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Rivista di estetica

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Academic year: 2021

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Rivista di estetica

60 | 2015

:

postille a Ferraris

Percezioni, ragionamenti e

illusioni

A

LESSANDRA

J

ACOMUZZI p. 91-98 https://doi.org/10.4000/estetica.580

Abstract

ItalianoEnglish

Il senso comune tende a credere all’esistenza delle illusioni ottiche e percettive ma difficilmente sostiene la tesi di un ragionamento illusorio. Nel campo della psicologia del ragionamento si parla piuttosto di errori di ragionamento, che l’esperienza può correggere e modificare. Per questo nel tempo si è consolidata la credenza che esista una netta distinzione tra le une e le altre. Le prime sarebbero più forti, le seconde più deboli e con possibilità di correzione. In questo lavoro intendo dimostrare, attraverso la presentazione e analisi di una topologia delle illusioni, che esiste, in realtà, una struttura universale sottostante a ogni tipo di illusione. Questa stessa struttura è quella che ci permette di parlare di un criterio universale per identificare le illusioni, una parte fondamentale del mondo esterno.

Common sense tends to believe in the existence of optical and perceptual illusions but it hardly supports the thesis of an illusory reasoning. In the psychology of reasoning, one rather talks of errors of reasoning that experience can fix and change. For this reason, over the years, the belief that there is a clear distinction between optical and perceptual illusions has been reinforced. The former would be stronger, the latter weaker and correctable. In this paper I intend to demonstrate, through the presentation and analysis of a topology of illusions, that there is indeed a universal structure underlying every kind of illusion. This same structure allows us to talk about a universal criterion to identify illusions: a key part of the outside world.

Termini di indicizzazione

Keywords : ontology, commons sense, social ontology, unamendability

Parole chiave : ontologia, senso comune, ontologia sociale, inemendabilità percettiva

Note dell'autore

Le riflessioni di queste pagine sono il frutto di lavori e dialoghi svolti negli ultimi anni con Paolo Legrenzi.

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Or in the night, imagining some fear, Ho easy is a bush supposed a bear! Teseo, duca d’Atene, all’inizio dell’atto V del Sogno d’una notte di mezza estate

Era il 1997…

L’ultimo libro di Maurizio Ferraris, Estetica razionale, […] prova a rovesciare la linea di tendenza cercando di riportare, in qualche modo, la filosofia verso le “cose stesse”, ma senza rinnegare l’eredità delle riflessioni che maggiormente hanno contribuito a circoscriverla nel territorio del linguaggio, prima fra tutte l’ermeneutica.

I versi di Shakespeare colgono un punto centrale delle teorie della percezione: i canali percettivi non ci forniscono mai una copia perfetta della realtà esterna. La realtà percepita è costantemente condizionata da stati d’animo, aspettative e dai fini del soggetto percipiente.

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In alcuni casi, come quello shakespeariano, il riconoscimento errato si presenta in vesti illusorie e allucinatorie e diminuisce con la progressiva introduzione di nuove informazioni visive.

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Era il 1997 e mi apprestavo a iniziare il mio primo anno di università a Torino. Avevo scelto il corso di laurea in Filosofia, convinta che solo il pensiero e il ragionamento teoretico avrebbero potuto soddisfare le mie curiosità sul mondo e sull’uomo. Erano gli anni in cui Gianni Vattimo insegnava Filosofia teoretica, l’ermeneutica sembrava dominare (almeno ai miei occhi!) il panorama filosofico contemporaneo e io, nel mio piccolo, ero convinta che il mondo e il nostro vissuto fosse davvero tutta una questione di interpretazione.

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Nel costruire il mio piano di studi avevo ingenuamente pensato che l’esame di Estetica al primo anno potesse essere la scelta migliore. Nella mia esperienza liceale l’estetica era la filosofia dell’arte e sicuramente sarebbe stato un ottimo modo per iniziare in maniera semplice il mio percorso di studi. Il docente del corso era un giovane di nome Maurizio Ferraris, allievo di Vattimo, a me all’epoca sconosciuto.

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A ripensarci ora, a distanza di vent’anni viene da sorridere. La mia totale ingenuità mi aveva fermamente convinto che sarei riuscita a dare al primo semestre del primo anno di università uno degli esami più difficili e il cui studio avrebbe cambiato per sempre il mio orientamento di ricerca.

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Non so dire quanto riuscissi a capire alle lezioni di Maurizio che frequentavo assiduamente ma ricordo per certo che il libricino che dovevo portare all’esame, dal titolo L’immaginazione, era per me davvero oscuro. Erano poche pagine ma davvero difficili da dominare per il pensiero completamente nuovo per me che arrivavo dall’impostazione classica del liceo. Trovavo molto più semplice la Critica della ragion pura kantiana che costituiva la parte istituzionale dell’esame.

