgono un ruolo protettivo, mentre le MMP-9 causano danno al tessuto [41].

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26 Attivazione di MMP-2 e MMP-9

Per MMP-2 è stata osservata una particolare via di attivazione (Fig. 1.9). L’attivazione avviene nello spazio extracellulare a livello della superficie cellulare e richiede l’assistenza di una molecola di TIMP-2 (inibitori tissutali delle metalloproteasi) e due molecole di MMP-14 (o MT1-MMP) [37]. MMP-14 è una molecola transmembranaria, attivata dall’interazione con la membrana cellulare e capace di formare dimeri o polimeri sulla superficie cellulare attraverso l’interazione dei domini hemopexin-like. Nel processo di attivazione di MMP-2, una molecola di MMP-14 attivata si lega ad una molecola di TIMP-2 che la inibisce. La pro-MMP-2 si lega quindi al neoformato complesso MMP-14/ TIMP-2 e tramite l’azione di una seconda MMP-14 (libera dal legame con il TIMP-2) la cisteina viene scissa e l’enzima attivato [37,38].

Per favorire il processo di attivazione, è necessario, da una parte, un notevole numero di 14 libere dal legame con TIMP-2 attorno al complesso ternario MMP-14/TIMP-2/pro-MMP-2, dall’altra una bassa concentrazione di TIMP-2, che, se in eccesso, inibisce l’azione della seconda MMP-14 [37,38].

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Figura 1.9 - Attivazione della MMP2 sulla superficie cellulare.

MMP-9 viene attivata in vitro da svariati enzimi proteolitici (Fig. 1.10). In vivo l’attivazione è correlata ad una cascata di eventi che coinvolgono altre MMP, tra cui la MMP-14, MMP-2, MMP-3 e il sistema della plasmina [37].

La plasmina è rilasciata sotto forma di plasminogeno; quest’ultimo è attivato dall'attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) fibrino-associato e dall'attivatore del plasminogeno tipo urochinasico (uPA) legato al suo specifico recettore di membrana (uPA receptor). Sia tPA sia uPA sono associati alla membrana e creano così un’attivazione localizzata della pro-MMP e il conseguente turnover della ECM [37]. Una volta attivata, MMP-9 viene rapidamente inattivata dal suo inibitore tissutale, TIMP-1.

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Fig. 1.10: Meccanismo di sintesi, attivazione e inibizione della pro-MMP-9. TIMP-1, inibitore tissutale delle metalloproteasi di matrice-1; MMP, metalloproteasi di matrice; MT, membrane-type; tPA, attivatore tissutale del plasminogeno; uPA, attivatore del plasminogeno tipo urochinasico ; uPAR, recettore dell’uPA.

Le gelatinasi nelle neoplasie e nel MPM

La proteolisi della matrice extracellulare e della membrana basale ad opera delle proteasi, come le metalloproteasi della matrice, è una parte centrale della crescita tumorale e della metastatizzazione. Il rimodellamento stromale mediato da questi enzimi facilita anche l’angiogenesi del tumore. Per questo motivo le MMPs sono implicate nella crescita di tumori primari e secondari [42-43].

Risultano coinvolte tutte le classi di proteasi, ma l’attenzione dei ricercatori si è particolarmente focalizzata su MMP-2 e MMP-9 perché queste degradano il collagene di tipo IV, il maggior componente dell’ECM e delle membrane basali [42]. I fibroblasti che interagiscono con le cellule tumorali sono anch’essi coinvolti nell’invasività neoplastica e sono essenziali nella degradazione della EMC

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sovraesprimendo MT1-MMP [43]. Un’aumentata espressione di MMP-2 e MMP-9 è stata riscontrata in molti tumori umani, compresi quello ovarico, adenocarcinomi del seno e della prostata e melanomi [44,45]. Una correlazione significativa è stata segnalata tra aggressività del tumore e aumento dei livelli di MMP-2 e MMP-9 in molti studi sperimentali e clinici [46-48].

