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C 133/44 Gazzetta ufficiale dell Unione europea

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Raccomandazione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri la cui

moneta è l'euro»

COM(2012) 301 final (2013/C 133/09)

Relatore: DELAPINA

La Commissione europea, in data 14 agosto 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Raccomandazione di raccomandazione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche econo­

miche degli Stati membri la cui moneta è l'euro COM(2012) 301 final.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di prepa­

rare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 gennaio 2013.

Alla sua 487 a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1. Conclusioni e raccomandazioni

1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la definizione di orientamenti generali in materia di politica economica per i paesi dell'area dell'euro, in quanto essi forniscono un quadro coerente per una maggiore integrazione e un coordinamento migliore e più efficiente.

1.2 Il Comitato condivide inoltre la scelta di formulare le raccomandazioni e di verificarne l'attuazione in maniera diffe­

renziata a seconda dello Stato membro. Ciò consentirà di tener conto delle differenze nei risultati economici e delle diverse cause della crisi in ciascun paese.

1.3 Il CESE desidera cogliere l'occasione offerta dalla racco­

mandazione sull'attuazione degli indirizzi di massima per segna­

lare la necessità di riformare la concezione stessa di politica economica, in particolare in vista della riformulazione degli orientamenti prevista per il 2014. Il Comitato ritiene che il mix di politiche macroeconomiche prevalente non sia equilibra­

to, in quanto trascura l'importanza della domanda e della giu­

stizia distributiva. Certe riforme stanno facendo registrare segni di stabilizzazione dei mercati finanziari, e ciò dovrebbe consen­

tire, nell'ambito dell'impostazione di politica economica seguita sinora, di porre una maggiore enfasi sulle politiche a favore della crescita e dell'occupazione. Tuttavia, la funzionalità del settore bancario e dei mercati finanziari non è ancora stata completamente ripristinata; inoltre, la politica di austerità non consente nemmeno l'adozione di un programma di espansione credibile per la riduzione del debito pubblico e della disoccupa­

zione. Al contrario, la crisi si inasprisce – e invece di uscirne tramite la crescita, l'area dell'euro è precipitata in una doppia recessione (double dip recession) dalle profonde conseguenze non solo economiche, ma specialmente sociali. Trascurare tali con­

seguenze sociali significa, nel lungo periodo, compromettere ancora di più la crescita dell'economia europea.

1.4 Gli sforzi di stabilizzazione delle politiche nazionali sono condannati al fallimento se sono vanificati dalle tendenze dei mercati finanziari e dalla speculazione. Il Comitato invita per­

tanto ad adottare una regolamentazione più severa dei mercati finanziari, che venga estesa anche al settore bancario ombra e sia coordinata a livello del G-20, e a ridimensionare il sistema finanziario, che deve tornare a essere in linea con le esigenze dell'economia reale. Il CESE chiede un «rinnovamento dell'eco­

nomia reale» in Europa, in cui l'attività imprenditoriale torni a prendere il sopravvento sulle ragioni speculative.

1.5 Una rete di sicurezza credibile e solidale, che si basi anche sull'edificio solido di una fiducia meritata, potrebbe fare in modo che ogni tentativo di speculazione ai danni dei paesi in difficoltà si rivelasse vano, consentendo così di ridurre i loro costi di finanziamento. Anche l'emissione di obbligazioni co­

muni europee, così come una minore dipendenza dalle agenzie di rating, possono contribuire alla diminuzione dei costi di finanziamento dei paesi colpiti dalla crisi.

1.6 Il risanamento delle finanze pubbliche, divenuto ormai una necessità imprescindibile soprattutto per una serie di moti­

vi, come ad esempio i costi sostenuti per soccorrere le banche, per adottare misure di rilancio della congiuntura, nonché, in alcuni paesi, per lo scoppio delle bolle del settore degli alloggi e di quello immobiliare, presenta dei livelli di urgenza diversi e richiede un ventaglio di orizzonti temporali più ampio e più flessibile. Inoltre deve tener conto degli effetti che produrrà sulla domanda e deve esserne garantita la compatibilità con gli obiet­

tivi della strategia Europa 2020 in materia di politica sociale e occupazione, poiché la crescita e l'occupazione sono i fattori centrali per la sua buona riuscita. Un disavanzo di bilancio contenuto è soprattutto il risultato, e non la premessa, di un'evoluzione macroeconomica favorevole e di una sana gover­

nance.

