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La vera poesia contemporanea dei Nativi-Americani

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Academic year: 2022

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Spesso ci facciamo un’idea retorica e molto lontana da quelle che sono realmente le culture dei popoli nativi delle Americhe. Gran parte degli scritti a noi pervenuti provengono da una

trasmissione orale e spesso sono artefatti, rielaborati, talvolta persino traditi e per lo più addomesticati al nostro sentire occidentale.

Insomma, in qualche modo le testimonianze a noi tramandate sono state rese strumentalmente appetibili per definire una visione romantica dell’universo amerindiano, con la finalità di renderla più sfruttabile e vendibile anche dal punto di vista commerciale. Per capire questo c’è una cartina da tornasole: basta infatti vedere chi si è arricchito con la generosa produzione bibliografica e anche filmografica sui nativi d’America, non certo i nativi stessi.

Queste visioni edulcorate, in realtà, non trovano riscontro e stridono con l’attuale situazione delle riserve indiane, che spesso sono invece ghetti che diventano il terzo mondo casalingo

dell’America, dove si riscontrano i più alti tassi di disoccupazione, alcolismo, criminalità, povertà, analfabetismo, suicidi di adolescenti e quant’altro.

La retorica mielosa e l’eterea spiritualità che molte persone cercano negli scritti e nelle poesie, da molti autori nativi contemporanei vengono rifuggite come la peste. Nelle loro parole, che

diventano specchio – a volte fedele, altre volte surreale, mistico, sarcastico o paradossale – della vita vissuta, i versi trasudano il sangue e il sudore che sono costati e continuano a costare a quei popoli e alle loro culture.

Quindi, nei loro scritti, è logico e conseguente trovare il dolore (mai lamentoso), la deprivazione (mai accettata), l’arbitrio (mai taciuto) cui sono sottoposti da centinaia di anni. Il ruolo della poesia contemporanea nella letteratura indigena serve anche per capire a fondo la loro condizione ed è necessaria per ascoltare le loro voci senza filtri che alterino il senso di ciò che vogliono davvero comunicarci, tenendo comunque presente che le traduzioni da altre lingue sono sempre e comunque una sorta di “tradimento”. Pertanto dovremmo ricordare che piegare una cultura diversa alla propria prospettiva di sguardo, spesso è come pretendere di aprire la serratura di una porta con la chiave sbagliata.

In questa selezione si propone un coro di voci poetiche di autrici e autori nativi americani

contemporanei, assieme a loro brevi biografie, sperando così di contribuire a rendere una visione autentica, quindi più reale e rispettosa di ciò che essi realmente sentono, pensano e vivono.

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Lance Henson, nato nel 1944 e cresciuto nell’Oklahoma occidentale con la sua tribù, è un poeta Cheyenne tra i più rappresentativi della cultura dei nativi d’America. Laureato in scrittura creativa all’Università di Tulsa, ha pubblicato più di venti libri di poesie. La sua opera compare nelle

principali antologie di letteratura dei nativi americani, tradotta in più di venticinque lingue e pubblicata anche in Italia. Membro della Chiesa Nativa Americana e capo del Dog Soldier Clan, ha partecipato numerose volte ai raduni del suo popolo come danzatore e pittore. Ha rappresentato la nazione Cheyenne al Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite per le popolazioni indigene e da più di trent’anni è attivamente impegnato nella lotta per i diritti dei Cheyenne e delle popolazioni indigene del mondo. La poesia di Henson fonde la filosofia Cheyenne e le tradizioni alla cronaca sociale e politica del mondo moderno.

CANTO DI RIVOLUZIONE

L’alba porta con sé il dolore della luce di qualcuno che non vuole essere visto una voce che deve essere nascosta in un luogo che non le appartiene è un fiume o una brezza

o l’acqua che scorre e piange di sé

che ti fa desiderare di essere libero?

il canto proibito di un grillo giace tra le rose

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un vento aleggia intorno sussurrando del Che e di Cavallo Pazzo

in un mattino di gelo nel dolore del risveglio

il grido dell’umanità esce da sé impossibile da fermare

come il gocciolio dell’acqua come il pianto di un bambino.