L’attività delle MMP è finemente regolata e dipende dall’influenza dello stroma circostante, delle proteine della ECM, degli ormoni sistemici e di altri fattori. L’attività delle MMPs è anche controllata da una varietà di citochine e fattori di crescita come il fattore di crescita trasformante (TGF-ß), il fattore di crescita degli epatociti (HGF), il fattore di crescita epidermico (EGF) ed il fattore di necrosi tumorale (TNF-α). Roomi et al. [42] hanno studiato gli effetti di citochine, mitogeni e inibitori sull’espressione di MMP-2 e di MMP-9 in linee cellulari di MPM. TNF-α, IL-1ß, LPS (lipopolisaccaride) and PMA (phorbol 12-myristate 13-acetate) provocano la sottoespressione di MMP-2, mentre non hanno effetti su MMP-9. La sovraespressione di mesotelina (MSLN) nel MPM è un'altra causa della maggiore espressione di MMPs da parte delle cellule tumorali [49] e contribuisce all’aggressività del tumore. È stata osservato in vitro un aumento della secrezione di MMP-1, MMP-2, MMP-7 e MMP-9 in concomitanza con la sovrespressione di MSLN da parte delle cellule di MPM [49]. Un modello murino di MPM ortotopico, MMP-9 e MSLN sono risultate colocalizzate sulla parte invasiva dei noduli della neoplasia pleurica [49].

La maggior parte delle MMPs vengono rilasciate dalle cellule tumorali e dalle cellule stromali circostanti come zimogeni inattivi che vengono attivati a livello dello spazio extracellulare. Dopo la secrezione della proteasi, si ha l'attivazione di base della MMP sulla superficie della membrana cellulare. È interessante notare che, un TIMP (TIMP-2) endogeno partecipa all’attivazione MT1-MMP-dipendente di MMP-2. Tuttavia, legandosi a quasi tutte le proteasi MMPs, il TIMP inibisce le loro attività enzimatiche in generale. L’espressione e l’attivazione di pro-enzimi potrebbe non essere sufficiente per degradare i componenti della matrice, poiché il meccanismo di proteolisi dipende dall’equilibrio locale tra MMPs e TIMPs specifici: questo potrebbe spiegare la relativa bassa capacità dei MPM di indurre la progressione extratoracica [50].

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Studi che utilizzano la zimografia semiquantitativa hanno correlato l’attività di MMP-2 e/o MMP-9 con la sopravvivenza e la progressione della malattia in diversi tipi di tumori solidi [51-53]. Bloccare l’espressione di queste proteasi da parte delle cellule neoplastiche potrebbe ridurre significativamente l’invasività del cancro.

1.3 PROTEOMA

1.3.1 Definizione

Il termine “proteomica”, coniato in analogia con il vocabolo genomica nel 1995, indica lo studio di tutte le proteine espresse da un organismo, tessuto o cellula in un preciso istante [54] . Il proteoma è un’entità dinamica perché non solo le cellule di uno stesso organismo esprimono proteine differenti, ma anche lo stesso tipo di cellula, in condizioni diverse (età, malattia, ambiente), è caratterizzato da proteine diverse [54]. L’analisi diretta delle proteine, rispetto ad un approccio genomico, consente, quindi, di ottenere informazioni precise sui livelli delle proteine presenti, in quel momento, in una cellula o in un fluido biologico rilevandone, inoltre, le possibili modificazioni post-traduzionali (ad esempio la fosforilazione), che determinano la funzione delle proteine e che risultano particolarmente importanti nella trasduzione del segnale [55,56].

