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Capitolo 2-Metodologie di studio utilizzate

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Academic year: 2021

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Riassunto

L'obiettivo di questa tesi è contribuire alla ricostruzione di modelli geologici per la forma- zione di sistemi mineralizzati mediante analisi petrografiche e mineralogiche. Sono stati studiati campioni di carote provenienti da due siti differenti, situati entrambi nel territorio argentino ed entrambi tuttora oggetto di esplorazione e caratterizzazione da parte delle compagnie minerarie che hanno fornito i campioni.

L'estrazione di metalli è particolarmente importante per l'economia argentina. Tra le risorse metallifere di questo paese, sono rilevanti quelle legate, in maniera più o meno diretta, alla presenza di attività magmatica: i sistemi magmatico-idrotermali, che portano allo sviluppo di depositi "porphyry copper" (come il deposito sfruttato a Bajo de Alumbrera), e i sistemi epitermali di tipo "low and high sulfidation".

Nel corso della tesi sono state studiate due situazioni differenti:

il primo sito presenta mineralizzazioni di tipo "porphyry copper", con tenori in rame, oro e molibdeno. Si trova nel settore NW del territorio argentino, si è svilup- pato nel Miocene superiore ed è legato all'attività magmatica di retroarco, dell'at- tuale Cordigliera delle Ande. L'area studiata è situata nella porzione più orientale del sistema di faglie trascorrenti Calama-Olacapato-El Toro (circa 24°S), che si estendono lontano dall'arco magmatico attuale in direzione NW-SE e comprende il complesso di rocce intrusive e vulcaniche miocenico Las-Burras-Almagro-El Toro;

il secondo sito presenta mineralizzazioni di tipo “low-sulfidation”, mostra tenori di oro e argento e si è sviluppato nel settore meridionale del territorio argentino, nella zona occidentale del "Deseado Massif". Le mineralizzazioni hanno interessato una sequenza di rocce vulcaniche, costituita da tufi e ignimbriti, e vulcanosedimentarie.

Il deposito ha un forte controllo strutturale, in quanto si sviluppa lungo un impor- tante sistema di faglie.

Sui campioni sono state effettuate le seguenti analisi:

• osservazioni macroscopiche della struttura e dell'associazione mineralogica dei campioni di carote;

• osservazioni microscopiche a luce trasmessa della tessitura, dell'associazione mine- ralogica primaria e dell'alterazione;

• osservazioni con microscopio a luce riflessa dei minerali opachi;

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• osservazioni al microscopio elettronico a scansione e microanalisi;

• analisi diffrattometriche preliminari a raggi X.

Nel caso del "porphyry copper", dati preliminari sulle composizioni, temperature e salinità dei fluidi, coinvolti nella formazione delle mineralizzazioni, sono stati ottenuti dallo studio delle inclusioni fluide nel quarzo, in un campione selezionato dalla zona, che presenta i te- nori in Cu, Au e Mo maggiori.

Il sistema "porphyry copper" studiato è caratterizzato da alterazione potassica (ortose e biotite secondari) e sericitica, dominata da sericite, illite e clorite, mentre il sistema low- sulfidation è caratterizzato da alterazione argillitico/sericitica e silicica, con quarzo a grana fine, adularia, illite. Le associazioni ipogeniche a solfuri del "porphyry copper" sono carat- terizzate da pirite, calcopirite e molibdenite, con tracce di galena e sfalerite nella zona più esterna. Una parte dei campioni mette in evidenza l'intervento di fluidi supergenici, ad esempio testimoniati nel "porphyry copper" da covellite e calcocite (figura 1).

I solfuri ipogenici nel deposito epitermale sono caratterizzati da pirite, arsenopirite, calco- pirite, solfuri di argento e antimonio, accompagnati da argento e oro nativi (figura 2).

I risultati ottenuti sono stati elaborati e confrontati con i dati geologici esistenti, con l'obiet- tivo di contribuire a migliorare la comprensione dello sviluppo delle mineralizzazioni nei due siti e, la ricostruzione di un modello geologico.

Figura 1: immagine a luce riflessa di un cristallo di calcopirite bordata da covellite in roccia granitoide del sistema porphyry di Las Bur- ras

Figura 2: immagine SEM (BSE) di calcopirite in associazione con un solfuro di Cu, Sb, Ag con electrum e argento nativo in vulcanite riolitica brecciata del sistema low-sulfidation

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Abstract

This thesis intended to contribute to the reconstruction of geological models for the forma- tion of mineralized systems using petrographic and mineralogical analyses. The samples for the study are core samples from two different sites, both located in the Argentine terri- tory and both still under exploration and characterization by the mining companies who provided the samples.

The extraction of metals is particularly important for the Argentine economy.Among the metal resources of this country those linked, directly or indirectly, to the presence of mag- matic activity are particularly important: magmatic-hydrothermal systems, which lead to the development of "porphyry copper" deposits (such as the deposit exploited in Bajo de Alumbrera), and epithermal systems of "low and high sulfidation" type.

During this thesis work two different situations have been studied:

• the first site presents mineralization of "porphyry copper" type, with interesting conten- ts of copper, gold and molybdenum.It is located in the NW area of the Argentine terri- tory, it has developed in the Late Miocene and it is related to the magmatic activity of back-arc of the actual Andes. The studied area is located in the easternmost part of the system of strike-slip faults Olacapato-Calama-El Toro (about 24 ° S) extending away from the present magmatic arc in NW-SE direction, and it includes the complex of in- trusive rocks and Miocene volcanic-Las Burras-Almagro-El Toro;

• the second site presents mineralization "low-sulfidation" type, it presents interesting gold and silver contents and it was developed in the southern sector of the Argentine territory, in the western part of the "Deseado Massif". The mineralization have affected a sequence of volcanic rocks consisting of tuffs and ignimbrites, and reworked volcanic sediments. The deposit has a strong structural control, as it develops along a major fault system.

The following analyses were carried out:

• macroscopic observations of the structure and mineralogical association of core sam- ples;

• transmitted light microscopy of texture and of the primary and secondary mineral asso- ciations;

• reflected light microscopy of ore minerals;

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• Scanning electron microscopy and EDS microanalysis;

• preliminary X-ray diffraction analysis.

In the case of "porphyry copper"-type mineralization, preliminary data on the composi- tions, temperatures and salinity of the fluids involved in the formation of mineralization were obtained from the study of fluid inclusions in quartz, in a selected sample from the area that presents high contents of Cu, Au and Mo.

The studied "porphyry copper"-type mineralized rocks are characterized by potassic altera- tion (secondary biotite and orthoclase) and sericitic, dominated by sericite, illite and chlori- te, while the low-sulfidation system is characterized by argillic / sericitic and silicic altera- tion, with fine-grained quartz , adularia, illite. The sulphide ipogenic associations of the

"porphyry copper" zone are characterized by pyrite, chalcopyrite and molybdenite, with traces of galena and sphalerite in the outermost part.A part of the samples highlights the in- tervention of supergenic fluids , evidenced by coveline and chalcocite (Figure 1). The ipo- genic sulphides in the epithermal mineralization are characterized by pyrite, arsenopyrite, chalcopyrite, silver and antimony sulfides, accompanied by native silver and gold .

The obtained results were discussed and compared with the existing geological data, to contribute to a better understanding of the development of mineralization at the two sites and the reconstruction of a geological model.

Figure 1: Reflected light image of chalcopyrite rimmed by coveline in granitoid rocks with "porphyry copper"-style mineralizations;

Figure 2: SEM image (BSE) of chalcopyrite in association with a sulfide of Cu, Sb, Ag with electrum and native silver in rhyolitic brec - cia with low-sulfidation –style mineralization

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Introduzione

L'Argentina è un Paese industrializzato in cui l'attività estrattiva mineraria, e tutto ciò che è connesso ad essa, dalla ricerca di siti potenzialmente sfruttabili, al loro stesso sfruttamento, gioca un ruolo estremamente importante per l'economia del Paese.

Sebbene l'Argentina non abbia una tradizione di estrazione e produzione mineraria parago- nabile a quella di Paesi più noti nel settore come Cile, Australia o Canada, essa presenta condizioni geologiche ideali che hanno permesso la concentrazione di numerosi metalli economicamente utili, principalmente rame e metalli preziosi come oro e argento.

Come già accennato, il territorio presenta condizioni favorevoli dal punto di vista geologi- co per la presenza del magmatismo legato alla subduzione della placca Farallon Nazca al di sotto del continente sudamericano; basti pensare all'instaurarsi di sistemi magmatico idrotermali che portano allo sviluppo di depositi "porphyry copper" (come il famoso depo- sito sfruttato a Bajo de Alumbrera) o ancora di sistemi epitermali tipo "low and high sulfi- dation" (ad esempio il deposito epitermale Pascua tra Cile e Argentina).