Lance Henson e Marco Cinque

John Trudell, (Omaha, 15 febbraio 1946 – Santa Clara, 8 dicembre 2015) è stato un poeta della tribù Sioux-Santee, leader del movimento per i diritti civili dei Nativi d’America ed efficace

comunicatore, si autodefiniva blue indian. Vedeva nella musica il futuro della poesia. La sua arte è stata frutto di esperienze vissute in prima persona. Un’esistenza spesa per il riscatto del suo popolo. È stato co-fondatore dell’American Indian Movement (Aim), di cui diviene presidente fra il

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1973 e il 1979. Entrò perciò nel mirino dell’Fbi. Prologo della tragedia: il 12 febbraio 1979 il fuoco distrusse la sua casa nella riserva Shoshone di Paiute, nel Nevada, strappandogli la moglie Tina e i tre figli. Trudell sostenne immediatamente l’ipotesi del dolo: dodici ore prima era stato arrestato per aver bruciato una bandiera americana di fronte al J. Edgar Hoover Building, sede dell’Fbi a Washington. Piegato dal dolore, smise i panni del leader politico e indossò quelli di poeta e cantautore. Iniziato al lavoro da Jackson Browne, fondeva nelle proprie canzoni poesia, blues e canti tradizionali, la “voce del tamburo” con le chitarre elettriche. Come attore partecipò a diversi film tra cui Smoke signa e Cuore di tuono.

GUARDA LA DONNA (dall’album “Johnny damas and me”, 1994)

Guarda la donna \ ha un viso giovane e un viso vecchio \ va sempre avanti a ogni età \ sopravvive a tutto ciò che l’uomo ha fatto \ in certe tribù è libera \ in certe religioni è sotto l’uomo \ in certe società vale ciò che consuma \ in certe nazioni è una forza delicata \ in certi stati le dicono che è debole \ in certe classi è una proprietà \ in ogni caso è sorella della terra \ in ogni condizione è portatrice di vita \ in tutta la vita è la nostra necessità \ guarda gli occhi della donna \ fiori che ondeggiano su colline disperse \ una danza del sole che richiama le api \ guarda il cuore della donna \ farfalle di lavanda che cacciano nel cielo azzurro \ pioggia indistinta che cade su soffici rose selvatiche \ guarda la bellezza della donna \ lampo che squarcia le notti scure d’estate \ foresta di pini che si unisce alla nuova neve invernale \ guarda lo spirito della donna \

quotidianamente al servizio del coraggio con il sorriso \ il suo respiro un sogno e una preghiera.

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John Trudell in una scena del film “Thunderheart” (Cuore di tuono)

Joy Harjo è nata a Tulsa, Oklahoma, nel 1951 e appartiene alla nazione Creek. Ha insegnato in numerose università corsi di letteratura e diretto seminari di creative writing. Ha insegnato presso l’Università della California a Los Angeles e abita a Honolulu, Hawaii. Si è anche dedicata allo studio del sassofono e insieme al gruppo «Poetic Justice», incise un cd in cui blues, ritmi tribali, versi delle sue poesie si fondevano creando una musica di grande forza e suggestione. I suoi libri sono stati più volte gratificati da importanti premi letterari internazionali – tra cui il “William Carlos Williams”, il “Delmore Schwartz”, l’“American Indian Distinguished Achievement in the Arts”. Infine un altro prestigioso riconoscimento, il Penn Award, ricevuto a New York. Tutte le sue raccolte tradotte sono a cura di Laura Coltelli: Segreti dal centro del mondo, Urbino, 1992; Con furia d’amore e in guerra, Urbino, Quattroventi, 1996; Lei aveva dei cavalli, Roma, Sciascia, 2001.

TI RIMANDO INDIETRO

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Ti metto in libertà, mia splendida e terribile paura. Ti metto in libertà. Eri la mia amata e odiata gemella, ma ora, non ti riconosco come me stessa. Ti metto in libertà con tutto il dolore che sentirei alla morte delle mie figlie.

Tu non sei più il mio sangue. Ti restituisco ai soldati bianchi che hanno bruciato la mia casa, decapitato i miei figli, violentato e sodomizzato i miei fratelli e sorelle.

Ti restituisco a coloro che hanno rubato il

cibo dai nostri piatti quando noi morivamo di fame.

Ti metto in libertà, paura, perché continui a tenere queste scene davanti a me e io sono nata

con occhi che non possono mai chiudersi.

Ti metto in libertà, paura, così non puoi più tenermi nuda e raggelata in inverno,

o farmi soffocare sotto le coperte in estate.

