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"IL SOGGETTO È NEGLI AVVERBI". LO SPAZIO DELLA SOGGETTIVITÀ

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Academic year: 2022

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"I

L SOGGETTO È NEGLI AVVERBI

". L

O SPAZIO DELLA SOGGETTIVITÀ NELLA TEORIA SEMIOTICA DI

U

MBERTO

E

CO1

Patrizia Violi

Dopo la pubblicazione del Nome della rosa, rispondendo ad una domanda di un giornalista che gli chiedeva dove nel suo romanzo si poteva trovare la soggettività dell'autore, Umberto Eco rispondeva: “il soggetto è negli avverbi”.

Sarebbe un errore interpretare la frase solo come una divertente battuta, uno scherzoso escamotage per evitare una domanda difficile. Al contrario, io credo che questa battuta ben sintetizzi una posizione teorica molto articolata sul tema della soggettività, che possiamo rintracciare in tutto l'arco della produzione teorica di Umberto Eco.

Vorrei qui provare a rileggerla, ricostruendone alcuni passaggi cruciali e proponendone una interpretazione forse un po' eterodossa.

La prima tematizzazione teorica sul soggetto si ritrova nel Trattato di semiotica generale del 1975. Apparentemente la soggettività ha un ruolo marginale nel Trattato, soprattutto centrato sulle modalità della produzione e della rappresentazione segnica; al soggetto sono dedicate solo poche pagine, meno di cinque per l'esattezza, su un volume di più di 400 pagine, ma una più attenta lettura ribalta subito questa impressione. Si tratta infatti delle ultime pagine del libro, che ne rappresentano la conclusione teorica e ne costituiscono di fatto l'intero ultimo capitolo, in cui finalmente entra in scena quel fantasma che, secondo le parole stesse di Eco, "tutto il discorso precedente aveva continuamente eluso lasciandolo appena intravedere sullo sfondo".

In realtà per tutto il libro Eco ci aveva sempre, anche se implicitamente, parlato di lui, del soggetto "assente".

Esso era evocato nel momento in cui si affermava il carattere di prassi sociale del lavoro di produzione segnica, come pure

1 Relazione presentata al convegno “Autour Umberto Eco. Signes, représentations, interpretations”, Sofia, 27-28 novembre 2004.

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quando si insisteva sulla natura comunicativa di tutti i fenomeni culturali. Nel capitolo conclusivo del Trattato Eco si chiede quale sia il suo posto nel quadro della teoria delineata nel corso di tutta l'opera e ne dà una risposta molto chiara: il soggetto è definito dal processo stesso della semiosi, e viene a coincidere con l'attività, inte- ramente culturale, di "segmentazione storica e sociale dell'universo" (TSG: 377). È dunque essenzialmente un modo di vedere il mondo, "un modo di segmentare l'universo e di associare unità espressive a unità di contenuto, in un lavoro nel corso del quale queste concrezioni storico-sistematiche si fanno e si sfanno senza posa". Il soggetto del Trattato dunque, nel duplice senso di argomento e di protagonista, altro non è che la semiosi stessa, coincide con i processi di creazione e produzione di senso, secondo una prospettiva inerentemente peirciana. E a Peirce Eco esplicitamente si rifà, all'uomo segno che sussume in sé pensiero e semiosi.

Una formulazione molto simile la ritroviamo in Semiotica e Filosofia del linguaggio del 1984, in cui viene ripreso il tema del soggetto quasi negli stessi termini; è importante segnalare, e il perché diverrà presto chiaro, che qui la problematica del soggetto è connessa alla proposta di Eco di ripensare il segno in chiave inferenziale. Se il segno inteso come identità e uguaglianza presuppone, insieme ad una nozione di codice più forte ed oggettiva, anche un soggetto più sclerotizzato, il segno come inferenza, quindi come continuo movimento fra i piani del linguaggio, implica di necessità un soggetto più mobile e più presente.