Il presente lavoro di tesi, riguarda lo studio di campioni di roccia mineralizzata, da carotag- gi effettuati in un contesto di esplorazione mineraria in due distinti siti del Paese.

Nel particolare, questi sono Las Burras (Provincia di Salta) e Cap Oeste-Cap Oeste South East (Provincia di Santa Cruz):

1. Nel primo caso, si tratta di un'area interessata da mineralizzazioni di tipo "porphyry copper", situata nel NW del territorio argentino, di cui sono stati esaminati diversi campioni di roccia provenienti da 5 sondaggi dei 6 totali, eseguiti per l'attività esplorativa;

2. Nel secondo, invece, si tratta di un sistema epitermale tipo "low sulfidation", situato nel Sud del territorio argentino, di cui sono stati esaminati 15 campioni di carotaggi provenienti da due siti sviluppati da un unico sistema.

In entrambi i casi sono state effettuate le seguenti analisi:

• osservazioni macroscopiche della struttura e dell'associazione mineralogica ;

• osservazioni con microscopio a luce trasmessa e a luce riflessa;

• osservazioni al microscopio elettronico a scansione e microanalisi EDS.

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Inoltre, con riguardo al sito di Las Burras, lo studio è stato approfondito con analisi preli- minari di inclusioni fluide in cristalli di quarzo. Nel caso di Cap Oeste, Cap Oeste South East, i dati petrografici ottenuti, potranno essere utili in futuro, per il confronto con misure in laboratorio di resistività e caricabilità, sugli stessi campioni, tramite polarizzazione in- dotta, con l'obiettivo di contribuire all'interpretazione dei dati geofisici esistenti.

I risultati ottenuti, infine, sono stati elaborati e confrontati con i dati esistenti, col fine di contribuire a migliorare la comprensione dello sviluppo delle mineralizzazioni nei due siti e la ricostruzione di un modello geologico.

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Capitolo 1. Inquadramento geologico delle aree studiate

1.1 - Il complesso magmatico Las Burras-Almagro

L'intrusione Las Burras appartiene al complesso magmatico Las Burras-Almagro, situata nel NW del territorio Argentino, nella Provincia di Salta, in corrispondenza della Cordi- gliera Orientale (Fig. 1.1).

L'orogenesi Andina è il risultato della convergenza attiva tra la placca Farallon-Nazca, in subduzione, e quella Sudamericana. L'attuale arco magmatico, evolutosi dal Miocene in poi, forma la Cordigliera Occidentale, sviluppando un'unica cintura di stratovulcani (figura 1.1 A).

A latitudini comprese tra i 28°S e i 21°S, questa cintura vulcanica, che si estende in dire- zione N-S, è sezionata da un sistema di faglie trascorrenti, direzione NW-SE, associate col magmatismo miocenico-quaternario estendentesi in posizione distale dall'arco magmatico principale (figura 1B). Il magmatismo, presente lungo queste strutture trasversali, è spesso differente da quello dell'arco vulcanico miocenico-quaternario.

Il sistema di faglie Calama-Olacapto-El Toro (all'incirca a 24°S) è il più lungo di tutte que- ste strutture trasverse. L'area studiata è situata nella porzione più orientale di questa struttu- ra e comprende il complesso magmatico miocenico Las-Burras-Almagro-El Toro (figura 1B).

Il magmatismo di Las Burras-Almagro-El Toro è di particolare interesse per due motivi:

1. la sua posizione è a circa 300 km a Est dall'arco e circa 600 km a Est dalla fossa;

2. in più risiede all'interno della Cordigliera Orientale, caratterizzata da compressione dal Miocene al Quaternario(Marrett and Strecker, 2000; Riller and Oncken, 2003).

La cintura vulcanica, lungo la struttura Calama-Olacapto-El Toro, comprende stratovulcani e caldere, alcuni centri eruttivi monogenetici e diverse manifestazioni di mineralizzazioni.

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Figura 1.1: (A) Unità strutturali delle Ande Centrali; (B) Mappa tettonica semplificata del settore meridionale delle Ande Centrali , che mostra le principali strutture e centri vulcanici. Nel rettangolo è indicata l'area di studio (figura 1.2). (Mazzuoli et alii, 2008).

Dal punto di vista litostratigrafico, l'area in esame è caratterizzata da un basamento costi- tuito da una sequenza metasedimentaria di basso grado, la formazione Puncoviscana neo- proterozoica (arenarie e siltiti quarzose), nella quale si intrude l'intrusione miocenica di Las Burras e da più vulcaniti posteriori all'intrusione, anch'esse mioceniche. Questa unità è interessata, tra il tardo Precambriano e l'inizio del Cambriano, dal batolite Santa Rosa de Tastil (granodiorite grigia e granito rosso) e da intrusioni porfiriche. Anche l'intrusione miocenica di Las Burras si è messa in posto all'interno della formazione Puncoviscana, originando un'aureola termometamorfica di cornubianiti. I prodotti vulcanici dell'area Las Burras-Almagro-El Toro, anch'essi miocenici, sono intercalati con sedimenti terziari del bacino El Toro situato a SE.

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Figura: 1.2 localizzazione Las Burras e mappatura principali strutture regionali (da figura 3 pagina 12 TECHNICAL REPORT ON LAS BURRAS COPPER-GOLD PORPHYRY PROSPECT SALTA, ARGENTINA Prepared for Cascadero Copper Corporation, Vancouver, Canada and Salta Exploraciones, S.A., Salta, Argentina Prepared by Kenneth M. Dawson, Ph.D., P.Geo. Terra Geological Consultants, North Vancouver, B.C. Canada October 7th 2010).

L'orientazione dominante del reticolo idrografico (ad esempio gli affluenti del Rio Toro) nella zona Calama-Olacapto El Toro, potrebbe essere la manifestazione superficiale del si- stema di faglie trascorrenti NW-SE, precedentemente citato. Questi lineamenti NW-SE po- trebbero essere associati con lo sviluppo del plutone Las Burras, in un contesto complessi- vo di transtensione sinistra.

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Da varie analisi stratigrafiche, strutturali e vulcanologiche, è stato ricostruito lo sviluppo del complesso magmatico Las Burras-Almagro-El Toro; questa ricostruzione include una correlazione tra le sequenze magmatiche del Las Burras-Almagro Range e le sequenze se- dimentarie del bacino El Toro (figura 1.3) (Mazzuoli et alii 2008; Hongn et alii, 2009).

Figura 1.3: mappa geologica del campo Las Burras-Almagro che mostra la relazione tra le rocce del basamento e il complesso magmati- co Las Burras-Almagro-El Toro. Nel corpo intrusivo di Las Burras le orientazioni e le immersioni delle foliazioni descrivono la struttura del laccolite. (Mazzuoli et alii, Geological Society of America Bulletin, November/December 2008)

Le datazioni esistenti sulle intrusioni dell'area riguardano il plutone Las Burras (14.2 +/- 0,04 Ma) e il plutone Pancho Arias (15,4+/-0,3 Ma), per il quale però la datazione riguarda l'alterazione sericitica ad esso associata (Sillitoe, 1977).

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1.1.1 - Plutone Las Burras

Il plutone di Las Burras è rappresentato da un'intrusione laccolitica miocenica, datata circa 14 Ma (Mazzuoli et alii, 2008), che ha interessato la Formazione Puncoviscana sedimen- taria quarzoarenaceo-siltitica, determinando lo sviluppo di un'aureola di cornubianiti da contatto.

Nella parte meridionale della zona di affioramento dell'intrusione, vari dicchi di composi- zione mafica, probabilmente dicchi di alimentazione delle lave di Almagro (12-6 Ma, Maz- zuoli et alii, 2008), tagliano l'intrusione .

La composizione delle rocce di Las Burras e delle vulcaniti di Almagro è subalcalina e va- ria tra trachiandesiti basaltiche e andesiti basaltiche fino a daciti. Las Burras presenta ca- ratteri lievemente più alcalini rispetto ad Almagro (diagramma TAS in figura 1.5).

Figura 1.5: Immagine relativa al diagramma TAS di Las-Burras-Almagro-El Toro (Mazzuoli et alii, 2008)

Le rocce di Las Burras sono prevalentemente monzograniti, i cui costituenti principali sono il plagioclasio, il feldspato alcalino, il quarzo, il clinopirosseno augitico e l'ornesfale- rite che forma corone attorno al pirosseno. I minerali accessori sono la titanite, l'ilmenite,

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la titanomagnetite, lo zircone e l'apatite.