Ti metto in libertà Ti metto in libertà Ti metto in libertà Ti metto in libertà.

Non ho paura di provare rabbia.

Non ho paura di gioire.

Non ho paura di essere nera.

Non ho paura di essere bianca.

Non ho paura di aver fame.

Non ho paura di essere sazia.

Non ho paura di essere odiata.

Non ho paura di essere amata

di essere amata, di essere amata, paura.

Oh, mi hai strangolato, ma io ti ho dato il laccio.

Mi ha pugnalato nelle viscere, ma io ti ho dato il coltello.

Mi hai divorato, ma io mi sono sdraiata nel fuoco.

Hai preso mia madre e l’hai violentata,

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ma ti ho dato il ferro rovente.

Riprendo me stessa, paura. Non sei più la mia ombra.

Non ti terrò tra le mie mani.

Non puoi vivere nei miei occhi, nelle mie orecchie, nella mia voce, nel mio ventre, o nel mio cuore mio cuore

mio cuore mio cuore. Ma vieni qui, paura Io sono viva e tu hai così paura

di morire.

Joy Harjo

Diane Burns nacque nel 1956 a Lawrence, nel Kansas, da padre Chemehuevi e madre Anishinabe e scomparve nel 2006, a soli 49 anni. La Burns crebbe coi suoi due fratelli a Riverside, in

California, dove i suoi genitori insegnavano in un collegio di nativi americani. Al di là dei suoi lineamenti affascinanti, che portarono la Burns a lavorare pure come modella, negli ambienti letterari e artistici rimasero colpiti dalla forza delle sue parole. “Era come un vento fresco, la

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chiarezza del suo lavoro era così bella”, disse Josh Gosciak, fondatore della rivista di poesia multiculturale \ work {Contact}, che fu uno dei primi a pubblicare il lavoro della Burns. “È stata un’esplosione totale”, disse il fondatore del Bowery Poetry Club Bob Holman, ricordando la prima volta che sentì la Burns leggere nel 1980: “pensavamo di aver ascoltato già tutto ciò che si potesse ascoltare, ma Diane ha letteralmente fatto saltare il coperchio”. Il suo primo e unico libro di

poesie è stato Riding the One-Eyed Ford, pubblicato nel 1981, ma le sue interpretazioni ironiche e taglienti sugli stereotipi dei nativi sono ancora abbastanza attuali da essere insegnate insieme a contemporanei più famosi, come Sherman Alexie.

SURE YOU CAN ASK ME A PERSONAL QUESTION (Certo che puoi farmi una domanda personale)

Come va?

No, non sono cinese, no, non sono spagnola.

No, sono americana indiana, nativa americana.

No, non dall’India. No, non Apache. No, non Navajo.

No, non Sioux. No, non siamo estinti.

Sì, indiano. Oh? Ecco perché hai gli zigomi alti.

La tua bisnonna, eh?

Una principessa indiana, eh?

Capelli laggiù?

Lasciami indovinare. Cherokee?

Oh, quindi hai avuto un amico indiano?

Così vicino?

Oh, quindi hai avuto un amante indiano?

Così stretto?

Oh, quindi hai avuto un servitore indiano?

Così tanto?

Sì, è stato terribile quello che ci avete fatto.

È davvero decente da parte tua scusarti.

No, non so dove puoi trovare il peyote.

No, non so dove puoi trovare tappeti Navajo davvero economici.

No, non l’ho fatto. L’ho comprato a Bloomingdales. Grazie.

Mi piacciono anche i tuoi capelli.

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Non so se qualcuno sa se Cheris è davvero indiano.

No, stasera non ho fatto piovere.

Sì. Uh Huh. Spiritualità.

Uh Huh. Sì. Spiritualità.

Uh Huh. Madre Terra. Sì.

Uh Huh. Uh Huh. Spiritualità.

No, non ho studiato tiro con l’arco.

Sì, molti di noi bevono troppo.

Alcuni di noi non possono bere abbastanza.

Questo non è uno sguardo stoico.

Questa è la mia faccia.

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Diane Burns

Trevino L. Brings Plenty è nato nella Riserva Cheyenne nel South Dakota, di origine Minneconjou Lakota è cresciuto nella Bay Area di San Francisco e a Portland, Oregon, dove risiede. È cineasta, musicista ed è un assistente sociale, insegnante al college e si occupa di diritti delle famiglie e degli studenti nativi americani. Real Indian Junk Jewlry (2012) è la sua prima raccolta di poesia, cui ha fatto seguito Wakpa Wanagi Ghost River (2015).

