• Non ci sono risultati.

Il testo non riveste carattere di ufficialità ed è fornito gratuitamente. CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, 28 giugno 2001, n.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il testo non riveste carattere di ufficialità ed è fornito gratuitamente. CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, 28 giugno 2001, n."

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

Il testo non riveste carattere di ufficialità ed è fornito gratuitamente

CASSAZIONE CIVILE, Sezione Lavoro, 28 giugno 2001, n. 8820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione Lavoro

Composta dai magistrati:

Dott. Marino DONATO SANTOJANNI - Presidente – Dott. Pietro CUOCO - Consigliere - Dott. Luciano VIGOLO - Consigliere - Dott. Camillo FILADORO - Consigliere - Dott. Pasquale PICONE - Rel.Consigliere – ha pronunziato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

ROSSINI Marcello, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico, n. 35, presso l'avv. Domenico d'Amati, che lo rappresenta e difende con procura speciale apposta in calce al ricorso;

- ricorrente – contro

SOCIETÀ TIPOGRAFICA TIBURTINA S.R.L., in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie, n. 1, presso l'avv. Edoardo Ghera, che unitamente agli avv. Salvatore dè Francesco e Giorgio Cosmelli, la rappresenta e difende con procura speciale del notaio Napoleone di Civitavecchia in data 30.12.1999 (rep. 16841);

- controricorrente – e sul ricorso proposto

(2)

da

SOCIETÀ TIPOGRAFICA TIBURTINA S.R.L., in persona del legale appresentante, come sopra rappresentata, domiciliata e difesa;

- ricorrente incidentale – contro

ROSSINI Marcello, come sopra domiciliato, rappresentato e difeso;

- intimato -

per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Roma n. 9 in data 2 gennaio 1999 (R.G. 69705-93); udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23.4.2001 dal Consigliere dott. Pasquale Picone; udito l'avv. Edoardo Ghera;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Orazio Frazzini che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso

incidentale.

Fatto

Marcello Rossini ha lavorato presso lo stabilimento tipografico di Piazza Colonna n.

366 in Roma, alle dipendenze di azienda editrice e stampatrice di quotidiani (la titolarità della quale è stata, da ultimo, della "Tipografica Tiburtina" s.r.l.). Sulla premessa di avere lavorato di domenica per le edizioni del lunedì del giornale, con una frequenza prestabilita di tre domeniche su quattro e riposo compensativo dopo sette, otto o più giorni continuativi di lavoro, ha chiesto al Pretore di Roma di accertare che, per ogni giornata di lavoro prestato dopo sei giorni consecutivi, gli spettava la maggiorazione dell'80% sulla paga ordinaria oppure il diverso importo determinato dal giudice "anche a titolo di indennità e-o risarcimento", con le conseguenziali statuizioni di condanna.

Con sentenza in data 23 maggio 1992, il Pretore ha rigettato la domanda e la sentenza è stata confermata dal Tribunale di Roma, che ha respinto l'appello del Rossini.

Ha osservato il Tribunale che la disciplina legale di tutela del lavoro consente, in determinati settori di attività, tra cui quelli caratterizzati dalla pubblica utilità del servizio, una deroga ragionevole al principio generale del riposo dopo sei giorni di lavoro; la deroga era stata specificamente contemplata dalla contrattazione collettiva, con la previsione di turni per il lavoro domenicale; nell'attuazione dei turni il giorno di riposo restava sempre compreso nella settimana successiva alla domenica lavorata, anche se cadeva dopo più di sei giorni di lavoro consecutivo; il superamento dell'orario normale e il conseguente carattere straordinario del lavoro prestato nel settimo giorno potevano configurarsi ai sensi delle disposizioni della contrattazione collettiva anteriore al 1982, ma dal gennaio 1982 (e la pretesa del lavoratore si riferiva, appunto, interamente a periodi successivi alla predetta data) il contratto collettivo consentiva di definire come "straordinario" soltanto il lavoro eseguito oltre l'orario normale "giornaliero"; l'avvenuto rispetto del criterio del rapporto complessivo di un giorno di riposo ogni sei giorni di lavoro, secondo un turno che non comportava una prestazione particolarmente gravosa, escludeva la configurabilità di una fattispecie di illecito, con conseguente obblighi risarcitori, ovvero indennitari, diversi dalla retribuzione spettante per la maggiore penosità del lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo di lavoro e derivanti dalla lesione del diritto alla salute e delle condizioni

(3)

psico - fisiche; la particolare gravosità della prestazione resa per più di sei giorni lavorativi consecutivi, quale conseguenza ineliminabile del sistema dei turni negozialmente previsto, risultava presa in specifica considerazione dalla contrattazione collettiva, che attribuiva ai turnisti particolari benefici a tale titolo; se il godimento dei riposi compensativi dopo il settimo giorno risultava, per quanto detto, legittimo ed impediva l'accoglimento della domanda del lavoratore fondata su un preteso titolo risarcitorio o indennitario, non poteva escludersi che di fatto il trattamento goduto dal lavoratore, pur conforme alla normativa. collettiva, potesse rilevarsi insufficiente, non proporzionato o, eventualmente, lesivo del principio della parità di trattamento, ma tale accertamento non era stato nella specie in alcun modo richiesto, nè erano emersi dagli atti elementi di fatto necessari per una valutazione della concreta adeguatezza o meno della retribuzione; a tali fini non risultavano rilevanti le richieste istruttorie dirette a dimostrare come i benefici corrisposti ai turnisti spettassero anche ai dipendenti dell'azienda non coinvolti nei turni per le edizioni del lunedì, in quanto, in difetto di una precisa ricostruzione dell'organizzazione aziendale e delle posizioni di lavoro dei vari dipendenti, non era consentito concludere nel senso del mancato rispetto dei criteri costituzionali.