Inoltre sono dispersi in tutto il plutone blocchi di roccia incassante metasedimentaria i cui costituenti sono: plagioclasio + K-feldspato + clinopirosseno + anfibolo + biotite ± quarzo

± zircone ± apatiti ± ossidi.

A circa 5 Km a NE affiorano le rocce granitoidi di Pancho Arias, che dovrebbero rappre- sentare un'altra apofisi di uno stesso sistema intrusivo. L'età ricavata da analisi su sericite (minerale di alterazione formatosi durante lo sviluppo della mineralizzazione "porphyry copper", corrisponde a quella di Las Burras. Le rocce intrusive di Pancho Arias presentano alterazione potassica e sericitica e, principalmente, mineralizzazioni a solfuri di rame (Pa- renti, 2010).

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1.2 - Cap Oeste e Cap Oeste South East

La zona interessata da esplorazione mineraria comprendente le aree di studio denominate Cap Oeste e Cap Oeste South East (COSE), è situata a Sud del territorio Argentino, in Pa- tagonia, precisamente nella parte centrale della Provincia di Santa Cruz, nel Dipartimento di Rio Chico (figura 1.6)

Figura 1.6: immagine relativa alla zona oggetto di studio, tratta da Craig Bow Ph.D. CPG 08250 Robert L. Sandefur, P.E., Prepared by Chlumsky, Armbrust & Meyer, LLC, National Instrument 43-101 Technical Report Update of "Cap Oeste Project" Santa Cruz Province, Argentina

La zona è all'interno del "Deseado Massif", costituito principalmente da rocce vulcaniche acide appartenenti al Giurassico Medio-Superiore (figura 1.7)

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Figura 1.7: Immagine relativa alla localizzazione dei maggiori depositi epitermali del “"Deseado Massif"”; in particolare nel riquadro rosso è riportata l'area di studio relativa a "COSE Project" e "Cap Oeste Project"; Leandro E. Echavarria, Isodoro B. Schalamuk, Ricardo O. Etcheverry (2005), modificata.

A partire dal Giurassico, un'intensa attività tettonica estensionale comportò una estesa atti- vità vulcanica e intrusiva, intercalata verso l'alto con sedimenti terziari e vulcaniti mafi- che terziarie e quaternarie.

Dal punto di vista tettonico, la storia di questa regione è legata, dapprima al rifting del su- percontinente Gondwana e la relativa apertura dell'Oceano Atlantico. Successivamente, du- rante il Giurassico, la subduzione della placca oceanica al di sotto della placca continentale Sudamericana, ha comportato l'instaurarsi, nella zona di retroarco, di un regime estensiona- le, con lo sviluppo di strutture tipo graben con direzione NNW, delimitate da faglie permo- triassiche riattivate (Echavarria et alii, 2005).

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Figura 1.8: Modello tettonico-magmatico regionale del “"Deseado Massif"” durante il Giurassico in cui si verifica la subduzione della li- tosfera oceanica al disotto della continentale. Il retroarco è interessato da regime tettonico estensionale con sviluppo di graben con trend NW.

Il magmatismo del "Deseado Massif" può essere interpretato come il prodotto di attività vulcanica di retroarco, in cui sono stati coinvolti magmi generati dall'anatessi della crosta inferiore e magmi mafici più tipicamente di derivazione mantellica, con lo sviluppo di un sistema tipo MASH (Mixing, Assimilation, Storage and Homogenization).

L'intrusione di questi magmi e il loro stazionamento nelle porzioni di crosta meno profon- de, ha dato origine dapprima alla successione andesitica Bajo Pobre Formation e poi alla successione riolitica Chon Aike Formation (Riley et alii, 2001).

Dopo la messa in posto di tale provincia magmatica, si è assistito a un mutamento delle condizioni tettoniche da estensionali a transtensionali e addirittura a compressionali, fase interrotta successivamente, durante l'Aptiano, da una riattivazione estensionale responsabi- le della messa in posto della Baquero Formation.

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Figura 1.10: Sequenza litostratigrafica dettagliata del Chon Aike Formation, tratta dal Report Tecnico NI 43-101 Preliminary Economic Assessment Cap Oeste Suroeste (COSE) Project Santa Cruz Province, Argentina , August 2012

Il complesso “Bahia Laura Group”, affiora in gran parte del "Deseado Massif", oltre a rocce, di medio-alto grado metamorfico, appartenenti al basamento di Età Precambriana.

Si distinguono nel dettaglio, depositi piroclastici, con predominanza di ignimbriti su “ash- fall tuffs” (depositi cineritici di caduta), colate di lava intercalati e duomi riolitici che ta- gliano le sequenze ignimbritiche. In particolare la porzione centrale del "Deseado Massif"

è caratterizzata da ignimbriti ben saldate ed intercalate a depositi cineritici di caduta.

Dal punto di vista petrografico-mineralogico, le vulcaniti acide sono costituite da fenocri- stalli di quarzo, feldspato alcalino, plagioclasio, biotite e accessori come magnetite, ilmeni- te, apatite, zircone e monazite.

Le rocce vulcaniche giurassiche sono state interessate da metamorfismo regionale di basso

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grado e alterazione idrotermale che comportano la presenza di quarzo, adularia, sericite-il- lite e nella zona propilitica, calcite e clorite.

Non sono evidenti i centri vulcanici, ma si riconoscono piccole caldere.

Nel diagramma sotto riportato, è evidente la distribuzione bimodale durante il Giurassico con magmatismo dapprima basico (andesiti basaltiche e andesiti relativi alla “Bajo Pobre Formation”) e termini prevalentemente riolitici connessi alla “Chon Aike Formation” inte- ressata successivamente da alterazione idrotermale e quindi ad ulteriori arricchimenti in si- lice (processo di silicizzazione) (Echavarria et alii, 2005) (Bow et alii, August and October 2012 for Patagonia Gold Plc).

Figura 1.11: Diagramma Tas relativo alle rocce vulcaniche Giurassiche delle Chon Aike e Bajo Pobre Formations; Leandro E. Echavar- ria, Isodoro B. Schalamuk, Ricardo O. Etcheverry (2005)

Alla luce di quanto detto finora, sono state individuate diverse zone di interesse esplorativo per la ricerca di minerali e metalli preziosi come oro e argento, associate con sistemi epi- termali tipo low-sulfidation che ne hanno comportato il trasporto e la deposizione.

In particolare, i prospetti precedentemente accennati del "COSE Project" e del "Cap Oeste Project" sono collegati l'uno all'altro e sono entrambi connessi alla presenza di faglie:

COSE Fault e COSE BRECCIA Fault (subparallele con direzione NW-SE e che si interse- cano a SE) il primo, e strutture tipo “graben” (due faglie dirette, Esperanza e Bonanza Faults, subparalle con direzione NW-SE entrambe attive durante il Giurassico) il secondo.

I due progetti siano strettamente connessi e spazialmente vicini (figura 1.12). In particolare

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è evidenziato il Cap Oeste Corridor a NW del "COSE Project", e altri corridoi subparalleli potenzialmente mineralizzati (Breccia Valentina e Vetas Norte Corridors) entrambi a NE e sempre all'interno del "Deseado Massif".

Figura 1.12: Immagine relativa ai corridoi potenzialmente ricchi di metalli preziosi; in particolare è messo in evidenza il Cap Oeste Cor- ridor, Craig S. Bow PhD., CPG,Gregory F. Chlumsky, QP-MMSA, Steve L. Milne, P.E., Robert L. Sandefur P.E., Prepared by Chlum - sky, Armbrust & Meyer, LLC, NI 43-101 Technical Report Preliminary Economic Assessment Cap Oeste Suroeste (COSE) Project San - ta Cruz Province, Argentina, August 2012

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1.3 - Caratteri generali delle tipologie di depositi incontrati nella tesi

Depositi "porphyry copper"

I depositi tipo "porphyry copper" rappresentano le principali fonti di estrazione di metalli utili come rame (oltre il 50% del rame prodotto annualmente deriva da questo tipo di depo- siti) e molibdeno (oltre il 70% del totale annuo), e una importante fonte di oro.

Questi metalli si possono presentare nativi (oro) o sotto forma di solfuri, come il caso della calcopirite, solfuro di rame e ferro (CuFeS2), o solfuri di rame, come la covellite (CuS), o ancora la molibdenite, solfuro di molibdeno (MoS2).

Queste mineralizzazioni possono essere in stockwork, ramificazioni complesse di vene, in cui possono essere spesso presenti minerali di ganga, come il quarzo, oppure si possono presentare disseminate nella roccia.