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1.7 Un risanamento di bilancio sostenibile deve essere equi­

librato, e prestare quindi la stessa attenzione da un lato all'equi­

librio tra gli effetti sull'offerta e sulla domanda e, dall'altro, a quello tra le spese e le entrate. Il Comitato sottolinea che un quadro integrato di politica di bilancio («unione di bilancio») non deve far riferimento soltanto alle spese, ma deve compren­

dere anche le entrate pubbliche. Il Comitato chiede un riesame generale non solo della spesa, ma anche dei regimi fiscali, se­

condo un criterio di giustizia distributiva. Segnala una serie di possibili misure per potenziare il gettito fiscale con l'obiettivo di salvaguardare il finanziamento del livello auspicato dei sistemi sociali e degli investimenti pubblici avanzati. Sarebbe opportuno armonizzare le basi imponibili e i sistemi di calcolo delle im­

poste sulla base di analisi dettagliate dei diversi sistemi econo­

mici all'interno dell'UE. Ciò consentirebbe di evitare distorsioni della concorrenza nell'UE, invece di continuare a erodere le entrate pubbliche con una gara alla riduzione delle imposte.

1.8 Il Comitato invita a rivalutare i moltiplicatori di bilancio alla luce della vasta ricerca internazionale, da cui emerge che, in una situazione di recessione, i moltiplicatori di bilancio variano da paese a paese ed il loro impatto sulla crescita economica e sull'occupazione è molto più negativo di quanto non si ritenes­

se. La politica dovrebbe sfruttare maggiormente il fatto che i moltiplicatori negativi del reddito e dell'occupazione risultanti dalle misure adottate sul versante delle entrate sono general­

mente inferiori rispetto a quelli dei tagli alle spese, in particolare quando tali misure sul versante delle entrate interessano fasce della popolazione con una propensione al consumo inferiore.

Ciò potrebbe generare, mediante riassegnazioni con effetti neutri sui saldi di bilancio, opportunità di creare occupazione e do­

manda, liberando risorse a favore di misure espansive, come i programmi di formazione e occupazione o gli investimenti nel­

l'industria, nella ricerca e nei servizi sociali. Questo, a sua volta, potrà contribuire a rinsaldare la fiducia delle imprese e dei consumatori – cosa di cui vi è un urgente bisogno.

1.9 Queste misure espansive consentirebbero inoltre di sti­

molare le importazioni soprattutto nei paesi in surplus, e il loro coordinamento a livello UE comporterebbe notevoli guadagni di efficienza, in quanto la quota delle importazioni dell'intera area dell'euro (quindi nei confronti dei paesi terzi) è notevolmente più bassa rispetto a quella di ciascuna economia nazionale con­

siderata singolarmente.

1.10 Nell'eliminazione degli squilibri esterni, i paesi in sur­

plus sono tenuti, per mantenere la necessaria simmetria, a di­

stribuire ad ampie fasce della popolazione i profitti ricavati dalle esportazioni sottoforma di maggiore benessere. Così facendo, la loro effettiva domanda interna aumenterebbe, contribuendo inoltre alla riduzione dei loro «disavanzi di importazioni».

1.11 Oltre al necessario riorientamento del mix di politiche macroeconomiche, anche l'attuazione di riforme strutturali so­

cialmente accettabili può rafforzare la domanda e rendere più efficiente l'economia.

1.12 In generale concentrarsi sulla competitività a livello dei prezzi nel tentativo di eliminare gli squilibri esterni, spesso legandola alla richiesta di moderazione salariale, non è una soluzione efficace. Misure di contenimento salariale per pro­

muovere le esportazioni in tutti i paesi dell'area dell'euro non solo hanno gravi effetti a livello di ridistribuzione dei redditi, ma riducono anche la domanda complessiva, generando una spirale discendente, da cui tutti i paesi escono perdenti.

1.13 Il Comitato rinnova il suo appello ad adottare una politica salariale che sfrutti appieno il margine di manovra nel­

l'ambito della produttività, e rifiuta ogni disposizione e inter­

vento statale - del tutto inaccettabili - nella contrattazione col­

lettiva autonoma.

1.14 Esistono altri fattori di costo, spesso più significativi dei salari, che vengono per lo più trascurati, L'importanza dei fattori non di prezzo per la competitività viene spesso passata sotto silenzio. Tuttavia, l'Europa potrà imporsi nella concorrenza glo­

bale soltanto se adotterà una strategia di alto profilo (high-road) basata sulla creazione di valore aggiunto di elevata qualità, mentre una strategia di basso profilo (low-road), caratterizzata da una concorrenza basata sulla gara alla riduzione dei costi con le altre regioni del mondo, sarebbe destinata a fallire.

1.15 Nel complesso, grazie agli stabilizzatori automatici del sistema di sicurezza sociale, il modello sociale europeo ha fa­

vorito la gestione della crisi sostenendo la domanda e la fiducia.

Un indebolimento di questo sistema rischia di far scivolare l'Europa in una profonda depressione, paragonabile a quella degli anni Trenta del secolo scorso.

1.16 In linea generale, il Comitato sollecita un rafforzamento del ruolo delle parti sociali a livello nazionale ed europeo, non­

ché un'intensificazione del coordinamento della politica salariale a livello europeo, ad esempio tramite la valorizzazione del dia­

logo macroeconomico, che andrebbe introdotto anche nell'area dell'euro. La riformulazione degli orientamenti dovrebbe tener conto del fatto che i paesi con un buon funzionamento del partenariato sociale sono riusciti ad ammortizzare meglio le conseguenze della crisi rispetto agli altri.