Il segno come momento (sempre in crisi) del processo di semiosi è lo strumento attraverso il quale lo stesso soggetto si costruisce e si decostruisce di continuo. (…) Il soggetto è ciò che i processi continui di risegmentazione del contenuto lo fanno essere. (…) Siamo come soggetti, ciò che la forma del mondo prodotta dai segni ci fa essere. (…) Ci riconosciamo solo come semiosi in atto, sistemi di significazione e processi di comunicazione. Solo la mappa della semiosi, come si definisce ad uno stadio della vicenda storica (con la bava e i detriti della semiosi precedente che si trascina dietro), ci dice chi siamo e cosa (o come) pensiamo. La scienza dei segni è la scienza di come si costituisce storicamente il soggetto. (SFL: 54)

Siamo già in grado, a partire da queste primi passaggi, di cominciare a delineare un abbozzo di ciò che è e di ciò che non è il soggetto per Eco. In quanto semiosi, il soggetto

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è una configurazione diffusa, non circoscritta né circo- scrivibile, dal momento che non è riconducibile ad una istanza determinata una volta per tutte, né ad alcuna entità semiotica prefissata come era il codice. Non è statica ma dinamica, legata alle pratiche di costruzione e trasfor- mazione del senso. Ma poiché queste pratiche sono storiche e integrate nella prassi e nel lavoro umano, anche la soggettività ne risulta storicamente e materialmente fondata.

Se queste sono le caratteristiche "in positivo", forse ancora più interessanti sono quelle "in negativo", che ci fanno capire cosa il soggetto non è nel pensiero di Eco: il soggetto non è né forma dell'individuale né istanza del trascendentale. Questi due spazi appaiono realmente come i confini che delimitano il territorio della soggettività nell'opera di Eco, confini che, come cercherò di mostrare, non saranno mai superati, né nella teoria né nella scrittura letteraria di Eco. Tornerò più avanti sulla questione dell'individualità, vorrei ora soffermarmi sull'aspetto della soggettività trascendentale, che merita un approfondimento.

Nel paradigma semiotico esiste un altro grande modello della soggettività, ed è quello iscritto nella teoria dell'e- nunciazione come sviluppata nella linguistica di Benveniiste e poi nel post strutturalismo generativo della scuola greimasiana. Il soggetto dell'enunciazione è un principio universale e generale, funzione astratta del meccanismo linguistico che affonda le sue radici teoriche nell'io trascendentale della filosofia husserliana. È infatti la ragione fenomenologica a costruire ogni atto significante come i l risultato d i una coscienza fondata sull'Io trascendentale; il discorso e il senso discendono da un giudizio, da un atto di predicazione del soggetto che "si pronuncia" su qualcosa. Mediante l'operazione predicativa la coscienza giudicante pone al tempo stesso l'oggetto come essere significato e il soggetto come coscienza; secondo Husserl è infatti la coscienza a costituire delle oggettività esterne, degli oggetti di senso e di significazione che esistono nel momento in cui l'io li fa esistere attraverso un atto di giudizio. La coscienza operante viene così ad identificarsi con la significazione stessa, a sua volta resa possibile solo dall'esistenza di un soggetto trascendentale.

La possibilità della significazione riposa dunque sull'as- sunzione di un "io" che è la coscienza sintetizzante, su cui

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è precisamente fondato il soggetto dell'enunciazione in Benveniste. Solo in quanto trascendentale l'io può rendere possibile la messa in discorso della lingua, operando il passaggio dal sistema inteso come inventario classificatorio all'enunciazione; la sua trascendenza, garantendo l'apparire di una soggettività astratta e universale, fonda lo spazio in cui l'essere può emergere nella lingua. E' in questo senso che la realtà dell'io è, come osserva Benveniste, la "realtà dell'essere".