La cassazione della sentenza è domandata da Marcello Rossini con ricorso articolato in sei motivi. Resiste con controricorso la s.r.l."Tipografica Tiburtina", proponendo altresì ricorso incidentale condizionato per due motivi. La resistente e ricorrente incidentale ha anche depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Diritto

1. In primo luogo va disposta, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione dei due ricorsi proposti avverso la stessa decisione. 2. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e-o falsa applicazione di norme di legge: art. 3, 5, 8, 15 L. 370- 1934, art. 36 Cost., 112 c.p.c.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Si sostiene che le parole "ogni settimana", usate nell'art. 1 della legge 22 febbraio 1934, n. 370, andavano interpretate nel senso che la pausa deve cadere dopo sei giorni di lavoro e non nel senso che sia sufficiente un giorno di riposo per ogni settimana di calendario, sicché, ove il lavoratore presti la sua attività di domenica, fruendo del riposo dopo più di sei giorni consecutivi di lavoro, egli ha diritto oltre che alla maggiorazione per la particolare penosità del lavoro domenicale, anche ad una indennità risarcitoria per la mancata fruizione del riposo con la cadenza di legge. Nè per andare in contrario avviso può addursi la lettera dell'art. 5 della stessa legge, dovendo tale disposizione essere interpretata - alla luce dei principi fissati dall'art. 36 Cost. - nel senso che la deroga ivi prevista alla regola della coincidenza del riposo settimanale con la domenica non implica anche la deroga alla regola della periodicità ordinaria di un giorno di riposo dopo sei giorni di lavoro, sicché, nei confronti dei lavoratori dipendenti da imprese stampatrici ed editrici di giornaIi, in assenza di specifico rinvio legislativo, non è ammessa la possibilità della fruizione del riposo settimanale oltre il settimo giorno di lavoro, con la conseguenza che la contrattazione collettiva, che preveda, in deroga al suddetto principio, la possibilità di tale diversa cadenza del riposo settimanale, deve considerarsi invalida. La deroga ex art. 5 L. 370- 1934 consente, pertanto, soltanto il sacrificio del diritto a godere del riposo settimanale nella domenica, sacrificio che in ogni caso deve essere specificamente compensato. Solo in casi eccezionali e per determinate categorie di lavoratori (personale viaggiante addetto ai vagoni letto; commessi viaggiatori e personale equiparabile), la legge ammette la deroga, oltre che alla regola del riposo settimanale la domenica, anche a quella relativa all'intervallo fra un riposo ed un altro. 3. Con il

(4)

secondo motivo dello stesso ricorso si denuncia ancora violazione e falsa applicazione di norme di legge: art. 3, 5, 8, 15, L. 370-1934, art. 36 Cost. ed art. 112 c.p.c.;

nonché omessa, insufficiente e-o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

Si deduce che, anche nell'ipotesi di ritenuta derogabilità della regola del riposo dopo sei giornate lavorative, la deroga posta dal contratto collettivo di settore non poteva ritenersi legittima in assenza di uno specifico rinvio da parte del legislatore all'autonomia contrattuale. La Corte costituzionale aveva, infatti, ammesso la possibilità di una deroga anche per effetto della contrattazione collettiva, ma solo in casi in cui la legge operi un espresso riferimento a detta contrattazione per la regolamentazione dei riposi. La Corte, in altri termini, aveva inteso affermare che la legge ordinaria può affidare alla contrattazione collettiva il compito di disciplinare la periodicità del riposo settimanale senza con ciò porsi in contrasto con l'art. 36 Cost., a condizione, però, che tale disciplina rispetti determinati criteri (necessità di tutela di apprezzabili interessi; non snaturamento del rapporto, nel complesso, di un giorno di riposo e sei di lavoro; non superamento dei limiti della ragionevolezza) e che eventuali deroghe siano contenute nei limiti strettamente necessari. Orbene, nel caso di specie, il Tribunale non aveva considerato che non era consentito alla contrattazione collettiva introdurre una periodicità dei riposi diversa da quella generale in ragione della inesistenza di una norma di legge di rinvio alla suddetta contrattazione. 4. Con il terzo motivo si deduce violazione e-o falsa applicazione di norme di legge: art. 3, 5, 8, 15, L. 370-1934, art. 36 Cost., art. 1362 c.c. in relazione al contratto collettivo, art. 112 c.p.c.; nonché omessa, insufficiente e-o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).

In particolare, si sostiene che il Tribunale ha errato nell'interpretare gli art. 4 e 5 della contrattazione collettiva, perché emergeva da detti articoli che alla previsione del riposo settimanale faceva riscontro quella di una settimana lavorativa di 6 giorni con un orario normale di lavoro di 6 ore al giorno e 36 ore settimanali e l'attribuzione, alle prestazioni eccedenti tale orario, della natura di "lavoro straordinario" con diritto alle relative maggiorazioni. Il Tribunale, pertanto, per potere affermare la sussistenza in seno al contratto collettivo di una valida deroga al principio della cadenza del riposo dopo sei giorni consecutivi di lavoro, avrebbe dovuto quanto meno dar conto delle predette norme, per poi escluderne la rilevanza o ridimensionarne la portata. Ed in analoghi errori interpretativi era incorso il Tribunale nella lettura dell'art. 4 del contratto collettivo del 1982, in quanto, se avesse rettamente applicato i criteri di ermeneutica contrattuale, avrebbe concluso che le parti avevano chiarito - nell'ultima parte del terzo comma - che il regime lavorativo previsto dai precedenti contratti era basato su sei giorni continuativi di lavoro ed uno di riposo (previsione riferibile anche a coloro che lavoravano di domenica) ed inoltre avevano inteso escludere una deroga al principio della cadenza ebdomadaria del riposo.

Si addebita, infine, al Tribunale di avere assegnato un non condivisibile significato al termine "riposo compensativo" in quanto l'aggettivo, lungi dal dovere essere necessariamente interpretato come indicativo di "compenso" per la mancata fruizione del riposo settimanale, può e deve essere interpretato come indicativo della funzione di sostituire il riposo domenicale che, nel nostro ordinamento, costituisce la regola. 5.