1.17 Il Comitato rinnova inoltre la sua richiesta affinché le parti sociali e le altre organizzazioni rappresentative della so­

cietà civile siano coinvolte quanto prima e nella misura più ampia possibile nel processo di elaborazione delle politiche.

Le trasformazioni e le riforme necessarie potranno essere coro­

nate da successo ed essere accettate soltanto se la ripartizione degli oneri verrà percepita come equa.

9.5.2013 Gazzetta IT ufficiale dell’Unione europea C 133/45

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1.18 In sintesi, si può affermare che l'Europa ha bisogno di un nuovo modello di crescita, che sia caratterizzato dalla lotta all'inaccettabile livello di disoccupazione e da un adeguato mar­

gine di manovra per gli investimenti nel futuro e per gli inve­

stimenti sociali ed ecologici, attraverso i quali si generano cre­

scita e domanda. Si devono rafforzare i sistemi sociali, tramite una redistribuzione delle risorse di bilancio e la garanzia di una base di gettito sufficiente nel rispetto della giustizia distributiva, allo scopo di aumentare le forze produttive e stabilizzare la domanda e la fiducia. Un modello di crescita di questo tipo renderà inoltre possibile il consolidamento sostenibile delle fi­

nanze pubbliche.

2. Contesto

2.1 La «Raccomandazione del Consiglio del 13 luglio 2010 sugli orientamenti di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione» ha stabilito una serie di orienta­

menti che resteranno invariati fino al 2014, cosicché l'atten­

zione potrà essere incentrata sulla loro attuazione:

— Orientamento 1: garantire la qualità e la sostenibilità delle finanze pubbliche

— Orientamento 2: ovviare agli squilibri macroeconomici

— Orientamento 3: ridurre gli squilibri nella zona euro

— Orientamento 4: sfruttare al meglio il sostegno a R&S e all'innovazione, rafforzare il triangolo della conoscenza e liberare il potenziale dell'economia digitale

— Orientamento 5: migliorare l'efficienza sotto il profilo delle risorse e ridurre le emissioni di gas a effetto serra

— Orientamento 6: migliorare il clima per le imprese e i consumatori e ammodernare e sviluppare la base industriale per garantire il pieno funzionamento del mercato interno

2.2 In questo contesto, il 30 maggio 2012 la Commissione ha presentato la sua recente «Raccomandazione di raccomanda­

zione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri la cui moneta è l'euro», che contiene un aggiornamento delle raccomandazioni sugli indirizzi generali della politica economica dell'area dell'eu­

ro. Inoltre, sono state elaborate raccomandazioni specifiche per tutti i 27 Stati membri dell'Unione. Il 6 luglio 2012 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato i documenti corrispondenti.

3. Considerazioni generali

3.1 Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commis­

sione diretti a creare un quadro coerente per migliorare il coordinamento della politica economica a livello europeo, misura di cui vi è un'urgente necessità; essa è indispensabile se si vuole ritrovare stabilmente il sentiero della crescita e l'oc­

cupazione. Esiste infatti il rischio che alcune misure volte a correggere gli squilibri possano sì risultare sensate per un de­

terminato paese preso singolarmente, ma essere controprodu­

centi per l'area dell'euro nel suo complesso.

3.2 Ecco perché occorre osservare i problemi da una pro­

spettiva europea e favorire una concezione e una comprensione europee. Il Comitato condivide pertanto la posizione della Com­

missione secondo cui una vera cooperazione in materia di po­

litica economica necessita, almeno nell'Eurogruppo, di un'inte­

grazione più profonda e di un coordinamento migliore e più efficace. In questo contesto occorre tener conto delle differenze nelle prestazioni economiche tra gli Stati membri (livello cre­

scita del PIL, tassi di disoccupazione e tendenze in materia, volume e struttura del disavanzo di bilancio e del debito, spesa per la R&S, spese sociali, saldo della bilancia delle partite cor­

renti, approvvigionamento energetico…).

3.3 L'attuale crisi, che dura ormai dal 2008, ha avuto origine negli Stati Uniti per poi propagarsi fino a divenire una crisi globale. Le sue conseguenze hanno fatto capire che l'architettura dell'unione monetaria aveva riposto un'eccessiva fiducia nelle forze di mercato e non aveva affrontato in maniera adeguata il pericolo degli squilibri. Come mostra l'andamento comples­

sivo dei bilanci pubblici nell'area dell'euro fino al 2008, non è la scarsa disciplina di bilancio a essere, in generale, all'origine della crisi.