Possiamo ora meglio vedere la distanza che separa questo soggetto da quella figura mobile e in continua trasformazione d i c u i c i parla Eco: n o n coscienza trascendentale ma reticolo di relazioni multiple e dinamiche, che, come la semiosi con cui di fatto è identificabile, ha la forma aperta e rizomatica dell'enciclopedia, con "la bava e i detriti" della storia che lo ha prodotto.

A Eco è stato spesso rimproverato di non aver mai dato molto spazio, nella s u a teoria, a l l e problematiche enunciative e quindi di mancare degli strumenti più propri per articolare pienamente il dispiegarsi della soggettività semiotica.

Quello che vorrei sostenere è che paradossalmente proprio la mancanza di una teoria dell'enunciazione classica ha consentito ad Eco – forse malgré lui? – di evitare le sacche della trascendentalità, portandolo, fin dalla metà degli anni 70 ad elaborare una nozione di soggetto e soggettività che oggi, nel primo decennio del duemila, viene riscoperta come estremamente attuale e trova inedite affinità proprio c o n g l i sviluppi p i ù recenti d e l post- greimasianesimo.

Per chiarire meglio questo punto è necessario ripartire da una nozione a mio avviso centrale nella riflessione teorica di Eco, ma che non ha forse ricevuto in seguito l'attenzione che meritava, né è stata ripresa nemmeno da Eco nei suoi successivi lavori. Mi riferisco allo schema dei modi di produzione segnica. Nato con finalità tassonomiche, per sostituire le numerosi e insoddisfacenti tipologie di segni, il modello dei modi di produzione è forse stato accantonato perché percepito come troppo legato ad un'idea di segno isolatamente considerato, mentre le direzioni che la ricerca semiotica cominciava a prendere sempre più indicavano strade testuali. Impressione a mio avviso erronea, perché i modi di

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produzione non classificano segni, ma tratteggiano un ordine di possibili processi, quindi di azioni complesse e, virtualmente, d i possibili testi. C h e l'opposizione testo/segno sia in realtà un falso problema dovrebbe d'altronde essere chiaro a tutti, nel momento in cui Eco stesso ha a più riprese ribadito il principio di reciproca implicazione fra il singolo segno e l'intero testo che ne rappresenta un'espansione (si parla di semema come testo virtuale).

Il problema, caso mai, è un altro, ed è l'articolazione di uno spazio di snodo fra testo, in quanto prodotto da un processo, e processo in quanto pratica che istituisce il testo. Nella tradizione strutturalista il sistema si oppone al processo, e quest'ultimo viene p o i direttamente identificato con i testi, che sarebbero però più propriamente il prodotto di quei processi che attualizzano il sistema.

Lo schema dei modi di produzione cerca di dare conto, complessificandolo, proprio del momento in cui la proces- sualità si immette nella struttura del sistema o, per usare la terminologia del Trattato, nella teoria dei codici.

Da questo punto di vista la teoria della produzione ha più di un tratto in comune con la nozione di prassi enunciazionale elaborata molto più recentemente, in ambito post-greimasiano, da Fontanille e Zilberberg, a mio avviso proprio per superare le strettoie trascendentali implicite n e l l a t e o r i a classica dell'enunciazione. L a prassi enunciazionale focalizza la conversione delle "forme" in

"operazioni", in maniera non diversa da quanto fanno le pratiche di produzione per Eco.

Una questione interessante che si pone a questo punto è quella del rapporto fra pratiche di produzione e pratiche di interpretazione che, ad un primo sguardo, sembrerebbero intrattenere un rapporto di reciprocità, come termini contrari. Nella semiotica echiana il testo/segno appare, ad un primo sguardo, come il risultato di un doppio movimento, o più precisamente di una doppie serie di pratiche, le pratiche produttive da un lato, nella complessa varietà di tutti i loro modi di produzione, le pratiche interpretative dall'altro, nei loro movimenti inferenziali. Il testo si presenta così come lo spazio di intersezione che si apre nell'incontro delle due pratiche di produzione e interpre-

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tazione, e questo mi pare il modello che emerge ad esempio nel Lector.