PORTLAND NORD EST

Vedo una donna piangere sulla porta di casa

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i figli persi, di nuovo affidati ai servizi sociali e conoscendo la dura strada

che avrà ancora da percorrere, nel mio cervello la cartografia del disastro.

Il mio cervello vede già i suoi figli farsi strada nel meccanismo e i suoi nipoti

venirne fagocitati; nel mio cervello la cartografia del disastro.

Questa è la seconda volta per questa madre, in questo stato, che i suoi figli le vengono tolti.

Là c’è la sua riserva originaria dove pure gli altri suoi figli sono altrove, ricollocati.

Muore dal desiderio di tornare a casa. Un po’ di sicurezza.

Suo padre abita là; nel mio cervello la cartografia del disastro.

Posso offrirle solo qualche parola di incoraggiamento e supporto,

consigliarle di consultare il medico per qualche cambio di terapia;

fissare gli appuntamenti necessari e delle visite sorvegliate, cercare di non abbattersi.

La mia mente vaga verso un’amica a rischio

di esclusione dalla propria tribù.

Penso a un’identità liquida

che scotenni l’annientamento: nel mio cervello la cartografia del disastro.

Torno alla mia auto. Accendo il motore e anche la radio – le interferenze mi

danno conforto. Guido nella città, vedo tempeste nelle famiglie. Riesco a identificare le tracce che il dolore della gente lascia lungo le strade,

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la sequenza di espropriazioni e allontanamenti:

condizioni socio-economiche, razziali, stati

di salute mentale e generazionali. Nel mio cervello la cartografia del disastro.

Trevino L. Brings Plenty

Georgiana Valoyce Sanchez, nativa americana Chumash (Shmuwich) e O’odham (Tohono e

Akimal), nata e cresciuta nel sud della California. È un’anziana del consiglio direttivo del Consiglio Chumash di Barbareno, membro del consiglio della California Indian Storytellers Association e presidente del Chumash Elders Women’s Council della Wishtoyo Foundation. Ha insegnato all’American Indian Studies Program presso la California State University, Long Beach per oltre ventotto anni e da poco è andata in pensione. È una scrittrice apparsa in numerose pubblicazioni nazionali e internazionali; la sua poesia, “I Saw My Father Today”, è stata fusa in bronzo e collocata sulla piattaforma Muni nell’Embarcadero di San Francisco. È una narratrice e co- fondatrice di Living Indigenous Voices (Liv). È stata Keynote Speaker e presentatrice di seminari per numerose conferenze negli Stati Uniti. I suoi ultimi seminari si sono concentrati sulla

Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Continua a essere una convinta

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sostenitrice della conservazione delle lingue indigene, dei luoghi sacri, delle pratiche cerimoniali e delle arti tradizionali.

CHUMASH MAN

“Shoo-mash”, dice e quando lo dice

penso alle antiche cacce, ai leoni marini e alla nebbia salina spazzata dal vento sul mio viso

Gli dicono che la sua gente è morta

“Terminata”

È ufficiale

Chumash timbro istituzionale in ceralacca degli Stati Uniti: Terminato

un popolo morto, dicono che sia

un caso per antropologi Ah, ma questo vecchio questo vecchio il cui volto è

antiche preghiere che vengono a riposare questo vecchio sa chi è

“Shoo-mash”, dice

e da qualche parte i leoni marini si radunano ancora lungo la costa della California

e la nebbia salina si alza nebbia arcobaleno

sopra il costante frangersi delle onde.

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Georgiana Valoyce Sanchez

Kurt Schweigman, alias Luke Warm Water, è un poeta e attivista Oglala Lakota cresciuto a Rapid City, nel South Dakota. La sua poetica è stata considerata una fusione tra Sherman Alexie, Charles Bukowski e Tom Waits. È stato il primo spoken-word poet cioè poeta della parola orale a ricevere il premio Archibald Bush Foundation ed è stato un artista di spicco al prestigioso Geraldine R.

Dodge, durante la Dodicesima Biennale di Poesia Festival.

