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Percorsi diagnostici: interazione tralaboratorio clinica nell’azienda ospe-daliera di Bolzano lettera

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60 Riv Med Lab - JLM, Vol. 2, N. 2, 2001 - Sirse

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Percorsi diagnostici: interazione tra laboratorio clinica nell’azienda ospe- daliera di Bolzano

Da sempre si è avvertita l’esigenza di razionalizzare la richiesta, talora inappropriata, degli esami di laboratorio.

Nel 1992 la Società Italiana di Medicina di Labora- torio celebrava il suo 6° Congresso Nazionale che trat- tava il tema:“I Profili di Laboratorio: dai protocolli alla logica diagnostica” (1). Nel 1996 nel volume di G.C.Fiorucci e di E.Peyronel dal titolo “I Percorsi dia- gnostici di Laboratorio-un equilibrio tra economia e diagnosi” (Ed.MAF Servizi, Torino) il termine “per- corsi” sostituisce “protocolli” o “profili” (2).

Nel decreto del Presidente della Repubblica 14 gen- naio 1997 (Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecno- logici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private) si legge che “devono essere predisposte con gli operatori, linee guida, regolamenti interni che indichino il processo assistenziale con cui devono essere gestite le evenienze cliniche più frequenti o di maggiore gravità”: i percorsi diagnostici entrano a far parte dei requisiti di Qualità.

Nella nostra Azienda è stato costituito di recente il Dipartimento di Medicina di Laboratorio: uno tra gli obiettivi è quello di “adottare strategie utili per un più corretto indirizzo diagnostico-terapeutico”.

Ci siamo quindi attivati per proporre dei percorsi diagnostici, nel tentativo di raggiungere un buon equilibrio tra un adeguato inquadramento diagno- stico e una ottimale utilizzazione delle risorse. Tale lavoro ha visto la stretta collaborazione tra labora- toristi, medici di reparto e dirigenza medica che, analizzata la letteratura scientifica sugli argomenti, hanno stilato dei percorsi diagnostici “personaliz- zati”, mediando tra esigenze cliniche e possibilità analitiche di realizzarli. Qui riportiamo alcuni esempi.

Versamenti pleurici (Figura 1)

Fondamentale è la distinzione tra essudati e trasudati:

si sono ormai consolidati i criteri di Light che si basano sul dosaggio di proteine totali, lattato deidrogenasi (LAD), con il calcolo del rapporto tra liquido pleurico e siero (3,4,5).

In caso di trasudati non sono necessari ulteriori esami e la terapia deve essere finalizzata alla patologia di base (insufficienza cardiaca , cirrosi epatica o nefrosi) (6).

Se il quadro clinico orienta verso un trasudato, ma i criteri di Light orientano verso l’essudato, è racco- mandabile eseguire il gradiente siero-pleurico per l’al- bumina, che nei trasudati è superiore a 12 g/L (7).

Diversamente questo criterio da solo non è utilizza- bile. LAD pleurico è un indicatore di infiammazione pleurica e il suo monitoraggio riveste un significato prognostico nell’evolversi degli essudati (4).

Procedure sequenziali nell’analisi del liquido pleurico:

1) La distinzione tra trasudati ed essudati si basa su LAD e proteine: se siamo in presenza di un trasudato non sono necessari ulteriori esami.

2) Negli essudati l’esame chimico va completato con:

dosaggio del glucosio, amilasi, pH e formula del sedi- mento pleurico.

3) Eventuali esami mirati (ematocrito, lipidi, fattore reumatoide, ANA, isoamilasi, colesterolo, trigliceridi, chilomicroni, esame batteriologico e culturale, esame citologico) vanno eseguiti secondo sospetto clinico (4).

Figura 1. Percorso diagnostico nei versamenti pleurici

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Attuando questa procedura sequenziale mirata (Fig.1), non solo viene incrementata la razionalità delle pro- cedure, ma si realizzano risparmi gestionali.

Malnutrizione ospedaliera (Figura 2)

La malnutrizione proteico-energetica (MPE) è tut- t’altro che infrequente nelle corsie ospedaliere.