Negli ultimi anni la proteomica è progredita con crescente interesse nel mondo scientifico e, al momento, è usata come un moderno strumento nella scoperta di farmaci, per la determinazione di processi biochimici implicati nelle malattie, per monitorare processi cellulari, per caratterizzare sia i livelli di espressione che le modifiche post-traduzionali delle proteine, per ricercare differenze tra fluidi biologici o cellule di soggetti sani e malati e per identificare markers di una malattia e possibili candidati per l’intervento terapeutico [57].

Gli studi di proteomica vengono tradizionalmente distinti in tre aree:

- la proteomica funzionale che permette la caratterizzazione dell’attività, delle interazioni e della presenza di modificazioni post-traduzionali delle proteine, per la descrizione a livello molecolare dei meccanismi cellulari;

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- la proteomica d’espressione che fornisce la descrizione dell’intero proteoma di una cellula, organismo o tessuto;

- la proteomica strutturale che ha l’obiettivo di identificare e mappare le proteine presenti a livello degli organuli cellulari chiarendone le interazioni reciproche [57].

1.3.2 Tecnologie proteomiche

Le tecnologie proteomiche, a causa della diversità delle proteine, sono le più varie ed integrano metodi biologici, chimici ed analitici. La spettrometria di massa (MS), accoppiata a metodi di separazione di proteine, è la tecnica principalmente utilizzata [58]. La MS è una tecnica altamente sensibile e versatile e permette di quantificare le proteine, di determinarne sequenza, massa e informazioni strutturali, in particolare le modificazioni post-traduzionali, come le glicosilazioni o le fosforilazioni [59]. Generalmente uno studio proteomico è composto dalle seguenti fasi: scelta e preparazione del campione; separazione delle proteine attraverso tecniche cromatografiche o elettroforetiche; identificazione delle proteine tramite l’uso della spettrometria di massa, le proteine identificate vengono poi confrontate con quelle presenti in un database che contiene le proteine codificate dal genoma.

Il successo nell’identificazione della proteina, comunque, dipende dalla preparazione del campione e dal tipo di spettrometro di massa utilizzato. La combinazione della MS, per l’identificazione proteica, con l’elettroforesi bidimensionale (2-DE), come tecnica separativa ad alto potere risolutivo, è il metodo classico e il più utilizzato in questo tipo di studi [60].

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1.3.3 Applicazione della proteomica alla ricerca sul cancro

La ricerca finalizzata allo studio delle alterazioni delle proteine nel cancro esiste da più di 70 anni, ma è solo dagli ultimi tre decenni che le recenti tecnologie proteomiche sono utilizzate per decifrare l’espressione differenziale delle proteine nelle neoplasie [61]. Negli ultimi anni, c’è stato un crescente interesse per l’analisi genomica e proteomica, finalizzate alla ricerca di biomarkers che possano fornire una migliore comprensione delle basi molecolari delle neoplasie e che servano come bersagli per un ulteriore sviluppo nella diagnostica molecolare e nella terapia. Lo studio delle malattie proteomic-based è considerato un approccio unico e dinamico che permette l'identificazione e la quantificazione delle proteine nei sistemi biologici e può rivelare cambiamenti implicati nella carcinogenesi, come l'abbondanza di proteine, le loro modifiche post-traduzionali, la formazione di complessi e di interazioni [62].

Mentre diversi geni sono stati identificati mediante tecnologie genomiche e sono risultati essere specificamente correlati alle neoplasie, la funzione di tali geni e l'interpretazione dei dati nel contesto del sistema funzionale richiedono l’intervento della proteomica. Inoltre, sebbene gli studi sull’espressione differenziale del mRNA siano stati estremamente informativi, essi non sono necessariamente correlati con le concentrazioni di proteine funzionali.

Gli studi proteomici hanno generato una grande quantità di dati sotto forma di elenchi di centinaia o migliaia di proteine che sono differenzialmente espresse nelle malattie come causa o conseguenza di eventi fisiologici, patologici o di sviluppo [61].

