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CAPITOLO II LE MISURE CAUTELARI PERSONALI

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CAPITOLO II

LE MISURE CAUTELARI PERSONALI

Sommario: §1. Le misure cautelari personali; §2. Condizioni per l’applicazione. I

“gravi indizi di colpevolezza”; §3. Gli elementi utilizzabili e la prassi; §4. Ritratto costituzionale; §5. Le esigenze cautelari; §6. Profili costituzionali; §7. La riforma dell’8 agosto del 1995: tra novità e critica.

§1. Le misure cautelari personali.

Nell’art. 272 del c.p.p., norma d’esordio del titolo I del libro IV, del codice di rito, trovano organica regolamentazione le misure cautelari personali. Tanto nella rubrica quanto nel testo, si parla non di libertà personale ma, più genericamente, di libertà della persona: invero, l’effettuazione di un richiamo ampio alle libertà della persona per la determinazione dell’area di operatività del principio di legalità nel settore delle cautele personali, riflette “la consapevolezza [...] della presenza [...] di strumenti estranei alla sfera della libertà personale stricto sensu intesa”1 e coinvolgenti altri diritti fondamentali dell’individuo.

Questa considerazione sembra immediatamente chiamare in causa la tipologia delle misure interdittive che, pur potendo incidere in termini particolarmente pesanti sulla dignità umana e giuridica dell’imputato o dell’indagato, paiono interessare situazioni diverse da quelle tutelate

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nell’art. 13 Cost.; le stesse, caratterizzandosi essenzialmente per l’imposizione in capo al loro destinatario di obblighi di non facere, assumono un autonomo rilievo a livello costituzionale. Pur incidendo in modo considerevole sulla libertà personale e giuridica dell’imputato/indagato, si limitano a condizionare l’esercizio di una facoltà o di un diritto, mediante l’interdizione temporanea da determinati uffici, status o attività2.

Viceversa, una limitazione della libertà personale sembra sempre riconducibile all’adozione delle diverse ipotesi di misure coercitive, solo se si tenga presente come tutte, sia pure in termini sensibilmente differenziati, si traducano in limiti tanto alla libertà di disposizione della persona nello spazio, quanto alla libertà di movimento, traducendosi, come di recente sostenuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, “in ogni forma di coazione che implichi un assoggettamento totale della persona all’altrui potere”3.

Nel richiamare le libertà della persona, la norma in esame, dispone che le stesse “possano essere limitate con le misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo”. “Ne consegue innanzitutto il riconoscimento dell’eccezionalità del provvedimento restrittivo della libertà personale, il quale non può considerarsi in alcun modo fisiologicamente connesso alla vicenda processuale penale. In secondo luogo, ne deriva il collegamento con il principio di tassatività, in forza del quale la restrizione delle libertà potrà essere disposta solo nei limiti in cui sia consentita dalla legge, cioè solo nei casi e nei modi da essa indicati. Inoltre, ne consegue il riconoscimento

2 Cfr., Chiavario M., Sub. Art. 272, In commentario Chiavario, III, Torino, 1992, p. 26. 3 C. Cost., 27/03/1962, n. 30.

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di una riserva di giurisdizione che consente una restrizione della libertà personale solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria.

L’esigenza di contenere l’esercizio del potere cautelare, oltre alla scomparsa di ipotesi di obbligatorietà – correlanti situazioni indizianti all’adozione automatica del provvedimento restrittivo – trova espressione in una serie di norme che condizionano e specializzano le singole misure, anche secondo una scala armonica”4. Per poter esercitare il potere cautelare è necessaria la presenza di talune condizioni generali, costituite dalla presenza del limite edittale di pena del reato per il quale si procede, nonché dei gravi indizi di colpevolezza (fumus commissi delicti); inoltre è necessaria la presenza delle esigenze cautelari (periculum libertatis), segnatamente il pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga ed il pericolo di reiterazione delle condotte criminose.

4 Cfr., In Commentario al codice di procedura penale, art. 272 c.p.p., Banca dati on-line “Leggi

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§2. Condizioni per l’applicazione. I “gravi indizi di colpevolezza”.

