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Obiettivi Distinguere le comunicazioni emotive efficaci da quelle inefficaci Imparare le regole della comunicazione emotiva efficace

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Academic year: 2022

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L’incontro di una persona che non vedevamo da tempo, il proprio figlio che consegue risultati brillanti, o al contrario deludenti, una frase pronunciata da chi ci sta vicino…

sono tutti fatti che, nel momento in cui si verificano, producono dei riverberi nei nostri vissuti. Essi non sono soltanto “eventi che accadono”, sono anche “accadimenti che ci fanno provare qualcosa”.

Le emozioni, per quanto rappresentino la risonanza interna di un fatto esterno, non hanno, tuttavia, una valenza meramente reattiva. Esse conseguono, piuttosto, dal significato che, La riflessione scientifica sulle emozioni è molto vasta. Di tale dimensione della soggettività umana sono state elaborate molteplici definizioni. Lo scopo di questi incontri non è, tuttavia, quello di approfondire il discorso sul piano teoretico. Per tal motivo assumiamo una definizione del costrutto molto ampia, che ne consenta la spendibilità in sede didattica. In particolare, intendiamo per emozione

Obiettivi

Distinguere le comunicazioni emotive efficaci da quelle inefficaci

Imparare le regole della comunicazione emotiva efficace

Applicare le regole della comunicazione emotiva efficace

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più o meno consapevolmente, attribuiamo al fatto che le ha sollecitate. Questo vuol dire che il vissuto che proviamo in conseguenza di un determinato fatto non dipende soltanto dalle caratteristiche del fatto stesso, ma è anche correlato al valore che gli attribuiamo.

Così, se, quando siamo fermi al semaforo, una persona di altra cultura si avvicina per chiederci qualcosa, il vissuto che proviamo in conseguenza di questa richiesta non dipende soltanto dalle caratteristiche della persona, ma è anche correlato al significato che noi attribuiamo all’estraneo e, più in generale, alle differenze.

Le emozioni, per quanto siano sfumate nelle loro configurazioni e nei loro effetti, si possono ricondurre a due grandi categorie: quella delle emozioni positive e quella delle emozioni negative.

Le emozioni positive sono date dai vissuti di gratificazione che conseguono ad un determinato fatto e

Le emozioni negative sono date dai vissuti di frustrazione che conseguono ad un determinato fatto e

Le emozioni, in quanto punto di incontro tra dati del mondo esterno e significati del mondo interno, “contengono” il soggetto in modo molto più marcato di quanto non lo facciano i pensieri.

Per tali ragioni, le emozioni hanno un’elevata valenza relazionale. Esse, a prescindere dal fatto di essere positive o negative, hanno un intrinseco potenziale relazionale: possono sostenere la costruzione del legame se vengono espresse in modo efficace; al contrario, possono indebolire, se non distruggere, il legame, se vengono comunicate in modo inefficace.

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La comunicazione efficace delle emozioni richiede il rispetto di alcune regole, sia attive (relative a comportamenti comunicativi da assumere, perché supportano la comunicazione efficace), sia passive (comportamenti comunicativi da evitare, perché non supportano la comunicazione efficace). Tali regole valgono tanto per la comunicazione delle emozioni positive, quanto per la comunicazione delle emozioni negative.

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Comportamenti comunicativi efficaci

La comunicazione efficace delle emozioni, siano esse positive o negative, richiede il rispetto di due regole molto semplici ma fondamentali: la costruzione dell’enunciato in termini autopresentativi e l’inserimento, nell’enunciato, dell’indice referenziale.

Il comportamento autopresentativo consiste nel

fatto di esprimere l’enunciato in prima persona.

Il comunicatore efficace, quando manifesta ciò che prova, non parla di altri, ma parla di se stesso; non dichiara ciò che gli altri “sono o non sono”, esprime, piuttosto, quello che sta provando e sentendo in quel momento.

L’indice referenziale consiste nella verbalizzazione del fatto

che ha sollecitato il vissuto emotivo dichiarato nell’autopresentazione.

Egli evita, pertanto, generalizzazioni ed etichettamenti consistenti in parole o espressioni non immediatamente riconducibili a comportamenti osservabili (vedi punto 1 e 2 del paragrafo Comportamenti comunicativi inefficaci).

La comunicazione efficace richiede che queste due condizioni ricorrano congiuntamente negli enunciati che manifestano emozioni. Le elaborazioni verbali che contengono soltanto uno di essi sono da considerarsi inefficaci.