Come modelli sperimentali vengono largamente utilizzate linee cellulari tumorali e la nostra attuale conoscenza della biologia molecolare delle neoplasie è stata acquisita quasi esclusivamente mediante il loro studio. Sebbene l'uso di linee cellulari come strumento per studiare la biologia delle neoplasie presenti alcune limitazioni, queste sono nondimeno estremamente utili per investigare l'abbondanza delle proteine e le interazione coinvolte nello sviluppo e nella progressione della malattia.

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1.4 SECRETOMA CELLULARE

1.4.1 Definizione

La membrana plasmatica, il lisato cellulare ed il secretoma possono essere utilizzati come proteomi cellulari per la scoperta di biomarkers. I lisati cellulari sono probabilmente i proteomi cellulari più completi e lo studio del loro profilo proteomico ha fornito una buona panoramica della biologia cellulare [63].

Tuttavia, il listato cellulare comprende principalmente proteine strutturali che sono coinvolte in funzioni fondamentali per le cellule quali vie metaboliche e traduzione delle proteine. Viceversa, proteine implicate in funzioni regolatorie, che potrebbero essere potenziali candidati biomarkers, sono difficili da misurare poiché sono presenti in quantità basse.

Il secretoma è il complesso di molecole secrete dalle cellule, queste molecole svolgono un ruolo chiave nella segnalazione, comunicazione e migrazione cellulare. Per questo l’analisi del secretoma viene utilizzata per scoprire nuovi potenziali

biomarkers diagnostici ed agenti terapeutici e per chiarire essenziali vie autocrine

[64].

Da studi in vitro [65] sul secretoma di cellule di mammifero, si è visto che molte proteine intracellulari sono rilasciate in maniera consistente nel mezzo di coltura condizionato. Anche se queste proteine intracellulari possono essere rilasciate a causa della morte cellulare o per perdite cellulari, ci sono prove che alcune di queste proteine sono secrete via percorsi non classici, forse tramite vescicole ed esosomi, e possono avere funzioni extracellulari.

Nella via classica della secrezione delle proteine (Fig. 1.11), il peptide neosintetizzato presenta una sequenza segnale che lo indirizza verso il lume del reticolo endoplasmatico (ER), da qui raggiunge l’apparato di Golgi, dove si hanno il ripiegamento, lo smistamento e le modifiche covalenti della proteina [66]. Vescicole secretorie contenenti la proteina vengono allontanate dal Golgi e si fondono con la membrana plasmatica (PM) per rilasciare il contenuto attraverso il processo di esocitosi [66]. La vie di secrezione non classiche (Fig. 1.11) non coinvolgono il ER ed il Golgi, ma intervengono altri meccanismi, quali:

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- Gli esosomi, cioè nanovescicole membranose che sono rilasciate nel microambiente dalla fusione di corpi multi vescicolari (MVB) con la PM. Sono coinvolti nella segnalazione intercellulare e contengono proteine citosoliche e di membrana della cellula ospite [67];

- Gli ectosomi o shedding microvesicles (SMVs), cioè vescicole membranose di grandi dimensioni che vengono rilasciate direttamente dalla PM di un'ampia varietà di tipi cellulari. Si formano a livello della membrana delle protrusioni citoplasmatiche dal cui distacco originano le SMVs [68];

- Ectodomain shedding, cioè ectodomini di proteine di membrana che vengono

rilasciati nel microambiente extracellulare dalla proteolisi di esosomi, ectosomi o della superficie cellulare [69];

- Un meccanismo Flip flop, che regola la secrezione di proteine ancorate alla membrana attraverso duplice acilazione all’estremità N-terminale [66].

