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CAPITOLO 3

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CAPITOLO 3

BIOLOGIA DELLA SPECIE

3.1 Sistematica

Superoridine: Euarchontoglires Ordine: Lagomorpha Famiglia: Leporidae Sottofamiglia: Leporinae Tribù: Leporini

Genere Lepus (Linneo,1758)

Specie:Lepus europaeus (Pallas, 1778)

3.2 Generalità e distribuzione

La lepre comune o lepre europea (Lepus europaeus Pallas, 1778) è un mammifero lagomorfo appartenente alla famiglia dei Leporidi e originario dell'Europa e dell'Asia.

Essa è caratterizzata da un vasto areale che in Europa si estende dai Pirenei e parte dei Monti Cantabrici, fino agli Urali.

La specie è presente in diverse isole del Mediterraneo (ad eccezione della Sardegna, della Sicilia e delle Baleari), mentre è assente in Islanda.

Nell’Italia peninsulare la lepre europea è oggi presente in tutte le province, anche in conseguenza dei costanti ripopolamenti venatori (Trocchi e Riga, 2005).

3.3 Morfologia

La lepre europea adulta è uno dei leporidi di maggiori dimensioni, caratterizzata da un aspetto piuttosto slanciato, con arti posteriori più lunghi degli anteriori che rendono potente la spinta del retrotreno conferendo velocità alla corsa e abilità nel salto. Le zampe anteriori sono

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munite di cinque dita, quelle posteriori di quattro e sono provviste di cuscinetto plantare formato da peli più duri, unghie arcuate e ben sviluppate.

Non esiste dimorfismo sessuale tra maschi e femmine: i sessi possono essere distinti solo tramite l'esame diretto dell'apparato genitale; solo in limitati casi si possono riconoscere femmine gravide o allattanti. La postura e il comportamento non sono di norma elementi diagnostici affidabili per il comune osservatore e, benché sia una convinzione assai diffusa, non trova ugualmente riscontro la distinzione dei sessi attraverso l’esame della forma delle feci (Trocchi e Riga, 2005).

Il muso è caratterizzato da lunghe vibrisse bianche, labbro superiore bifido, gli occhi grandi, gialli, con pupilla rotonda, posti in posizione laterale e leggermente sporgenti, che le consentono di avere un campo visivo molto ampio (nonostante la vista di questo animale sia modesta).

Fig 3.3.1 Campo visivo della Lepre

Per la presenza di un particolare strato di cellule nell'occhio (il tapetum lucidum, presente in tutti i mammiferi con abitudini notturne), la lepre è in grado di ottimizzare la scarsa luce disponibile nelle ore notturne, ma ciò limita il potere risolutivo dell'occhio nelle ore diurne. Un tratto caratteristico della lepre è dato dal notevole sviluppo dei padiglioni auricolari, che, più lunghi della testa, sono dotati di notevole mobilità e le consentono di percepire e localizzare ogni minimo rumore.

Le mammelle sono disposte per due file parallele in numero di tre paia: un paio pettorali e due addominali.

Peso e Dimensioni

La lunghezza media delle lepri è di 70 cm (varia tra 40 e 70) di cui e 7-11 cm sono rappresentati dalla coda, mentre il peso varia tra 2,5-6,5 kg ma può arrivare fino ai 7 kg negli esemplari di maggiori dimensioni (Spagnesi e Trocchi, 1992).

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La lunghezza dei padiglioni auricolari è compresa tra gli 8-14 cm, il piede posteriore 9,5-15 cm.

Misure Valore medio +/-D.S

Lunghezza testa-corpo (cm) 56,36 +/- 3,42

Lunghezza orecchio (cm) 10,27 +/- 0,53

Lunghezza coda (cm) 9,84 +/- 1,32

Lunghezza piede posteriore (cm) 14,03 +/- 1,07

Peso (kg) 3,44 +/- 0,63

Tabella 3.3.1 (Trocchi e Riga, 2005)

Mantello

Il corpo è ricoperto di pelo color fulvo-grigiastro frammisto con nero sul dorso, più rossiccio sul collo, sulle spalle e sui fianchi. Le orecchie hanno la punta nera e sono fulvo pallide; nera è pure la parte superiore della coda, che, inferiormente e ai lati, è bianca come il ventre. Il manto mostra tonalità più vicine al grigio durante la stagione invernale.

Denti

La lepre appartiene all'ordine Lagomorpha (Brandt, 1855) in quanto caratterizzata dal possesso di un paio di incisivi inferiori e due paia di incisivi superiori (3 alla nascita). Il secondo incisivo superiore si trova direttamente dietro al primo e non ha un margine tagliente. I denti incisivi sono privi di radici, a crescita continua limitata dall’usura, non sono presenti i canini, motivo per cui insiste uno spazio vuoto che intercorre tra gli incisivi ed i molari, chiamato “diastema”.

I Lagomorfi si differenziano dai Roditori perché questi ultimi presentano due paia di incisivi inferiori e due paia nella mascella superiore che giacciono però uno accanto all’altro.

Fig 3.3.2 Formula dentaria lepre (Trocchi e Riga 2005)

Ghiandole

Soprattutto durante la stagione riproduttiva, la socializzazione tra le lepri è facilitata dal rilascio del secreto di alcune ghiandole come quelle ano-genitali, che impregnano il terreno, e quelle pigmentali del naso, usate per lasciare tracce odorose su tronchi o rami. Il territorio

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viene marcato anche dal secreto di altre ghiandole situate all’interno delle guance e ciò si realizza quando l’animale compie la toelettatura leccandosi le zampe anteriori e passandole sulle guance. Servendosi di queste strategie di marcatura odorosa, le lepri possono quindi comunicare la loro presenza, il sesso, la condizione fisiologica e lo stato sociale (Trocchi e Riga, 2005).

Stima dell'età.

La stima dell'età è estremamente importante nei casi in cui si voglia fare una corretta gestione delle popolazioni (sostenibilità del prelievo) ma è importante anche nel caso di esigenze di studio o di mera conoscenza.

Nella lepre europea i metodi di stima dell’età sono diversi a seconda se l’esemplare è in vita (in mano o in natura) o è morto.

Nel primo caso, è possibile asserire che fino all’età di circa tre mesi i giovani crescono molto rapidamente e in modo regolare, tanto che si possono distinguere dagli adulti anche a distanza. Dai tre mesi in poi, le trasformazioni sono via via meno importanti e la variabilità individuale può mascherare le variazioni dovute all’età.

Dal momento in cui la variazione del peso non è più significativa per la stima dell'età (con il raggiungimento dell'età adulta), un valido metodo è il grado di ossificazione delle ossa lunghe che possiedono, in fase di accrescimento, una parte cartilaginea alle estremità.

Al termine di tale processo fisiologico la cartilagine di coniugazione è rimpiazzata da tessuto osseo, che inizialmente si presenta sotto forma di un callo osseo che viene progressivamente sostituito da tessuto osseo vero e proprio (Trocchi e Riga, 2005).

Nei giovani e in parte nei sub-adulti questa caratteristica è apprezzabile al tatto (o visivamente, su un esemplare morto, incidendo la cute), in modo particolare (ma non esclusivo) a livello dell’epifisi distale dell’ulna (Broekhuizen e Maaskamp, 1979). In questo punto (denominato tubercolo di Stroh) fino all’età di 7 mesi circa è presente la cartilagine di coniugazione, che in seguito scompare lasciando un callo osseo fino all’età di 8 - 9 mesi. Nel caso si debba stimare l'età di un animale morto, oltre alla palpazione del tubercolo di Stroh, è possibile valutare il peso secco del cristallino dell’occhio (organo che aumenta di peso per tutta la vita della lepre). Soprattutto nella fase giovanile tale peso è un valido indicatore dell’età, ma a causa dei minori incrementi ponderali negli esemplari da un anno in su e della variabilità individuale, tale parametro è utilizzabile con sicurezza solo per la valutazione dell’età nei giovani.

Ulteriori metodiche di stima dell’età, utili a fini di studio sono: la verifica del grado di ossificazione delle suture del cranio e lo studio delle linee annuali di arresto dell’apposizione

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secondaria dell’osso (ad es. nella mandibola), che consentono di determinare l’età negli esemplari adulti con buona attendibilità (Ohtaishi et al., 1976; Frylestam, 1977).

