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A FONDAZIONE INSIEME onlus. SENTENZA N DEL 20/1/2006 FAMIGLIA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI AFFIDAMENTO CONGIUNTO DEI FIGLI.

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A000821 FONDAZIONE INSIEME onlus.

SENTENZA N. 1202 DEL 20/1/2006

FAMIGLIA – SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI – AFFIDAMENTO CONGIUNTO DEI FIGLI.

Anche in sede di separazione tra i coniugi, il giudice può affidare il figlio congiuntamente ad entrambi i coniugi, trovando applicazione l'art. 6 della legge

sul divorzio (1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), il quale dispone che il tribunale, pronunciando lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di

essa, e, ove lo ritenga utile all'interesse del minore, può disporne l'affidamento congiunto. In questo contesto, il disporre l'affidamento congiunto, anziché quello esclusivo, è questione rimessa alla valutazione

discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro normativo di riferimento l'interesse del minore medesimo e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di riesame in sede di legittimità. (Vedi

legge 1 marzo 2006 n. 54)

Testo Completo: Sentenza n. 1202 del 20 gennaio 2006

(Sezione Prima Civile, Presidente M. G. Luccioli, Relatore A. Giusti)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.

1__ Con sentenza depositata il 3/8/2001, il Tribunale di Firenze, pronunciando sulla domanda proposta da PAM nei confronti del marito MI e sulla

riconvenzionale interposta da quest’ultimo, dichiarava la separazione personale dei coniugi, con addebito della stessa alla moglie; disponeva l’affidamento della figlia VE ad entrambi i genitori, con domiciliazione presso la madre, stabilendo le modalità di frequentazione da parte del padre; poneva a carico della PAM il mantenimento della figlia VE ed a carico del MI quello del figlio VI, maggiorenne, con lui convivente; assegnava al marito la casa coniugale;

dichiarava totalmente compensate tra le parti le spese di lite.

2__ Su gravame della PAM, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza n.26, depositata il 16/1/2003, in parziale riforma dell’impugnata pronuncia, escludeva l’addebitamento alla PAM della separazione personale; affidava la figlia VE alla madre, ferme restando le già stabilite facoltà di frequentazione del padre;

disponeva a carico del MI ed a favore della PAM un contributo mensile di EURO 250,00 mensili per il mantenimento della figlia minorenne VE, con decorrenza dal gennaio 2002 e con rivalutazione Istat annuale; compensava per metà tra le parti le spese di entrambi i gradi e condannava l’appellato a rifondere all’appellante l’altra metà.

In punto di addebito, la Corte d’appello osservava che la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi era dipesa dalle continue discussioni tra la PAM e la suocera, con essi convivente,

contrasti che il MI non aveva cercato, come era suo dovere, di appianare al fine di costituire una salda unione coniugale, e che ciò aveva comportato anche un progressivo deterioramento dei rapporti sessuali tra gli stessi coniugi.

Secondo i giudici di appello, l’abbandono del domicilio coniugale da parte della PAM, avvenuto nell’estate del 1996, “non è dimostrato essere stato un

comportamento, violatore dell’obbligo di convivenza, e posto in essere a seguito dell’instaurata relazione sentimentale”, la frattura del rapporto matrimoniale ben potendo esservi già in tale periodo. La Corte d’appello escludeva che

“l’affermazione del MI di avere appreso verso la fine del 1995 della relazione extraconiugale della moglie” fosse stata confermata “dalle prove orali

successivamente assunte; e, siccome i testi non avevano indicato la data in cui avevano saputo “(peraltro per vox populi, come riferito dal teste MA)” di questa relazione, riteneva scarsamente significativa “la circostanza, riportata dal teste LA, di avere visto la PAM salire su una autovettura guidata da un uomo che non era suo marito ma un collega di lavoro”.