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1.4.2 Il secretoma nella ricerca contro il cancro

Forse uno dei campi biomedici che ha utilizzato maggiormente lo studio del secretoma è l’oncologia. L'identificazione di nuovi biomarcatori cancro-specifici direttamente dal siero ed altri fluidi corporei utilizzando un approccio proteomico è stato impegnativo. Questi campioni sono intrinsecamente complessi, presentando un'ampio range di concentrazioni proteiche che ha reso difficile la rilevazione di

biomarkers poco abbondanti. Quindi, gli sforzi sono stati rivolti verso l'analisi dei

secretomi cellulari nella speranza di identificare marcatori tumorali affidabili e utili che possono poi essere tracciati nei campioni sierologici usando analisi sensibili e mirate, come ELISA, Western Blot o spettrometria di massa. Pertanto, il secretoma rappresenta una buona opportunità per scoprire le proteine coinvolte nel cancro [70], e in aggiunta, la sua limitata complessità, confrontata con quella di siero e plasma, aumenta la possibilità di identificare proteine meno abbondanti [64]. Poiché i secretomi, rispetto al plasma, sono molto più correlati alle cellule tumorali, è probabile che contengano proteine secrete relative alla malattia, che abbiano anche una buona probabilità di essere presenti nei fluidi biologici. Secretomi raccolti da varie linee cellulari sono popolati da fattori di crescita, proteasi, citochine immunomodulanti, chemochine, proteine della matrice extracellulare. In molti casi, proteine non convenzionalmente secrete rappresentano una firma specifica dei secretomi di linee cellulari tumorali.

Il secretoma tumorale ottenuto da linee cellulari contiene proteine implicate in diversi aspetti della carcinogenesi, come l'angiogenesi, l'invasività della neoplasia e la metastatizzazione, che sono sia caratteristiche proprie delle cellule neoplastiche sia derivate dalle interazioni cellula-stroma [71]. Lo studio dei secretomi ottenuti da linee cellulari neoplastiche apre diverse opportunità nella ricerca sul cancro che vanno dall’indagine sui meccanismi autonomi di sviluppo della neoplasia al loro utilizzo come fonte di biomarkers tumorali. Nella ricerca di base, lo studio del secreto cellulare accoppiato con la biologia molecolare e cellulare è uno strumento molecolare appropriato per descrivere come le cellule neoplastiche interagiscono tra loro e con il microambiente circostante [63].

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1.4.3 Preparazione in vitro di campioni di secretoma

Le proteine secrete in vivo si ritrovano nei fluidi corporei, tuttavia una loro analisi diretta è ostacolata da un’elevata complessità operativa. E’ generalmente accettato che le proteine secrete dalle cellule tumorali in vitro possano, in una certa misura, riflettere le proteine rilasciate dai tumori in vivo. Quindi, il metodo di routine utilizzato fino ad oggi è quello di ottenere le proteine secrete nel mezzo da cellule tumorali coltivate in vitro (Fig. 1.12) [72].

Anche se le cellule sono comunemente coltivate in un mezzo integrato con il siero, i mezzi senza siero (SFM) sono necessari per garantire il successo dell’analisi del secretoma tumorale in vitro. La ragione risiede nel fatto che l'abbondanza di proteine nel siero, come l’albumina, può mascherare e diluire il secretoma, mentre la crescita delle cellule è molto più lenta in SFM, e perciò queste tendono all’autolisi e a liberare proteine citosoliche. Per ottenere la minima contaminazione di proteine citosoliche si procede ottimizzando i tempi di incubazione e i tempi di confluenza delle cellule. Saggi di esclusione morfologici e colorimetrici, nonché l'identificazione di alcune proteine citosoliche, possono aiutare a determinare le condizioni ottimali per l’analisi, che variano a seconda degli studi [72].

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Considerando i notevoli effetti di mascheramento dell’ albumina di siero bovino (BSA) ed di altri costituenti del siero, il lavaggio delle cellule a fondo per ridurre la contaminazione dal siero prima dell’incubazione in SFM è un passo necessario, ma al contempo va tenuto presente che lavaggi aggressivi possono danneggiare o uccidere le cellule e portare alla liberazione aspecifica delle proteine citoplasmatiche. Così, appare fondamentale trovare un equilibrio tra la rimozione delle contaminazioni mediante i lavaggi e la sopravvivenza delle cellule.