3.4 Etologia: comportamento sociale e riproduttivo

Sebbene la lepre europea sia considerata solitaria, in realtà la sua distribuzione nel territorio è di tipo «aggregato» anche quando presente con densità molto basse, il che significa che pur avendo ogni individuo il suo territorio, i vari territori sono contigui, in modo che la popolazione risulti aggregata il più possibile e siano favorite le interazioni sociali.

La lepre dunque, tende a raggrupparsi in determinati settori più favorevoli dal punto di vista ambientale, ma anche allo scopo di organizzare una minima struttura sociale necessaria per la sopravvivenza della popolazione locale. Le relazioni sociali si sviluppano normalmente di notte e nelle aree di pascolo, dove la presenza di più esemplari consente di spendere meno tempo per l’attività di vigilanza a vantaggio del tempo dedicato all’alimentazione ed alle interazioni intraspecifiche vere e proprie (Spagnesi e Trocchi, 1992).

Come detto in precedenza, soprattutto durante la stagione riproduttiva, la socializzazione nelle lepri è facilitata dall’aumento dell'attività ghiandolare.

Nonostante la preferenza per gli orari crepuscolari e notturni, la lepre spesso abbandona il proprio rifugio anche di giorno nei periodi dell’accoppiamento nelle zone a minor disturbo antropico o a minor rischio predatorio. In quest’ultimo caso un minimo di attività si osserva anche nelle ore centrali della giornata (tra le 11 e le 15,30) (Tottewitz, 1993; Pépin e Cargnelutti, 1994).

Durante il giorno, nei periodi non riproduttivi, di norma la lepre si rifugia in una semplice depressione del terreno ricavata in punti con vegetazione quasi impenetrabile o nel bosco; altre volte il nascondiglio è posto tra la vegetazione erbacea, tra le zolle dei terreni arati o al margine dei canali idraulici, nei campi in pianura. Se non disturbata la lepre può ritornare nei covi già frequentati (o nelle loro immediate vicinanze), per brevi periodi; è raro, invece, che ciò accada a distanza di qualche settimana dal primitivo insediamento. In inverno può rifugiarsi anche sotto la neve.

Per quel che riguarda il comportamento anti-predatorio, è noto che in presenza di un pericolo, la lepre, anziché scappare immediatamente rischiando di attirare l'attenzione del predatore, si immobilizza. Tuttavia, se il pericolo risulta essere molto vicino, con un salto che può arrivare fino ai 1,5 m in altezza e 2,5 m in lunghezza, essa esce allo scoperto e fugge con una fuga zigzagante che disorienta l'aggressore.

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Nel caso in cui il predatore sia una volpe, la lepre mette in atto una strategia difensiva specifica (non si comporta allo stesso modo in presenza di un cane): essa prosegue nell’attività di alimentazione, pur mantenendo uno stato di allerta; se il predatore si avvicina fino a circa 30 metri, la lepre si erge sulle zampe posteriori mostrando il ventre chiaro (“standing”), segnalando così al predatore che è stato individuato e che la prosecuzione dell’attacco non avrebbe esito fruttuoso.

Tale comportamento porta vantaggio ad entrambi i protagonisti: la volpe non spreca tempo ed energie in un attacco fallimentare e la lepre, oltre ad evitare l’attacco, può verosimilmente dedicare più tempo ad altre attività essenziali. Se la distanza predatore/preda si riduce a circa 20 m la lepre si dà alla fuga (Holley, 1993).

Comportamento riproduttivo.

La maturità sessuale delle lepri, si ha ad un anno d'età (ma dipende anche dal peso e dallo sviluppo che l'animale riesce a raggiungere nel corso dell'anno) e la stagione degli accoppiamenti va dal mese di dicembre al mese di luglio mentre i parti vanno da febbraio a ottobre. La gestazione dura 42 giorni ed ogni lepre può avere da 1 a 4 parti all'anno con la nascita di uno o due leprotti (in natura), la cui speranza di vita è legata anche alla qualità ed alla quantità delle cure parentali che ricevono.

La lepre europea è specie poligama, non vi sono però veri e propri harem detenuti da maschi dominanti, questi si limitano a scacciare i più giovani che, sia pure in minor misura, riescono comunque ad accoppiarsi con femmine vaganti.

La percezione degli odori secreti dalle specifiche ghiandole svolge un ruolo determinante sul comportamento riproduttivo e sulla preparazione fisiologica all'accoppiamento; sulle tracce delle femmine i maschi compiono percorsi anche diversi chilometri (Spagnesi e Trocchi 1993).

La competizione tra maschi, che si manifesta con violenti combattimenti attuati con gli arti anteriori e le unghie (a volte con morsi), inizia già alcune settimane prima dell’inizio degli accoppiamenti, ovvero a partire dai primi giorni di dicembre e presenta il culmine in primavera, proseguendo per tutta l’estate ma in misura ridotta.

I luoghi dove avvengono i combattimenti sono in genere aree aperte tali da permettere di individuare eventuali pericoli; essi sono riconoscibili per la presenza di ciuffi di peli sparsi sul terreno. Nelle fasi di accoppiamento si verificano analoghe scaramucce anche tra maschi e femmine, questo comportamento ha però la funzione di preparare fisiologicamente le femmine all’accoppiamento ed all’ovulazione che è indotta dal coito. Una femmina può essere fecondata una seconda volta 4-10 giorni prima del parto grazie alla bipartizione

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dell'utero (fenomeno della superfetazione, più frequente nell'allevamento in gabbia che in natura; Marconi, 1991; Trocchi e Riga, 2005).

Di seguito si schematizzano le fasi dell'accoppiamento:

Le lepri giungono separatamente nell’area prescelta formando piccoli gruppi entro i quali più facilmente si verificano comportamenti di eccitazione collettiva: la riunione di più animali in gruppo e la maggior presenza nell'area occupata degli odori prodotti dal secreto delle ghiandole attive nel periodo riproduttivo, favoriscono l'attivarsi dei comportamenti riproduttivi stessi. Poi alcuni esemplari si allontanano anche solo momentaneamente, mentre altri cominciano a separarsi in coppie, alle quali si possono unire singoli esemplari.

Le coppie si sciolgono e poi si riuniscono, si verificano delle baruffe tra gli individui che si devono accoppiare, con contatti ripetuti al ventre per mezzo delle zampe anteriori e del muso che fanno parte del rituale di corteggiamento.

In seguito avvengono gli accoppiamenti (è possibile osservare anche accoppiamenti a cui non è preceduto il rituale di corteggiamento).

La copula, che dura da 10 a 30 secondi, termina con un brusco movimento degli arti posteriori da parte della femmina ed un conseguente salto laterale da parte del maschio.

Si possono avere anche più accoppiamenti tra individui diversi nella stessa notte. La lunghezza della stagione riproduttiva della lepre europea è regolata dal fotoperiodo più che dalle condizioni climatiche. Le prime nascite avvengono già alla fine di gennaio ma avverse condizioni climatiche possono determinare un’elevata mortalità dei leprotti, soprattutto nelle regioni settentrionali e montane. Il numero delle nascite è massimo tra aprile, maggio, giugno e la metà di luglio, poi decresce rapidamente fino alla prima decade di ottobre (Trocchi e Riga, 2005).

La stagionalità nell’attività riproduttiva può corrisponde ad un adattamento a condizioni ambientali sfavorevoli, che per le specie che vivono nelle regioni a clima temperato-freddo comporta una diapausa autunno-invernale, mentre per quelle che vivono negli ambienti caldo-aridi una flessione dell’attività nel periodo estivo.

In Italia la riproduzione di L. europaeus è caratterizzata da un pattern stagionale con diapausa autunnale (Trocchi e Riga 2005), pattern che si conserva anche in condizioni di cattività. Il periodo di riposo sessuale è relativamente breve (60-70 giorni) essendo compreso tra ottobre e dicembre.

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Cura dei piccoli

Con il termine “leprotti” si intendono gli individui facenti parte della prima classe d'età dal momento della nascita allo svezzamento (a cui seguono i giovani, esemplari in fase di crescita non ancora sessualmente maturi; i sub-adulti, esemplari sessualmente maturi di età inferiore all’anno, con mole paragonabile a quella dell’adulto; adulti, esemplari di età pari o superiore all’anno).

Dopo una gestazione di 6 settimane nascono generalmente da 1 a 6 piccoli che sono coperti di pelliccia, con peso variabile tra i 70 ed i 120 g (Flux, 1967; Broekhuizen e Martinet, 1979) ed “atti”, cioè con gli occhi aperti e già in grado di correre e di spostarsi, anche se per brevi tratti. La madre non prepara per loro un vero e proprio giaciglio e pur rimanendo il luogo della nascita il punto di ritrovo per l'allattamento, la femmina lascia i piccoli quasi sempre da soli, riunendosi a loro solo per allattarli, operazione che le lepri compiono in maniera molto veloce.