Rapporto debito/PIL in % (fonte: AMECO 2012/11)

(4)

3.4 In media, nell'area dell'euro l'impennata dei livelli di di­

savanzo e del debito è stata determinata in primo luogo dal massiccio ricorso ai fondi pubblici per salvare il sistema finan­

ziario e per sostenere la domanda e il mercato di lavoro, crollati per effetto della crisi finanziaria ( 1 ), così come dalla diminuzione delle entrate statali, dovuta in particolare al calo dell'occupazio­

ne. Questo aspetto è essenziale per l'elaborazione di strategie di politica economia, poiché una diagnosi errata porta a una cura sbagliata. Il CESE accoglie pertanto essenzialmente con fa­

vore la differenziazione per paese operata nel valutare l'at­

tuazione degli orientamenti. Non esiste un approccio unico valido per tutti (one size does not fit all), poiché le cause della crisi variano radicalmente da uno Stato membro all'altro.

3.5 Il CESE desidera tuttavia cogliere l'occasione per segna­

lare la necessità di riformare la concezione stessa di politica economica; questo esercizio interessa non solo le revisioni an­

nuali, ma è particolarmente importante anche per la prossima versione degli orientamenti di politica economica prevista per il 2014.

3.6 Il 2012 è stato per l'Europa il quinto anno di crisi. Poco dopo la definizione degli orientamenti attualmente in vigore, le previsioni dell'autunno 2010 della Commissione europea per l'area dell'euro stimavano una crescita del PIL dell'1,6 % e un tasso di disoccupazione del 9,6 % per il 2012. In quest'anno in realtà l'area dell'euro si è trovata in recessione, e il tasso di disoccupazione ha oltrepassato l'11 %, raggiungendo addirittura valori prossimi al 25 % in alcuni paesi.

3.7 Al contrario, l'economia degli Stati Uniti, con tassi at­

torno al 2 %, fa registrare una crescita sì moderata, ma costante, sostenuta da una politica monetaria ancora fortemente espan­

sionista e dalla linea di politica sociale e fiscale adottata dal governo. I consumi, gli investimenti e la produzione industriale mostrano uno sviluppo robusto, al punto che il tasso di disoc­

cupazione è notevolmente inferiore rispetto ai valori record dell'ottobre 2009 ( 2 ).

3.8 Mentre il «Piano europeo di ripresa economica» del 2008, che risentiva ancora del repentino crollo economico do­

vuto al fallimento della Lehman, riconosceva la necessità di rafforzare attivamente la domanda interna e la regolamenta­

zione dei mercati, la politica economica è tornata ben presto a seguire la sua impostazione tradizionale. L'avvertimento ripe­

tuto più volte, anche dal CESE, per sottolineare che l'Europa doveva uscire dalla crisi adottando una politica di crescita, e

non una di austerità che l'avrebbe fatta precipitare in una nuova crisi, non è stato ascoltato, e la tanto temuta doppia recessione è divenuta realtà.

3.9 In primo luogo, il fallimento della politica economica europea è dovuto alla mancata stabilizzazione dei mercati finan­

ziari. La forte volatilità, differenziali sugli interessi (spread) ele­

vati, tassi di interesse a lungo termine eccessivi e le ampie riserve di liquidità delle banche indicano che, nonostante siano stati compiuti primi importanti passi verso un'unione bancaria, il funzionamento del sistema finanziario non è stato ancora ripristinato del tutto. L'incertezza che ne deriva per le imprese e i consumatori continua a frenare le possibilità di crescita.

3.10 In secondo luogo, la politica economica non è riuscita a combattere la scarsità della domanda interna ed esterna. Il dra­

stico inasprimento delle prescrizioni per la politica di bilancio degli Stati membri, così come il passaggio troppo rapido e radicale a una politica di bilancio restrittiva, avvenuto contem­

poraneamente in tutti gli Stati membri, hanno indebolito tutte le componenti fondamentali della domanda interna. Ed è ovvio che anche gli stimoli alla crescita generati dalla domanda esterna siano molto limitati, dato che pure i principali partner commer­

ciali – vale a dire gli altri Stati membri – seguono una linea di austerità analoga. All'indebolimento della domanda interna si aggiunge quindi la riduzione delle reciproche possibilità di esportazione.

3.11 L'attuale mix di politiche macroeconomiche, che tra­

scura sia il versante della domanda che gli aspetti legati alla ridistribuzione, non è equilibrato. Si continua ad applicare la stessa politica che aveva già determinato il fallimento della stra­

tegia di Lisbona - neanch'essa aveva infatti prestato sufficiente attenzione alla scarsa domanda interna nei grandi Stati membri fondamentali e alle crescenti diseguaglianze nella distribuzione.

Questa politica si concentra unilateralmente sul risanamento del bilancio e su una strategia di riduzione dei costi volta ad au­

mentare la competitività a livello dei prezzi. Il Comitato ap­

prezza che la Commissione esiga un risanamento di bilancio favorevole alla crescita, come sottolineato anche in documenti successivi della Commissione e nell'analisi annuale della crescita 2013 ( 3 ); tuttavia questa richiesta pare esistere solo sulla carta, poiché i fatti non forniscono sinora alcuna prova della sua realizzazione.