In realtà a ben vedere non è forse corretto contrapporre produzione e interpretazione come due pratiche nettamente distinte e articolate in una opposizione di contrarietà: l'interpretazione sembra piuttosto essere uno dei modi di produzione di senso, attraverso la costruzione di interpretanti e quindi di segni e di semiosi. Che l'interpretazione rientri a pieno diritto nei modi di produzione è già implicito nella tabella dei modi nel Trattato, dove si parla di segni 'per riconoscimento'.

L'interpretazione è certamente una pratica "di riconosci- mento", di tipo inferenziale e abduttivo, in cui il senso viene costruito via nuovi interpretanti. Ma anche tutte le altre modalità di produzione, non solo l'invenzione, ma anche l'ostensione e perfino la replica, se si accetta l'idea del segno come inferenza, sono costitutivamente pratiche di produzione che implicano un lavoro interpretativo. In altri t e r m i n i produzione e interpretazione s o n o termini coestensivi, in quanto sono semplicemente due prospettive diverse di guardare a quello che è esattamente lo stesso lavoro, è cioè l'attività della semiosi in atto.

Il soggetto, come si è detto, viene a coincidere con quelle pratiche, essendo, secondo i termini stessi di Eco, il risultato dei processi di continua segmentazione e risegmen- tazione del contenuto. Siamo qui molto lontani da un'idea di soggetto come traccia lasciata nel testo; si tratta piuttosto di una soggettività diffusa, iscritta nelle pratiche (interpretative e produttive), si tratta, in altri termini, della semiosi in atto.

Dire che soggetto e semiosi coincidono significa però operare uno spostamento radicale nel modo stesso di pensare la nozione fondativa di segno e il rapporto fra i due piani costitutivi di ogni semiotica. Come ho già accennato, nel momento in cui il segno si apre al movimento inferenziale non vi è più alcun codice, né alcuna regola prefissata a poter garantire la connessione; ciò che consentirà allora di suturare e tenere insieme significante e significato, espressione e contenuto, cioè di fare agire la semiosi, sarà solo il soggetto. Mi pare che in questo Eco di fatto anticipi, gia nel Trattato del 1975, quel superamento dello strutturalismo formalista e logicista che nella tradizione

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post-strutturale e generativa è acquisizione molto più recente. Nello strutturalismo classico, o forse bisognerebbe più correttamente dire in quella che è diventata la sua vulgata, il legame fra i due piani della semiosi era instaurato da un operatore unicamente logico, era infatti una funzione – la funzione segnica - ciò che metteva in rela- zione e connetteva i funtivi dell'espressione e del contenuto. Oggi, anche all'interno della tradizione genera- tiva più di ogni altra erede delle posizioni strutturaliste, è ampiamente sentita la necessità di interrogarsi sulla natura della relazione che tiene insieme i due piani della semiosi, mettendone in discussione il logicismo di fondo.

Penso a tutto il lavoro del nostro amico Rastier, a Coquet e, con un taglio diverso, all'opera recentissima di Fontanille e al suo ultimo libro uscito quest'anno in italiano (2004).

Fontanille individua nel corpo piuttosto che nel soggetto l'operatore della relazione semiotica, ma questa differenza, dal mio punto di vista, non è così rilevante, anche perché sono convinta che il soggetto di Eco, a differenza di quanto io stessa pensassi alcuni anni fa, sia o possa essere molto corporeo e molto radicato nella suo ancoraggio percettivo e sensibile. Ma su questo tornerò fra poco. Per ora preme sottolineare che Eco, facendo coincidere il soggetto con l'attività della semiosi, cioè con la relazione fondativa che connette i due piani del segno, reinstalla il soggetto al centro non solo del testo ma della processualità, delle pratiche che lo producono.