Il quarto motivo del ricorso principale denunzia violazione e-o falsa applicazione di norme di legge: art. 3, 5, 8, 15 L. 370-34, art. 36 Cost., art. 1362 c.c. in relazione al c.c.n.I., art. 112 c.p.c.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

(5)

Si afferma che il Tribunale, nel ritenere in base alla disciplina contrattuale la ricorrenza nella fattispecie in oggetto di tutte le condizioni poste dalla Corte costituzionale al fine di legittimare la deroga alla cadenza del riposo dopo sei giorni consecutivi di lavoro, era ancora una volta incorso in violazione e falsa applicazione di norme di legge e in difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, non avendo svolto alcuna indagine sui presupposti legittimanti la deroga alla normale cadenza del riposo settimanale.

Più specificamente, il Tribunale aveva fondato esclusivamente il suo convincimento sulla esigenza di pubblicare i quotidiani nella giornata del lunedì e sull'equo contemperamento di tale esigenza con quella dei lavoratori, affermando che una diversa organizzazione del lavoro (basata su una turnazione fissa con la domenica sempre lavorata) avrebbe finito per danneggiare i lavoratori addetti a tale turno. Ma tale ragionamento non valeva a spiegare ove risiedesse l'evidente necessità di derogare al più volte citato principio della "cadenza ebdomadaria" del riposo e non teneva conto del fatto che a tale problema si sarebbe potuto ovviare (come era, infatti, avvenuto in massima parte a far tempo dal 1982) mediante la costituzione di turni ultrasettimanali, sicché l'indicata circostanza non valeva di per sè ad integrare gli estremi della "evidente necessità", cui il giudice delle leggi aveva fatto riferimento per legittimare deroghe alla normale cadenza del riposo settimanale. 6. Con il quinto motivo si denuncia sempre violazione e-o falsa applicazione di norme di legge: art. 3, 5, 8, 15 L. 370-34, art. 36 Cost., art. 1362 c.c. in relazione al contratto collettivo di categoria; nonché omessa, insufficiente e-o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.).

Si contesta l'affermazione del Tribunale secondo cui la prestazione resa nel settimo giorno non costituirebbe comunque lavoro straordinario per il periodo successivo al 1982, in quanto i contratti collettivi successivi a tale data avrebbero introdotto la nozione di "straordinario giornaliero". Cosi affermando il giudice di merito non aveva spiegato da quale clausola contrattuale avesse tratto il convincimento che portava ad escludere la natura straordinaria della prestazione eseguita dopo l'orario settimanale, e non aveva spiegato perché fossero stati trascurati numerosi significativi elementi, ignorando, in particolare, la determinazione, nella contrattazione collettiva del 1982, della retribuzione settimanale in base ad un orario di 36 ore (art. 4), la distinzione, operata nell'art. 4, fra l'orario settimanale di fatto" di 35 ore e l'orario contrattuale di 36 ore settimanali, ed infine il riferimento contenuto nell'art. 7 all'orario normale giornaliero o settimanale.

In effetti, il Tribunale aveva disapplicato gli artt. 1362 e 1363 c.c., ed era incorso in evidente difetto di motivazione ed in illogicità. Ad ulteriore conforto di tale assunto, si afferma l'illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto che le parti del contratto del 1982 avessero inteso dettare in materia di orario straordinario una nuova disciplina ed escludere la compensabilità a titolo di straordinario dell'eventuale prestazione nel settimo giorno consecutivo, sul presupposto che l'assetto contrattuale fosse satisfattivo anche di tale peculiare modalità di svolgimento della prestazione. Ed infatti, il giudice d'appello non aveva tenuto conto che anche nel contratto del 1982 i compensi previsti erano esplicitamente ed esclusivamente imputati al lavoro domenicale e che non vi era stata alcuna variazione dei compensi nella disciplina del lavoro straordinario perché non era consentito sostenere che gli stessi compensi fossero all'improvviso divenuti satisfattivi tanto da indurre le parti a modificare il regime dell'orario di lavoro e ad eliminare il compenso sino a quel momento corrisposto per la prestazione del settimo giorno. In conclusione, se fosse stato compiuto dal Tribunale un completo ed esauriente accertamento, sarebbe emersa la assoluta insussistenza di qualsiasi variazione tra disciplina recata dal contratto

(6)

collettivo del 1982 e quella propria dei contratti precedenti. 7. Con il sesto motivo è denunciata violazione e-o falsa applicazione di norme di legge: art. 3, 5, 8, 15 L. 370- 34, art. 36 Cost., art. 1362 c.c. in relazione al contratto collettivo, art. 2697 e 2727 ss. c.c., 112, 115 e 116 c.p.c.; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.).

Si sostiene che il Tribunale ha errato nell'escludere che la prestazione resa nel settimo giorno desse luogo ad un indennizzo in favore del lavoratore, affermando, invece, che detta prestazione, ricadendo nella previsione contrattuale, non originasse il diritto ad essere indennizzati, per avere le parti collettive inteso remunerarla integralmente in sede di determinazione del trattamento economico del lavoratore. Si osserva al riguardo che più volte la giurisprudenza, nell'affermare la derogabilità della cadenza del riposo dopo sei giorni consecutivi di lavoro, ed escludendo che la prestazione resa nel settimo giorno sia contra legem, ha riconosciuto tuttavia la necessità di un indennizzo per la maggiore penosità insita in tale prestazione, per essere l'indennizzo dovuto ogni qualvolta l'esercizio, pur se legittimo di un diritto, arreca pregiudizio ad altri. Alla stregua di tali principi, il Tribunale per escludere l'obbligazione indennitaria in favore del lavoratore, avrebbe dovuto condurre un'approfondita indagine in ordine all'effettivo assetto degli interessi delle parti e, nello specifico, in ordine alla sufficienza della retribuzione complessivamente percepita e-o all'imputabilità dei compensi corrisposti alla prestazione nel settimo giorno. Il Tribunale, di contro, aveva in base a meri elementi presuntivi ritenuto, da un lato, che il trattamento retributivo globale del lavoratore remunerasse anche la specifica penosità di cui si discute e, dall'altro, che gli elementi prospettati (concernenti la corresponsione dei compensi collettivi ed aziendali a tutti i lavoratori della società, indipendentemente dalla partecipazione ai turni per l'edizione del lunedì e dall'effettivo godimento del riposo settimanale dopo sei giorni consecutivi di lavoro) non erano sufficienti ai fini della prova dell'adeguatezza della retribuzione "in difetto di una precisa ricostruzione dell'organizzazione aziendale e delle posizioni di lavoro dei vari dipendenti". 8. Gli esposti motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente perché concernono questioni fra loro strettamente connesse, tutte aventi ad oggetto la questione della disciplina legale e contrattuale del riposo oltre il sesto giorno lavorativo, vanno rigettati perché privi di fondamento. Questioni identiche, del resto, sono già state sottoposte al vaglio della Corte e non sono stati dedotti profili nuovi che possano indurre a discostarsi dal segno delle decisioni in precedenza assunte (cfr.