3.12 La politica economica condotta a livello europeo non è riuscita ad adottare misure che consentano, nell'ambito di un programma di espansione credibile, la riduzione simultanea del debito pubblico e della disoccupazione. I tagli consistenti alla spesa pubblica, in particolare nel settore dello Stato sociale, così come gli aumenti delle imposte a carattere più generale hanno delle conseguenze disastrose su economie già in contrazione. Il reddito disponibile si riduce, e con esso anche la domanda dei

9.5.2013 Gazzetta IT ufficiale dell’Unione europea C 133/47

( 1 ) Un'illustrazione dettagliata e differenziata dello sviluppo della crisi economica a finanziaria è contenuta in GU C 182 del 4.8.2009, pag. 71, punto 2.

( 2 ) Cfr. le previsioni dell'autunno 2012 della Commissione europea. ( 3 ) COM(2012) 750 final.

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consumatori, la produzione e l'occupazione. In questo modo la politica di austerità frena le entrate fiscali in maniera molto più forte di quanto previsto inizialmente, come ammesso anche dall'FMI nelle sue recenti previsioni ( 4 ). Questa situazione ag­

grava ulteriormente la recessione, determinando di conseguenza disavanzi di bilancio ancora più alti – un circolo vizioso, di cui non si intravede ancora la fine. Gli elevati costi economici e sociali sono percepibili sotto forma di un drammatico aumento della disoccupazione.

3.13 È chiaro che, soprattutto a causa dei costi sostenuti per soccorrere le banche, delle misure di rilancio della congiuntura e in alcuni paesi del crollo della bolla degli alloggi e immobiliare, occorreranno percorsi di risanamento differenti per ciascun paese al fine di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Il CESE segnala tuttavia che i programmi di abbattimento del debito devono essere compatibili con il rilancio economico e con gli obiettivi sociali e occupazionali definiti dalla strategia Europa 2020. Crescita e occupazione sono gli elementi centrali per il buon esito del risanamento, mentre le misure di austerità radicali, oltre a generare fratture sociali, potrebbero addirittura far aumentare il debito.

3.14 Il fatto che il Comitato si concentri, nel presente parere, principalmente sugli aspetti legati al mix di politiche macroeco­

nomiche non deve sminuire l'importanza delle riforme strut­

turali. Riforme strutturali socialmente accettabili devono con­

tribuire in particolare al rafforzamento della domanda e dell'ef­

ficienza in settori come la fiscalità, l'approvvigionamento ener­

getico, l'amministrazione, l'istruzione, la sanità, l'edilizia abitati­

va, i trasporti e le pensioni; in tale contesto va tenuto conto al contempo della differenze di competitività tra i singoli paesi.

3.15 Anche le politiche strutturali e regionali dovrebbero porre l'accento sull'aumento della produttività, per consentire l'ammodernamento o lo sviluppo di un'economia sostenibile basata sull'industria e sui servizi. In generale, si può constatare che i paesi in cui l'industria ha un peso maggiore sul totale dell'economia sono stati colpiti meno duramente dalla crisi, fatto che consiglia corrispondenti strategie di industrializzazio­

ne.

3.16 Il Comitato intende tuttavia ampliare l'interpretazione più diffusa, talvolta un po' limitata, del concetto di «riforma strutturale». Nella richiesta di riforme strutturali si dovrebbero tener presenti ad esempio la struttura della regolamentazione

dei mercati finanziari, la struttura del coordinamento dei regimi fiscali e la struttura delle spese e delle entrate pubbliche.

4. Osservazioni specifiche 4.1 Il sistema finanziario

4.1.1 Il CESE condivide il punto di vista della Commissione, che pone l'accento sull'importanza della stabilizzazione e del corretto funzionamento del sistema finanziario. Garantire che i margini di manovra della politica economica non siano com­

promessi o annullati dalla speculazione sui mercati finanziari è infatti la premessa fondamentale per il successo di tutti gli interventi volti a superare ed evitare la crisi. Di conseguenza, occorre adottare una struttura di vigilanza chiara ed efficiente e una regolamentazione più severa dei mercati finanziari (anche del sistema bancario ombra), che presentano un rischio di de­

stabilizzazione maggiore rispetto a una insufficiente competiti­

vità. Per evitare l'elusione delle disposizioni, le misure adottate a tal fine andrebbero coordinate in seno al G20. I mercati finan­

ziari devono essere riportati a una dimensione ragionevole e devono tornare a essere al servizio dell'economia reale - non porsi come suoi concorrenti ( 5 ).

4.1.2 Per ridurre i costi di finanziamento dei paesi colpiti dalla crisi, gonfiati artificialmente con la speculazione, occorre puntare a una diminuzione della dipendenza dalle agenzie di rating private. Allo stesso tempo una rete di sicurezza credibile e solidale, basata anche sull'edificio solido di una fiducia meri­

tata potrebbe fare in modo che ogni tentativo di speculazione contro i paesi in difficoltà si rivelasse vano, evitando così tale attività speculativa. Recentemente sono stati compiuti alcuni passi importanti in questa direzione (nuovo programma della BCE di acquisto del debito pubblico, entrata in vigore definitiva e piena operatività del MES, ecc.). Anche l'emissione di obbli­

gazioni comuni europee, con condizioni quadro adeguate, può contribuire ad alleggerire la situazione del bilancio nei paesi in crisi ( 6 ).