Questo atteggiamento è legato ad una strategia di protezione dei piccoli: essi alla nascita non hanno l'odore caratteristico della specie e questo è ciò che meglio li difende dai predatori: l'odore infatti viene assunto solo quando i leprotti iniziano l'alimentazione solida e la ciecotrofia, strategia alimentare di cui si parlerà nello specifico più avanti. Se la madre prolungasse la sua permanenza durante l'allattamento, rischierebbe di trasmettere loro il proprio odore esponendoli, di fatto, alla predazione. Singolare è, tuttavia, il comportamento dei leprotti che, se scoperti da un potenziale aggressore, reagiscono e, compiendo brevi salti, tentando di morderlo.

L'allattamento dura per 2 – 3 settimane ed i leprotti sono completamente svezzati entro le 4-5 settimane.

L'aumento di peso dei leprotti è continuo nei 35 giorni successivi alla nascita, con un picco all'ottavo giorno; nonostante i leprotti comincino ad alimentarsi con cibo solido durante la seconda settimana di lattazione, il latte resta la principale fonte di energia. Tuttavia, i piccoli delle figliate più numerose (da 3 piccoli in su) possono compensare meno fabbisogno energetico con il latte rispetto a quelli delle nidiate meno numerose e traggono più energia dai cibi solidi.

Il peso allo svezzamento è correlato al peso alla nascita il quale, a sua volta, è legato alla dimensione della cucciolata.

Nelle prime settimane di vita i leprotti hanno forme più raccolte rispetto agli adulti, con orecchie ed arti posteriori relativamente più brevi e testa proporzionalmente più grossa. Il colore del mantello nei giovani è più finemente brizzolato nelle zone superiori del corpo, più

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grigiastro sui fianchi e grigio-biancastro nelle parti ventrali; nel giovane le tonalità bruno-rossicce dell’adulto risultano più tenui, in genere di color paglierino.

La cucciolata è capace di termoregolarsi a partire dal primo giorno, anche con temperature molto rigide, probabilmente usando anche la vasocostrizione periferica (Hacklander, Arnold, Ruf, 2001).

È stato inoltre evidenziato in varie specie del genere Lepus che le dimensioni della figliata sono inversamente correlate con la temperatura media annua e quindi con la latitudine (Flux, 1981; Hackländer, 2007). Questa variazione, si riscontra anche nell’ambito della stessa specie, nei casi in cui l’areale sia piuttosto ampio, come ad esempio in L. europaeus, L. timidus e L.

californianus nelle quali le popolazioni più settentrionali presentano figliate più numerose di

quelle più meridionali; tale variazione può essere interpretata come una risposta adattativa di ciascuna specie alle diverse condizioni ambientali interne all’areale.

3.5 Ecologia

Habitat

La lepre è una specie originaria delle steppe ed è quindi legata agli ambienti aperti, a dominanza di associazioni di piante erbacee.

Nei moderni agro-ecosistemi le associazioni naturali sono ormai in gran parte sostituite da quelle coltivate, alle quali peraltro la lepre mostra di adattarsi perfettamente, tanto che proprio in questi ambienti artificiali si riscontrano densità maggiori (Spagnesi e Trocchi, 1992), con preferenza per le zone coltivate a cereali autunno-vernini. L’elevata produttività di queste zone, gli consente di raggiungere densità di oltre 100 esemplari per km² (Trocchi e Riga, 2005).

Tuttavia, la lepre frequenta una grande varietà di ambienti: brughiere, zone dunose, terreni golenali, boschi (principalmente di latifoglie e ricchi di sottobosco); evita le fitte boscaglie e le foreste troppo estese, i terreni freddi e umidi dove al mattino la rugiada si mantiene a lungo e le pendici ombrose.

In generale è possibile affermare che densità elevate e esemplari in buone condizioni fisiologiche, si hanno nelle zone collinari caratterizzate da aree aperte con scarsi boschi, con scarsa presenza di predatori, limitata antropizzazione, abbondante disponibilità idrica naturale e siti di rimessa (Paci et al., 2007). La presenza dei boschi può essere tollerata se percentualmente non elevata (fino al 30% circa dell’area) e se in formazioni non compatte. La scelta delle aree boscate come habitat è stata evidenziata solo in presenza di un forte pascolamento delle zone aperte da parte di altri erbivori, ma è noto come molte popolazioni di

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lepre sussistano in zone ampiamente forestate del centro e del sud Italia, seppure in basse densità (come evidenzia il presente lavoro).

Le aree pastorali (pascoli e prati permanenti) sono sostanzialmente assimilabili alle steppe e come in queste le densità delle popolazioni di lepre non raggiungono valori elevati.

È da notare, inoltre, come le lepri preferiscano frequentare i pascoli “migliorati” o gli appezzamenti seminati con specie foraggere coltivate, rispetto alle praterie naturali, soprattutto se non pascolate regolarmente.

Per quel che riguarda l'altitudine, pur preferendo ambienti pianeggianti e collinari, la lepre si spinge in montagna fin verso i 2000 metri s.l.m. e, al di sopra di 1500 metri sulle Alpi, può coabitare con la lepre bianca (Spagnesi e Trocchi, 1992). Sull'Appennino la lepre europea si spinge fino ai 2.500 - 2.600 metri s.l.m.

Home range

Benché sedentaria, la lepre non è legata al territorio frequentato al punto da difenderlo attivamente da intrusi e rivali.

L’area frequentata può essere distinta in due zone funzionalmente differenti:

l’home range vero e proprio (o area vitale), in cui la lepre stabilisce i suoi rifugi e le zone di foraggiamento;

la zona di esplorazione e fuga circostante (di circa un chilometro).

L’home range è soggetto a continue variazioni stagionali, per la necessità di adattarsi al mutare delle risorse disponibili (Pépin e Angibault, 2007), di reagire a situazioni climatiche, o per esigenze sociali.

Le dimensioni tipiche dell’home range della lepre europea, possono variare tra 26 e 190 ha. Secondo alcuni studi radio telemetrici, l’home range è più esteso in territori con un basso indice di diversità ambientale, mentre sembra essere più ristretto in aree con una più elevata varietà di habitat.

Anche la stagione riproduttiva influenza l'uso dello spazio: normalmente l'home range dei maschi si sovrappone a quello di più femmine mentre gli home range dei maschi sono separati; nella stagione riproduttiva però, gli home range maschili si sovrappongono (in misura molto limitata) e nei punti di intersezione si possono osservare i combattimenti rituali fra i maschi per la conquista delle femmine.

Alimentazione

La lepre ha un regime alimentare esclusivamente vegetale ed estremamente vario: se vi è disponibilità di pabulum, la lepre consuma una grande varietà di specie, mentre in caso

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contrario la sua alimentazione può basarsi anche per il 70% sulla stessa essenza (Lambertini, 1992).

È comunque un animale molto selettivo (della grande varietà di specie di cui può alimentarsi, ne preferisce solo alcune) che si nutre soprattutto la sera, la notte e all’alba in più pasti.

La lepre non fa quasi uso di acqua per la dieta esclusivamente vegetale. Lo spettro alimentare della lepre varia stagionalmente:

primavera-estate: erbe spontanee, erba medica, alcune crucifere e composite, erbe aromatiche.

autunno-inverno: erbe secche, frutta, bacche, semi, ghiande, funghi, germogli di cereali coltivati, cortecce.

In casi estremi possono entrare nell’alimentazione della specie anche aghi di abete e di larice, ramoscelli di mirtillo, di rosa e salice, quindi materiali legnosi e semi-legnosi (Lambertini, 1992).

Tra i generi pascolati fondamentali nella dieta della lepre troviamo le graminacee, la cui importanza è stata accertata anche nelle aree steppiche dell’Est europeo, dove nel periodo invernale a causa della copertura nevosa le lepri consumano anche erbe secche, cortecce e germogli di piante arboree ed arbustive (Fadejev, 1966; Solomatin, 1969).