La letteratura sull’argomento è piuttosto scarsa, a denotare un persistente disinteresse degli operatori sanitari. Tra gli anni ‘70 e ’90 sono stati pubblicati sette studi su pazienti chirurgici (8,9,10,11,12,13), e 5 studi su pazienti medici (14,15,16). Nessun altro studio è comparso fino al 1994 quando Mc Whirter pubblicò un lavoro su 500 ricoverati ; la prevalenza di MPE era del 34% nei pazienti chirurgici , 46% nei medici, e 43% nei geriatrici (17).

I pochi studi italiani (18,19) sono relativi ad uno studio effettuato presso il nostro ospedale, che ha rilevato come all’atto del ricovero il 19.4% dei pazienti pre- senti una MPE e come dopo 15 giorni di degenza il 33.3% peggiori il proprio stato nutrizionale, ed all’- Hospital Malnutrition Italian Study che dopo aver arruolato 705 pazienti in 10 grosse strutture ospeda- liere ha riscontrato il 19% di MPE all’atto del ricovero e dopo 15 giorni di degenza un peggioramento dello stato di nutrizione nel 63% dei casi.

Se questi dati vengono letti in funzione delle conse- guenze della MPE, si rafforza la necessità di una mag-

giore sensibilizzazione sul problema.

Con questa premessa il servizio di Medicina Nutrizio- nale insieme con il Laboratorio di Biochimica Clinica ha sentito la necessità di sensibilizzare i colleghi sia della Medicina che della Chirurgia a non trascurare l’esistenza della malnutrizione e della sua rilevanza prognostica.

La stesura di un percorso diagnostico minimale facil- mente ottenibile, ripetibile e di basso costo dovrebbe facilitare la diagnostica della M.P.E.

E’opportuno perciò ricordare quali possono essere le con- seguenze della malnutrizione (Figura 3), ossia l’aumento di morbilità, mortalità e costi della gestione ospedaliera.

Non esistono criteri universalmente accettati per defi- nire la MPE. Una buona valutazione dello stato nutri- zionale richiede la sintesi di più informazioni (anam- nesi nutrizionale, parametri clinici, parametri antro- pometrici o bioumorali) in quanto l’inquadramento nutrizionale del paziente non può fondarsi su un sin- golo indice, ma deve procedere secondo uno schema più complesso (20,21).

Prendendo in considerazione solo i parametri nutrizio- nali di competenza laboratoristica è opportuno sottoli- neare l’importanza dell’azoto ureico urinario, che for- nisce informazioni circa lo stato catabolico del paziente, delle proteine viscerali di sintesi epatica (albumina, trans- ferrina, pre-albumina e RBP) e dei linfociti totali come espressione di immunità umorale.

A questo punto si rende necessaria qualche precisa- zione circa l’interpretazione delle proteine più utiliz-

Figura 2. Percorso diagnostico nella malnutrizione ospedaliera

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zate: pre-albumina e albumina.

L’ALBUMINA ( v.n. 3500-5000 mg/dl):

• è la più abbondante proteina circolante nel plasma,

• ha una emivita di circa 20 giorni,

• il pool totale può diminuire di un terzo prima che si evidenzi a livello sierico,

• non è un indice precoce di malnutrizione, ma rivela prevalentemente una situazione cronica,

• la sua variabilità è frequentemente utilizzata come indice prognostico.

La PRE-ALBUMINA ( v.n. 25-45 mg/dl):

• è una proteina a turnover rapido con un’emivita di circa 2 giorni,

• è un buon indicatore di MPE,

• è molto sensibile alla restrizione calorica,

• è buon indicatore dell’efficacia della terapia nutri- zionale,

• il suo livello è molto influenzato dalla sintesi delle proteine di fase acuta.

Albumina e prealbumina sono correlate negativa- mente con le proteine di fase acuta, infatti in seguito ad un evento lesivo acuto (trauma, infiammazione, neoplasia) il fegato sintetizza prontamente proteine di fase acuta (PCR, alpha 1-antitripsina, alpha 1-gli- coproteina acida, aptoglobina) a scapito delle pro- teine viscerali, pertanto nei giorni successivi ad uno stress acuto la determinazione delle proteine nutri- zionali non è un indice attendibile dello stato nutri- zionale.

Alla luce di quanto esposto risulta evidente come l’interpretazione dei parametri viscerali è difficile e ancora controversa non essendo sempre possibile separare gli effetti di un deficit nutrizionale da quelli della malattia.

In sintesi la valutazione dello stato nutrizionale può seguire la seguente gradualità (figura 2):

1. valutazione parametri antropometrici, 2. valutazione indici bioumorali,

3. eventuale valutazione proteine fase acuta, 4. valutazione clinica del paziente.