In questo modo, e con un unico movimento, Eco si allontana contemporaneamente sia dalla trascendentalità del soggetto dell'enunciazione, che da una posizione rigidamente testualista. Esiste infatti un nesso costituivo fra teoria classica dell'enunciazione e prospettiva testualista:

soggetto trascendentale e testualismo si implicano l'un l'altro, dato che una delimitazione forte di testo presuppone un soggetto enunciatore forte e a sua volta il soggetto dell'enunciazione ha nel testo e solo all'interno di esso il suo luogo di manifestazione. In Eco la diffusività della nozione di soggetto, che di fatto lo fa coincidere con le pratiche della semiosi in senso ampio, produce un contem- poraneo spostamento d a l l a testualità tradizionalmente concepita all'apertura enciclopedica. Così come il soggetto è

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nelle pratiche di produzione e interpretazione, piuttosto che nelle tracce lasciate nei testi, così il senso è distribuito in quella infinita rete intertestuale che è l'enciclopedia, di cui i singoli testi possono essere visti come altrettanti snodi, punti di intreccio e di intersezione del rizoma che la compone. Punti di stabilità che possiamo – e dobbiamo – interrogare (e Eco lo ha fatto costantemente nel corso di tutta la sua opera), ma che solo nella dimensione costitutivamente enciclopedica della intertestualità si lasciano cogliere nel pieno dispiegarsi del loro senso.

Credo che questa impostazione sia, paradossalmente, non soltanto compatibile ma anche molto vicina all'ispirazione di fondo che ha animato i padri fondatori dello strutturalismo, in particolare Saussure e Lévi-Strauss.

In Saussure, come è stato recentemente osservato (Simone), sono compresenti due paradigmi diversi, che hanno dato luogo a letture fortemente divergenti. Accanto ad un paradigma centrato sul linguaggio, generalmente accreditato nella vulgata saussuriana, in cui lo statuto del parlante è relegato al ruolo di variabile, è rintracciabile anche un paradigma centrato invece sull'utente, in cui i fatti del linguaggio non sono dati nell'oggettività del sistema, ma sono quelli percepiti e ricostruiti dal parlante stesso. In q u e s t a l e t t u r a , oggettività e soggettività paiono curiosamente invertire i loro rispettivi ruoli: diventano i dati oggettivi a porsi sul piano delle variabili, mentre è piuttosto la soggettività a fondare il sistema, a consentire l'istituirsi di un ordine in un universo di entità oggettivamente caotiche. Si pensi a come Saussure definisce il piano del significante: non è certo l'esistenza fisica di suoni infinitamente variabili nella loro oggettività materiale a consentire la forma sonora linguisticamente organizzata, che è invece immagine acustica, entità mentale soggettivamente costituita, non pura materialità oggettiva.

Insomma, è la soggettività ciò che fa sistema, ciò che ci rende uguali i n u n certo senso, mentre è proprio nell'oggettività della materia che siamo diversi.

Una prospettiva di questo tipo genera un imprevisto (ma fino ad un certo punto!) corto circuito con la semiotica peirciana. Anche per Peirce è il soggetto ad instaurare la semiosi, così come per Eco è il soggetto a mettere in correlazione Espressione e Contenuto. La semiotica nasce

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dunque, sia nel suo versante interpretativo che in quello strutturale, come fortemente attraversata dalla questione della soggettività, che ne sta al suo centro come istanza cositutiva. E' in questa tradizione che Eco si colloca e va collocato.

Vi è anche un'altra somiglianza che vale la pena di sottolineare: in Semiotica e Filosofia del linguaggio, affrontando la questione del soggetto, Eco avanzava il sospetto che non di un soggetto al singolare si trattasse, ma sempre di una 'collettività di soggetti', spostando così nettamente l'accento d a l piano individuale a quello collettivo. Ma anche per Saussure la soggettività non coincide affatto con l'individuale, al contrario è una soggettività collettivamente regolata, una soggettività sociale in qualche misura, che mi pare assomigliare molto al soggetto diffuso e 'avverbiale' di Eco.