Homolka (1983) sottolinea l’importanza delle piante arboree ed arbustive nella dieta invernale, tanto che in presenza di neve, questa componente può contribuire fino al 70%. I Generi preferiti sono numerosi, tra cui Malus, Pirus, Salix, Crataegus, Popolus, Robinia,

Quercus, Pinus, Fraxinus, Tilia, ecc.. . Tale abitudine alimentare, che in certi casi si manifesta

anche in primavera negli ecosistemi agricoli ove si pratica la frutticoltura, può determinare seri problemi economici, soprattutto se le lepri non hanno valide alternative tre le piante spontanee. Esse scortecciano le piante sino ad un’altezza di circa 70-75 cm dal suolo, lasciando le impronte dei denti orientate in modo caratteristico parallelamente al terreno.

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Fig 3.5.1 Scortecciamento effettuato da lepre su ramo di conifera

A differenza dei ruminanti, la lepre digerisce la “fibra” o CS (Carboidrati Strutturali), le proteine ed i NSC (Carboidrati Non Strutturali) mediante fermentazione nell’intestino cieco. Poiché il sito di digestione principale è a valle, successivo al sito di assorbimento dei principi nutritivi (cioè l’intestino tenue), per beneficiare dell'assorbimento dei nutrienti forniti dall'alimentazione, la lepre ricorre ad una strategia peculiare e tipica dei lagomorfi: la ciecotrofia.

Questo meccanismo permette all’alimento di attraversare due o più volte l’intero apparato gastro-enterico e quindi di subire un secondo processo digestivo.

La lepre, infatti, produce 2 tipi di feci:

feci dure: di forma tondeggiante, compatte e con diametro di 15-20 mm;

feci molli: umide, di forma allungata, ricoperte di un muco protettivo e ricche di vitamine del gruppo B.

Le feci molli sono dette anche “ciecotrofo” e vengono prodotte nel cieco grazie ad una alternanza di movimenti peristaltici ed antiperistaltici sia del cieco che della porzione prossimale del colon. Questi movimenti permettono la separazione delle particelle più grossolane da quelle più fini consentendone una migliore digestione.

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L’emissione dei due tipi di feci avviene in momenti diversi della giornata:

il ciecotrofo viene emesso prevalentemente nella seconda metà della mattinata e nel primo pomeriggio (all’incirca tra le 11,00 e le 15,00 quando l'animale è a riposo) e viene re ingerito prelevandolo direttamente dall’ano per una nuova digestione;

le feci dure vengono emesse prevalentemente quando l’animale è in piena attività (sera, notte e mattina presto).

Segni di presenza

La presenza o il passaggio di una lepre in un dato ambiente può essere rivelata da tracce di diversa natura che vengono definite “osservazioni indirette”. Tali osservazioni consentono di acquisire importanti informazioni non solo sulla presenza e abbondanza relativa della specie ma anche sulla sua etologia, fornendo precise indicazioni su abitudini, relazioni sociali e preferenze ambientali.

Tra i segni di presenza principali troviamo:

Orme e/o piste: le orme sono il segno lasciato, sul terreno o su altri substrati, dalle zampe dell'animale, in cui si identificano le parti costituenti la superficie plantare. Una serie di impronte costituisce una pista (o traccia).

Poiché la lepre poggia posteriormente anche il metatarso, le tracce dei piedi posteriori sono più lunghe di quelle degli anteriori; inoltre, per la caratteristica andatura di questo animale, risultano precedere le orme dei piedi anteriori e procedono appaiate. I piedi anteriori invece, procedono uno dietro l'altro.

Dall'osservazione delle impronte è possibile determinare la velocità a cui procedeva l'animale, valutando la distanza tra le orme lasciate dalle zampe anteriori e da quelle posteriori; all'aumentare dell'andatura, aumenta tale distanza. (Spagnesi e Trocchi, 1992).

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Fig 3.5.2 Impronta di Lepus europaeus su terreno innevato

Deposizioni fecali: gli escrementi, ci forniscono informazioni non solo sulla presenza

o transito dell’animale, ma anche sul grado di utilizzo di quel territorio, infatti una maggior presenza di essi corrisponde ad un maggior utilizzo temporale di un determinato ambiente. Nelle operazioni di riconoscimento delle specie attraverso l’osservazione degli escrementi, i principali criteri di confronto da tenere in considerazione sono le dimensioni e la forma, in quanto il colore è determinato principalmente dal tipo di alimento ingerito presentando pertanto variazioni occasionali e/o stagionali anche notevoli (Cicognani et al., 2002).

Gli escrementi di lepre si presentano in forma rotondeggiante, compatta e composta in gran parte da cellulosa e lignina non digerite; gli individui più giovani sono individuabili dalle dimensioni ridotte dei loro escrementi rispetto a quelle prodotte dagli adulti.

A differenza del coniglio selvatico la lepre non ha le cosiddette “latrine”, per cui gli escrementi vengono rilasciati in maniera casuale nei posti in cui essa si muove (Spagnesi e Trocchi, 1992).

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Fig 3.5.3 Deposizioni fecali di Lepus europaeus in bosco di latifoglie

Covi: sono delle piccole depressioni del terreno dovute allo schiacciamento dell'erba o della neve nel punto in cui un animale si accuccia nelle ore di riposo.

Attività di alimentazione: con questo termine si intendono, nel caso della lepre, i segni di brucatura; per individuarli occorre guardare l'estremità della pianta che risulta essere recisa con un taglio netto e obliquo (Spagnesi e Trocchi, 1992). Tali segni si possono individuare sulle foglie appena germogliate delle graminacee, che sono recise in maniera netta quasi al livello del suolo, o su quelle delle leguminose tagliate a circa due terzi della loro altezza.

Competitori, predatori e principali cause di mortalità

Nonostante le lepri abbiano una longevità media di 6 anni (eccezionalmente di 12), sono soggette a numerosi fattori di mortalità.

In natura le principali cause di mortalità sono: le malattie, le avversità climatiche e la predazione, spesso in relazione tra loro e con la qualità dell’habitat.

Rispetto a questi fattori le popolazioni di lepre e gli individui stabiliscono delicate forme d’equilibrio (es. “predatore-preda”, “ospite-parassita” ecc.), che possono essere alterate da eventi climatici eccezionali e da una gestione non corretta.

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In tale contesto si colloca anche la comparsa di nuovi agenti patogeni, introdotti ad esempio con le lepri di ripopolamento importate da aree geografiche assai distanti. Tra questi, il più grave è stato il virus dell’E.B.H.S.V. (Epatite virale della lepre), paragonabile alla diffusione della Mixomatosi e della Malattia emorragica virale nel coniglio selvatico.

Per quel che riguarda le parassitosi (uno degli aspetti presi in considerazione nel presente lavoro), le più importanti sono soprattutto quelle dell’apparato digerente e respiratorio (descritte nel prossimo paragrafo), che solo in determinate circostanze possono divenire causa di morte. È il caso ad esempio dei coccidi (se ne segnalano 8 specie in L. europaeus), che possono determinare il decesso (prevalentemente nei leprotti) e degli Strongili polmonari, che colpiscono gli esemplari adulti. Più spesso i parassiti manifestano un’azione debilitante e predisponente sia l’insorgenza di malattie infettive, che la predazione.

Tra le patologie batteriche importanti, troviamo pasteurellosi, yersiniosi, staffilococcosi, tularemia, yersiniosi o pseudotubercolosi, malattia di Lyme, encefalite da zecche di tipo centro-europeo o TBE (di queste solo le prime tre non sono zoonosi) e la brucellosi.

Tra i fattori artificiali di mortalità vi sono naturalmente la caccia ed il bracconaggio, numerose attività agricole (pesticidi, meccanizzazione, modificazione dell’habitat), il traffico stradale, l’inquinamento.

La predazione è una importante causa di mortalità soprattutto per i leprotti. La volpe rappresenta il predatore più importante per la specie, anche in considerazione della sua ampia distribuzione e densità relativa. Altri predatori potenziali sono il lupo, alcuni Mustelidi, il gatto, la maggior parte dei Rapaci diurni e notturni, tuttavia l'incidenza della predazione per ognuno di questi animali dipende dallo spettro alimentare prevalente, dagli ambienti frequentati e, soprattutto, dal ruolo ecologico che rivestono, anche nel mantenimento degli equilibri già ricordati. Predatori occasionali sono alcuni Corvidi, il cinghiale ed il tasso (Trocchi e Riga, 2005).

Una delle problematiche più recenti per le popolazioni di lepre europea, è legata all'introduzione di una specie alloctona nota come minilepre o silvilago, il cui nome scientifico è Sylvilagus floridianus, la quale, dovrebbe essere posta sotto stretto controllo o eradicata (Vigorita et al., 2003a; Spagnesi e De Marinis, 2002).