Un deposito tipo "porphyry copper" è il risultato dell'interazione di diversi processi che si possono verificare a basse profondità nel sottosuolo, da 2-3 km fino a 6-8 km, e che sono innescati dalla risalita di magma (apofisi o serie di dicchi da un sistema intrusivo più pro- fondo, Sillitoe, 2010) che si intrude nella crosta e cristallizza, fino a generare l'essoluzione di una fase fluida. Si crea così una zona, di forma più o meno complessa (idealmente cilin- drica, con zonatura dell'alterazione concentrica) in cui si verificano processi di alterazione e mineralizzazione ad opera dei fluidi essolti dal magma per "second boiling" (Robb, 2005). L'alterazione è differenziata, dalle zone in prossimità della/e intrusione/i verso le zone più periferiche, nella roccia incassante, in maniera concentrica, a temperature via via minori (facies potassica, fillitica, argillitica, propilitica). Il fluido magmatico può essere più o meno ricco in metalli utili e soggetto a variazioni composizionali anche significative, specie in relazione al tipo di intrusiosecond "boiling"ne e alle condizioni T-P, a cui avviene la generazione della fase fluida.

Generalmente, ma non esclusivamente, i magmi che contribuiscono alla formazione di de- positi tipo "porphyry copper"sono a composizione calcoalcalina, da granitica fino a dioriti- ca .

I contenuti volatili del magma, in particolare l'acqua ma anche il Cl e lo S, sono molto im- portanti per i processi di essoluzione e di trasporto dei metalli. Essi tendono a concentrarsi nella parte più apicale dell'intrusione.

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Gli elevati contenuti di zolfo (importante per il trasporto di Au in complessi con HS-), così come la ricchezza di cationi come il Cu, possono essere attribuiti all'intervento di contributi forniti da magmi basici più profondi (Hattori, Keith, 2001).

I depositi "porphyry copper" possono essere suddivisi in più categorie, porphyry Cu-Mo, Cu-Au, Mo-Cu.

La presenza di Cl è determinante per la ripartizione del Cu presente, al quale si lega molto facilmente. Inoltre il Cu si ripartisce, anche se in piccola quantità, nei reticoli cristallini di varie fasi mineralogiche femiche durante i processi di cristallizzazione del magma. Questo ci suggerisce che, la distinzione tra i vari tipi di depositi "porphyry copper", avviene, prin- cipalmente, in funzione di processi di "boiling" (rapida vaporizzazione della fase liquida per brusche variazioni di temperatura e pressione) più o meno tardivi relativamente ai pro- cessi di cristallizzazione.

E' evidente, a questo punto, che un magma che raggiunge le basse profondità, in cui si veri- fica un processo di "boiling" precoce, può generare un deposito tipo Cu-Mo.

Invece, in condizioni di maggiore profondità e maggiore cristallizzazione frazionata, con la ripartizione anche del Cu nei reticoli cristallini dei minerali, genera la formazione di depo- siti tipo Mo-Cu, a seguito di una concentrazione di Mo nel magma residuale. (Robb, 2005).

E' chiaro che il secondo caso è caratterizzato da un boiling tardivo rispetto al primo.

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Figura 1.13: Immagine relativa alla formazione di depositi Cu-Mo e Mo-Cu; Robb 2005 (modificata)

Dal punto di vista geodinamico, i depositi "porphyry copper" possono formarsi, preferen- zialmente, lungo i margini di placca convergenti, o, in generale, in ambienti caratterizzati da attività vulcanica.

I depositi "porphyry copper" sono associati spesso con depositi epitermali tipo "high sulfi- dation" (rame, oro e argento), e/o formazioni polimetalliche distali tipo intermediate-low- sulfidation con vene di solfuri a elementi utili (Zn, Ag) e depositi distali di oro tipo disse- minati. Ossidi di ferro, rame e oro, skarn a rame, possono essere spazialmente associati a depositi "porphyry copper", come succede frequentemente nei sistemi porphyry delle Ande. Quindi, per concludere, possiamo affermare che i depositi tipo "porphyry copper"

trovano spesso associazione con altri tipi di depositi e mineralizzazioni a "ores" che posso- no essere prossimali e/o distali (Sillitoe, 2010).

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Nella figura 1.14 è riportata la schematizzazione ideale della zona di alterazione di un

"porphyry copper".

Figura 1.14: Sezione della zona di alterazione idealizzata di un "porphyry copper" (after Lowell and Guilbert, 1970) (immagine presa da pag. 14 da Preliminary Model of "porphyry copper" Deposits di Byron R. Berger et alii, U.S. Geological Survey, Reston, Virginia: 2008)

Il modello Lowell-Guilbert (figura 1.14), in cui si distinguono le varie facies di alterazione caratterizzate da minerali di ganga rappresentativi, connesse alle porzioni di possibile svi- luppo e crescita di "ores", è stato molto importante come modello di riferimento per l'e- splorazione mineraria di questo tipo di depositi. Può essere descritto nel seguente modo:

• Zona potassica : non è sempre presente; quando c'è, essa è caratterizzata dallo svi- luppo di ortoclasio secondario, e qualche volta da ortoclasio-biotite. Può essere pre- sente anche della sericite. Queste mineralizzazioni secondarie sostituiscono l'orto- clasio, il plagioclasio e i minerali mafici primari dell'intrusione;

• Zona fillitica : è caratterizzata dall'associazione quarzo-sericite-pirite. Può presenta- re anche pirofillite. La parte apicale della zona è dominata da sericite, che sostitui- sce i feldspati e la biotite primaria, mentre verso l'esterno si concentrano i minerali argillosi. Quando è presente questa zona, si manifestano i più grandi sviluppi di pi- rite disseminata e in vene;

• Zona argillitica : non è sempre presente. E' dominata da minerali argillosi con la caolinite che si intensifica in prossimità degli "orebody" e, più esternamente, da mi-

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nerali del gruppo delle smectiti. La biotite primaria può essere sostituita parzial- mente o totalmente da clorite. E' comune anche la pirite, anche se in percentuale minore rispetto alla zona fillitica;

• Zona propilitica : E' la zona più esterna e non è mai assente. Il minerale più comune che la caratterizza è la clorite a cui sono associati pirite, epidoti e calcite. Questa zona si estende anche per centinaia di metri verso le rocce circostanti l'intrusione.

(Evans, 1993; Pirajno 2009-2010).

Depositi epitermali tipo low-sulfidation

I depositi epitermali sono una tipologia di depositi minerari idrotermali formati al di sotto della superficie terrestre fino ad un massimo di 1-2 Km di profondità e spesso consistono in sistemi estesi di vene, conosciuti come vene epitermali, o in ampie aree di depositi di metalli preziosi a tenori differenti (Roulston, da http://www.resourceopportunities.com/Li- brary/).

I depositi epitermali sono importanti fonti di oro e argento ma anche di rame, zinco e piom- bo. Sono distinti, nei classici modelli, in base allo stato di sulfurazione (White and Heden- quist, 1995) e sono connessi in maniera diretta ("high sulfidation") o in maniera meno evi- dente ("low sulfidation") alla circolazione di fluidi magmatico-idrotermali. Questo signifi- ca che, anche per lo sviluppo dei sistemi epitermali, è importante la presenza di sistemi magmatici relativamente superficiali. Un' intrusione, o la presenza di una camera magmati- ca, che produca fluidi magmatici e calore, sono fattori importanti per la formazione di un sistema low-sulfidation, quanto come la circolazione di fluidi acquosi meteorici che si in- filtrano dalla superficie del terreno, fino in profondità, in funzione della litologia e dell'as- setto geologico strutturale della zona.

Dall'analisi delle inclusioni fluide connesse a tali depositi, si evince che essi si formino a temperature comprese tra i 150°C e i 300°C, e a profondità tali da non poter superare il chilometro o poco più.

La deposizione dei metalli avviene per la rapida ascesa di fluidi acquosi a seguito del rag- giungimento del punto di "boiling"; i rapidi cambiamenti di composizione permettono la destabilizzazione dei legami metallo-legante, favorendo la precipitazione di metalli e pre-

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ziosi. Questi processi sono legati talvolta alla fratturazione della roccia ospitante per supe- ramento della pressione litostatica. Tale situazione è ancor più avvalorata dal fatto che, le rocce ospitanti i depositi epitermali, sono spesso caratterizzate da fratture riempite da mi- nerali di ganga come quarzo, illite, adularia e/o calcite.

In funzione di tali considerazioni, si possono sviluppare diversi processi epitermali nel sot- tosuolo i cui end-members sono rappresentati così come riportato nella figura 1.15.