Cass., 30 agosto 2000, n. 11419; 30 agosto 2000, n. 11429).

Le problematiche sottoposte al vaglio della Corte dai motivi di ricorso necessitano che sia richiamato il complesso degli orientamenti espressi sul tema del trattamento economico dovuto dal datore di lavoro al dipendente che abbia prestato lavoro nel giorno destinato al riposo settimanale, perché le diverse fattispecie presentano elementi comuni, con stretti collegamenti tra le soluzioni adottate. 9. La prima ipotesi da considerare è rappresentata dal lavoro domenicale con riposo compensativo nell'arco di sette giorni.

Un orientamento ormai consolidato riconosce il diritto del lavoratore ad un supplemento di retribuzione diretto a compensare la "penosità" del lavoro svolto nel giorno della domenica, sul rilievo che è presente nell'ordinamento positivo un principio generale secondo il quale il giorno del riposo settimanale deve coincidere di regola con la domenica, essendo questo il giorno in cui, nell'ambito della comunità dove il lavoratore vive, è organizzata in forme varie l'utilizzazione del tempo libero e nel quale, pertanto, il lavoratore stesso può maggiormente dedicarsi alle tipiche forme di vita familiare e sociale. Sulla premessa che il primo comma dell'art. 36 Cost.

commisura la retribuzione, oltre che alla quantità, alla qualità del lavoro, qualità che

(7)

deve essere valutata anche con riguardo al maggior costo personale richiesto al dipendente, si osserva che il riposo settimanale non ha soltanto lo scopo di consentire il recupero delle energie psico - fisiche del lavoratore, ma serve anche a rendere possibile un'adeguata partecipazione del medesimo a quelle forme di vita familiare, sociale e di relazione che, per consuetudine, si svolgono di domenica, con la conseguenza che il lavoratore deve essere adeguatamente compensato per la perdita della possibilità di accedere alle iniziative collettive di utilizzazione della giornata domenicale, solitamente destinata al riposo della generalità dei lavoratori (Cass., sez.

un., 10 novembre 1982, n.5923, decisione alla quale si sono uniformate le sentenze successive: tra le più recenti, cfr. Cass. 19 marzo 1999, n. 2555).

Peraltro, anche la Corte costituzionale ha avuto modo di enunciare il medesimo principio con la sentenza 22 gennaio 1987, n. 16. 9.1. Tuttavia, nell'applicazione del principio suesposto alle singole fattispecie, si sono manifestati aspetti di incertezza con riguardo specifico all'ipotesi dei lavoratori "turnisti", cioè di quei lavoratori che prestano normalmente, per effetto di una determinata organizzazione aziendale, la loro opera nelle giornate di domenica, con spostamento programmato del giorno di riposo rispetto alla domenica, pur nell'ambito di sette giorni. Accade di norma, infatti, che le parti sociali contemplino, in sede di negoziazione collettiva, un trattamento differenziato per questi lavoratori rispetto a quello degli altri dipendenti che fruiscono regolarmente del riposo settimanale ed il problema interpretativo che si pone è se questo trattamento sia diretto proprio a compensare la maggiore penosità del lavoro domenicale, con i necessari requisiti di adeguatezza ai sensi dell'art. 36 Cost. 9.2. Le sezioni unite della Corte, investite della questione al fine di superare gli accennati aspetti di incertezza, hanno definitivamente stabilito che il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per la particolare penosità del lavoro svolto di domenica, può essere soddisfatto non solo mediante l'erogazione di un supplemento di paga specificamente riferito a tale prestazione, ma anche con l'attribuzione di vantaggi e benefici contrattuali di diversa natura (indennità o giorni di riposo aggiuntivo) che valgano a differenziare il loro complessivo trattamento economico - normativo rispetto ai dipendenti non turnisti e siano sinallagmaticamente collegabili alle peculiarità della prestazione, ma anche solo per effetto della mancanza in concreto di una diversa e specifica ragione delle attribuzioni patrimoniali particolari, salva la formulazione del giudizio di congruità secondo il parametro dell'art. 36 Cost. con la particolare cautela richiesta quando si tratta di affermare il contrasto tra le previsioni di un contratto collettivo e il principio costituzionale (Cass., sez. un., 8 ottobre 1991, n. 10513; in senso conforme è la giurisprudenza successiva: cfr., Cass. 20 gennaio 1994, n. 482, n. 489, n. 5045). 10. La seconda fattispecie da considerare è costituita dal lavoro domenicale senza riposo compensativo.

Intervenute a composizione di contrasto di giurisprudenza, le sezioni unite della Corte hanno stabilito che il lavoratore il quale presti la sua opera per sette giorni, senza la fruizione del giorno di riposo, ha diritto: a) alla retribuzione della giornata lavorata in più (posto che la retribuzione normale compensa soltanto sei giorni per settimana); b) alla maggiorazione per la "penosità" del lavoro domenicale (secondo i principi e i criteri esposti sub n. 9.2); c) al risarcimento del danno subito a causa dell'usura psico - fisica che il lavoro nel settimo giorno comporta, per un titolo autonomo, quindi, rispetto a quello del compenso per la maggiore penosità del lavoro domenicale; con riguardo alla riparazione di tale pregiudizio, si è chiarito (ed era questa la questione oggetto del contrasto di giurisprudenza), come non esista un criterio legale o un principio di razionalità che imponga di liquidare il danno in misura pari alla retribuzione giornaliera, dovendo il giudice di merito determinarlo in concreto, eventualmente valorizzando il complesso degli istituti del contratto collettivo che

(8)

prendono in considerazione gli aspetti di gravosità delle prestazioni lavorative (Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1607). 10.1. Nella sentenza indicata, con riguardo alla fattispecie della mancata fruizione del riposo settimanale, è chiara la distinzione fra credito di natura retributiva (compenso della maggiore penosità della prestazione) e credito di natura risarcitoria, derivante dal pregiudizio di un diritto di natura personale (usura psico - fisica. quale lesione del diritto fondamentale alla salute o di altro diritto esistenziale tutelato dalla Costituzione).