Infatti, pur non essendoci competizione alimentare diretta per differenziazione di nicchia trofica, mancano studi relativi alla selezione dell’habitat in aree dove sono presenti entrambe le specie.

Sono inoltre stati messi in evidenza alcuni aspetti importanti del ruolo sanitario che la minilepre può avere sulla fauna autoctona; in particolare, è emerso che il Sylvilagus potrebbe avere un ruolo nella trasmissione dell’EBHS alle lepri (Lavazza et al., 2001).

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Parassitosi Protozoi.

I protozoi sono organismi microscopici unicellulari, all’interno dei quali si possono trovare uno o più nuclei.

Soltanto una parte delle circa 20.000 specie descritte conduce vita parassitaria (Boch e Supperer, 1980) e solo in una parte la riproduzione avviene soltanto per via asessuata (schizogonia), mediante semplice divisione cellulare. Nei ciliati e negli Apicomplexa si aggiunge infatti una generazione sessuata; negli Apicomplexa si ha anche la produzione di forme cellulari particolari, sessualmente differenziate in cui i microgameti fecondano i macrogameti originando lo zigote, mobile in alcune specie (oocinete). Se lo zigote è circondato da una membrana fissa e duratura si parla di oocisti.

Molti protozoi parassiti presentano un ciclo diretto (ad un solo ospite), altri hanno bisogno di più di un ospite per il loro sviluppo (Boch e Supperer, 1980).

Fra le malattie della lepre dovute ai protozoi la più frequente e studiata è la coccidiosi, quasi costantemente presente nelle lepri allo stato libero. Altre malattie protozoarie riportate nella lepre sporadicamente o eccezionalmente sono la toxoplasmosi (Olliaro et al. 1990; Gustafsson e Uggla, 1993; Haerer et al.1997; Sedlak et al. 1997), la neosporosi (Ferroglio et al., 2000), la sarcosporidiosi (Odening et al.,1996) e la theileriosi (Vaccari et al., 1958).

• Coccidiosi

I coccidi sono dei protozoi inseriti nel Phylum Apicomplexa, nella Famiglia Eimeriidae (sviluppo intracellulare) e nel genere Eimeria sono parassiti endocellulari non obbligati continui: svolgono alcune fasi del loro ciclo all'interno delle cellule dell'ospite e altre nell’ambiente esterno, senza intermediazioni biologiche (ciclo diretto), con le forme di resistenza (oocisti).

I coccidi dei mammiferi sono generalmente monoxeni: nel loro ciclo biologico parassitano una sola specie animale. La schizogonia e la gametogonia avvengono all’interno dell’ospite, mentre la sporulazione (maturazione dello zigote fertile) avviene nell’ambiente esterno. La fase del ciclo vitale dei coccidi nell'ambiente esterno si svolge sotto forma di oocisti le quali non hanno solo funzione di resistenza, ma subiscono una maturazione moltiplicativa (sporulazione) che porta alla formazione delle fasi infettanti, gli sporozoiti.

La caratteristica degli organismi appartenenti al Phylum Apicomplexa è quella di possedere un "complesso apicale" che ha la funzione di favorire la penetrazione del protozoo all'interno della cellula dell’ospite.

(18)

46 • conoide: struttura a tronco di cono formata da filamenti avvolti a spirale;

• rhoptrie: organuli osmiofili a forma di clava che hanno una funzione di raccolta degli enzimi litici mentre non è chiaro se siano esse stesse capaci di produrre sostanze litiche;

micronemi: strutture ghiandolari che secernono enzimi litici;

microtubuli o fibrille sottopellicolari;

anello polare.

I coccidi della lepre appartengono alla famiglia Eimeriidae ed al genere Eimeria. Colonizzano prevalentemente le cellule epiteliali della mucosa dell'apparato digerente, ma nel coniglio e nella lepre anche le cellule epatiche e dei dotti biliari. Nell’ordine dei Lagomorfi infatti, si possono distinguere due forme di coccidiosi: una epatica e l’altra intestinale. Non sono rare forme miste di eimeriosi (Levine e Ivens, 1972).

Il genere Eimeria che ha la caratteristica di avere oocisti mature con quattro sporocisti, ognuna contenente 2 sporozoiti.

La diagnosi di eimeriosi (Marcato e Rosmini, 1986) negli animali vivi si basa sull'esame coprologico, ovvero sulla dimostrazione delle tipiche oocisti nelle feci; questa dimostrazione può però mancare nelle forme iperacute ed acute perché l'emissione delle oocisti avviene solo dopo un determinato periodo dall'inizio dell'infezione, cioè dopo il periodo prepatente. Nella fase prepatente si ha necrosi cellulare che, nelle forme acute e iperacute, può provocare la morte dell’animale per shock.

Nell'animale morto la diagnosi si basa su un attento esame dell'intestino per riscontrare le tipiche lesioni e sulla dimostrazione dei parassiti nelle sedi elettive. Il riconoscimento dei coccidi (Levine e Ivens, 1972) viene fatto in base alla loro forma, grandezza, colore, parete cistica, presenza od assenza della capsula polare e del micropilo.

Nella lepre (Marcato e Rosmini, 1986), la coccidiosi colpisce soprattutto animali giovani tra il primo e il quarto mese di età.

Nel 1972 Levine pubblica un articolo dal titolo “I coccidi dei leporidi” in cui descrive 36 specie di coccidi, tutti appartenenti al genere Eimeria che sono stati descritti in 3 dei 9 generi ed in 11 delle oltre 48 specie di lagomorfi della famiglia Leporidae. I coccidi riportati da Levine sono stati descritti nella singola specie del genere Oryctolagus, in 4 delle 13 specie di

Sylvilagus ed in 6 delle 26 specie di Lepus. Questi generi presentano rispettivamente 12,12 e

14 specie di Eimeria di cui solo due sono comuni ai generi Oryctolagus e Sylvilagus. Il genere

Lepus, invece, non presenta alcuna specie coccidica in comune con gli altri due generi. Una

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localizzazione di 22 specie non è conosciuta. Il ciclo biologico delle specie della lepre non è conosciuto. I coccidi sono stati riportati in 3 generi della famiglia Leporidae ed in undici specie (ovvero nel 33% dei generi e nel 20% delle specie). Sicuramente questa statistica dovrebbe essere soggetta ad una revisione. Ancora oggi, infatti, la tassonomia della lepre e dei coccidi specifici del genere Lepus rimane confusa ed in continua evoluzione.

Nel corso dei primi studi era stato ipotizzato che tutti i leporidi fossero parassitari da una singola specie di coccidio: E. stiedai a localizzazione epatica. Successivamente si è giunti alla conclusione che alcuni coccidi si riscontravano nel fegato ed altri nell’intestino. Leuckart (1929) denominò la specie intestinale Eimeria perforans. Pellerdy (1956) afferma che dagli anni 30 del 1900 era opinione comune che i coccidi del coniglio domestico (Oryctolagus

cuniculus) e delle lepri selvatiche (Lepus) appartenessero alle stesse specie. Il motivo di

questa convinzione era la stretta somiglianza delle caratteristiche morfologiche delle oocisti dei coccidi dei generi Oryctolagus e Lepus. Quindi, per molto tempo la confusione riguardo alla nomenclatura era causata dalla convinzione che tutti i conigli e le lepri fossero equiparabili e che una specie parassita riscontrata nell’uno potesse esser presente anche nell’altra.

Carvalho (1943) fu il primo a dimostrare, con infezioni sperimentali e sulla base delle caratteristiche morfologiche e biometriche delle oocisti dei coccidi parassiti dei generi

Sylvilagus, Oryctolagus e Lepus, che le specie del genere Eimeria che parassitano questi

ospiti sono strettamente specie specifiche. Più recenti studi, basati su infezioni crociate, hanno verificato che ogni genere di lagomorfo possiede i propri coccidi anche se alcuni di essi possono trasmettersi da un genere all’altro (Pèllerdy 1965). I coccidi intestinali del coniglio domestico non sono trasferibili alla lepre e viceversa (Pèllerdy 1965; Ballarini, 1966; Francalanci e Manfredini, 1970; Pastuszco, 1995).