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Diamo, di seguito, alcuni esempi di enunciazione autopresentativa (punto 1) e di verbalizzazione dell’indice referenziale (punto 2) 1.

1. Enunciazione autopresentativa:

Verbalizzare il vissuto in prima persona o comunque parlando di se stessi:

1 Negli esempi che seguono, il segno (+) si riferisce alla verbalizzazione di emozioni positive; il segno (-) si riferisce alla verbalizzazione di emozioni negative.

"mi fai arrabbiare quando..."

"sono deluso..."

"mi sento davvero soddisfatto..."

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2. Verbalizzazione dell’indice referenziale:

Verbalizzazione del fatto che ha sollecitato il vissuto

"continui ad ascoltare musica con le cuffie mentre ti parlo"

"usi espressioni volgari"

"parli al telefono alzando la voce"

"per i risultati che consegui a scuola"

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L’espressione efficace delle emozioni richiede a colui che comunica di saper scegliere, o anche costruire, il momento adatto alla comunicazione. Il rispetto di questa regola risulta particolarmente impegnativo, perché richiede la capacità di superare due atteggiamenti comunicativi inefficaci: lo spontaneismo e la rinuncia.

Al contrario, la delle emozioni richiede di superare la (falsa) alternativa del comunicarle subito o non comunicarle affatto.

Essa esige, piuttosto, la capacità di

3. Costruzione del momento adatto alla comunicazione

Comunicare l’emozione (positiva o negativa) quando l’interlocutore è disposto a riceverla, oppure costruire tale momento.

“Quando hai cinque minuti potresti chiamarmi? Ho da dirti qualcosa che interessa entrambi”

Lo consiste

nella convinzione (e nel conseguente comportamento) di chi ritiene che sia efficace comunicare tutto ciò che si sente, quando lo si sente, per il semplice fatto che lo si senta.

L’opposto della spontaneismo è la . Essa si identifica con la convinzione (e con il conseguente comportamento) che comunicare le emozioni sia inappropriato, tanto nel caso di quelle positive (per esempio, per paura che la loro espressione ci faccia apparire fragili), quanto nel caso di quelle negative (per esempio, per paura che la loro espressione possa incrinare il rapporto).

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Comportamenti comunicativi inefficaci

Le emozioni vengono comunicate in modo inefficace quando risultano disattese le regole enunciate nei punti precedenti. Questo avviene in tutti quei casi in cui il vissuto emotivo si esprime mediante la seconda persona del verbo essere, seguita da un’etichetta che connota in termini morali o generali (siano essi positivi o negativi) il modo di essere altrui.

Il verbo essere declinato alla seconda persona singolare non consente la comunicazione efficace delle emozioni perché impedisce l’attivazione del comportamento autopresentativo. La struttura di tale enunciato (“Tu sei”) decentra infatti il riferimento dal Sé del parlante, per focalizzarlo sul modo di essere dell’altro. In questo modo, si verifica l’esatto contrario di quanto richiesto dal comportamento autopresentativo: si propone una definizione (spesso svalutata) dell’interlocutore, piuttosto che farsi disponibili a esprimere i propri vissuti.

La sostituzione dell’indice referenziale con un’etichetta impedisce, invece, la possibilità di elaborare enunciati indicanti comportamenti osservabili e modificabili, sostituendo la loro descrizione con frasi o parole non immediatamente riferibili a qualcosa di riconoscibile.

1. Verbo “essere” declinato alla seconda persona

2. Far seguire il verbo essere da un’etichetta che esprime un modo di essere immorale, inadeguato, improponibile

Le ragioni che giustificano il ricorso alle modalità comunicative sopra descritte si possono individuare in tre ordini di motivi:

In primo luogo,

“Sei un ….”

“Sei un maleducato/ingrato/stupido...”

“Sei grande/meraviglioso/un genio...”

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Come si può notare, quando la comunicazione omette il comportamento autopresentativo e non esplicita l’indice referenziale (come, per esempio, nell’affermazione “sei un ingrato”) si verifica, di fatto, una situazione comunicativa opposta a quella appena descritta. La comunicazione, in questo caso, trova il suo esito nella valutazione del modo di essere dell’altro (esprime un giudizio non su ciò che l’altro ha fatto, ma su ciò che l’altro è) e, se radicalizzata su queste modalità, espone il soggetto a un duplice rischio: il rischio di impotenza (nel caso delle emozioni negative), e il rischio di onnipotenza (nel caso delle emozioni positive).