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Sarà stata l’ingenuità o la bontà del docente, non saprei dire, ma riuscii a superare l’esame. E decisi di inserire come esame a scelta un ulteriore prova con Ferraris. Questa volta però il programma era cambiato. Mi aspettava un libro nuovo dal titolo Estetica razionale. Era ormai il 1999 e posso dire con certezza che la lettura del capitolo sull’estetica di quel volume cambiò completamente il mio approccio verso la filosofia.

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Stefano Catucci il 3 gennaio del 1998 sul Manifesto scriveva:

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Riportare la filosofia alle “cose stesse”. Ecco quello che più mi incuriosì. In Estetica razionale Maurizio mi insegnava che l’estetica non è la filosofia dell’arte ma piuttosto la scienza delle cose sensibili, della percezione. E per me studiare il mondo esterno voleva innanzitutto dire studiare percezione. Fu in quel periodo, e non senza un aiuto involontario di Maurizio, che la mia strada iniziò a spostarsi verso il Nord-est. Da allora, tra Trieste e Venezia, ho cercato di capire qualcosa di più della realtà esterna.

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Lo strano caso delle illusioni ottiche e

cognitive

Il criterio freudiano per distinguere le

illusioni

Quando si può parlare di illusioni

Il primo e fondamentale insegnamento che ho ricevuto dalla scuola triestina è che la percezione non deve mai essere data per scontata. Un altrettanto fondamentale insegnamento, ricevuto solo qualche anno fa dal grande psicologo Paolo Legrenzi è che anche il ragionamento intuitivo non sempre è corretto.

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In entrambi i campi, percezione e cognizione, si possono verificare quelle che vengono definite illusioni; percezioni o ragionamenti sbagliati che, diversamente dagli errori, difficilmente possono essere modificati una volta individuati.

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In queste pagine voglio affrontare il problema della definizione delle illusioni.

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Cosa sono le illusioni? Esiste un criterio universale per identificare le illusioni percettive e cognitive?

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Credo che i recenti sviluppi delle scienze cognitive dimostrino l’esistenza di tale criterio.

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Il problema non è certo nuovo: già Freud, nel 1927, nel suo L’avvenire dell’illusione, aveva tentato una distinzione parlando di illusioni come di autoinganni alimentati da desideri e di errori quali credenze non aderenti alla realtà delle cose. Nel capitolo sesto egli scrive: «L’illusione non è la stessa cosa di un errore, e non è necessariamente un errore» e cita, a questo proposito, l’idea di Aristotele secondo la quale i parassiti nascono nel sudiciume. In questo caso si parla di errore, diversamente dal caso di Colombo che scambiò l’America per le Indie dove invece siamo di fronte a un’illusione.

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Perché? Perché – dice Freud – Colombo, a differenza di Aristotele, desiderava trovare le Indie. Il suo non fu un errore ma un autoinganno generato dal suo desiderio.

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Questo era il pensiero di Freud all’inizio del secolo scorso; pensiero peraltro molto vicino alle odierne credenze del senso comune secondo le quali le illusioni sono frutto di qualche processo consapevole. Niente di più sbagliato. L’illusione è, infatti, l’effetto di un processo automatico che nulla ha a che vedere con le nostre emozioni; e questo è un fatto generalizzato che vale per qualunque tipo di illusione.

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Le illusioni si differenziano, in primo luogo, in base al dominio cui fanno riferimento. Quelle che derivano da input percettivi sono dovute a meccanismi di tipo bottom up quelle che derivano, invece, da input cognitivi sono determinate da meccanismi di tipo top down. Cosa le accomuna? Per quale motivo possiamo parlare, in entrambi i casi, di illusioni nonostante i meccanismi alla loro base siano del tutto diversi.

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Il criterio emozionale immaginato da Freud non riesce a dar conto di queste distinzioni e per quanto attraente non convince.

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Per arrivare a trovare un criterio universale vale la pena di iniziare da una tassonomia delle illusioni.

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Quando si parla di illusioni si possono infatti distinguere almeno quattro categorie differenti.

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a. Il caso di un’illusione percettiva che venga considerata tale a seguito di una conoscenza dovuta all’esperienza passata o presente.

b. Il caso di un’illusione percettiva che venga considerata tale a seguito di un conflitto con una percezione di diverso tipo.

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c. Il caso di un’illusione percettiva che venga considerata tale a seguito di una misurazione geometrica di grandezza.

d. Il caso di un’illusione cognitiva che venga considerata tale a seguito di una riflessione più “completa” sul problema.

Vediamo alcuni esempi di questi quattro tipi di illusioni.