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Quanto all’affidamento della figlia VE, disposto dal Tribunale congiuntamente ad entrambi i coniugi sul rilievo che la madre non fosse in grado, da sola, di gestire il rapporto genitoriale, la Corte territoriale osservava che la

relazione del servizio sociale non aveva evidenziato incapacità della madre a coltivare il rapporto con la figlia, ma soltanto difficoltà di ordine pratico per gli spostamenti di VE tra casa e scuola, pertanto superabili con una maggiore disponibilità alla collaborazione, sul punto, tra i genitori. La Corte di Firenze giudicava la sistemazione di VE, affidata di fatto alla madre fin dall’epoca dei provvedimenti presidenziali, risalenti al maggio 1997,

sicuramente confacente allo sviluppo della personalità della minore, e riteneva che questa situazione dovesse essere mantenuta, ma con affidamento, in via

esclusiva, alla madre, ferme restando le modalità di frequentazione da parte del padre come determinate dal Tribunale, modalità considerate dalla Corte “ben armonizzate allo scopo di conferire il giusto rilievo alla figura paterna”.

Infine, in ordine all’assegno di mantenimento, i giudici d’appello ne oneravano il MI, tenuto conto delle di lui maggiori capacità economiche, del fatto che il figlio VI, con esso convivente, pur bisognoso di cure, disponeva di un proprio reddito di lavoro, e dell’impossibilità per la PAM di fare adeguatamente fronte, da sola, alle sempre crescenti necessità della figlia.

3__ Avverso questa sentenza, notificata il 17/3/2003, ha interposto ricorso per Cassazione MI, con atto notificato il 16/5/2003, deducendo quattro motivi di censura, ai quali resiste, con controricorso, PAM.

MOTIVI DELLA DECISIONE.

1__ Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli art. 143 e 146 C.C. e dell’art. 2697 C.C., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia confermato l’addebitamento della separazione alla moglie.

Osserva il ricorrente, che dalle stesse dichiarazioni della PAM, rese di fronte al Tribunale all’udienza del 17/2/1999, emergerebbe che costei si allontanò dalla casa familiare nel giugno 1996, prima dell’instaurazione del giudizio di separazione; che le circostanza del deterioramento dei rapporti matrimoniali, a cominciare da quelli sessuali, determinati dai continui attriti con la suocera, sarebbe stata confermata da un unico teste, PS, sorella della parte; che la decisione di andare a vivere, dopo il matrimonio, con la madre del MI fu presa concordemente dai coniugi, i quali sin dall’inizio della loro unione

matrimoniale non avevano possibilità economiche di trasferirsi altrove; che la convivenza con la madre del MI aveva permesso alla coppia di mandare entrambi i figli alla scuola privata (cosa che sarebbe stata altrimenti impossibile per due lavoratori dipendenti, un operaio ed una parrucchiera, con un affitto da pagare) e di evitare di dover ricorrere ad una baby-sitter; che il deterioramento dei rapporti sessuali tra i coniugi non sarebbe derivato dal comportamento della suocera, ma semmai dal fatto che –come affermato dalla stessa PAM in sede di interrogatorio formale- con loro dormivano i bambini, prima VI fino all’età di 10 anni e poi la figlia VE, pur esistendo nell’appartamento una cameretta per i figli.

Inoltre, riguardo alla relazione sentimentale della PAM con un altro uomo, il ricorrente critica la conclusione cui è pervenuta la Corte d’appello, la quale, pur ritenendo provata la relazione sentimentale, ha escluso che le prove

testimoniali avessero dimostrato che questa dal punto di vista temporale fosse iniziata prima della separazione. La Corte avrebbe omesso di valutare il rapporto del servizio sociale, dal quale emergerebbe che la figlia VE riferì alla psicologa che “in passato viveva con loro il fidanzato della mamma e che dormivano in tre in un letto”.

La Corte d’appello avrebbe anche omesso di valutare il comportamento della PAM in riferimento alla sua malattia del figlio VI. Infatti, quando costei si allontanò –nel giugno 1996- dalla residenza familiare, il figlio era ricoverato in ospedale ed in tale occasione gli fu diagnosticata una gravissima malattia, la sclerosi multipla.

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La sentenza impugnata, infine, non conterrebbe una congrua motivazione in ordine all’eventuale giusta causa dell’allontanamento del coniuge dalla residenza

familiare.

2__ La complessa censura è infondata.

2.1__ La Corte d’appello ha ritenuto provato, sulla base degli accertamenti svolti dal primo giudice, con tutti i problemi dei coniugi traevano origine e fondamento dalle continue discussioni tra la PAM e la suocera, con essi

convivente, contrasti che il MI non aveva cercato, come era suo dovere, di risolvere e neppure di mitigare al fine di costituire una salda unione

coniugale, con ciò determinandosi anche un progressivo logoramento del rapporto affettivo fra gli stessi coniugi.