Figura 1.15: Immagine relativa ai depositi epitermali low and "high sulfidation" ricavata da Noel C.White and Jeffrey W.Hedenquist, 1995

I fluidi responsabili delle due tipologie sono geochimicamente contrastanti. In un sistema low-sulfidation sono paragonabili ai fluidi acquosi di un sistema geotermico; sono soluzio- ni acquose ridotte a pH neutro in equilibrio con la roccia alterata che li ospita e sono arric- chiti in sali, come NaCl, e gas, tipo CO2 e H2S, che possono allontanarsi al momento del

"boiling". I fluidi di origine magmatica-idrotermale, contenenti zolfo, sono i responsabili della formazione di solfuri di metalli preziosi come Au e Ag ma anche di As, Pb, Zn, Se e Hg. Sono comuni difatti, in questo tipo di depositi, pirite, arsenopirite, galena, calcopirite, solfuri di Au-Ag e solfosali.

Una configurazione ideale della zona di alterazione connessa a un deposito low-sulfidation è caratterizzata da diverse associazioni mineralogiche:

• alterazione silicica che dà luogo a vene, venette di quarzo e brecce silicizzate;

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• argillitica, più o meno avanzata, rappresentata da caolinite-illite-smectite;

• propilitica con più o meno clorite;

• sericitica dominata dalla presenza di sericite.

In superficie è tipica la presenza di "silica sinter".

In funzione della profondità di formazione del deposito e della roccia ospitante (spesso sono rocce vulcaniche come andesiti, riodaciti, rioliti ecc.), il deposito low-sulfidation si può sviluppare, anche contemporaneamente, sotto forma di stockwork di vene, dissemina- ta, in corpi brecciati più o meno ricchi di vene (Hedenquist, 2000; White and Hedenquist, 1995).

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Capitolo 2-Metodologie di studio utilizzate

I metodi analitici diagnostici utilizzati per la classificazione dei campioni e il riconosci- mento delle varie fasi mineralogiche sono:

• Osservazioni macroscopiche a occhio nudo e con lente da geologo ingrandimento 10X;

• Osservazioni microscopiche sezioni sottili a luce trasmessa;

• Osservazioni microscopiche sezioni sottili lucidate e campioni lucidati a luce rifles- sa.

Per quanto riguarda l'analisi di sezioni sottili di campioni di roccia, si richiede l'utilizzo di tecniche diagnostiche differenti, in funzione della fase mineralogica che si intende identifi- care.

La contemporanea coesistenza di minerali opachi e trasparenti, per esempio, rende neces- sario l'utilizzo di un microscopio da petrografia a luce riflessa e trasmessa.

Lo studio a luce riflessa, nonostante l'avvento delle tecniche microanalitiche per l'identifi- cazione dei minerali, rimane uno strumento fondamentale per lo studio delle mineralizza- zioni, nella quali, i minerali opachi, sono molto comuni. Di seguito si descrivono le caratte- ristiche principali del microscopio a luce riflessa e del riconoscimento dei minerali opachi.

2.1 Microscopio a luce riflessa

Il percorso ottico per luce riflessa, mostra che, la luce, proveniente dalla sorgente luminosa (1), passa attraverso il diaframma di apertura (2) ed il diaframma di campo (A), per arriva- re, infine, al partitore ottico. In questo punto circa la metà della luce viene riflessa in dire- zione della pupilla dell'obiettivo (3) e concentrata dallo stesso sulla superficie (B) del cam- pione. La superficie riflette e diffonde retroattivamente la luce verso l'obiettivo. Nel per- corso di ritorno, il partitore ottico lascia nuovamente passare circa metà della luce verso la lente posta nel tubo, dove genera l'immagine intermedia (C). Questa viene successivamente ingrandita ed osservata dall'oculare.

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Figura 2.1: Percorso della luce nel microscopio a luce riflessa (immagine tratta da: http://www.zeiss.it/c1257185004820ff/Contents-Fra- me/19f3e708aa71288ec1256c3e0036605b).

Per tali osservazioni è stato utilizzato un microscopio a luce riflessa trasmessa Axioplan (Zeiss West Germany) su cui monta una fotocamera Canon DS126281, attrezzatura dispo- nibile all'interno del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa, nel labora- torio di petrografia.

2.1.1 - Modalità di riconoscimento dei minerali opachi

La proprietà principale utilizzata per discriminare i minerali opachi è il colore, che però è influenzato dalle dimensioni del granulo e dal colore dei granuli circostanti; la sua intensità è influenzata dalla riflettanza e dalla preparazione del campione, motivi per cui si può dire che l'identificazione, a volte, può non essere possibile.

Secondo quanto citato nei testi “Introduction to Ore Microscopy” di Erich U. Petersen (1998) e “Economic Geology” (Tables for the Determination of common opaque mineral) di Paul G.Spry e Brian L.Gedlinske (1987), ci sono otto parametri-caratteri da utilizzare per la distinzione dei minerali a luce riflessa:

• Colore : sono importanti i contrasti di colore tra minerali conosciuti e il minerale da identificare;

• Riflettanza : è la quantità di luce riflessa dal minerale e si può misurare tramite una fotocellula;

• Durezza : minerali a durezza differente possono essere distinti tramite l'osservazione della linea di Kalb che tende a spostarsi verso la fase mineralogica a durezza mi- nore nel momento in cui si aumenta la distanza dell'obbiettivo del microscopio dal-

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la sezione in analisi;

• Tessitura : l'euedralità o meno dei cristalli, o, ancora, la loro disposizione spaziale, possono essere caratteri discriminanti rilevanti;

• Biriflettanza : è un effetto ottico, simile al pleocroismo, che si mette in evidenza a nicol paralleli, quindi a luce piana polarizzata senza analizzatore; si valuta ruotando il tavolino portaoggetti del microscopio e osservando la presenza di una variazione nella riflettanza;

• Anisotropismo : proprietà di un minerale nel cambiare colore a nicol incrociati, quindi a luce piana polarizzata con analizzatore inserito; si valuta mentre si ruota il tavolino porta oggetti;

• Riflessioni interne : macchie di colore diffuse in corrispondenza delle fratture o dei bordi dei grani che potrebbero non essere classificati come interamente opachi;

• Associazioni minerali : l'identificazione di un minerale può essere guidata dall'asso- ciazione di minerali con cui si trova comunemente.

Secondo Petersen (1998) le proprietà si possono suddividere in due gruppi distinti in fun- zione dell'utilizzo dell'analizzatore:

• Proprietà osservate senza analizzatore : colore, riflettività, durezza relativa, linea di Kalb, biriflettanza, caratteri morfologici e pleocroismo;

• Proprietà osservate con analizzatore inserito : anisotropia, colori di polarizzazione, colori di dispersione, caratteri morfologici e riflessioni interne.

La riflettanza è definita come il rapporto tra l'intensità di luce riflessa da un minera- le e l'intensità di luce incidente su di esso. La riflettività effettiva di un minerale può essere valutata confrontandola con minerali noti. Essa è influenzata dall'effetto di contrasto con altri minerali vicini, a riflettività più alta o bassa del cristallo in esame; allo stesso modo il colore è fortemente influenzato dal colore di cristalli vi- cini, motivo per cui è consigliabile osservare i minerali in modo tale che occupino l'intero campo visivo.

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La discriminazione delle varie fasi mineralogiche a luce riflessa, può essere schematizzata, secondo Spry e Gedlinske (1987), come in figura 2.2:

Figura 2.2: Schema identificativo fasi opache (Petersen, 1998)

Nello schema di figura 2.2 gli autori hanno voluto differenziare i minerali secondo un ordi- ne preciso:

• colore;

• pleocroismo o biriflettanza;

• anisotropismo;

• riflessioni interne;

• durezza.

In funzione di quest'ordine, sono stati identificati 20 gruppi di minerali, catalogati a loro volta in tabelle. Nel testo degli autori sono 95 i minerali opachi, 13 quelli trasparenti e 8, con range variabile tra opaco e trasparente, riportati in tabelle che ne riassumono le diver- se caratteristiche (minerali associati, pleocroismo, colore ecc), tra cui la chiave del criterio d'identificazione, che riassume grosso modo le altre.

In contemporanea a questa discriminazione, si possono consultare altri manuali o testi,

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come “The Ore minerals under the microscope – An optical Guide” (Pracejus, 2008), con- tenenti tabelle, anch'esse con le diverse caratteristiche e foto molto utili per il confronto vi- sivo.

La consultazione simultanea di testi, atlanti e manuali è essenziale per l'identificazione del minerale in esame che spesso può non risultare univoca per cause differenti, come quelle precedentemente descritte, relative al colore e ai suoi contrasti, alla lucidatura della sezio- ne, all'occhio dell'operatore o alle similitudini che i diversi cristalli possono presentare. La diagnostica di una o più fasi richiede quindi accurate analisi di osservazione e comparazio- ne.

2.1.2 - Preparazione e lucidatura sezione sottili

L'analisi al microscopio a luce riflessa-trasmessa prevede che le rocce, preventivamente ta- gliate e incollate sul vetrino portaoggetti, siano portate a spessore e lucidate.