4.1.3 Il Comitato segnala la necessità di spezzare il legame tra banche commerciali e debito pubblico. Inoltre, occorre in­

vertire la tendenza alla frammentazione e alla rinazionalizza­

zione dei mercati finanziari stabilizzando questo settore. Anche un'intensificazione degli sforzi per la creazione di un'unione bancaria, insieme a strumenti efficaci per il risanamento e la risoluzione degli istituti di credito a livello europeo e naziona­

le ( 7 ), potrebbero contribuire alla stabilizzazione.

( 4 ) Secondo le previsioni dell'FMI del 9.10, i moltiplicatori della spesa dovrebbero corrispondere durante la crisi a un valore compreso tra 0,9 e 1,7, mentre originariamente la stima era di 0,5 (cfr. FMI 2012 http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2012/02/pdf/text.pdf).

( 5 ) GU C 11 del 15.1.2013, pag. 34.

( 6 ) In merito alla discussione sulle obbligazioni di stabilità, gli euro­

bond, i project bond ecc. cfr. GU C 299 del 4.10.2012, pag. 60, e GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

( 7 ) Cfr. GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.

(6)

4.2 Bilanci pubblici

4.2.1 Un risanamento di bilancio sostenibile deve prestare attenzione non solo all'equilibrio tra gli effetti sulla domanda e sull'offerta, ma anche a quello tra le spese e le entrate. Inoltre, in molti paesi, il fattore lavoro è sottoposto a una pressione fiscale spropositata. È pertanto opportuno ripensare in generale non solo la spesa ma anche l'intero sistema fiscale, e in questo esercizio si dovranno prendere in considerazione le questioni di giustizia redistributiva tra diversi tipi di reddito e patrimonio. In questo senso, si deve esigere soprattutto il contributo di coloro che hanno approfittato in misura particolare di quegli sviluppi sbagliati dei mercati finanziari e dei pacchetti di salvataggio per le banche finanziati a spese dei contribuenti.

4.2.2 Sul versante delle entrate esistono varie possibilità di intervento per ottenere il necessario rafforzamento della base imponibile: l'introduzione dell'imposta sulle transazioni finan­

ziarie (richiesta a più riprese dal Comitato) ( 8 ) e di tasse ambien­

tali e sull'energia, la chiusura dei paradisi fiscali ( 9 ), una lotta decisa all'evasione fiscale, la tassazione dei grandi patrimoni, dei beni immobili e delle successioni, la tassazione delle banche per internalizzare i costi esterni ( 10 ), o ancora l'armonizzazione dei sistemi e delle basi imponibili per eliminare le distorsioni della concorrenza nell'UE, invece di continuare a erodere le entrate pubbliche con una corsa alle riduzioni delle imposte, come avvenuto sinora. Spesso si dimentica che un quadro inte­

grato di bilancio («unione di bilancio») non si limita esclusiva­

mente alla spesa pubblica, ma interessa anche il versante delle entrate.

4.2.3 In alcuni paesi è richiesto anche un netto migliora­

mento dell'efficienza del sistema di esazione delle imposte.

4.2.4 L'approccio tradizionale al risanamento di bilancio consiste nell'effettuare tagli alla spesa pubblica. L'idea che i tagli della spesa siano destinati ad aver maggior successo rispetto all'aumento delle entrate, resta un dogma non ancora dimostra­

to. Le esperienze concrete in paesi in crisi come la Grecia indicano che la speranza di ottenere i cosiddetti «effetti non keynesiani» è vana. Se la domanda interna nell'intera unione monetaria è indebolita dalla politica di austerità, i tagli operati alla spesa non avranno l'effetto di liberare risorse per gli inve­

stimenti privati (crowding-in) grazie a una crescita della fiducia.

Inoltre, i tagli alla spesa, ad esempio nei sistemi sociali o nei servizi pubblici, hanno in genere un effetto regressivo in quanto accentuano la diseguaglianza distributiva e frenano i consumi.

Tuttavia, esistono certamente anche margini di manovra per ridurre determinate spese non produttive, come ad esempio quelle nel settore degli armamenti.

4.2.5 La politica dovrebbe piuttosto sfruttare le grandi diffe­

renze che esistono tra gli effetti moltiplicatori delle diverse mi­

sure di politica di bilancio sul reddito e sull'occupazione. Quasi tutti gli studi empirici indicano che i moltiplicatori delle misure fiscali sono inferiori rispetto a quelli delle misure adottate sul versante della spesa. Una politica di aumento mirato delle en­

trate pubbliche potrebbe così liberare le risorse, urgentemente necessarie, per avviare ad esempio programmi a favore dell'oc­

cupazione, in particolare per i giovani.

