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Federazione del Mare: presentato oggi il rapporto “Feeding the planet: contributo economia marittima”

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Academic year: 2022

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Sintesi sugli aspetti italiani del contributo dell’economia del mare all’alimentazione (curati dal Censis)

Pur in uno scenario economico fortemente globalizzato e interconnesso, i flussi internazionali di merci che coinvolgono l’Italia sono in netta flessione; il settore dei trasporti, tuttavia, al suo interno ha reagito in maniera differenziata alla generale contrazione degli scambi. Oggi i traffici marittimi si attestano all’86,9%dei valori del 2008, mentre quelli stradali si fermano al 67,3%. In Italia sono circa 500 milioni le tonnellate movimentate nei porti marittimi. Il ruolo del mare e il suo effettivo contributo al trasporto delle merci, tuttavia,si amplificano se in luogo della tonnellata si utilizza come unità di misura la tonnellata-chilometro, che oltre a definire il peso delle merci trasportate ne considera le distanze percorse. In base ai dati strutturali forniti dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti,il trasporto marittimo di cabotaggio mostra un traffico pari a 47,4 miliardi di tonnellate-km di merci movimentate nel 2013, a fronte dei 102,6 miliardi riferiti all’autotrasporto. Il rapporto tra gomma e mare nel trasporto delle merci si è andato progressivamente riequilibrando nel corso degli ultimi anni:

rispetto al 2008, infatti, la quota di traffici detenuta dal trasporto stradale si è ridotta di 5,7 punti percentuali a vantaggio delle navi (+4,5 punti), che oggi movimentano quasi il 30% delle merci totali (29,1%).

Il ruolo del mare risulta ancora più significativo se ci si focalizza sul trasporto dei prodotti agricoli e alimentari. Sono in particolare i flussi di prodotti agricoli e alimentari diretti all’estero a confermarsi vitali, con circa 22,5 milioni di tonnellate di merci assorbite lo scorso anno che hanno fruttato 34,3 miliardi di euro. Dai prodotti agricoli e alimentari discende, dunque, una peculiare quanto consistente domanda di trasporto, che per ampi tratti è soddisfatta dagli operatori del mare, tra i quali gli armatori italiani svolgono un ruolo di primo piano a livello mondiale, con le 264 navi da carico (e oltre 8,2 milioni di stazza lorda) utilizzabili per il trasporto di derrate agricole e alimentari, tra portacontainer, portarinfuse, traghetti per trasporti RO-RO e navi-cisterna. Il trasporto di prodotti agricoli e alimentari attraverso i porti italiani ammonta nel 2013 a 26,2 milioni di tonnellate, corrispondenti a circa il 7% del totale delle merci movimentate. Tale quota, tuttavia, sale fino al 13,1% (a fronte del 18,7% di quelle che si muovono su strada e di appena il 7,7% su ferro) se si escludono dal computo i carboni fossili, il greggio, i prodotti petroliferi raffinati e il gas naturale, per i quali i trasporti marittimi evidenziano una vera e propria specializzazione. Peraltro, i prodotti agricoli e alimentari rappresentano per i traffici delle merci via mare una quota ben superiore anche a settori trainanti della manifattura italiana o che rappresentano una voce importante dei consumi, come la meccanica (5,1%), la chimica (6%) e il tessile (7,4%).

Ad oggi, sono sempre più i traffici marittimi internazionali a rappresentare la parte preponderante per i flussi di derrate alimentari (72%), movimentando complessivamente 18,9 milioni di tonnellate di cibo a fronte di 7,3 milioni di tonnellate che da porti italiani si imbarcano verso altri porti del Paese.

Il sistema portuale italiano presenta numeri importanti riferiti al comparto agrifood: nel 2013 sono state quasi 33,6 milioni1 le tonnellate di derrate alimentari transitate attraverso i nostri porti, corrispondenti al 7,3% del totale delle merci imbarcate e sbarcate, e provenienti sia da porti italiani che esteri. Quattro sono i porti di riferimento in Italia per questo mercato:

 Ravenna, che con quasi 3,5 milioni di tonnellate movimentate è l’hub incontrastato dell’agrifood,

 Livorno (2,8 milioni)

 Venezia (2,5 milioni)

 Gioia Tauro (2,4 milioni).