Dai dati della letteratura relativi ai coccidi delle lepri, la prima specie riconosciuta come propria della lepre è stata descritta da Nieschulz (1923) e denominata Eimeria leporis. L’ospite-specificità dei coccidi di Lepus europaeus è stata dimostrata da Pellèrdy nel 1956 mediante esperimenti di infezione crociata. Sulla base degli esperimenti suddetti Pellèrdy (1965) ha rivalutato le descrizioni dei coccidi della lepre europea ed ha in parte modificato la classificazione di questi parassiti. Studi effettuati anche in Italia da Ballarini (1966) e Francalanci e Manfredini (1970) hanno dimostrato che la maggior parte delle specie coccidiche sono strettamente legate al proprio ospite.

Delle 13 specie di Eimeria riscontrabili nel genere Lepus (Eimeria stiedai esclusa) soltanto sette (Eimeria leporis, Eimeria towsendi, Eimeria semisculpta, Eimeria robertsoni, Eimeria

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48 stefanskii, Eimeria europea, Eimeria hungarica) sono specifiche per Lepus europaeus

secondo Pellerdy (1956, 1965, 1974) mentre secondo Terracciano (1986) e Spagnesi (1992) le specie riscontrabili in Lepus europaeus sono otto, Eimeria septentrionalis (Yakimoff, Matschoulsky e Spartansky, 1936) compresa.

I coccidi sono molto diffusi nella lepre comune, dove la percentuale di infezione va dal 62 al 99% (Spagnesi e Trocchi, 1992). Attraverso indagini sistematiche su animali abbattuti o morti spontaneamente e seguendo la classificazione riportata da Pellerdy (1965) sono state riscontrate in Italia (Poli et al., 1988; Gallazzi et al., 1990; Guberti et al., 2001) sette specie di

Eimeria a localizzazione intestinale (Eimeria leporis, E.hungarica, E.townsendi, E.robertsoni,

E.semisculpta, E.septentrionalis, E.europaea) ed una a localizzazione epatica

(E.stiedae/stiedai).

Toxoplasma, Neospora e Sarcocystis

Toxoplasma, Neospora e Sarcocystis sono tre generi di Protozoi inseriti nel Phylum Apicomplexa e nella Famiglia Sarcocystidae (Boch e Supperer, 1980).

In Italia, la toxoplasmosi della lepre è riportata nelle lepri dell’Italia settentrionale da Vaccari e collaboratori (1960) e da Gallazzi e collaboratori (1990) con rari casi riscontrati presso gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS) delle Venezie e della Lombardia ed Emilia. Attualmente, però, questa grave zoonosi va perdendo importanza nelle lepri nelle regioni dell’Italia settentrionale, dove sono in forte aumento le lepri allevate e sottoposte a controlli sanitari più accurati.

Per quel che riguarda Neospora caninum, mediante test di agglutinazione diretta sono stati rinvenuti anticorpi contro tale protozoo nel siero di una lepre europea importata in Italia dall’Ungheria. Una specie di Sarcocystis è stata trovata in Germania da Witzmann, ed altre cinque specie in Polonia.

Theileria

Il genere Theileria comprende Protozoi inseriti nel Phylum Apicomplexa, e nella Famiglia

Theileriidae. Nei vertebrati essi si riproducono nei linfociti, quindi si localizzano negli

eritrociti; il loro ciclo prevede la presenza di artropodi vettori (zecche) in cui avviene la gametogonia e la sporogonia (Boch e Supperer, 1980). In Italia la theileriosi della lepre è stata riscontrata da Vaccari e collaboratori (1958) identificato con Theileria leporis la specie in causa.

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Nematodi

Numerose sono le specie di nematodi che interessano il genere Lepus (Newey e Thirgood 2005). Di seguito trattiamo solo le specie (e le parassitosi ad esse riferibili) più frequentemente segnalate nel genere Lepus.

• Strongiloidosi

I nematodi che sostengono questa parassitosi appartengono all’ordine Rhabditida, alla Famiglia Strongyloididae ed al Genere Strongyloides. A questo genere appartengono 2 specie che possono parassitare i leporidi: Strongyloides papillosus e Strongyloides ransomi.

Le forme parassitarie sono lunghe da 2 a 9 mm e sottili. Nel ciclo biologico si alternano femmine partenogenetiche parassite a maschi e femmine a vita libera. Maschi e femmine non parassiti hanno esofago fornito di bulbo cosiddetto rabditoide e sembra che la loro presenza sia legata a condizioni ambientali favorevoli. Le femmine partenogenetiche che rappresentano la forma parassitaria misurano 3.5-6.0 mm di lunghezza e 50-65 μm di spessore. Il corpo è allungato di calibro pressoché omogeneo per tutta la lunghezza si assottiglia nella regione cefalica e in quella posteriore all’ano. Presentano una coda smussata a forma di dito lunga 54-78 μm. Le uova sono ellissoidali, embrionate e con un guscio sottile al momento della deposizione (Yamaguti, 1961); misurano 40-60 μm x20-36 μm (56-64 x 34-42 μm secondo Basir, 1950) e all'interno può essere ben visibile una larva a forma di U (Yamaguti, 1961). In Lepus europaeus, Strongyloides papillosus è stato riscontrato in Germania da Nickel e Gottwald nel 1978 e in Italia da Terracciano nel 1986.

• Tricostrongilidosi

Molte delle specie di nematodi riscontrate nella lepre appartengono alla Famiglia

Trichostrongylidae, con capsula boccale poco sviluppata o assente, ed ai Generi Trichostrongylus, Nematodirus, Obeliscoides e Graphidium (Keith et al.1986; Marcato e

Rosmini, 1986). In particolare i più noti tricostrongilidi gastrointestinali della lepre sono

Trichostrongilus retortaeformis, T. affinis, Graphidium strigosum, Nematodirus leporis ed Obeliscoides cunicoli (Marcato e Rosmini, 1986). L’infestione degli ospiti è realizzata

dall’ingestione delle larve infestanti (L

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50 • Tricuridosi

Alla Famiglia Trichuridae caratterizzata da esofago con corpo cellulare, e la presenza di 1 spiculo, appartengono i Generi Trichuris e Capillaria, riscontrati occasionalmente nella lepre (Levine, 1968). L’effetto patogenetico dei Trichuridi consiste nell’irritazione meccanica e nelle lesioni alla mucosa intestinale causate sia delle larve che penetrano nei tessuti sia dagli adulti che vi rimangono ancorati con la loro parte anteriore (Marcato e Rosmini, 1986).

• Passalurosi

Parassitosi molto frequente del cieco e del colon, che interessa prevalentemente le lepri. Il ciclo vitale è diretto e l’animale si infetta ingerendo le uova. Il parassita è dotato di scarsa patogenicità e può causare prurito anale, meteorismo, diarrea e conseguente cachessia soltanto in casi di massiva infestazione (Marcato e Rosmini, 1986). Non causa sintomi nelle infestazioni di modica entità (Spagnesi e Trocchi, 1992).

• Trichinellosi

Nella Famiglia Trichinellidae, in cui sono assenti gli spiculi, ma presenti 2 appendici coniche copulatrici è presente il Genere Trichinella, anch’esso segnalato nella lepre (Levine, 1968; Soulsby, 1968). Le infestazioni da Trichinella sono di norma lievi e decorrono asintoamtiche.

Strongilosi polmonare della lepre

Alla Famiglia Metastrongylidae (caratterizzata da 6 labbra di solito poco sviluppate o assenti) appartiene il Genere Protostrongylus, di cui numerose specie sono state riscontrate nei lagomorfi (Levine, 1968). In Italia, Terracciano (1986) riscontra Protostrongylus pulmonalis in Lepus europaeus; nel 2000, Battisti e collaboratori hanno isolato Protostrongylus

pulmonalis in Lepus timidus.

La protostrongiliasi provoca polmonite con lesioni nodulari diffuse, quadri di enfisema alternati ad atelettasia e fenomeni di bronchite e bronchiolite essudativa (Battisti et al. 2000). Nel 1992 Pajersky e collaboratori isolano Protostrongylus commutatus (Diesing, 1851)in

Lepus europaeus un parassita dei piccoli ruminanti, agente patogeno della protostrongiliasi.

Cestodi

Le diverse specie di cestodi dei leporidi appartengono all’Ordine Cyclophyllidea ed alla Famiglia Anoplocephalidae (Skrjabin, 1954).

(23)

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Le caratteristiche morfologiche generali della famiglia sono: scolice inerme e privo di rostello, utero trasversale, uova con apparato a forma di pera, proglottidi con poro genitale laterale singolo o doppio contenenti uova con la larva esacanta (Urquhart, 1998).