L'intervento delle sezioni unite non ha, tuttavia, chiarito se il lavoratore, per ottenere il risarcimento del pregiudizio arrecato ad un diritto non patrimoniale, debba dimostrare in concreto la lesione di tale diritto. Ed infatti, vi sono non poche pronunce che enunciano espressamente il principio secondo il quale dall'inadempimento del datore di lavoro agli obblighi che gli derivano dall'art. 36 Cost. discende automaticamente, cioè senza bisogno della relativa prova, la ragione di danno relativa all'usura psico- fisica (cfr. ex plurimis, Cass., 12334-1997; 867-1998; 704-1999;

2455-2000). Ma altre si esprimono in senso contrario, nel presupposto che l'art. 36 Cost. tutela - con il porre una disciplina inderogabile anche ad opera della legge ordinaria - esclusivamente diritti di natura economica, cosicché, in applicazione dell'art. 2697 c.c., il cosiddetto danno biologico (o comunque la lesione di altro diritto fondamentale della persona) deve essere provato nella sua esistenza e nel nesso di causalità con l'inadempimento, esistenza che costituisce presupposto indispensabile per una valutazione equitativa, giacché non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro(cfr. Cass. 2004-1996; 8835-1991;

7905-1998; 1307-2000).

La decisione della controversia, peraltro, non richiede di approfondire ulteriormente questo aspetto del problema, come risulterà dall'ulteriore svolgimento del discorso.

11. La terza fattispecie riguarda specificamente l'oggetto della causa: il ritardo nella fruizione del riposo dopo sei giorni.

Il caso di prestazione di lavoro domenicale senza riposo compensativo, infatti, non può evidentemente essere equiparata a quello del riposo compensativo goduto oltre l'arco dei sette giorni, atteso che una cosa è la definitiva perdita del riposo agli effetti sia dell'obbligazione retributiva che del risarcimento del danno per lesione di un diritto della persona, altra il semplice ritardo della pausa di riposo. 11.1. La giurisprudenza della Corte non ha mai dubitato che debba essere specificamente compensato il lavoratore che presti la sua opera per sette o più giorni consecutivi di lavoro, pur godendo di riposi in ragione di uno per settimana, e, di frequente, ha determinato tale compenso con riferimento alle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario (Cass.

11 gennaio 1986, n. 136; 25 luglio 1986, n. 4785; 25 ottobre 1989, n. 4379; 26 febbraio 1990, n. 1472).

Ma, in realtà, il lavoro prestato nel settimo giorno, nel caso sia rispettata la cadenza di un giorno di riposo per ogni settimana di lavoro, non è lavoro prestato in più rispetto a quello contrattualmente dovuto, e non può, "ontologicamente", essere qualificato lavoro straordinario, potendo solo la volontà delle parti considerarlo come se fosse

"straordinario". Nel senso indicato, è attualmente orientata la giurisprudenza della Corte (cfr., Cass. 6 ottobre 1998, n. 9895 cit.; 2 ottobre 1998, n. 9807; 16 novembre 1996. n. 10050; 8 luglio 1994, n. 6446 cit.). 11.2. Ciò non toglie che l'anomalia del lavoro prestato per più di sei giorni consecutivi senza pausa, in contrasto con le norme di tutela che assicurano il riposo settimanale (art. 36, comma terzo, Cost.; art. 2109, comma primo, cod. civ.; art 1, 3 e 5 della legge 22 febbraio 1934, n. 370) rappresenta una penosità ulteriore rispetto a quella costituita dal lavoro domenicale, che non può restare senza conseguenze sul piano dei diritti da riconoscere al

(9)

dipendente, secondo gli stessi principi, opportunamente adattati, enunciati dalla giurisprudenza formatasi sul lavoro domenicale e richiamata sub n. 9 (cfr. in questi sensi, fra le altre, Cass. 6 ottobre 1998, n. 9895; 2 marzo 1998, n. 2303; 16 novembre 1996, n. 10050; 8 luglio 1994, n. 6446; 5 marzo 1993, n. 2702). 11.3. È necessario, a questo punto, specificare ulteriormente che, per il lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo, con riposo compensativo, le ipotesi astrattamente configurabili sono due: a) violazione della disciplina legale inderogabile posta a tutela del prestatore di lavoro, ovvero di quella contrattuale; b) deroga consentita, dalla legge e dal contratto, al principio che impone la concessione di un giorno di riposo dopo sei di lavoro.

Nel primo caso, il compenso sarà dovuto a norma dell'art. 2126, comma secondo, cod.

civ., che espressamente gli attribuisce natura retributiva, salvo restando il risarcimento del danno subito, per effetto del comportamento del datore di lavoro, a causa del pregiudizio del diritto alla salute o di altro diritto di natura personale, secondo le enunciazioni di cui al n. 10.

Nel secondo caso, il diritto al compenso discende dal contratto, eventualmente integrato dalla norma imperativa che ne prevede la corresponsione in misura adeguata (art. 36 Cost., secondo i principi precisati sub n. 9.2), restando escluso che il dipendente possa domandare la riparazione di ulteriori e specifici pregiudizi a titolo risarcitorio. 11.4. li Tribunale ha correttamente ritenuto che nella fattispecie ricorresse la seconda delle ipotesi prospettate.