consiste nella possibilità che il soggetto, abituato a ricevere risposte critiche finalizzate a etichettare il suo modo di essere, finisca, alla lunga, con l’identificarsi con quelle connotazioni negative e a riconoscere in esse la caratteristica fondamentale della sua identità. In questi casi, egli rischia di risolvere la rappresentazione di sé nell’affermazione: sono un soggetto negativo e anche in futuro non potrò essere nulla di diverso da questo. Quando il modo di percepire se stessi è fondato su questa convinzione, essa ha il potere di azzerare gli sforzi educativi del soggetto. L’esito più pervasivo di tali vissuti può, allora, essere riconosciuto nella tendenza a disperare di se stessi, cioè nella dismissione dell’impegno a prendere in mano la propria vita per trasformarla in qualcosa di diverso e di migliore da ciò che essa è stata fino a quel momento. Impotenza vuol dire, appunto, non sentirsi capaci di esercitare un controllo attivo sulla propria vita.

consiste, invece, nel vissuto opposto a quello appena descritto.

Esso può verificarsi quando i processi di etichettamento, invece di assumere valenze critiche, assumono valenze legittimanti, ma del tutto svincolate dalle prestazioni e acriticamente riferite all’identità. Tale vissuto insorge quando il soggetto è abituato ad un clima comunicativo che ipervaluta il suo modo di essere, in maniera del tutto indipendente dai comportamenti. Le rappresentazioni del Sé vengono allora risolte nella convinzione: Io vado bene così come sono, non devo dimostrare nulla, non ho nulla in cui migliorarmi, non devo nulla ad alcuno, anzi sono gli altri che devono dimostrarmi qualcosa.

Onnipotenza vuol dire, appunto, percepirsi come un soggetto al quale tutto è concesso, anzi, dovuto.

In secondo luogo, l’inserimento dell’indice referenziale, soprattutto nel caso di emozioni negative, consente di

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L’indice referenziale consente di “restituire” all’interlocutore un feedback che, in quanto codificato in termini di “comportamento riconoscibile”, può essere individuato tanto rispetto alle parti da modificare, quanto rispetto alla direzione verso la quale può essere modificato. L’adozione dell’indice referenziale consente, infatti, di superare la genericità e la scarsa riconoscibilità dei significati connessi alle etichette (siano esse positive o negative) e di inserire, al loro posto, delle verbalizzazioni che rendono più agevole riconoscere gli elementi di criticità o di valore, in vista della loro rielaborazione. Le affermazioni “Sei bravo”, oppure “Sei insensibile” (nelle quali vengono violate le regole della comunicazione efficace e adottate quelle della comunicazione inefficace) presentano livelli di astrazione molto più marcati di quelli che possiamo ritrovare in enunciati del tipo “Mi fa piacere che tu presti le tue cose”, oppure “Mi ferisce molto quello che hai appena detto”.

In terzo luogo, la struttura enunciativa in esame (autopresentazione + indice referenziale) consente un altro importante guadagno relazionale. Soprattutto nel caso delle emozioni negative, essa consente di circoscrivere le criticità all’azione, senza pregiudicare una rappresentazione valorizzata dell’interlocutore. Tale modalità comunicativa ha, infatti, il potere di impedire che la disconferma della prestazione si traduca in disconferma dell’identità; meglio, di fare in modo da tenere distinti giudizio sulla prestazione e giudizio sull’identità. Questo modo di costruire l’enunciato, insomma, rende possibile

L’esigenza appena descritta consente, infine, di comprendere le ragioni che qualificano come inefficaci i comportamenti che assumono nella comunicazione emotiva alcune parole, come “sempre”, “mai”, “nulla” o simili.

È questo il caso in cui la disconferma della prestazione si tramuta in disconferma dell’identità. Tali modalità comunicative risultano particolarmente pervasive poiché attribuiscono al soggetto un modo di essere negativo, qualificato come irreversibile e immodificabile. E’ come se esse dicessero all’altro: tu hai fatto qualcosa di sbagliato, perché sei intrinsecamente sbagliato e anche in futuro non potrai diventare nulla di diverso o di migliore.

Un clima relazionale fortemente incardinato su tali modalità comunicative, se assunto in maniera sistematica e reiterata, espone al rischio di promuovere presso il soggetto

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l’assimilazione di tale modello identitario. La conseguenza più perniciosa di tale evenienza si può individuare nella disperazione, o perdita della speranza educativa, cioè nella dismissione, da parte del soggetto, dell’impegno a pensarsi come una soggettività capace di prendere in mano la sua vita e trasformarla in qualcosa di diverso e di migliore da ciò che è stata fino a quel momento.

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