La Corte territoriale ha logicamente considerato tali circostanze come un impedimento, oggettivo (e quindi rilevante a prescindere dalla responsabilità dei soggetti coinvolti) ed insuperabile, alla prosecuzione della vita familiare.

I giudici d’appello hanno del pari escluso l’esistenza di fatti specifici addebitabili alla PAM che potessero essere considerati causa efficiente della irreversibile crisi coniugale. Nel rigettare la richiesta di addebitamento alla moglie della separazione coniugale, la Corte di Firenze ha negato, da un lato, che il fallimento della convivenza fosse dipeso dall’allontanamento dalla casa familiare da parte della PAM -in quanto verificatosi quando

l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già verificata per altra causa ed in conseguenza di ciò- e, dall’altro, che fosse stata raggiunta la prova di una violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale da parte della PAM anteriormente alla separazione di fatto tra i coniugi.

La convincente e chiara esposizione degli elementi di prova, delle regole di inferenza e dei criteri in base ai quali i giudici del gravame sono pervenuti alla ricostruzione dei fatti adottata in sentenza, consente il controllo del procedimento logico-giuridico seguito dai medesimi giudici, controllo che

rappresenta anche il limite di sindacabilità della decisione di merito da parte della Corte di Cassazione.

Le deduzioni del ricorrente volte a censurare la mancata considerazione di elementi di causa si rivelano generiche e non decisive: posto che l’episodio raccontato dalla figlia alla psicologa del servizio sociale, concernente la convivenza della madre con il “fidanzato”, si colloca temporalmente in un periodo successivo all’allontanamento dalla casa familiare, quando ormai, in base alla stringente ed esaustiva motivazione della Corte territoriale, il rapporto matrimoniale era irrimediabilmente deteriorato, e dunque

l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza o della sua ripresa si era già manifestata; e considerato che la circostanza della malattia del figlio VI, al quale è stata diagnosticata una sclerosi multipla, non dimostra di per sé anche che la donna, allontanandosi dalla casa coniugale, si sia disinteressata della condizione del figlio e lo abbia lasciato senza soccorso r senza

assistenza, contravvenendo così ai suoi inderogabili doveri di genitore.

In definitiva, le censure del ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione si risolvono nella non consentita prospettazione di una diversa lettura del materiale probatorio acquisito, del quale si sostiene la idoneità a dimostrare la responsabilità della PAM nel fallimento dell’unione coniugale.

2.2__ D’altra parte, in punto di diritto la decisione della Corte d’appello è corretta.

Difatti, l’allontanamento dalla residenza familiare –che, ove attuato

unilateralmente dal coniuge, e cioè senza il consenso dell’altro coniuge, e confermato dal rifiuto di tornarvi, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale (e conseguentemente causa di addebitamento della

separazione), in quanto porta all’impossibilità della coabitazione- non concreta tale violazione allorché risulti legittimato da una “giusta causa”, vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto (ma anche di avvenimenti o comportamenti altrui) di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare (cfr. Cass, sez.I,

28/8/1996, n. 7920; cass. sez.I, 29/10/1997, n.10648; sez.I, 11/8/2000, n.10682).

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E nella specie tale giusta causa è stata ravvisata nella situazione, accettata dal marito, di frequenti litigi domestici della moglie con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti sessuali tra gli

stessi coniugi. Accertato che la frattura era precedente all’allontanamento dalla casa coniugale, della quale pertanto non poteva essere stato causa,

correttamente la Corte territoriale ha escluso l’attendibilità della separazione alla PAM.

Inoltre, siccome ai fini dell’addebitabilità della separazione giudiziale deve sussistere un nesso causale tra i comportamenti costituenti violazione dei doveri coniugali accertati a carico di uno o di entrambi i coniugi e il fallimento della convivenza coniugale, restando irrilevanti i comportamenti successivi al verificarsi di tale situazione (v., tra le tante, cass. 28/9/2001, n.12130), la decisione della Corte d’appello –che, avendo argomentatamene

ritenuto non raggiunta la prova dell’adulterio in epoca anteriore al sorgere della situazione di intollerabilità della convivenza, ha escluso che la rottura della convivenza potesse essere riferita alla responsabilità della moglie- si sottrae alla prospettata censura di violazione di legge.