4.2.6 Una tale riassegnazione di risorse senza alcun impatto sui saldi di bilancio consentirebbe di creare direttamente occu­

pazione e domanda, senza gravare sui bilanci pubblici. Oltre agli effetti positivi sull'economia nazionale, queste misure, soprat­

tutto se adottate in paesi in surplus, avrebbero effetti espansivi sull'intera unione monetaria, stimolando le importazioni.

4.2.7 Un coordinamento di tali misure espansive a livello UE risulterebbe ancora molto più efficiente, in quanto la quota delle importazioni dell'intera area dell'euro (quindi nei confronti ai paesi terzi) è notevolmente più bassa rispetto a quella di cia­

scuna economia nazionale considerata singolarmente.

4.3 Squilibri esterni

4.3.1 Il monitoraggio della bilancia delle partite correnti e delle sue componenti è un elemento necessario per poter (re)agire tempestivamente di fronte a una bassa produttività di uno Stato membro e dei problemi di finanziamento pubblico e privato che ne derivano. Nella correzione degli squilibri della bilancia commerciale, occorre tuttavia fare attenzione alla sim­

metria: le esportazioni di un paese corrispondono alle importa­

zioni di un altro. Di conseguenza, lo squilibrio non va corretto soltanto operando una riduzione nei paesi in disavanzo, ma esigendo anche che i paesi che registrano degli avanzi stimolino le importazioni rafforzando la loro domanda interna, ed elimi­

nino così i loro «deficit di importazioni».

4.3.2 Da una prospettiva europea, un'eccezione è rappresen­

tata in particolare dal settore energetico, in cui, di fatto, il disavanzo della bilancia commerciale è elevato per tutti gli Stati membri ( 11 ). Una trasformazione ecologica del mercato interno europeo dovrebbe consentire di ridurre la dipendenza dalle im­

portazioni di energia fossile, grazie allo sfruttamento intra-eu­

ropeo di fonti proprie di energie alternative. Inoltre, il settore dell'energia solare offre in particolare alla regione dell'Europa meridionale la possibilità di migliorare i saldi commerciali in­

tra-europei.

9.5.2013 Gazzetta IT ufficiale dell’Unione europea C 133/49

( 8 ) Da ultimo in GU C 181 del 21.6.2012, pagg. 55.

( 9 ) Cfr. GU C 229 del 31.7.2012, pag. 7.

( 10 ) Vale a dire per essere sicuri che in futuro i costi delle crisi bancarie

non debbano essere finanziati dai contribuenti. ( 11 ) UE-27: 2,5 % del PIL 2010.

(7)

4.3.3 Nella lotta ai disavanzi esterni, si tende ad accordare un'importanza eccessiva al ruolo della competitività dei prezzi.

Tuttavia, potrebbe essere pericoloso porre l'accento esclusiva­

mente su questo aspetto: il «modello tedesco» (moderazione salariale per promuovere le esportazioni e frenare le importa­

zioni) come ricetta valida contemporaneamente per tutti i paesi non può che innescare una spirale al ribasso (race to the bottom), vista l'elevata percentuale di commercio interno nell'area dell'eu­

ro.

4.3.4 Nella maggior parte dei casi, l'evoluzione eterogenea del costo unitario del lavoro viene vista come una delle princi­

pali cause della crisi - da qui la richiesta di ridurre tali costi.

Indipendentemente dalle gravi conseguenze sulla ridistribuzione del reddito che una riduzione dei livelli salariali potrebbe avere, con un effetto di indebolimento della domanda, il punto è che in quest'analisi vengono trascurati altri importanti fattori di costo, come quelli relativi all'energia, ai materiali e ai finanzia­

menti ( 12 ).

4.3.5 A titolo di esempio, i costi unitari del lavoro in termini reali prima della crisi sono diminuiti in Portogallo, Spagna e Grecia tra il 2000 e il 2007 ( 13 ). È evidente che l'eccessivo aumento nominale degli utili ha contribuito all'aumento dei prezzi tanto quanto l'aumento dei salari nominali.

4.3.6 Ancora oggi, circa il 90 % della domanda complessiva nell'UE proviene dai suoi Stati membri. Per quanto riguarda la dinamica salariale, il CESE ribadisce pertanto quanto affermato nel suo parere sull'Analisi annuale della crescita: «Politiche sala­

riali appropriate possono svolgere un ruolo decisivo nella ge­

stione della crisi. Una strategia volta a tenere l'incremento dei salari in linea con l'aumento della produttività dell'economia nel suo complesso assicura, in una prospettiva macroeconomica, che si raggiunga un equilibrio tra una crescita sufficiente della domanda e la garanzia della competitività dei prezzi. Le parti sociali devono pertanto lavorare per evitare diminuzioni dei salari volte a scaricare le difficoltà sugli altri (beggar thy nei­

ghbour) e per orientare la politica dei salari allo sviluppo della produttività» ( 14 ).