Non vi è dubbio che l'ottimizzazione delle condizioni di coltura cellulare e l’impiego di una tecnica di lavaggio appropriata possono ridurre in modo significativo la contaminazione da parte delle proteine citosoliche e dal siero. Tuttavia, alcuni costituenti del siero sono sempre presenti nei terreni di coltura, anche dopo un accurato trattamento e nonostante le condizioni di coltura ottimali, la coltivazione di cellule in vitro è inevitabilmente accompagnata da morte cellulare e dal successivo rilascio di proteine citosoliche. Poiché la concentrazione di proteine secrete è sempre molto bassa, la contaminazione di proteine non secrete può facilmente mascherare le proteine di interesse. Di conseguenza, come discriminare le proteine secrete da quelle non secrete è una questione importante che resta da approfondire.

Le proteine secrete nei mezzi di coltura sono solitamente presenti in basse concentrazioni, che possono scendere a livello di ng/ml, come nel caso di alcune citochine. Per questo motivo è necessario concentrare le proteine prima delle analisi proteomiche successive. L’ultrafiltrazione è spesso usata per concentrare il secretoma . Si è dimostrata di essere una tecnologia efficiente nonostante la possibile fuoriuscita di proteine a basso peso molecolare [72].

1.4.4 Problemi nell’analisi del secretoma cellulare

L’analisi del profilo proteomico e secretomico di una determinata linea cellulare tumorale è sicuramente un buon metodo per indagare l’espressione proteica e quindi cercare possibili marker biologici, ma tuttavia bisogna far fronte a diversi problemi di natura tecnica e biologica, indipendenti dall’approccio analitico scelto [63].

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38 Contaminazione del siero

Uno dei principali fattori di confusione nell’analisi secretomica di una linea cellulare è la contaminazione della secrezione cellulare con le proteine del siero. Il siero bovino viene utilizzato come integratore nel mezzo di crescita delle cellule e, nonostante i ripetuti lavaggi, un piccola, ma incontrollata quantità di siero rimane [73,74]. Mentre è ben noto che alcune proteine come l’albumina o la transferrina provengano del siero, diverse altre proteine del siero sono presenti come contaminanti nei campioni analizzati con LC-MS. Inoltre, le siero-proteine presenti nel secretoma cellulare variano a seconda del tipo di siero utilizzato e il loro segnale può anche variare a seconda della linea cellulare in esame. Un modo semplice per distinguere tra le proteine provenienti dal siero e quelle che vengono secrete dalle cellule è di marcare le cellule tramite SILAC (stable isotope labeling of amino acids) [73].

Apoptosi e morte cellulare

Nell’analisi proteomica non è da sottovalutare il contributo dell’apoptosi e delle proteine intracellulari derivanti dalla morte cellulare al profilo del secretoma di linee cellulari neoplastiche.

Il protocollo per ottenere il secretoma prevede il lavaggio, seguito dall’incubazione delle cellule tumorali in un mezzo privo di siero. Il problema di questo approccio è che la privazione del siero può causare apoptosi e quindi morte cellulare. Se non attentamente controllato, il profilo secretomico potrebbe avere un segnale sostanziale proveniente dall’apoptosi, o direttamente dalle proteine intracellulari derivanti dalla morte cellulare, piuttosto che dalla biologia della neoplasia [74]. Il modo migliore per controllare la qualità del secretoma è di saggiare la vitalità cellulare e sfruttare questo parametro per determinare il momento opportuno di raccolta del secreto cellulare. Secretomi ottenuti durante un intervallo di tempo ‘sicuro’, in cui le cellule hanno una buona vitalità e bassa apoptosi, sono i campioni migliori per lo studio della biologia delle cellule tumorali [63].

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