Va preliminarmente osservato che, se è vero che il riposo settimanale deve essere goduto dopo non più di sei giorni lavorativi, è altrettanto vero che il suddetto principio non ha fondamento costituzionale. La Corte costituzionale ha, infatti, chiarito che la legge ordinaria può prevedere altre forme di periodicità se limitate alle fattispecie di evidente necessità (cfr. C. cost. 15 dicembre 1967, n. 150). Ed invero, il Costituente, con l'art. 36, comma terzo, ha inteso affermare con il termine "riposo settimanale", la periodicità del riposo nel rapporto di un giorno di riposo su sei di lavoro, ma non ha prescritto però per tutte le ipotesi una rigorosa periodicità, la cui attuazione ben può, dunque, assumere forme più elastiche e comunque differenziate secondo la natura propria di ciascuna attività lavorativa. Come ha precisato il giudice delle leggi, in relazione alla varietà di qualità e di tipi di lavoro, deve ammettersi che è legittima una periodicità differente da quella di un giorno di riposo dopo sei di lavoro a condizione che la disciplina di settore intervenga a tutela di apprezzabili interessi, non eluda il rapporto - nel complesso - di un giorno di riposo e sei di lavoro, e non vengano superati i limiti di ragionevolezza, sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del lavoratore, soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso (cfr. C. Cost. 30 giugno 1971, n. 146). Ed è altresì comune in giurisprudenza l'affermazione che una disciplina del riposo periodico nei sensi innanzi delineati - non versandosi in una ipotesi di riserva di legge - possa essere disposta anche da regolamenti, ovvero da contratti collettivi (di diritto comune) o individuali, (cfr. ancora C. Cost. 30 giugno 1971, n. 146 cit., e per i giudici di legittimità, ex pIurimis, Cass. 6 ottobre 1998 n. 9895; 17 aprile 1996, n. 3634; 22 luglio 1995, n. 8014). 11.5. Alla luce dei principi ora esposti, può dunque affermarsi che l'art. 36, comma terzo, Cost., mentre fissa inderogabilmente la regola in forza della quale per ogni settimana di calendario (come periodo di sette giorni dal lunedì alla domenica) il lavoratore deve usufruire di un riposo, non detta alcuna inderogabile disposizione in materia di cadenza o periodicità di detto riposo, lasciando le determinazioni al riguardo all'autonomia delle parti, tenute però a bilanciare con criteri di ragionevolezza gli interessi delle imprese, correlate a particolari modalità dell'attività lavorativa, con quelli dei lavoratori, che non possono però vedere in alcun

(10)

modo compromessa la loro salute da cadenze per essi eccessivamente gravose, perché ripartite nel tempo in maniera da non garantire il necessario recupero delle energie psico - fisiche. 11.6. Tutto quanto sinora detto non può non valere, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, anche nel settore poligrafico - giornalistico, dovendosi al riguardo ricordare come, a seguito della sentenza 15 giugno 1972, n. 105 della Corte costituzionale (dichiarativa della illegittimità degli art. 1, comma secondo, 13, 14, comma primo, 22-23-24-25-26 e 28 della legge 22 febbraio 1934, n. 370), con d.m. 8 agosto 1972, "l'edizione e stampa di giornali quotidiani" è stata aggiunta tra le attività per le quali il funzionamento domenicale risponde ad esigenze tecniche o a ragioni di pubblica utilità, con la conseguenza che, per effetto del suddetto decreto, anche le attività editoriali di giornali quotidiani vanno comprese tra quelle per le quali l'art. 5 della legge 22 febbraio 1934, n. 370 consente di far cadere il giorno di riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica e che permette altresì di attuare detto riposo attraverso turni lavorativi del personale addetto alle summenzionate attività editoriali. 11.7. Donde la conferma dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui, per i dipendenti delle aziende editrici e stampatrici di giornali, è consentito lo spostamento del riposo settimanale in un giorno successivo al settimo, quale conseguenza necessaria del funzionamento domenicale imposto da ragioni di pubblica utilità ed ottenuto mediante turni a rotazione per ogni gruppo di lavoratori, turni implicanti la periodicità differenziata del godimento del riposo e la normale dilazione oltre il settimo giorno, atteso che, in caso diverso, la periodicità del riposo risulterebbe alterata per alcuni soltanto dei turnisti (cfr. in questi termini: Cass.

6 settembre 1991, n. 9409; 20 gennaio 1989, n. 342; 18 maggio 1987, n. 4352). 12.

Nell'operata ricostruzione del quadro normativo occorreva, dunque, indagare, in primo luogo, se l'autonomia negoziale fosse stata (validamente) esercitata nel senso di consentire lo spostamento del riposo settimanale in un giorno successivo al settimo.

E sul punto il Tribunale, con argomentazioni logiche e corrette sul piano giuridico (e pertanto non suscettibili di censura in questa sede), ha ritenuto la sussistenza dei requisiti legittimanti - alla luce di quanto statuito al riguardo dal giudice delle leggi e dalla giurisprudenza della Corte - la deroga alla normale cadenza del riposo settimanale, sicché appare inconferente il richiamo ad una non raggiunta prova sulla presenza nel caso di specie dei suddetti requisiti (come il richiamo ad una presunta erronea applicazione dei criteri sulla ripartizione dell'onere della prova), e non affatto condivisibile la denunzia di errata applicazione da parte del giudice d'appello dei principi giuridici vigenti in materia. 12.1. In relazione alla normativa collettiva, infatti, il Tribunale ha evidenziato che l'art. 4 del contratto collettivo, "parte operai", in tema di "disciplina domenicale per le edizioni del lunedì dei quotidiani" (che stabiliva che "gli operai chiamati a prestare la propria opera di domenica per le edizioni del lunedì dei quotidiani osserveranno un orario di lavoro settimanale di 36 ore distribuito su sei giorni lavorativi comprese le domeniche", aggiungendo altresì che ad essi "sarà attribuito, ai sensi dell'art. 5, comma primo, della legge 22 febbraio 1934, n. 370, un giorno di riposo settimanale non retribuito") consentiva ed autorizzava, in considerazione, appunto, delle peculiari caratteristiche del ciclo produttivo proprio delle aziende tipografiche, una distribuzione del lavoro tra gli operai che richiedeva ad essi di lavorare per più di sei giorni consecutivi, pur non potendosi in ogni caso superare nella media un orario di lavoro settimanale di trentasei ore riferito a sei giornate lavorative. Osserva al riguardo la sentenza impugnata che il ritenere che la norma contrattuale avesse inteso consentire unicamente la non coincidenza del riposo con la domenica avrebbe finito per privare di utilità la previsione dell'attribuzione, ai lavoratori chiamati a prestare la propria opera di domenica, di un giorno di riposo compensativo settimanale, perché il giorno di riposo accordato a tali lavoratori

"avrebbe presentato tutte le caratteristiche, non già di un recupero, ma del vero e

(11)

proprio riposo settimanale in quanto concesso dopo sei giorni di lavoro consecutivi".