Lo spessore delle rocce richiesto per l'analisi a luce trasmessa è di 30 µm, ottenibile tramite l'utilizzo di polveri di carburo di silicio via via più fini e una mola; per le analisi a luce ri- flessa è sufficiente che, la roccia in esame (una o più facce del campione) o la sezione sot- tile, sia ben lucidata. E' naturale che la sezione sottile, a differenza del campione di roccia a cui possono essere lucidate una o più facce, permette un'analisi contemporanea a luce ri- flessa e trasmessa, con l'utilità di osservare le possibili associazioni tra minerali opachi e trasparenti.

La presenza di minerali più o meno duri nella medesima sezione, tipica delle mineralizza- zioni studiate in questa tesi, comporta maggiori difficoltà nella procedura di lucidatura of- frendo risultati non sempre soddisfacenti.

Nel nostro caso, si è operato con dei panni speciali imbevuti con acqua e allumina Al2O3 a 3 µm e 0,3 µm già confezionata e diluita.

Quindi la roccia, sprovvista di vetrino copri oggetti, viene delicatamente strofinata, sulle carte abrasive via via più fini, lavorando costantemente sotto il getto di acqua, che garanti- sce l'allontanamento di eventuali frammenti che potrebbero staccarsi dalla roccia stessa e graffiarla durante lo strofinio (è bene che questo avvenga ruotando più volte la sezione per evitare di agire solo su alcune porzioni anziché nella sua interezza, e che l'acqua sia distil- lata o filtrata dalle sue particelle che possono avere il medesimo effetto dei frammenti); do- podiché si va avanti con l'utilizzo dei panni imbevuti di acqua e con polvere di allumina via

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via più fine, procedendo allo stesso identico modo, strofinando e ruotando più volte la se- zione da lucidare.

E' importante sciacquare la sezione più volte durante i vari processi e tra un passaggio e l'altro, per meglio assicurare l'allontanamento dei frammenti.

Questo lavoro dev'essere accompagnato, durante tutte le sue fasi, da analisi di controllo al microscopio a luce riflessa per rendersi conto se è utile arrivare fino all'ultimo step (allumi- na da 0,05 µm) o arrestarsi a quelli precedenti.

2.2-Le inclusioni fluide

Le inclusioni fluide sono particelle di fluido intrappolate nei cristalli,durante la loro cresci- ta, o introdotte nelle microfratture dopo la cristallizzazione del minerale ospite. Lo studio chimico delle inclusioni fluide indica che la maggior parte dei soluti dei fluidi idrotermali sono cationi di Na, K, Ca, Mg, Fe, Ba, Mn, anioni di Cl, S, C, N metalli tipo Au, Ag, Cu, Pb, Zn ,U e gas come CO2, CH4, N2, SO2, H2S (Barnes, 1979).

Esse non sono altro che piccoli campioni di fluido con dimensioni che variano dalla mole- cola dell'acqua fino a qualche millimetro. La loro abbondanza in un singolo cristallo ospite è variabile.

Il loro studio fornisce importanti informazioni su temperatura, pressione, densità e compo- sizione dei fluidi che hanno generato la mineralizzazione.

L'osservazione e la classificazione delle inclusioni fluide, si effettua al microscopio a luce trasmessa, analizzando a ingrandimenti da 20X a 40X quei minerali trasparenti, come il quarzo, che possono ospitarle.

Ci sono tre tipologie principali di inclusioni fluide:

• Primarie: formate durante la crescita del minerale ospite; appaiono spesso isolate o in piccoli grappoli (clusters) e potrebbero definire le zone di crescita;

• Secondarie: formate dopo la crescita completa del minerale ospite; tagliano le zone di crescita e anche i limiti dei cristalli;

• Pseudosecondarie: formate in fratture all'interno di un singolo cristallo e non attra- versano i limiti del cristallo.

In particolare le inclusioni fluide primarie, poiché si formano durante la crescita dei cristal- li, forniscono informazioni sull' “ore-forming fluid”, quindi sono molto utili per rilevare

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dati geotermometrici e dati relativi allo stato fisico del fluido, come ad esempio il verificar- si di fenomeni di "boiling" al momento dell'intrappolamento.

Il principale costituente delle inclusioni fluide è l'acqua, seguito dall'anidride carbonica.

Le inclusioni più comuni negli ore-deposit, sono classificabili in 4 tipi:

• I TIPO (L+V): Inclusioni a salinità moderata, costituite generalmente da due fasi:

soluzione acquosa liquida e bolle di vapore acqueo in percentuale compresa tra il 10 e il 40% del totale; possono anche essere monofase totalmente costituite da li- quido (L). La presenza di vapore è indice di intrappolamenti a temperature tali da consentire la formazione delle bolle durante la fase di raffreddamento. Spesso sono presenti sodio, potassio, calcio e cloro che conferiscono diverse salinità alla solu- zione;

• II TIPO (V+L) : Inclusioni ricche in gas, costituite generalmente da vapore, per al- meno il 60% del totale. Anche l'anidride carbonica può essere presente in piccole quantità. La presenza contemporanea di inclusioni fluide ricche in gas e povere in gas, può indicare che, fenomeni di "boiling" del fluido siano avvenuti prima, o al momento dell'intrappolamento;

• III TIPO (V+L+S) : Inclusioni con cristalli cosiddetti “figli”, caratterizzate da salini- tà maggiore del 23% (nei "porphyry copper" si raggiungono contenuti molto elevati anche del 50%). Contengono, appunto, cristalli cubici di alite ben formati e gene- ralmente altri minerali figli, come la silvite e l'anidrite; talvolta contengono minera- li opachi;

• IV TIPO : inclusioni contenenti anche anidride carbonica caratterizzate da un rap- porto CO2:H2O variabile. Spesso si presentano con le inclusioni del 2 tipo come ac- cade nei depositi tipo "porphyry copper".

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2.2.1-Studio delle inclusioni fluide: preparazione dei campioni e microtermometria La preparazione delle sezioni per le analisi microtermometriche delle inclusioni fluide, ini- zia dalla selezione dei campioni sulla base della presenza di vene di quarzo al loro interno, poiché i cristalli di quarzo preservano meglio di altri minerali le inclusioni e in funzione della profondità della carota e delle concentrazioni di Cu, Au e Mo. .

Il sondaggio di cui si dispone del maggior numero di campioni è il LB-11-03, che mostra, inoltre, le concentrazioni maggiori di Cu, Au e Mo, secondo i dati della compagnia minera- ria.

Sono stati selezionati due campioni:

• n°013 (75,10 metri di profondità), roccia granitoide che presenta diverse inclusioni fluide bifase e multifase in cristalli di quarzo;

• n°028 (159,29 metri di profondità) che presenta due vene di quarzo, ben visibili anche a occhio nudo, e numerose inclusioni multifase e bifase tipo “"vapor rich"”.

I campioni sono stati tagliati con l'utilizzo di uno scalpello del laboratorio di analisi ai rag- gi X (vedi figura 2.3) e ulteriormente fratturati col comune martello da geologo, per ottene- re dei frammenti utili dalle porzioni di campione più interessanti.

Figura 2.3: Immagine relativa ai frammenti di vena di quarzo del campione 028, ottenuti utilizzando scalpello e martello da geologo

Da ciscun frammento si deve ottenere una sottile fettina di roccia. Perciò, i frammenti di roccia selezionati al microscopio binoculare vengono incollati, tramite l'utilizzo di una re- sina cementizia (Lakeside), lavorabile a circa 70°C, su un comune vetrino da petrografia, preventivamente smussato e molato, con polvere di carburo di silicio a 600 µm per pochi minuti e con polvere di allumina (Al2O3) a 20 µm in modo tale da rendere più efficace l'ap-

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plicazione della resina e dei frammenti di roccia.

Figura 2.4: Immagine relativa alle fasi procedurali che portano all'ottenimento del vetrino petrografico con i frammenti di roccia incolla- ti.

Per ottenere un risultato più soddisfacente si è cercato di selezionare i frammenti aventi di- mensioni simili.

Una volta realizzato, il vetrino viene fatto asciugare e riposare per far indurire la resina; lo si strofina poi, delicatamente, su tavolette di vetro con polvere di allumina via via più fine (20, 9, 5 µm), prima di ultimare la lucidatura con le polveri ancor più sottili (3 e 0,3 µm) su panno, prestando molta attenzione per evitare il distacco dei frammenti.

Il passaggio da una granulometria ad un'altra, è intervallato da ripetuti lavaggi della sezio- ne, sotto il getto dell'acqua corrente, e in un apposito beker chimico, in bagno a ultrasuoni, per la rimozione sicura dei piccoli frammenti staccati e depositati nelle cavità e bolle della resina. Inoltre, vengono eseguite numerose osservazioni al microscopio ottico e allo stereo- microscopio, durante le fasi procedurali.