Lo sviluppo di tutti questi cestodi è analogo sia nei ruminanti (Moniezia spp.) e nel cavallo, con gli acari coprofagi (Oribatidi) presenti nell'ambiente esterno come ospiti intermedi, nel corpo dei quali si forma una larva infestante tipo cisticercoide. Il contagio avviene attraverso l'ingestione col cibo di acari contenenti cisticercoidi. Questi parassiti si localizzano nell’intestino tenue (Ambrosi, 1995).

L'infestazione da anoplocefalidi in genere non provoca alcuna sintomatologia; solo in caso di infezioni massive possono osservarsi turbe digestive (Heintzelmann-Grongroft, 1976), diarrea, dimagramento fino alla cachessia, a volte ostruzioni intestinali o sintomi nervosi (convulsioni, paralisi) (Marcato e Rosmini, 1986). I principali cestodi della lepre sono dei generi Cittotenia (C. ctenoides, C. denticulata, C. pectinata) e Andrya (A. rhopalocephala e

A. cunicoli) (Marcato e Rosmini, 1986).

• Trematodi

Le specie principali di trematodi coinvolte nelle parassitosi a carico di Lepus europaeus sono

Fasciola hepatica e Dicrocoelium dendriticum.

Fasciola hepatica (Linnaeus, 1758) è un trematode della famiglia Fasciolidae e presenta

corpo appiattito, di colore bruno pallido ricoperto da piccole spine retrovolte. Ha forma ovalare, cranialmente appuntita in un cono cefalico. La lunghezza varia a seconda dell’esemplare tra 18 e 50 mm e la larghezza è compresa tra 4-13 mm. Presenta due ventose ravvicinate: una alla sommità del cono cefalico (rotonda di circa mm 1 di diametro) ed una alla base di detto cono (poco più grande e triangolare). Ha intestino biforcato e molto ramificato. Nei grossi dotti biliari dove vive si nutre prevalentemente di sangue. È ermafrodita con testicoli posti dietro all’ovaio e poro genitale ubicato davanti alla ventosa ventrale. Depone grosse uova opercolate giallastre di 130-150 micron per 63-90 micron dalle quali in condizioni ambientali favorevoli si sviluppa una larva, il miracidio che schiuso dall'uovo continua l’evoluzione in un gasteropode d'acqua dolce del genere Limnea in cui si formano sporocisti, redie e cercarie. Le cercarie fuoriuscite dall'ospite intermedio si incistano su erbe palustri trasformandosi in metacercarie infestanti, che ingerite con le erbe dall'ospite definitivo raggiungono la sede elettiva (Ambrosi, 1995).

Il grande distoma Fasciola hepatica si riscontra raramente nella lepre. È infatti comparso solo in 18 su 1.440 soggetti esaminati in Polonia (Tropilo, 1964) e in 5 su 86 esaminati nei dintorni di Dresda (Nickel e Gottwald, 1979).

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52 Dicrocoelium dendriticum (Rudolphi, 1819) è un trematode ermafrodito della famiglia Dicroceliidae. Presenta corpo appiattito di forma lanceolata, lungo mm 14-22 e largo mm

1,5-2,5 con cuticola liscia e trasparente. La trasparenza della cuticola permette di vedere all’interno del parassita l’utero pieno di uova brunastre che appare come una macchia scura. Delle due ventose delle quali è provvisto, l’una orale ha diametro di 300-400 μm, l’altra ventrale ha diametro di 500-600 μm. Questo parassita si localizza nei dotti biliari dove depone uova opercolate di colore bruno lunghe micron 36-45 e larghe micron 22-23 che contengono il miracidio già formato. Queste uova eliminate con le feci sono molto resistenti alle avverse condizioni climatiche e ingerite da gasteropodi terrestri (Zebrina detrita, Helicella candidula) continuano il ciclo dando luogo a sporocisti di prima e seconda generazione e quindi a cercarie. Quest'ultime contenute in particolari grumi mucosi vengono espulse soprattutto dopo abbondanti piogge, e sono ingerite da formiche (F.fusca, F.rufibarbis), che rappresentano il secondo ospite intermedio, in cui diventano metacercarie infestanti (Ambrosi, 1995). L'ospite definitivo si infesta ingerendo le formiche insieme alle erbe. Negli animali infestati le metacercarie si schiudono e migrano, risalendo il coledoco, al fegato dove colonizzeranno i dotti biliari per diventare adulte dopo 72-85 giorni.

Dicrocoelium dendriticum è riscontrato spesso in distretti dove pascolano anche le pecore

(Soveri e Valtonen, 1983). E' stato osservato numerose volte nella lepre anche in Italia (Arru

et al., 1962; Maglione, 1967; Terracciano, Mancianti e Marconcini, 1988). La prova delle

infestazioni si evince in modo sicuro solo attraverso l'autopsia; l'analisi degli escrementi, non è affidabile poiché la coprodiagnostica è poco sensibile. Le lepri più vecchie sono spesso infestate (Spagnesi e Trocchi, 1992).

La distomatosi epatica dei leporidi sostenuta sia da F.hepatica che da D.dendriticum è causa di gravi lesioni-epatiche e secondo Bouvier e coll. (1954) è da considerarsi la più grave malattia parassitaria della lepre in considerazione del fatto che un piccolo numero di distomi può portare a morte l'animale. Questa malattia in Germania e Francia è stata attribuita soprattutto a F. heptica mentre in Svizzera a D.dendriticum .

Nickel e Gottwald in uno studio del 1978 su Lepus europaeus effettuato in Germania hanno isolato sia Fasciola hepatica che Dicrocoelium dendriticum, talvolta contemporaneamente presenti nello stesso ospite.

In Italia, Maglione (1967) ha osservato la dicroceliosi in lepri trovate morte; il fegato di questi animali presentava segni caratteristici di epatosi, epatite e sclerosi, con proliferazione della glissoniana e depositi di fibrina: esiti probabilmente dell'invasione del fegato da parte del parassita.

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Terracciano, nel 1986, ha isolato Dicrocoelium dendriticum da lepri di tre diverse zone di ripopolamento e cattura della provincia di Pisa. La prevalenza del distoma nelle tre popolazioni corrispondenti alle tre zone erano piuttosto variabili (rispettivamente del 6%, del 5,2% e del 17%). Questi diversi valori di prevalenza sono stati considerati da Terracciano (1986) come indice di una relazione tra la prevalenza della distomatosi in quei territori e la densità dei greggi di pecore che vi pascolano. Infatti da una stima del numero di pecore, presenti in quelle zone, è emerso che l’area con maggiore prevalenza equivaleva alla zona con maggior densità di bestiame.

Terracciano (1986) conclude che sia necessario mantenere controllato il numero di ovini e caprini che pascolano nelle aree di ripopolamento e cattura, sia per le parassitosi trasmissibili alle lepri (e ad altri selvatici) che per il disturbo che questi determinano alle popolazioni selvatiche.

3.6 Altre specie di Lagomorfi presenti in Italia

Così come è accaduto per altre specie animali, anche per la lepre (genere Lepus), la distribuzione e lo status attuale delle popolazioni sono il risultato dell’azione congiunta di eventi naturali e antropogenici. A oggi, è possibile affermare che in Italia sono presenti quattro specie appartenenti al genere Lepus:

Lepus europaeus: o lepre comune, quella di cui tratta il presente lavoro; Lepus timidus: detta 'lepre alpina' o 'lepre variabile';

Lepus capensis mediterraneus: o 'lepre sarda', sottospecie di Lepus capensis; Lepus corsicanus: detta 'lepre italica' o 'lepre appenninica'.

Lepus timidus

Generalità: la lepre alpina, o variabile (Lepus timidus), è distribuita nelle Alpi con popolazioni vitali e ben conservate. Eventi di ibridazione storica ed introgressione genetica con

L. europaeus, recentemente

documentati in Scandinavia, penisola iberica e Russia, hanno contribuito a

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rendere più complicata l’identificazione della struttura genetica delle popolazioni.

Questa specie è perfettamente adattata alla vita in alta montagna ed alle latitudini estreme. È una specie politipica ed anche in relazione alla vastità del suo areale distributivo ne sono state descritte ben 16 sottospecie.

Tipica di questa specie è la dicromia che ne caratterizza la livrea. Durante i mesi estivi la pelliccia della lepre variabile appare di colore grigio-marrone, tranne la coda completamente bianca, mentre nei mesi invernali assume un colore candido, ad eccezione della punta delle orecchie che si mantiene di colore scuro per tutto l’arco dell’anno. La muta viene stimolata dalla temperatura.