Insieme all'idea di soggettività così definibile, l'altra nozione fondante che ci lascia Saussure è quella di relazione: ogni entità non è mai in sé, ma sempre e soltanto nella relazione con altri elementi.

(Tra parentesi, trovo questa nozione di straordinaria attualità, applicabile anche a questioni che oggi ci attraversano e ci appassionano come quella delle identità:

forse se ci ricordassimo di pensare e sentire in termini più relazionali e meno essenzialistici potremmo sfuggire a molti degli orrori che il presente ci riserva.)

Ma per tornare a più limitate questioni, applicata ai testi l'idea di relazione ci suggerisce una prospettiva fortemente improntata all'intertestualità, dove ogni singolo testo risulta analizzabile e comprensibile soltanto nella rete di relazioni intertestuali che instaura con altri testi, in una parola nell'enciclopedia complessiva che delimita l'orizzonte d i una cultura. Questa prospettiva sulla testualità è esplicita in Lévi-Strauss, che ribadisce il carattere costitutivo del rapporto intertestuale nelle sue analisi dei miti: l'analisi di un singolo mito, di un singolo testo, isolato dalla rete-sistema di tutti gli altri miti e testi, è impraticabile, perché i l singolo elemento risulterebbe opaco. Non vi sono testi e poi trasformazioni, ma piuttosto l'inverso: trasformazioni e pratiche che poi si fissano localmente in singoli testi prodotti, la cui

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intelligibilità r i c h i e d e s e m p r e l o s f o n d o delle trasformazioni intertestuali che li ha prodotti.

Un'idea di questo tipo è inerentemente enciclopedica e piuttosto distante dagli esiti di un testualismo che guarda solo all'interno del singolo testo struttura, oggettivandolo e isolandolo.

Ci si potrebbe a questo punto interrogare sul perché la semiotica di impronta strutturalista, che nasce centrata sulle nozioni di soggettività e di relazione intertestuale, si è poi fatta oggettivista e testualista in senso più tradizionale, considerando il testo come un oggetto in sé conchiuso. Più interessante però mi pare osservare che anche all'interno di questa tradizione stiamo oggi assistendo a significative trasformazioni nei concetti di testo e di enunciazione, in direzione di un'apertura a cui ho già fatto cenno verso le pratiche e l'enunciazione in atto, tutti concetti p i ù mobili e dinamici.. Questa svolta è probabilmente stata indotta anche dalla necessità di confrontarsi sempre più con nuovi universi di senso, dalla rete potenzialmente aperta di internet, mirabile metafora dell'enciclopedia, alle pratiche sociali e all'esperienza fenomenologica e corporea, che forzano i confini più tradizionali della testualità.

Nel modello teorico sviluppato da Eco, vocazione enciclopedica e attenzione al processo della semiosi sono presenti fin dall'inizio, determinando già a partire dagli anni '70 una apertura a forme diverse di testualità e intertestualità, nonché un'idea di soggettività in farsi dinamica e diffusa nei processi.

Possiamo così individuare due macro paradigmi nella teoria semiotica: il primo legato ad un'idea più oggettivista di testo, che vede la soggettività soltanto come iscrizione testuale, traccia dell'atto produttivo lasciata all'interno d e l testo, i l secondo a vocazione intertestuale e enciclopedica, in cui il soggetto è l'operatore che instaura la semiosi. Mi preme molto sottolineare che i due paradigmi non sono omologhi, né coincidono in modo semplicistico, con i due approcci interpretativo e generativo, ma piuttosto si pongano trasversalmente rispetto ad essi, come suggerito da una più attenta lettura di Saussure e Lévi-Strauss.

Per quanto riguarda più specificamente l'idea di soggetto, che è al centro della mia riflessione odierna,

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