QUADERNO AZZURRO

Cielo azzurro

lago delle Colline Nere azzurro acceso lucenti ruscelli argentati

in gomitoli di affluenti

campi ondeggianti di terra bruna ricoperti di soffice neve

ghiaccioli orizzontali

una strada Lakota rossa verticale

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Accetta questa mia penna offerta alla tua purezza, nei tuoi inverni

la tua stagione di alberi che si spezzano fin quando a primavera torneranno matasse di ruscelli argentati

che conterranno tutto

fin quando la mia figlia neonata non troverà questo quaderno azzurro negli anni lontani

dopo la mia morte nel ripostiglio.

Luke Warm Water in una foto di Marco Cinque

Natasha Kanapé Fontaine è nata nel 1991 a Baie-Comeau ed è originaria di Pessamit, sulla North Shore. Poeta-performer, attrice, artista visiva e attivista per i diritti degli indigeni e dell’ambiente,

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vive a Montreal ed è membro orgoglioso del popolo Innu. Ispirata dal movimento indigeno pan- canadese Idle No More, viaggia attraverso il Quebec, il Canada e il mondo e il suo messaggio è quello del dialogo, della riconciliazione, della guarigione e dello scambio tra i popoli. Con la poesia, culla l’ambiente e con esso inizia un processo di guarigione. Natasha Kanapé Fontaine combatte contro il razzismo, la discriminazione e la mentalità coloniale attraverso la parola e la poesia. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie con Mémoire d’encrier, dal titolo Non entrare nella mia anima con le tue scarpe (2012), Manifeste Assi (2014), Bleuets et apricots (2016) e Nanimissuat / Île Tonnerre (2018). Con Deni Ellis Béchard ha firmato Kuei je vous salue:

Conversation sur le racisme (Écosociété, 2016). La maggior parte dei suoi libri sono stati tradotti in inglese.

LA RISERVA

(Non mi glorificherai)

Ruberai il verbo pregare negherai il giorno

dove prenderò la pistola

per iniziare la mia deportazione punterai il tuo esercito

per corrodere le mie ossa sepolte sotto la tua tutela campi da golf e pinete Vedrai cadere

attraversando ponti auto ribaltate saccheggio di fuoco campi di grano Ingoierai

i miei melograni rossi i miei mirtilli rossi

il mio salmone la mia trota la nostra rabbia fumosa gusterai la mia gioia amarezza frutta

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dolce succo di rivolta Io ricorderò

Respingerai i miei corpi, i miei confini brucerai i tronchi di betulla

Singhiozzerò un ritornello vecchio territorio litanie il padre di mio padre Lapiderete la mia gente ucciderete uno dei suoi padri

che è venuto a parlare con la nostra rabbia nessuno ascolterà

il terrore il tacere al seno di sua madre Ci alzeremo

sciarpe sui nostri volti rosso sulle nostre labbra

antichi simboli sulle nostre spalle Raddrizzeremo le porte del futuro disfarsi delle riserve

aprirà il mio villaggio al mondo Ci alzeremo

bruceremo le scuole

i nostri figli sono diventati antenati i nostri antenati diventano bambini Preparerò tra le mie cosce

la formula dell’oralità redenzione

la nostra isola

Impareremo il nome della terra.

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Natasha Kanapé Fontaine

Joséphine Bacon è nata nel 1947 nella comunità Innu di Pessamit, è una letterata, regista, traduttrice, paroliere e insegnante. È attraverso l’avventura collettiva di Aimititau! Parliamone insieme! (Inkwell Memoir, 2008) che il mondo scopre il suo talento naturale per la poesia. Legata alla lingua Innu, nel 2009 ha presentato la sua primissima raccolta, un’opera bilingue Innu Aimun- francese, Batons à message / Tshissinuatshitakana (Inkwell memory). Questo lavoro, nel 2010, ha ricevuto il Readers ‘Award dal Marché de la poésie de Montréal per la sua poesia «Dessine-moi l’arbre». La sua seconda raccolta, Un thé dans la toundra / Nipishapui nete mushuat (Mémoire encrier, 2013), è stata finalista per il Governor General’s Award nel 2014. Contribuisce anche a diversi lavori collettivi come Bonjour neighbour (Mémoire d’encrier, 2013), Femmes rapaillées (Mémoire d’encrier, 2016) e Amun (Stanké, 2016). Nel 2016 ha ricevuto un dottorato honoris causa in antropologia dall’Université Laval per la sua partecipazione e contributo al progresso della ricerca sin dagli anni Settanta. Joséphine Bacon desidera, attraverso le sue opere,

trasmettere la tradizione degli anziani alle generazioni più giovani della sua comunità.

