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D ...una vita in attesadi un ritorno

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Academic year: 2022

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40 i certo risale al glorioso “Diario Vitt”

(ma di chissà quale anno scolastico) la mia prima e, ormai discretamente antica, conoscenza della commovente

a cura diVitantonio Perrone

D

...una vita in attesa di un ritorno

Parliamo anche di...

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storia di Hachiko, il cane che a Tokio dal 1925 per nove anni ogni giorno continuò ad aspettare alla stazione ferro- viaria di Shibuya il ritorno del suo amico/padrone il profes- sore Hidesaburo Ueno.

Da sempre Hachiko, un cane di razza Akita-inu, ogni gior- no accompagnava proprio a Shibuya il professore Ueno che insegnava presso il Dipartimento di Agricoltura dell’Università imperiale di Tokio e vi ritornava nel pomeriggio per attenderne il rientro; e quando un giorno, colto da un infarto, il profes- sore non potè più tornare il leale Hachiko con ostinata fedeltà continuò a mantenere il suo patto di amicizia.

La sua costante presenza fu presto notata e divenne ben presto assai famoso in tutto il Giappone tanto che grazie a una colletta popolare il 21 aprile 1934 gli fu dedicata una statua in bronzo opera dello scultore Teru Ando e alla cerimonia potè partecipa- re lo stesso Hachiko che morì un anno dopo.

Durante la Seconda Guerra mondiale la statua venne fusa per recuperarne il metallo, ma già nel 1948 ne fu scolpita una copia da Takeshi Ando, figlio di Teru, e da allora la Hachiko-guchi (“uscita di Hachiko”) è meta costante di tanti giapponesi che continua- no a dimostrare il loro affetto al “cane samurai”, tanto che nel 1994, dopo il restauro col laser di un vecchio disco ritrovato in pezzi, si sintoniz- zarono in massa sulla stazione radio che trasmetteva la regi- strazione dell’abbaiare ritro- vato del leggendario Hachiko.

A ulteriore dimostrazione di tale attaccamento, numerosi sono i libri dedicati alla sua storia e l’otto marzo in tutto il Giappone si festeggia il gior- no in cui l’Akita-inu final- mente si riunì al suo amico professore Ueno; e nel 1987 il regista Seijiro Koyama realiz-

zò il film Hachiko

Monogatari e il suo remake hollywoodiano dello scorso anno ha fatto conoscere e/o ricordare in tutto il mondo la storia di Hachiko.

In molti (non sono tra questi) hanno giudicato il film melen- so e inutilmente lacrimoso, ma è indubbio che alcune spunti, aldilà della verità sto- rica, sono coinvolgenti e sti- molanti e in particolare la sequenza in cui il cane fa di tutto, seppure senza successo, per distogliere il professore (interpretato da Richard Gere) dall’andare a prendere il treno per recarsi a lavoro in qualche modo “presagendo” la sua dipartita terrena e quella in cui lo stesso Hachiko dopo tanti anni sentendo arrivare il

“suo” momento si reca di notte mentre nevica alla sta- zione dove, nell’attimo in cui chiude gli occhi, vede ri-com- parire il suo amico professore che lo invita finalmente a tor- nare insieme a casa.

Nonostante tutto, la morte resterà sempre un mistero insondabile e, nel nostro mondo occidentale, a rischio di rimozione anche per via di una deriva scientista che ste- rilizza in una vana medicaliz- zazione il momento del tra- passo. La storia giapponese di Hachiko e Ueno evoca forti e antichi richiami e proprio nel rapporto, contraddittoriamen- te rinnovato, con gli animali ci si pongono problematiche spesso rimosse tra gli umani.

È il caso di accennare per esempio a due brevi opere, quella letteraria di Catherine Guillebaud “L’ultima carez- za” e quella più

filosofico/professionale

“L’eutanasia del cane e del gatto” del collega Stefano Cattinelli che con impronta diversa pongono alla rifles- sione razionale, ma anche emotiva, esperienze utili a ragionare su questo passaggio assieme, perché no, anche ai quattrozampe.

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