3.__ Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione degli art. 147 e 155 C.C., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente lamenta che l’affidamento esclusivo alla madre non risponda alle esigenze della minore.

La sentenza impugnata non avrebbe motivato in alcun modo perché si è passati da un affidamento congiunto a quello esclusivo. Inoltre, il fatto che la figlia sia domiciliata presso la madre non avrebbe alcuna rilevanza ai fini

dell’affidamento congiunto o esclusivo. Infine, la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare la relazione del servizio sociale, ed in particolare la

circostanza che la madre –che rifiuta di ricorrere all’aiuto del MI, il quale si è dichiarato disponibile- ha difficoltà ad organizzare gli spostamenti tra casa e scuola e viceversa, e che per questo la bambina si trattiene a scuola oltre l’orario.

In questa situazione, è la nonna materna ad occuparsi di VE, la quale tuttavia – sempre secondo la relazione del servizio sociale- non avrebbe buone capacità di sostenere la crescita di VE, poiché, con il suo atteggiamento denigratorio, tende a sminuire la figura paterna, laddove il rapporto di VE con il fratello è buono, giacché lui si interessa al suo profitto scolastico e a volte l’aiuta a fare i compiti.

4. __ Il motivo è inammissibile.

4.1 __ E’ noto che in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione deve attenersi al criterio fondamentale, stabilito dall’art. 155 C.C., dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo –nei limiti

consentiti da una situazione comunque traumatizzante- i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo

possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare la sue esigenze materiali, morali e psicologiche. In tale prospettiva, la valutazione del giudice di merito deve essere ispirata all’unico criterio guida rivolto all’individuazione delle migliori condizioni di crescita concretamente possibili per il minore nella situazione data (cass. sez.

I, 16/7/1992, n.8667; cass. sez.I., 19/4/2002, n.5714).

E’ noto altresì che l’art. 6della L. 1/12/1970, n.898 (come sostituito dall’art.

11 della L. 6/3/1987, n.74), nel secondo comma, dispone che il Tribunale, pronunciando lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, provvede in ordine alla prole, con esclusivo riferimento

all’interesse morale e materiale di essa, e, ove lo ritenga utile nell’interesse dei minori, anche in relazione all’età degli stessi, può disporne l’affidamento congiunto o alternato.

Quest’ultima norma, pur essendo dettata in seno alla disciplina del divorzio, quale risulta dopo la riforma recata dalla L.n.74/1987, è suscettibile di essere estesa in via analogica alla separazione (cfr. Cass. sez. I, 4/5/1991, n.4936):

anche nel caso della separazione, pertanto, l’affidamento del figlio può avvenire secondo il modello della congiuntività (o dell’alternanza). Ma lo

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stesso tenore testuale della norma pone in luce che disporre l’affidamento congiunto (o alternato), anziché quello esclusivo, è questione rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale deve avere come parametro normativo di riferimento l’interesse dei minori medesimi e, ove dia sufficientemente conto delle ragioni della decisione adottata, esprime un

apprezzamento di fatto non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.

Nel caso in esame la Corte territoriale, nello stabilire –in riforma della sentenza di primo grado, che aveva disposto l’affidamento congiunto, ma con domiciliazione presso la madre –l’affidamento esclusivo, ha considerato, nella situazione di forte conflittualità tra i coniugi: (a) che la madre, con la quale la figlia VE conviveva sin dall’epoca dei provvedimenti presidenziali, risalenti al maggio 1997, aveva provveduto adeguatamente alle esigenze materiali e morali della minore, e che questa situazione era sicuramente confacente allo sviluppo della sua personalità; (b) che le modalità della frequentazione come determinate dal giudice di primo grado consentivano di valorizzare in modo adeguato la

figura paterna.

La Corte d’appello ha altresì escluso che dalla relazione del servizio sociale emergessero indicazioni ostative al riguardo, in essa evidenziandosi soltanto la difficoltà di ordine pratico per gli spostamenti di VE tra la nuova casa e la scuola, suscettibili comunque di essere superate con una maggiore disponibilità alla collaborazione, su tale punto, tra i genitori.