1

Mi sono fatta bella perché si noti

il midollo delle mie ossa,

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sopravissuta a un racconto non raccontato.

2

lontano un orizzonte

un mare rende livido il cielo

un’aquila lascia cadere una piuma ferita un fiume agonizza

una canoa mi conduce

verso i racconti degli Anziani ascolto il silenzio inquieto Pakassik grida il suo dolore un muschio verde giallo e rosso asciuga le sue lacrime

Missinaku si avvelena

inalando l’essenza che liberano gli uccelli di ferro

il ritmo del cuore della Terra rallenta nella mia disperazione

sogno di fugare il rintocco dei miei cari so che ciò è impossibile

che troverò il possibile.

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Joséphine Bacon in una foto Marco Cinque

Samian è un musicista rapper e poeta, cresciuto nella comunità di Pikogan ad Abitibi-

Témiscamingue nel Quebec. Suo padre è Québécois e sua madre è Algonquin. Samian è membro orgoglioso della Abitibiwinni First Nation e rivendica il rispetto e il riconoscimento del suo popolo.

Ha pubblicato un libro di poesie che riunisce i testi dei suoi primi tre album musicali. Nel 2016 gli è stato conferito il prestigioso premio Artist for Peace, riconosciuto in tutto il Canada.

GENOCIDIO

Ancora una volta a nome della mia famiglia torno al ritmo Peccato se non mi ami, li amo troppo

Sempre la stessa lotta, le parole con cui discuto Contro le loro politiche di merda e i segreti di stato.

I coltelli volano bassi

Al mio posto per morire gli uccelli non si nascondono Ci sono più persone che chiedono aiuto

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Quebec, Canada sotto un regime di apartheid Nanikotin kitasosonan kin ekiocito8an 8aniikan

Misa8atc nipak8ian tak8an aiam8mie8in kitci nakatciiko8an Non lo sai? non significa che tu sia ignorante

A scuola ti insegnano che hanno scoperto un continente La verità a volte è difficile da ascoltare

Ecco perché lo nascondono da oltre 150 anni Sono stufo delle bugie, stufo dell’ipocrisia

Sono stufo delle macchie di sangue sulla bandiera del mio paese Sotto la supervisione del governo non viviamo nello stesso mondo Riserve indiane, povere come il terzo mondo

Parliamo dell’olocausto, del Ruanda, di milioni di morti in Congo In Nord America, è un genocidio a cascata

I nostri leader vogliono gli Indiani di Stato Perché hanno paura degli indiani istruiti

Nanikotin kitasosonan kin ekiocito8an 8aniikan

Misa8atc nipak8ian tak8an aiam8mie8in kitci nakatciiko8an In nome dei bambini venduti e sradicati

In nome delle donne scomparse e assassinate Le donne si legavano a loro insaputa

Un genocidio ben pianificato, e continua Children of the British ai sensi della legge La legge indiana di una terra senza fede Per loro siamo solo un soggetto

Prigionieri politici in nome di sua maestà 1969 e il loro fottuto white paper

O meglio come lavarsi le mani col sangue degli innocenti Sognavano un’America bianca

Assassini stampati sulle loro banconote.

Il divieto di parlare le nostre lingue è un genocidio Uccidere l’indiano dentro l’essere umano è un genocidio Rubare e vendere bambini è un genocidio

Le donne indigene scomparse e assassinate è un genocidio

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La costituzione canadese è un genocidio.

Samian

Nei link a seguire qui proposti una serie di poesie musicate di alcuni degli autori sopra presentati:

John Trudell: Time dreams

https://www.youtube.com/watch?v=fRTMe_EPgSM

Joy Harjo: Eagle song

https://www.youtube.com/watch?v=y8mEdBmC9Jo

Joséphine Bacon e Chloé Sainte-Marie: Je sais que tu sais https://www.youtube.com/watch?v=n4pJmuSLv1k&t=106s

Samian: Génocide

https://www.youtube.com/watch?v=cYSTngC96H8 Natasha Kanapé Fontaine: Nous nous soulèverons https://www.youtube.com/watch?v=T6DhCcQQ3Xk

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