12.2. Sempre secondo la sentenza impugnata, la situazione non era poi mutata con l'art. 4 del contratto collettivo del 1982 (disposizione che introduceva, a far tempo dal 1 settembre 1982, il regime lavorativo articolato su periodi ultrasettimanali basato su cinque giorni lavorativi continuativi ed uno di riposo), che definiva il precedente regime lavorativo come "basato su sei giorni continuativi di lavoro ed uno di riposo".

Con tale espressione le parti collettive avevano inteso riferirsi ai lavoratori che riposavano normalmente di domenica e, pertanto, lavoravano consecutivamente dal lunedì al sabato visto che per gli "operai chiamati a prestare la propria opera la domenica per l'edizione del lunedì era stabilita una specifica disciplina in altro paragrafo del medesimo articolo definita appunto come "disciplina dell'orario domenicale per le edizioni del lunedì dei quotidiani", la quale sostanzialmente riproponeva la regolamentazione dei precedenti contratti. In ogni caso, andava escluso che con il riferito inciso - appunto per la sua collocazione nella parte preliminare dell'articolo riguardante in generale l'orario di lavoro e la sommarietà dell'espressione - le parti collettive volessero dare ed enunciare, sullo specifico oggetto riguardante il lavoro prestato di domenica per l'edizione del lunedì, un'interpretazione autentica della precedente normativa, all'epoca ormai superata, apparendo invece del tutto attendibile che con l'inciso indicato si volesse soltanto ribadire un criterio del tutto normale per la generalità dei dipendenti cui quella parte della norma si riferiva. 13. A questo punto deve essere esaminata l'argomentazione subordinata del ricorrente, con la quale si deduce che, data per ammessa la legittimità, ai sensi della disciplina contrattuale e di quella legale, dello spostamento del riposo settimanale, non poteva il Tribunale negare il diritto ad un indennizzo per il legittimo sacrificio di un diritto garantito alla generalità dei lavoratori. 13.1. La tesi trova, in verità, fondamento nell'orientamento espresso dalla giurisprudenza della Corte, secondo il quale lo spostamento legittimo del riposo settimanale comporta la corresponsione di un compenso, non a titolo risarcitorio (concepibile in presenza della lesione di un diritto), ma di indennizzo per il sacrificio imposto a determinati lavoratori per ragioni di utilità generale, un compenso, dunque, non per la maggiore penosità del lavoro, ma per l'usura psico - fisica (Cass. n. 342 del 1989). 13.2. Ritiene tuttavia la Corte che tale orientamento non possa continuare ad essere condiviso.

Infatti, richiamando le considerazioni svolte sub n. 10, il presupposto di una simile impostazione è, necessariamente, che risulti sacrificato (secundum ius) un diritto fondamentale della persona, sacrificio, appunto, compensato da un indennizzo, in luogo del risarcimento, e, quindi, di natura non retributiva.

Orbene, anche prescindendo dal problema, già accennato nella stessa sede richiamata, concernente l'onere di provare in concreto di aver subito un pregiudizio di questo genere, vi è, innanzi tutto, la considerazione assorbente che la previsione di un indennizzo per il legittimo sacrificio di un diritto personale deve essere contenuta in una disposizione normativa (cfr. C. cost. n. 307-1990, 118-1996 e 27-1998) in tema di legittimo pregiudizio del diritto alla salute per motivi di utilità generale).

Ma, in ogni caso, le cautele - imposte dagli orientamenti espressi dalla Corte costituzionale sopra più volte richiamati - condizionanti la legittimità dello spostamento del giorno di riposo settimanale, cautele che, nella fattispecie, secondo l'accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito, sono state pienamente osservate, escludono che possa configurarsi pregiudizio (consentito) di un diritto personale tutelato dalla Costituzione. 14. In conclusione, l'unico compenso spettante al dipendente che legittimamente presta lavoro nel settimo giorno godendo del riposo settimanale in giorno successivo, quale compenso ulteriore ed aggiuntivo rispetto a

(12)

quello destinato a retribuire la "qualità" del lavoro prestato nella giornata di domenica, è un compenso che partecipa della medesima natura di quest'ultimo e per il quale valgono gli stessi principi elaborati dalla giurisprudenza al riguardo (n. 9.2). Si tratta, infatti, dell'attribuzione patrimoniale diretta a compensare la specifica penosità della prestazione, determinata dal ritardo nel godimento del riposo settimanale (cfr.

Cass. 9 ottobre 1991, n. 10573). 14.1. Quindi, allorquando il lavoratore chieda, in relazione a prestazioni lavorative comportanti turni di lavoro di sette (o più giorni consecutivi) con riposo compensativo, maggiori compensi di quelli già corrisposti in conformità al contratto collettivo, il giudice di merito deve accertare se i compensi (in forma di indennità o di altri tipi di emolumenti) previsti dal detto contratto in ragione di una siffatta distribuzione temporale, abbiano anche la funzione di compensare tutti gli aspetti per cui la prestazione del turnista si manifesta rispetto alle prestazione degli altri maggiormente gravosa per essere svolta di domenica, dopo sei giorni lavorati e con conseguente superamento - pur entro il limiti delle otto ore giornaliere e delle quarantotto settimanali di cui all'art. 1 del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692 (nel testo vigente all'epoca dei fatti) - di quello considerato, per la generalità dei lavoratori, orario settimanale normale (cfr. in materia: Cass. 2 marzo 1998, n. 2303 cit.; 17 aprile 1996, n. 3634).