Una volta smussato e lucidato, il vetrino viene riposto sul fornelletto ad una temperatura di 70°C, per rendere più lavorabile la resina, e, con l'utilizzo delle pinzette, si procede al ca- povolgimento dei frammenti in modo tale da ripetere la stessa procedura di lucidatura nel verso opposto, esattamente a 180°, per ottenere dei frammenti piano paralleli, trasparenti e lucidi.

I frammenti sono così pronti per essere staccati dal vetrino sotto l'effetto del calore del for- nelletto e depositati in recipienti contenenti etanolo, che permette lo scioglimento della re- sina che li teneva incollati.

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Figura 2.5: Immagine raffigurante i frammenti di roccia selezionati e posti in recipienti con etanolo

I frammenti sono stati poi osservati e riselezionati al microscopio. I cristalli della sezione 013 non sono stati utili allo scopo per lo studio delle inclusioni e quindi sono stati scartati.

Questo è imputabile al fatto che in questo campione il quarzo è per la maggior parte in gra- ni di dimensioni troppo piccole.

L'analisi dei frammenti delle due vene della sezione 028 è stata effettuata nel Laboratorio di inclusioni fluide presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa, che dispone del tavolino riscaldante e raffreddante Linkam THMS600, costituito da un piattino portacampioni, nel quale vengono introdotti i frammenti e l'unità centrale per la regolazio- ne dei tempi e delle temperature di misura. Lo strumento ha la capacità di congelare e ri- scaldare le inclusioni fluide contenute nei cristalli, grazie alla circolazione di azoto liquido nel dispositivo, provvisto di una resistenza. La circolazione continua di acqua all'interno dello strumento tramite, due tubicini, uno d'ingresso e l'altro di uscita, aiuta a non farlo sur- riscaldare mentre sale la temperatura.

Le osservazioni dei cambiamenti di fase nelle inclusioni sono eseguite al microscopio otti- co su cui montano due obbiettivi, da 10X e 50X rispettivamente; in aggiunta c'è collegato un monitor e una fotocamera istantanea digitale che stampa foto su carta in tempo reale.

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Figura 2.6: Immagine relativa alla strumentazione presente nel laboratorio di analisi inclusioni fluide

L'analisi è stata realizzata sui frammenti della vena 1 e poi su quelli della vena 2 seguendo la seguente procedura:

1. La prima fase di congelamento avviene con la circolazione di azoto liquido, par- tendo da una soglia base di – 80°C, con incrementi di 5°C al minuto fino a 20°C;

durante la fase di risalita della temperatura, si effettuano le osservazioni e si acqui- siscono i dati relativi alla fase di scongelamento dell'inclusione registrando prima la Tfm 'temperature of first melting' e, successivamente la Tm 'temperature of final or last ice melting';

2. La seconda fase di riscaldamento delle inclusioni, si effettua per ottenere la Th 'ho- mogeneization temperature', che si verifica quando c'è la totale scomparsa della bolla di gas e dell'eventuale solido se si tratta di una inclusione multifase; in que- st'ultimo caso si registra anche la Ts 'solubility temperature' al momento della scomparsa del solido. La fase di riscaldamento è stata realizzata impostando, tra- mite l'unità centrale, la risalita della temperatura partendo da quella ambiente, pari

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a circa 17° C, a 10°C/min fino a 250°C; poi si è impostato 5°C/min col tetto massi- mo di 500°C.

Entrambe le procedure (raffreddamento e riscaldamento) sono state applicate a 3 frammen- ti di quarzo della vena 1 in più cicli differenti, mentre, la sola procedura di riscaldamento è stata applicata a inclusioni multifase e bifase, dei frammenti di quarzo della vena 2.

2.3 - Microscopio elettronico a scansione e microanalisi (SEM-EDS)

Il microscopio elettronico a scansione (SEM), con associata la microanalisi EDS, viene uti- lizzato in ausilio al microscopio classico da petrografia per identificare un minerale e per determinarne la composizione chimica, anche su porzioni di soltanto pochi µm e, infine per ottenere delle immagini ad alti ingrandimenti, ad alta risoluzione spaziale. Nella figura 2.7 è riportato il suo schema di funzionamento.

Figura 2.7: immagine relativa allo schema di funzionamento del microscopio elettronico a scansione

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E' costituito da:

• una colonna sottovuoto;

• un cannone elettronico;

• lente magnetica che funge da condensatore;

• bobine che, in funzione della corrente elettrica, fanno variare la direzione del fascio di elettroni nelle 2 direzioni x, y rendendo possibile la scansione sul campione;

• lente magnetica per focalizzare il fascio sul campione.

Il microscopio elettronico a scansione permette di analizzare campioni di roccia, spessi o sottili in sezione, al naturale o lucidati, e qualora non fossero totalmente conduttivi, devono necessariamente essere ricoperti da un sottile strato di grafite o oro.

Il suo principio di funzionamento è basato sulla emissione di un fascio di elettroni e sull'in- terazione di questi con il materiale colpito .

Quando un fascio elettronico colpisce un materiale si verifica:

• emissione di elettroni secondari, emessi dagli strati più superficiali del campione in esame, del quale mettono in evidenza la morfologia. Un rilevatore di elettroni emessi dallo strato superficiale permette di ricavare le immagini digitali tipo secon- dary electrons (SE), in toni di grigio, la cui intensità di luminosità dipende dalla morfologia della superficie;

• emissione di elettroni retrodiffusi, che permeano il campione al di sotto dello strato più superficiale per poi riemergere; la quantità di elettroni riemersi dipende dal nu- mero atomico Z medio degli atomi colpiti.

Un rilevatore di elettroni retrodiffusi permette di ricavare le immagini tipo back- scattered electrons (BSE). Anch'esse sono immagini digitali a livelli di grigio, la cui tonalità è proporzionale alla media del numero atomico Z degli elementi del materiale colpito (i minerali costituiti da elementi più "pesanti" hanno tonalità più chiare rispetto agli altri);

• l'interazione del fascio elettronico con gli atomi del materiale colpito, genera emis- sione di raggi X che permettono di ottenere, oltre allo spettro continuo di fondo, an- che la serie di righe caratteristiche di tutti gli elementi che lo costituiscono. Il di- spositivo Energy Dispersive System (EDS) misura l'energia emessa. Il software per- mette di ricalcolare, dagli spettri, le analisi chimiche dei materiali, da cui ricavare

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tabelle che indicano i contenuti percentuali degli elementi o dei loro ossidi nella zona colpita; non si riescono a determinare quantitativamente elementi leggeri con numero atomico più basso del sodio.

• inoltre, si verifica emissione di fotoni a causa dell'interazione tra il fascio e la su- perficie dei vari cristalli, per il fenomeno della catodoluminescenza.

Per le analisi di questa tesi è stato sfruttata l'apparecchiatura (EDAX DETECTING UNIT MODEL NEWXL-30 139-2,5 SERIAL N° 6691-60771) presente nel Laboratorio di analisi SEM/EDS del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa. I campioni (se- zioni sottili lucide e frammenti selezionati) sono stati metallizzati a carbonio.

Figura 2.8: Immagine relativa all'apparecchiatura presente nel laboratorio SEM/EDS presso il Dipartimento di Scienze della Terra del- l'Università di Pisa

2.4-Diffrattometria delle polveri

La diffrazione dei raggi X, in mineralogia, si usa per diversi scopi:

• analisi qualitativa (identificazione) di solidi cristallini, sia minerali sia materiali sin- tetici;

• definizione delle proprietà microstrutturali, ossia la dimensione dei cristalliti, difet- tualità reticolare di tali materiali;

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• analisi quantitativa di miscele di minerali;

• determinazione delle costanti di cella e del gruppo spaziale di un minerale;

• definizione della disposizione degli atomi nella cella elementare di un minerale (struttura cristallina).

Per tali scopi, i metodi di studio sono essenzialmente due:

1. diffrattometria di polveri;

2. diffrattometria di cristallo singolo.

Nel nostro caso, la metodologia utilizzata è quella relativa alla diffrattometria delle polveri con diffrattometro Philips PW 1050-25 a geometria Bragg-Brentano, come quello riportato nella figura 2.9, disponibile nel laboratorio di diffrattometria presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa.