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a) La figura del pescatore di Kanizsa

Nella sua Grammatica del vedere Kanizsa inserisce la famosa figura del pescatore per mostrare la forza dell’effetto Petter. Quando ci troviamo di fronte a zone irregolari ma cromaticamente omogenee il nostro sistema visivo opera una scissione fenomenica facendoci percepire due figure separate. Data l’omogeneità cromatica queste figure tenderanno a essere “davanti” o “dietro” in maniera reversibile. Questa reversibilità viene eliminata attraverso alcune condizioni che sono state isolate da Petter nel 1956: noi percepiamo “davanti” o “sopra” la figura più grande, meno articolata e in movimento.

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Questa legge dell’organizzazione percettiva è così forte che neanche l’esperienza pregressa o la nostra aspettativa dedotta in base a essa riescono a modificarla.

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È proprio a causa dell’effetto Petter che noi non riusciamo a percepire la canna da pesca “davanti” alla vela. Nonostante l’esperienza ci abbia insegnato che la situazione contraria non può esistere.

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In questo caso l’illusione ottica è dovuta alla presenza di un percetto che si rivela incongruente rispetto alla nostra logica razionale ed esperienziale. L’illusione risulta più forte di qualunque nostra conoscenza della situazione. Anche conoscendo la genealogia della figura, le leggi dell’organizzazione percettiva e il pensiero di Kanizsa non riusciamo a percepire la canna da pesca davanti alla vela.

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Una situazione analoga la troviamo in un’altra figura costruita da Kanizsa sempre a dimostrazione della forza dell’effetto Petter. Si tratta del manico dell’ombrello che passa attraverso i capelli della signora. Per quanto sappiamo, attraverso esperienza pregressa e ragionamento razionale, che non può verificarsi una situazione simile non riusciamo a percepirla diversamente.

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b) Il bastone “storto” immerso nell’acqua

Ora andiamo avanti e analizziamo un’altra illusione. Prendiamo una situazione a tutti noi familiare. Un bastone di legno, dritto, quando viene immerso nell’acqua appare storto. Cosa succede se immergiamo la nostra mano nell’acqua ed esploriamo il bastone? A livello tattile avremo la corretta percezione di un bastone dritto. Eppure a livello visivo continueremo a percepirlo storto. Anche in questo caso l’esperienza pregressa (la mia precedente conoscenza di quel bastone o di altri bastoni) e la conoscenza esperienziale (la mia attuale conoscenza del bastone dovuta alla percezione tattile) non mi permettono di “correggere” la mia percezione.

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Questo infatti non è un errore ma un’illusione.

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c) L’illusione di Müller-Lyer

Prendiamo l’immagine di due rette (figura A), costruite di lunghezza uguale e che differiscono esclusivamente per le frecce disegnate alle loro estremità. Se chiedeste a un vostro amico di dire se le due rette sono uguali o diverse e, nel caso siano diverse, quale sia la più corta e quale la più lunga la risposta sarebbe che la linea più bassa è più corta di quella più alta.

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Una piccola percentuale di soggetti che si fosse già cimentata in questo esperimento o che conoscesse questa illusione potrebbe rispondere che le linee sono uguali. Tuttavia non potrebbe mentire dicendo che li percepisce visivamente uguali.

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Il nostro sistema visivo, infatti, codifica l’informazione relativa a queste due figure in maniera tale da farci percepire una retta più corta dell’altra. Si tratta di un errore del nostro cervello?

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Sicuramente il nostro sistema visivo ci dà una percezione distorta della realtà ma questo non vuole dire che si possa parlare di errore. Piuttosto ci troviamo di fronte a un caso in cui si verifica un’incongruenza tra percetto e risultato di una misurazione di grandezza.

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d) L’inferenza illusoria di Keith Stanovich

Spostiamoci per un momento nel campo del ragionamento per vedere se anche qui possiamo parlare di illusioni. Questa volta saranno illusioni di pensiero e non dovute alla percezione.

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Provate a risolvere il seguente problema.

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Giacomo sta guardando Anna, Anna sta guardando Giorgio.

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Giacomo è sposato, Giorgio è scapolo.

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Una persona sposata sta guardando una che non lo è?

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La riposta intuitiva sarà no. Ma non sempre le risposte intuitive sono corrette. Infatti, è irrilevante sapere se Anna è sposata o meno. Ci sono due possibilità: se Anna è sposata allora sta guardando Giorgio, che non è sposato. Se Anna non è sposata allora Giacomo guarda una persona non sposata, ovvero Anna.

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Questa è la variante data da Keith Stanovich del problema delle inferenze illusorie studiato per primo da Johnson-Laird. Anche quando capiamo la struttura disgiuntiva del problema e quindi quale sia la risposta esatta possiamo comunque ricadere nello stesso errore in futuro.