Del resto, come dimostra l'esperienza sindacale, le parti sociali - per essere i summenzionati aspetti di gravosità ricollegati normalmente ai turni lavorativi - procedono frequentemente a regolare nella contrattazione collettiva il trattamento economico dei turnisti, riconoscendo agli stessi una serie di benefici funzionalizzati - nel rispetto dei principi fissati dall'art. 36 Cost. - al compenso dell'indicata maggiore penosità della prestazione. 14.2. Ulteriore corollario di quanto sinora detto è che l'interpretazione delle disposizioni contrattuali dirette a individuare nelle clausole contenenti l'attribuzione degli indicati benefici una siffatta portata, se condotta dal giudice di merito nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 e ss. c.c. e se sorretta da congrua motivazione, non è suscettibile di censura in sede di giudizio di legittimità. 15. Si rivelano perciò prive di giuridico fondamento le censure dirette contro le ragioni addotte dal giudice d'appello per disconoscere la pretesa dello straordinario avanzata nel giudizio relativamente al periodo successivo all'entrata in vigore della contrattazione collettiva del 1982.

Richiamati i concetti già espressi al n. 11. 1., non si è in presenza di lavoro straordinario in senso "ontologico", ma solo di un criterio negoziale utilizzato al fine di compensare specificamente il lavoro nel settimo giorno. Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il Tribunale di Roma, nel rigettare le dette richieste, ha utilizzato corretti criteri nell'interpretazione dei contratti collettivi applicabili in materia, individuando - sulla base del dato letterale di ben precisate clausole contrattuali (e, quindi, nel rispetto dei principi sull'interpretazione letterale e su quella logico-sistematica di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.) - un intento delle parti sociali di fissare a partire dal 1982 una specifica e nuova nozione di orario straordinario, come orario eccedente quello normale giornaliero di lavoro di cui all'art. 4 (diretto a stabilire che l'orario normale giornaliero corrisponde al turno di sei ore), con la conseguenza che l'eventuale superamento dell'orario contrattuale settimanale (ma pur sempre nei limiti dell'orario legale di 48 ore settimanali) - e, perciò, anche il lavoro nel settimo giorno - non può essere qualificato e retribuito quale lavoro straordinario (contrattuale e non legale). A ben vedere, dunque, le censure del ricorrente non possono trovare ingresso in questa sede per non configurare alcuno dei vizi di cui all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., perché, lungi dal denunziare errori ermeneutici della sentenza impugnata e-o motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, risultano, invece, dirette ad accreditare una diversa lettura dei contratti collettivi

(13)

applicabili nonché a legittimare un apprezzamento dei fatti di causa diverso da quello del giudice di merito. 16. Il Tribunale è pervenuto all'esito di rigetto della domanda sulla base dell'accertamento che un compenso adeguato per tale causale era stato corrisposto dall'azienda, secondo le previsioni contrattuali (contratti collettivi nazionali e aziendali).

L'indagine è stata compiuta senza errori giuridici e la conclusione giustificata da motivazione sufficiente e non contraddittoria.

È sufficiente, al riguardo, ribadire che il Tribunale ha, con argomentazioni pienamente condivisibili (perché corrette sul versante della logica e del diritto), spiegato le ragioni in base alle quali la maggiore penosità del lavoro svolto dopo più di sette giorni di lavoro aveva trovato adeguato riscontro nella regolamentazione collettiva e nel trattamento economico globalmente assicurato ai turnisti. Ciò porta come corollario che le prove di cui si lamenta la non ammissione, si rilevano prive di rilevanza (per non investire un punto decisivo della controversia), per effetto della interpretazione correttamente operata dal Tribunale di Roma delle clausole attributive dei benefici economici assicurati ai turnisti. 17. Al rigetto integrale del ricorso principale consegue l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato con il quale la società, nel primo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5 L. 370-1934 e dell'art. 36 Cost., comma terzo, nonché degli artt. 1362-1363 c.c. relativamente alla interpretazione del contratto collettivo di categoria e dei contratti collettivi aziendali in riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. (la società lamenta che la sentenza impugnata ha omesso di accertare se il trattamento economico complessivo del lavoratore fosse adeguato a compensare - in via non solo di corrispettivo ma anche di risarcimento del disagio del prestatore - il lavoro effettuato nel settimo giorno); nel secondo motivo, difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia (la società sostiene che il Tribunale non aveva considerato che era ammessa la fruizione del riposo settimanale entro il ciclo lavorativo domenica - sabato, il che escludeva in radice la possibilità di qualificare lavoro straordinario il lavoro prestato nel settimo giorno in quanto, pur esistendo settimi giorni consecutivi lavorati all'interno di ciascuna settimana, il lavoratore non aveva mai lavorato più di sei giorni). 18. La natura della controversia e delle questioni induce a ritenere la sussistenza di giusti motivi per compensare interamente fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;

compensa interamente fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Cosi deciso il 23 aprile 2001.

Riferimenti

Documenti correlati

12 preleggi, anche sotto il profilo del complessivo quadro normativo che nella sostanza assimila lo specialista ambulatoriale in regime di esclusività (nel suo caso, 38

dell'informazione che le imprese industriali debbono rendere alla Direzione Provinciale del Lavoro in ordine alle prestazioni di lavoro straordinario nel caso di orario articolato

e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall'articolo 66, comma 4. Il

a) per i trattamenti di disoccupazione in pagamento dal 1° aprile 2005 al 31 dicembre 2006 la durata dell'indennita' ordinaria di disoccupazione con requisiti normali, di

r) all'articolo 8, il comma 2 e' sostituito dal seguente: «L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle indicazioni di cui all'articolo 2, comma 2, non

i giudici di seconda istanza, come fatto cenno nello storico di lite, hanno recepito gli esiti degli accertamenti medico-legali dai quali era emerso che la malattia certificata e

L'ESERCIZIO DELL'ATTIVITÀ RIVOLTA ALL'INSEGNAMENTO COMPLEMENTARE DEGLI APPRENDISTI È SOTTOPOSTO ALLA VIGILANZA DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE... IL MINISTERO

Ai fini dell'erogazione dei servizi della borsa continua nazionale del lavoro, i nodi informativi regionali cooperano fra di loro e con il livello nazionale presso