Distribuzione: la distribuzione geografica di Lepus timidus è compresa tra l'Oceano Pacifico e Scandinavia, e Polonia orientale. Le popolazioni settentrionali si reperiscono fino al 75° parallelo Nord in Russia e Scandinavia, quelle più meridionali fino al 40-50° parallelo Nord. Alcune metapopolazioni sono riscontrabili sull'isola di Hokkaido (Giappone), in Irlanda, nelle isole Kurile e Sakhalin, in Scozia, nelle regioni alpine di Austria, Italia, Germania, Francia, Slovenia e Svizzera (Mitchell-Jones et al., 1999). Esistono inoltre popolazioni di animali immessi in Inghilterra, nelle isole Faer-Oer (Danimarca) e in alcune isole Scozzesi (Flux e Angermann, 1990).

Popolazione: la specie è diffusa con popolazioni stabili all'interno del suo range (Flux e Angermann, 1990), tuttavia sono possibili fluttuazioni nel Nord Europa e nella regione alpina (Mitchell-Jones et al., 1999).

Un certo decremento è stato osservato in Russia e nell'estremo Sud della Svezia, mentre si è avuta la totale scomparsa della specie nelle zone di tundra. Nell'Irlanda settentrionale una ricostruzione storica dei carnieri testimonia che c'è stato un declino sostanziale delle abbondanze (Dingerkus e Montgomery, 2002). Le popolazioni di L. timidus sono soggette a periodici declini le cui cause sono legate al parassitismo, alla predazione o alla mancanza di alimentazione adeguata (Angerbjorn e Flux, 1995).

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55 Lepus capensis mediterraneus

Generalità: questa specie è stata introdotta in Sardegna nel XVI secolo (Vigne, 1992) e probabilmente origina da popolazioni Nord africane o medio orientali di L.

capensis, che presentano una tassonomia ancora incerta

(Suchentrunk et al., 1998).

Da alcuni autori il taxon viene considerato una sottospecie di L. capensis (L. capensis mediterraneus; Amori et al., 1996), mentre da altri viene ritenuto una specie distinta (L. mediterraneus; Palacios, 1998). La lepre sarda è simile alla lepre comune, ma mostra dimensioni minori e colorazione del mantello sul dorso caratterizzata da una particolare distribuzione di aree di tonalità nera e fulva, che le fa assumere un disegno a “macchie”; inoltre la superficie interna degli arti, anziché bianca, è di colore simile alla superficie esterna. Anche il cranio è più piccolo con un maggiore sviluppo delle bolle timpaniche.

Distribuzione: Lepus capensis mediterraneus, estende il proprio areale praticamente a tutti gli ambienti della Sardegna, dalla pianura alla montagna. Tuttavia, le maggiori densità si osservano nelle aree di collina. La lepre sarda preferisce gli ambienti caratterizzati da piccoli appezzamenti coltivati a seminativi, alternati ad aree cespugliate a macchia mediterranea e praterie naturali.

Popolazione: in natura la lepre sarda è controllata da malattie infettive e dalla predazione di volpe (soprattutto), gatto selvatico africano (F. s. lybica, presente unicamente in Sardegna), donnola ed aquila reale.

I più importanti fattori di minaccia sono tuttavia di origine antropica: la caccia, il bracconaggio, la frammentazione degli habitat, gli incendi, il randagismo canino e felino, sono nel complesso responsabili di forti riduzioni della densità di popolazione nelle aree non protette.

Lo status di protezione è definito dalla Legge Nazionale n. 503 del 1981 Allegato III (che recepisce la Convenzione di Berna) e dalla Legge Regionale n. 23 del 1998. Pur essendo considerata specie rara a livello nazionale ed europeo, non gode di particolari forme di tutela e ne è ammessa la caccia.

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56 Lepus corsicanus

Generalità: la lepre italica, o lepre appenninica (Lepus corsicanus), fu descritta nel 1898 dal naturalista inglese W. E. de Winton come specie distinta da Lepus europaeus sulla base di alcuni caratteri morfologici osservati su esemplari appartenenti a collezioni museali.

La lepre italica, era probabilmente ampiamente distribuita in Italia centro meridionale e Sicilia, e venne introdotta in Corsica prima del XVI secolo (Vigne, 1992). Tuttavia fu successivamente declassata a sottospecie di L. europaeus.

A metà del secolo scorso, a causa della pressione venatoria e dei ripopolamenti di lepre europea, la sottospecie corsicanus venne considerata estinta (Toschi, 1965).

In seguito, la descrizione di caratteri morfologici diagnostici (Palacios, 1996), ed i risultati di recenti indagini genetiche (Pierpaoli et al., 1999), ne hanno riconfermato lo status di specie e hanno comprovato la presenza di popolazioni residue di lepre italica in diverse aree dell’Italia centro meridionale (oltre che della Sicilia ove è presente esclusivamente questa specie). Distribuzione: in passato, la specie aveva diffusione continua in tutta l'Italia centro meridionale, a partire dall'isola d'Elba, oltre che in Sicilia e in Corsica. Tuttavia, a seguito delle introduzioni a fini venatori di Lepus europaeus in gran parte della penisola, la popolazione di questa specie si è assai frammentata, con popolazioni isolate nelle varie regioni un tempo a distribuzione continua.

Sebbene, ove possibile, la si possa trovare in tutti gli ambienti disponibili, pare prediligere le zone con alternanza di bosco, macchia mediterranea ed aree aperte, anche coltivate. È ben presente anche in praterie di altitudine appenniniche ed in faggeta (Angelici e Luiselli, 2001; Angelici e Spagnesi, 2008).

Distinzione da Lepus europaeus: le due specie sono assai simili e possono essere facilmente confuse all'osservazione diretta non prolungata: la colorazione del mantello della lepre appenninica differisce da quella della lepre europea per le tonalità più fulve, specialmente sulle zampe e sul dorso, dove la parte distale dei peli di borra è giallo pallido anziché grigiastra.

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Il carattere più facilmente riconoscibile, nell’insieme, è rappresentato da una consistente area bianca ventrale che nella lepre appenninica si estende sui fianchi; per questa ragione essa viene anche denominata, nel gergo venatorio, con l’appellativo di “lepre dalla mezza luna”. La nuca e la parte dorsale del collo sono di colore grigio antracite, a differenza della lepre europea in cui sono di colore bruno-rossiccio (ad eccezione dei giovani) (Trocchi e Riga, 2005; Guglielmi et al., 2011).

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3.7 Metodi di conteggio

Il problema della valutazione numerica delle dimensioni delle popolazioni animali selvatiche è da tempo al centro degli interessi di coloro che studiano la dinamica di tali popolazioni con fini puramente scientifici o gestionali (Meriggi, 1989).

I censimenti, o più precisamente i “conteggi”, sono quindi volti a stimare la consistenza numerica di una popolazione in una determinata area e in un determinato lasso di tempo. Dalle stime faunistiche si possono ottenere:

• informazioni quantitative sulle popolazioni animali (densità e consistenza);

• informazioni qualitative sulle popolazioni animali (struttura della popolazione);

• stima dell'IUA (Incremento Utile Annuo) (Morimando e Tassoni, 2008). Le tecniche di conteggio possono essere distinte in:

• conteggi completi: conteggi totali di animali all'interno di una superficie determinata in un determinato momento di tempo;

• conteggi campione: conteggi totali di animali in una porzione di una determinata superficie in un determinato momento di tempo;

• conteggi per indici: conteggi, o rapporti, relativi al numero totale di animali in una determinata popolazione. Questi indici, detti “indici di abbondanza”, sono stati messi a punto per il confronto di popolazioni diverse tra loro e per evidenziare le tendenze della dinamica della stessa popolazione in dati intervalli di tempo.

I più usati sono:

o IPA: Indice Puntiforme di Abbondanza; o ICA: Indice Chilometrico di Abbondanza;

o ITA: Indice Temporale di Abbondanza (Meriggi A. 1989).

La scelta del conteggio più adeguato per il monitoraggio delle popolazioni di lepre, dipende da:

1. risorse umane e finanziarie disponibili; 2. finalità del conteggio;

3. periodo stagionale;

4. dimensione dell'area interessata; 5. morfologia del territorio;

6. caratteristiche dell'habitat;

7. densità prevedibile della popolazione; 8. distribuzione degli individui nell'ambiente.

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