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L’errore è infatti dovuto al fatto che la nostra mente non riesce ad avere una rappresentazione più completa. A livello spontaneo la rappresentazione del problema che riusciamo ad avere è diversa dal livello “calcolato” e ci porta all’inferenza illusoria. Questa è una situazione del tutto analoga a quella delle illusioni percettive, in particolare quelle ottico-geometriche in cui rientra Müller-Lyer.

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Un criterio universale di identificazione

delle illusioni

Luglio 2015…

Bibliografia

Gli esempi sopracitati ci dimostrano che le illusioni cognitive e le illusioni percettive non sono così diverse tra di loro. La struttura sottostante è la stessa e ci permette di identificare un criterio generale per l’identificazione dell’illusione.

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Si può parlare di illusione ogni qualvolta ci si trovi in presenza di due coppie di rappresentazioni incongruenti tra di loro e della cui incongruenza siamo consapevoli.

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Le coppie di rappresentazioni possono essere di quattro tipi e danno luogo alle quattro tipologie di illusioni presentate sopra.

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a. La coppia costituita da un percetto e dal sapere esperienziale. b. La coppia costituita da due percetti.

c. La coppia costituita da un percetto e una rappresentazione fisico geometrica derivante da operazioni di misura.

d. La coppia costituita da un ragionamento errato e da un ragionamento corretto secondo un criterio logico, statistico e/o appartenente a una forma di razionalità (economica, scientifica…).

La modalità attraverso cui il soggetto diventa cosciente dell’incongruenza tra le due rappresentazioni può essere di diverso tipo e dipende dalla coppia in questione.

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Nel 1997 ho capito che quel che mi interessava studiare era il mondo esterno, il mondo delle cose là fuori, uguale per tutti. Oggi sono passati quasi vent’anni e credo di aver fatto qualche passo in avanti nella comprensione di quel mondo.

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Il senso comune tende a credere all’esistenza delle illusioni ottiche e percettive ma difficilmente sostiene la tesi di un ragionamento illusorio. Si parla di errori di ragionamento che possono venire modificati attraverso l’esperienza. Per questo si è pensato di poter attuare una distinzione tra illusioni percettive e illusioni cognitive. Le prime sarebbero più forti, le seconde più deboli e con possibilità di correzione. E anche io, in linea con il senso comune, per molti anni ho accettato questa tesi.

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Oggi, però, credo di poter sostenere che nonostante la differenza indubbiamente insita tra questi diversi tipi sia possibile ricavare una struttura universale. Ed è proprio questa struttura universale che ci permette di affermare l’esistenza di un criterio attraverso il quale si possono identificare le illusioni. Tale criterio riguarda la presa di coscienza da parte del soggetto di un’incongruenza tra due rappresentazioni della realtà. È un criterio apparentemente semplice, forse banale, ma che permette di riunire due domini fino a oggi studiati separatamente, quello delle illusioni percettive e quello delle illusioni cognitive; domini che costituiscono una parte importante e fondamentale di quel mondo esterno che ho scoperto attraverso gli scritti di Maurizio Ferraris.

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FERRARIS M.

– 1996, L’immaginazione, Bologna, il Mulino – 1998, Estetica razionale, Milano, Raffaello Cortina – 2001, Il mondo esterno, Milano, Bompiani

– 2012, Manifesto del Nuovo Realismo, Roma-Bari, Laterza – 2015, Mobilitazione totale, Roma-Bari, Laterza

FREUD S.

– 1990, L’avvenire di un’illusione, Torino, Bollati Boringhieri KAHNEMAN D.

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Indice delle illustrazioni

URLhttp://journals.openedition.org/estetica/docannexe/image/580/img-1.jpg File image/jpeg, 43k

Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Alessandra Jacomuzzi, « Percezioni, ragionamenti e illusioni », Rivista di estetica, 60 | 2015, 91-98.

Notizia bibliografica digitale

Alessandra Jacomuzzi, « Percezioni, ragionamenti e illusioni », Rivista di estetica [Online], 60 | 2015, online dal 01 décembre 2015, consultato il 28 avril 2020. URL :

http://journals.openedition.org/estetica/580 ; DOI : https://doi.org/10.4000/estetica.580

Autore

Alessandra Jacomuzzi

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Diritti d'autore

Rivista di Estetica è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione Non commerciale -Non opere derivate 4.0 Internazionale.

KANIZSA G.

– 1997, Grammatica del vedere, Bologna, il Mulino KOFFKA K.

– 1935, Principles of Gestalt Psychology, Routledge, London; tr. it. Principi di psicologia della forma, Torino, Boringhieri, 1970

DOI : 10.4324/9781315009292

LEGRENZI P.

– 2013, Perché gestiamo male i nostri risparmi, Bologna, il Mulino – 2014, Fondamenti di psicologia generale, Bologna, il Mulino

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