4.3.7 Peraltro, l'importanza dei fattori non di prezzo per la competitività viene il più delle volte sottovalutata ( 15 ). In questo contesto, si rimanda alla definizione di «competitività» fornita dalla Commissione, che la descrive come «…la capacità di un'economia di garantire su basi sostenibili alla propria popo­

lazione livelli di vita elevati e in crescita e alti tassi d'occupa­

zione ( 16 )».

4.3.8 Anche l'importanza del conto dei redditi da capitale è aumentata nei paesi colpiti dalla crisi, non da ultimo per via del

considerevole aumento a livello nazionale del peso degli inte­

ressi. L'analisi degli squilibri non deve pertanto limitarsi esclu­

sivamente all'andamento della bilancia commerciale.

4.4 Il modello sociale europeo e il dialogo sociale

4.4.1 Il modello sociale europeo rappresenta un vantaggio comparativo dell'Europa nella concorrenza mondiale; esso con­

tribuisce infatti al successo economico, laddove le prestazioni dell'economia, da un lato, e l'equità sociale, dall'altro, non ven­

gono considerati come elementi contrapposti, ma come fattori che si sostengono reciprocamente.

4.4.2 In Europa, gli stabilizzatori automatici dei sistemi di previdenza sociale hanno favorito la gestione della crisi, soste­

nuto la domanda e impedito di precipitare in una depressione paragonabile a quella degli anni Trenta. I sistemi di tutela sociale sono estremamente importanti anche sul piano psicologico, perché riducono il rischio della corsa al risparmio dettata dalla paura e stabilizzano in questo modo i consumi.

4.4.3 In alcuni paesi dove il dialogo sociale funziona bene (come ad esempio Austria, Germania e Svezia) le parti sociali hanno concorso notevolmente ad attenuare la minaccia di un aumento della disoccupazione dovuto al calo della produzione.

Infatti, accanto al sostegno garantito con le misure di politica economica e sociale, gli accordi delle parti sociali conclusi a livello di imprese e di categorie hanno contribuito in maniera considerevole a mantenere i contratti di lavoro esistenti (ad esempio tramite il lavoro a tempo parziale, la riduzione degli straordinari accumulati, l'utilizzo del diritto alle ferie, i permessi di studio ecc.). Sarebbe opportuno tener conto di queste espe­

rienze nella nuova formulazione degli orientamenti e nelle va­

lutazioni individuali per paese.

4.4.4 Si invitano i governi europei a rafforzare il ruolo delle parti sociali a livello europeo e nazionale. Queste vanno soste­

nute nell'intensificazione dei loro sforzi per un coordinamento su scala europea della politica salariale. Inoltre, è necessario puntare a una valorizzazione del dialogo macroeconomico, che dovrebbe essere istituito anche nell'area dell'euro.

4.4.5 L'autonomia contrattuale delle parti sociali va mante­

nuta ad ogni modo anche durante la crisi: la politica salariale deve essere gestita nel rispetto dell'autonomia delle associazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori. In questo contesto è inaccettabile, e va dunque respinta, l'idea di obiettivi per la contrattazione collettiva fissati a livello statale o addirit­

tura di riduzioni salariali imposte dallo Stato ( 17 ).

( 12 ) Nel settore delle esportazioni spagnolo ad esempio i costi salariali rappresentano soltanto il 13 % dei costi complessivi. Fonte: Carlos Gutiérrez Calderón/ Fernando Luengo Escalonilla, Competitividad y costes laborales en España, Estudios de la Fundación 49 (2011, http://www.1mayo.ccoo.es/nova/files/1018/Estudio49.pdf).

( 13 ) Cfr. Statistical Annex of European Economy, autunno 2012.

( 14 ) Cfr. GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 2.3.

( 15 ) Cfr. GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 2.2.

( 16 ) COM(2002) 714 final. ( 17 ) Cfr. GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 2.4.

(8)

4.4.6 Oltre al ruolo delle parti contrattuali, va riconosciuto anche il ruolo significativo delle altre orga­

nizzazioni rappresentative della società civile, come ad esempio quelle dei consumatori. Esse sono indi­

spensabili, in particolare nei periodi di crisi, quali portavoce dei cittadini e partner nel dialogo civile.

4.4.7 Le trasformazioni e le riforme necessarie potranno avere un buon esito soltanto se si perverrà a un rapporto equilibrato tra obiettivi economici e sociali e se la ripartizione degli oneri (tra paesi, fasce di reddito, capitale e lavoro, fasce diverse della popolazione…) verrà percepita come equa. La giustizia e l'equilibrio sociale sono dei prerequisiti fondamentali per garantire l'accettazione e compiere dei progressi verso il risanamento; senza di esse, la coesione sociale viene messa in pericolo, mentre il populismo e il sentimento antieuropeo rischiano di subire una pericolosa impennata. Il Comitato rinnova inoltre la sua raccomandazione di coinvolgere il più presto e il più ampiamente possibile le parti sociali e le altre organizzazioni rappresentative della società civile nel processo di elaborazione delle politiche.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo Staffan NILSSON

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