Questi quatto scali collezionano circa un terzo (il 33,2%) delle derrate alimentari transitate nei porti italiani, mentre se si guarda ai soli trasporti internazionali la quota sale al 44,3%.

Gli scali a forte vocazione agroalimentare sono i porti di Chioggia, Bari e Ancona:si va da un milione di tonnellate di Chioggia a 1,3 milioni ad Ancona fino a 1,4 milioni nel porto di Bari – In questi porti il traffico di prodotti agricoli e alimentari rappresenta una quota sul totale delle merci ben più rilevante, e che varia tra il 43,4% al porto di Chioggia, il 41,6% in quello di Bari e il 32,5% ad Ancona.

1Il dato non coincide con quello del paragrafo 1 poiché nell’analisi dei flussi di traffico per singolo porto le merci in navigazione di cabotaggio sono conteggiate due volte (nel porto di imbarco e nel porto di sbarco), proprio perché il focus è sulle movimentazioni riferite al singolo scalo portuale e non sui flussi complessivi di merci in navigazione.

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Nel corso degli anni è stata rilevante l’attenzione riposta su policy in grado di trasferire su nave una quota delle merci trasportate su gomma, attraverso lo sviluppo di traffici multimodali (strada- mare) in luogo del tutto-strada. L’importanza del trasporto marittimo si coglie immediatamente considerando che se si dovessero spostare su gomma i prodotti agroalimentari trasportati in cabotaggio nazionale (7,35 milioni di tonnellate nel 2013) occorrerebbero 5.236 TIR, sostanzialmente una colonna di mezzi pari alla distanza che separa Bologna da Parma (98 km).Al vertiginoso incremento del traffico corrisponderebbe un sensibile incremento annuo del numero di incidenti:

sarebbero 297 i veicoli coinvolti negli incidenti aggiuntivi, che causerebbero la morte di 3 persone e il ferimento di altre 118, con un costo sociale quantificabile in circa 9,6 milioni di euro annui. Vi è, infine, anche una dimensione ambientale da prendere in considerazione, che stima in 1,2 le tonnellate aggiuntive di CO2 immesse nell’atmosfera se, al posto delle navi, i trasporti di derrate alimentari oggi svolti in navigazione di cabotaggio venissero effettuati da autocarri.

Sotto il profilo della pesca, l’Italia occupa in quantità solo la sesta posizione continentale in termini di produzione di pesce, con 363mila tonnellate (il 6,2% del totale) ed è scesa di svariati punti percentuali dal 2008 (-5,7%). Su di essa ha impattato soprattutto la netta contrazione delle catture (- 15%), mentre di segno opposto è il trend dell’acquacoltura (+9,1%), che oggi sfiora il 45% del prodotto,con quasi 163mila tonnellate, a fronte delle circa 200mila di pescato. Questi stock di produzione ittica sono peraltro realizzati per la gran parte da una flotta in lento ma progressivo ridimensionamento.

A fronte del calo sostanziale della flotta peschereccia e di quello contestuale della produzione, il mercato ittico italiano ricorre sempre più ampiamente ad approvvigionamenti dall’estero per far fronte alla domanda crescente delle imprese alimentari e dei consumatori finali. Peraltro, quello ittico è un prodotto sempre più differenziato, a seconda non soltanto della tipologia di prodotto, ma anche delle aree di produzione e delle tecniche di allevamento o cattura, e crea oggi spazi crescenti di attività ai vari livelli della filiera - dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla ristorazione - e per le varie gamme di prodotto. L’Italia in questo ambito offre delle interessanti opportunità agli operatori, come dimostra la sua presenza tra i principali importatori di pesce al mondo, per un valore complessivo di oltre 5,5 miliardi di dollari.

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