Concludendo, la valutazione dello stato nutrizionale finalizzato ad una diagnosi di malnutrizione non può essere definita da un unico indicatore, ma si deve

ricorrere a numerosi dati, senza comunque mai per- dere di vista l’obiettività clinica del paziente. Questo sottolinea ancora di più la necessità di un intervento multidisciplinare tra laboratoristi, nutrizionisti ed internisti.

Conclusioni

Chiunque si debba confrontare con la problematica della qualità di un sistema produttivo percepisce immediatamente che il primo livello del lungo cam- mino che gli si prospetta è quello di determinare degli standard al di sotto dei quali il prodotto o la presta- zione in oggetto non devono scendere. Infatti il primo difetto di una produzione sia di oggetti (elettrodo- mestici, automobili, apparecchiature sanitarie, etc.) che di servizi (trasporti, agenzie, prestazioni sani- tarie, etc.) è quello della variabilità più o meno pre- vedibile del risultato finale rispetto a quello atteso.

Tale variabilità è uno dei principali fattori negativi di qualità ed è tanto più elevata quanto maggiore è il numero di variabili in gioco e quanto più elevato è il numero di operatori che contribuiscono a realiz- zare la prestazione. E’ immediatamente evidente quanto tali considerazioni siano applicabili alle pre- stazioni sanitarie. La prima scommessa che ogni ten- tativo di miglioramento di queste ultime deve affron- tare, quindi, è quella di garantire all’utente che la pre- stazione non scenderà mai sotto alcuni standard pre- fissati e dichiarati e che ciò verrà realizzato con un occhio di riguardo anche al rapporto costo/beneficio.

Gli strumenti per vincere questa scommessa sono diversi ma quelli che maggiormente contribuiscono al successo sono quelli che permettono di eseguire tutto il processo di produzione secondo regole chiare, condivise e conosciute da tutti gli attori coinvolti, verificate con regolarità ed aggiornate tempestiva- mente quando necessario. Tali strumenti sono rap- presentati per noi dai percorsi diagnostici.

Il proposito che il seguente lavoro si propone è quindi particolarmente apprezzabile per lo sforzo profuso nel- l’intento di tessere pazientemente una estesa ragnatela di consenso attorno ad alcuni importanti processi dia- gnostici che attraversano ogni ospedale in maniera tra- sversale e che coinvolgono sia i clinici che operano al letto dell’ammalato che i servizi erogatori di pre-

Figura 3. Le conseguenze della malnutrizione

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stazioni. Coinvolgono in particolare il laboratorio che in questo ambito non si configura più come un passivo esecutore di richieste ma si pone dentro al processo in veste di partner attivo. Il laureato di laboratorio acquisisce, proprio in operazioni di questo tipo, il suo più naturale e moderno ruolo ed il clinico di reparto fruisce di un valore aggiunto rispetto alla semplice refertazione di un campione biologico e cioè la garanzia che il prodotto finale (la parte laboratoristica dell’indagine diagnostica) sarà sicuramente conforme agli standard di qualità ottenibili in quel determinato contesto. Ma la qualità del risultato non è il solo out- come di rilievo di un tale approccio organizzativo.

Vanno segnalati anche gli aspetti medico-legale ed eco- nomico. Nel primo caso un eventuale problematica giuridica non lascia da solo il singolo medico pre- scrittore di prestazioni ma lo inserisce in un contesto organizzato e giuridicamente “più forte”. Nel secondo caso il percorso diagnostico analizzato da esperti di discipline diverse e complementari garantisce l’a- zienda sanitaria che i processi ivi contenuti sono strut- turati per ottenere il migliore risultato con un corretto impegno di risorse. Tutto ciò è quanto una moderna azienda sanitaria deve assolutamente perseguire per essere competitiva.

Questo lavoro dimostra come sia possibile confron- tarsi in modo costruttivo con i colleghi dei reparti cli- nici: ne deriva la consapevolezza di essere “consulenti di Medicina di Laboratorio” e non semplici esecutori in un “laboratorio-supermercato”.

I percorsi da noi proposti sono stati implementati all’interno del nostro ospedale; sono in fase di studio alcuni indicatori che ci permettano di valutarne i risul- tati e l’efficacia.

Bibliografia

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