Avendo la Corte territoriale tenuto presenti, come parametro di riferimento, proprio gli interessi della minore, la valutazione riferita al caso concreto da essa compiuta, essendo corretta da congrua motivazione immune da vizi logici, non è censurabile in questa sede, i profili prospettati dal ricorrente non ponendo in luce carenze di motivazione idonee a legittimare il sindacato di legittimità, ma risolvendosi in un difforme apprezzamento dei fatti rispetto a quello contenuto nella sentenza impugnata (cfr., in fattispecie analoga, cass.

sez.I, 4/11/1997, n.10791).

5.__ Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione, sotto un ulteriore profilo, degli art. 147 e 155 C.C.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia accolto la domanda della PAM di un contributo al mantenimento della figlia a carico del genitore non affidatario: sia perché in realtà la differenza reddituale tra i coniugi non sarebbe così marcata come ritenuto dalla Corte territoriale; sia perché il MI si sobbarca alle ingenti spese sanitarie necessarie per la cura del figlio VI (preferendo che questi non debba attingere al suo peculio per la necessità di salute); sia perché, a

seguito della morte della madre, esso, sotto sfratto esecutivo, si trova ora a sostenere le spese d’affitto dall’appartamento ove vive il figlio, mentre la moglie non ha alcun onere al riguardo.

6.__ Il motivo è inammissibile.

6.1.__ In seguito alla separazione personale dei coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza, atteso che i diritti e i doveri dei genitori verso i figli, salva le implicazioni dei provvedimenti relativi all’affidamento, non subiscono alcuna variazione a seguito della pronuncia di separazione, rimanendo identico

l’obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire, in proporzione alla sue capacità, all’assistenza ed al mantenimento dei figli (cfr. Cass., sez.I, 3/11/2004, n. 21087; cass. sez.I, 22/3/2005, n.6197).

La Corte d’appello nello stabilire il contributo di mantenimento a carico del coniuge non affidatario e nel determinare la misura, ha fatto leva sulla capacità reddituali del MI, superiore a quella della PAM, e sul fatto che quest’ultima, in relazione ai suoi redditi e alle sue capacità economiche, si trova nell’impossibilità di far fronte alle sempre crescenti necessità della figlia; e ha considerato anche la circostanza della malattia del figlio VI, maggiorenne ed economicamente autosufficiente, e delle spese sostenute dal padre per curarlo, affermando che la sicura disparità reddituale tra le parti,

emergente dalla documentazione fiscale prodotta, sussiste anche tenendo conto

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del fatto che tali spese sanitarie “sono in parte a carico del padre”, che con lui convive.

Oltre che condotto secondo corretti criteri giuridici, l’iter argomentativo espresso dal giudice di merito –che ha preso in considerazione sia le risorse economiche della famiglia e il reddito dei genitori, sia le molteplici esigenze della figlia, certamente non riconducibili al solo aspetto alimentare, ma

inevitabilmente estese a quello abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale- è del tutto privo di mende logiche e sorretto da stringere e esaustiva motivazione. Esso sfugge, pertanto, alle censure del MI, che pretende di sottoporre al sindacato di questa Corte la valutazione delle prove

istituzionalmente riservata al giudice del merito, sollecitando un diverso giudizio di fatto precluso a questa Corte di legittimità.

7. __ Con il quarto motivo, il ricorrente censura la statuizione di condanna al pagamento della metà delle spese del doppio grado, lamentando che la Corte d’appello abbia compensato solo nella misura della metà le spese di lite. La sentenza impugnata non avrebbe considerato che il MI si darebbe limitato, sia in primo che in secondo grado, a difendersi dalla accuse della moglie, che aveva chiesto che la separazione fosse ad esso addebitata.

8. __ Il motivo è inammissibile, posto che, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte

interamente vittoriosa non può essere condannata, neanche per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre, qualora ricorra soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (cass. sez.I, 23/6/2000, n. 8532; cass.

sez.III, 3/3/1994, n.2124).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali di questa fase, che liquida in complessivi € 1.000,00, di cui € 900,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez.I civile, della Corte suprema di Cassazione, il 28/11/2005.

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