Figura 2.9: Immagine relativa alla strumentazione utilizzata: diffrattometro delle polveri Bragg Brentano

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Nella figura 2.10 è riportato lo schema di funzionamento dello strumento:

Figura 2.10: immagine relativa allo schema di funzionamento di un diffrattometro delle polveri Bragg-Brentano

Dopo aver selezionato il campione di roccia (n° 208383 del sondaggio CSE-076-D del

"COSE Project") su cui effettuare le analisi e, dopo un'accurata separazione dei frammenti scuri (matrice) da quelli chiari (clasti vulcanite), si è proceduto alla macinazione degli stes- si con il mortaio fino a ridurli in una polvere omogenea a grana molto fine, circa 10 µm.

Successivamente sono stati inseriti separatamente in due step, nel portacampione e poi nel- la sede apposita nello strumento, come riportato nella figura 2.11, e si è avviato il conteg- gio.

Figura 2.11: immagine relativa alla macinazione e all'analisi del campione 208383 del sondaggio CSE-076-D del "COSE Project"

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Il portacampione e il contatore ruotano, in modo da portare in diffrazione tutti i possibili angoli di Bragg. La velocità angolare del contatore è doppia rispetto a quella del campione.

Come risultato si otterrà una scansione dove a ciascun passo di scansione è associata una intensità di diffrazione, ossia un diagramma Intensità/2θ.

Attraverso la lettura dei picchi di diffrazione e il confronto con manuali appositi che con- sentono l'identificazione, tramite i tre picchi più intensi del nostro minerale (esistono anche dei programmi informatici che effettuano la ricerca in modo automatico, incrociando i pic- chi con la composizione chimica), si possono discriminare i minerali costituenti la polvere.

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Capitolo 3 – Risultati

3.1 – Las Burras Almagro

I campioni esaminati sono 50; sono stati prelevati da 5 sondaggi localizzati nel NW del ter- ritorio argentino in Sud America (figura 3.1).

Figura 3.1: Mappa relativa alla zona in esame (da figura 1 pagina 6 TECHNICAL REPORT ON LAS BURRAS COPPER-GOLD POR- PHYRY PROSPECT SALTA, ARGENTINA Prepared for Cascadero Copper Corporation, Vancouver, Canada and Salta Exploraciones, S.A., Salta, Argentina Prepared by Kenneth M. Dawson, Ph.D., P. Geo. Terra Geological Consultants, North Vancouver, B.C. Canada October 7th 2010).

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Nella tabella riportata in figura 3.2, sono elencati i sondaggi, la loro localizzazione Est e Nord nel sistema di coordinate argentino Posgar 94, la quota di bocca sondaggio, la pro- fondità raggiunta, l'azimuth, la pendenza di perforazione e il target ricercato.

Figura 3.2: Tabella dati sondaggi Las Burras da Cascadero Copper, Las Burras Copper Porphyry Drill Program completed-Salta Pro- vince North Western Argentina 29 Giugno 2011.

Tramite l'utilizzo del software Franson CoordTrans versione 2.3, si sono potuti convertire i dati relativi alle coordinate Pos 94 nel sistema di coordinate WGS84; è stato così possibile costruire la mappa (figura 3.3) della localizzazione dei sondaggi con l'ausilio di Google Maps che lavora in tali coordinate.

Figura 3.3: Mappa ricavata da Google Maps relativa alla localizzazione dei sondaggi la cui legenda è espressa in coordinate WGS84.

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I sondaggi LB-11-01, LB-11-02, LB-11-03 e LB-11-04 sono posizionati grosso modo alli- neati lungo un'ipotetica retta, per testare e verificare la coincidenza delle anomalie geochi- miche in Cu, Au e Mo e geofisiche registrate. Il posizionamento del sondaggio LB-11-05, a circa 500m ad Est del sondaggio LB-11-02, è relazionato alla verifica della presenza di un cuscinetto d'alterazione periferico rispetto al corpo porfirico intrusivo principale.

Il sondaggio LB-11-06 posizionato a circa 1000 m a W dai sondaggi LB-11-01, LB-11-02, LB-11-03, LB-11-04 è stato eseguito per testare la presenza di oro in vene di quarzo, tor- malina e solfuri nella zona periferica del corpo intrusivo porfirico, in corrispondenza di anomalie non di Cu ma di Zn e Pb.

Secondo quanto riportato nel report del 29 giugno 2011 dalla Cascadero Copper Corp., la roccia incassante è da monzodioritica a granodioritica. L'area è caratterizzata da alterazio- ne di tipo argillitica più esternamente, con nucleo dominato da alterazione sericitica.

In superficie, l'alterazione include jarosite e limonite e altri minerali di origine supergenica (tesi Parenti, 2010) e un sistema di vene trasversali. Sono presenti mineralizzazioni ipoge- niche di pirite, calcopirite e molibdenite. L'alterazione propilitica era stata identificata solo nella zona Nord occidentale, rispetto al corpo intrusivo principale.

3.1.1-Caratteri macroscopici

I 50 campioni analizzati sono così suddivisi (allegato 1):

• 32 dal sondaggio LB-11-03, di cui 16 prelevati a profondità comprese tra 68,03 m e 78,63 m, uno a 85,00 m e i restanti 15 tra 155,84 m e 165,56 m;

• 6 dal sondaggio LB-11-04 di cui 4 prelevati a profondità tra 60,00 m e 78,20 m e gli ultimi 2 a 111,18 m e 115,46 m rispettivamente;

• 2 dal sondaggio LB-11-06 a 163,47 m e 160,44 m rispettivamente;

• 4 dal sondaggio LB-11-01 a 90,00 m, 105,46 m, 126,00 m e 150,48 m;

• 6 dal sondaggio LB-11-02 di cui due a 70,75 m e 71,98 m un altro a 173,90m e gli ultimi 3 a 225,72 m, 245,81 m e 249,01 m rispettivamente.

I frammenti di carota disponibili, appartenenti tutti al plutone, hanno dimensione massima di 4-6 cm. Questo non consente di conoscere con grande dettaglio la grana delle rocce in- trusive che lo costituiscono, perché ci sono porzioni con megacristalli di ortose di alcuni centimetri che possono non essere rappresentati.

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Sondaggio LB-11-01

Il sondaggio si trova nell'allineamento N-S insieme ai sondaggi LB11-02, LB-11-03 e LB- 11-04. I campioni di tale sondaggio sono distinguibili in tre gruppi: tra 90 e 105 m mostra- no una colorazione giallastra, per la presenza di un reticolato molto sottile di minerali se- condari; a 126 m invece, il monzogranito, a tessitura isotropa disequigranulare, non presen- ta l'alterazione giallastra; a 150 m il sondaggio incontra una roccia con un indice di colore maggiore.

Tutti i campioni sono interessati da mineralizzazioni a solfuri che si presentano isolate, di color giallo carico, giallo pallido e bianco-argenteo e in venette sottili, dello spessore di 1-3 mm, che si intersecano e sembrano esser costituite essenzialmente da pirite.

Sondaggio LB-11-02 (allegato 2)

Figura 3.4: Immagine relativa a una porzione di carota del sondaggio LB-11-02 in cui si riconoscono le evidenti vene a solfuri

Il sondaggio è localizzato più a Nord dei 4 allineati N-S. I campioni mostrano tutti una co- lorazione bianco-grigiastra e una tessitura isotropa disequigranulare. L' indice di colore è paragonabile a quello del monzogranito del sondaggio LB-11-01, tranne che nel campione della quota più bassa (250 m) che ha indice di colore maggiore e presenta cristalli di ortose rosato di dimensioni superiori, intorno a 1 cm. Tali campioni sono tutti caratterizzati da mi- neralizzazioni a solfuri in vene più spesse, rispetto al sondaggio LB-11-01, superiori a 4-5 cm. Nelle vene a 245 m i solfuri, che a occhio nudo sembrano dominati dalla pirite, sono accompagnati da quarzo e le vene, che non mostrano contatti netti con l'incassante, hanno andamento irregolare. Inoltre la salbanda della vena è molto più chiara del resto della roc- cia. Questo suggerisce che si tratti di vene di sostituzione e non di riempimento.

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Sondaggio LB-11-03 (Allegato 3)

Figura 3.5: frammenti di carota del sondaggio LB-11-03 in cui si individuano i grossi fenocristalli di ortose rosato

Dalle osservazioni effettuate emerge che nel sondaggio LB-11-03, collocato sull'allinea- mento N-S, insieme agli altri, i campioni meno profondi (68-73 m) presentano fenocristalli di ortose rosato di dimensioni superiori al cm, mentre il resto della roccia è dominato da plagioclasio decisamente biancastro, e quantità minori di quarzo e biotite a grana fine. Le vene, sottili, sono sia di solfuri (si distinguono cristalli giallo carico e giallo pallido, quindi probabilmente calcopirite e pirite), sia esclusivamente di quarzo, talvolta microcristallino, talvolta ben cristallizzato; in quest'ultimo caso le vene risultano beanti nella parte centrale,

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