Riveste un ruolo centrale nella disciplina delle misure cautelari personali, affinché le stesse possano essere legittimamente disposte, il momento relativo all’individuazione del substrato probatorio, definito a norma dell’art. 273 del c.p.p., il cui primo comma sancisce che devono sussistere, a carico della persona nei confronti della quale si procede, “gravi indizi di colpevolezza”, tali cioè da permettere la formulazione di un giudizio prognostico di ragionevole probabilità in ordine alla commissione di quel fatto delittuoso da parte dell’imputato/indagato5.

Il collegamento che merita di essere evidenziato è quello tra il ruolo rivestito dal fumus commissi delicti6 ed il principio di proporzionalità, in forza del quale si “deve evitare che le libertà della persona possano subire nel corso del procedimento penale un trattamento deteriore rispetto a quello che seguirà all’esito del procedimento stesso”7. Un tale approccio, del resto, consente di superare le altrimenti legittime preoccupazioni mostrate da chi, sulla base della considerazione che “i gravi indizi si presentano potenzialmente compromissivi dell’imparzialità del giudice”, ha osservato come, quindi, il giudice nel momento dell’adozione e in tutti gli altri successivi della

5 In tal senso Codice di procedura penale spiegato, art. 273, Casa Editrice la Tribuna, 2013, a cura

di Tramontano L.

6 Nel senso che gli indizi di colpevolezza costituirebbero il “fondamento naturale” di ogni misura

cautelare, Così, Vassalli G., Libertà personale dell’imputato e della tutela della collettività, Giurisprudenza penale, 1978, I, p. 13.

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medesima vicenda, debba prescindere “da ogni soggettiva convinzione di colpevolezza””8

.

“Invero, una volta considerati i costi per le libertà della persona, che inevitabilmente conseguirebbero all’eliminazione di un riscontro circa la probabilità della condanna”9, non può che essere un altro il tema col quale l’interprete è chiamato a confrontarsi, cioè la terzietà del giudicante. “Appare d’altro canto legittimo il dubbio che, nel valutare i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare personale, il giudice implicitamente formuli una prognosi di condanna, perdendo la proverbiale terzietà che è un connotato peculiare ed ineludibile dell’ufficio ricoperto”10. In tal senso, la predisposizione di apposite incompatibilità, con le quali si precludesse all’organo che ha provveduto de libertate di rivestire ruoli decisori nel prosieguo del procedimento penale11, potrebbe costituire un valido presidio a garanzia del valore che si ha in animo di preservare, cioè la terzietà del giudice12.

8 Così Ferraioli L., Le Misure di cautela personale, in AA. VV., Le nuove disposizioni sul

processo penale, a cura di A. Gaito, Padova, 1989, pp. 229 ss., secondo cui “ ciò che deve intendersi per proporzionalità è unicamente la valutazione giuridica di quelli che potrebbero essere gli effetti sul piano sanzionatorio dell’eventuale riconoscimento di colpevolezza dell’imputato, senza che ciò significhi certezza che vi sarà condanna od anche soltanto verifica della probabilità della condanna.

9 Per un’equilibrata impostazione dei rapporti tra l’art. 27, 2° co., Cost., e la prognosi di

colpevolezza posta alla base dei provvedimenti custodiali. Così, Illuminati G., la presunzione di innocenza dell’imputato, Bologna , 1979, pp. 46 ss.

10 Illuminati G., op. cit.

11 V., peraltro, C. Cost., 30/12/1991, n. 502, dove nel dichiarare l’infondatezza della questione di

legittimità costituzionale dell’art. 34, 2° co., c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che abbia proceduto al riesame delle ordinanze che dispongono di una misura coercitiva, i giudici della consulta hanno asserito che i “provvedimenti sulla libertà personale […] non comportano una valutazione che si traduca […] in un giudizio sul merito della

res iudicanda, idoneo a determinare (o a far apparire) un pregiudizio che mini l’imparzialità della

decisione conclusiva sulle responsabilità dell’imputato”.

Nel corso dei lavori preparatori, comunque, l’esigenza di estendere le ipotesi di incompatibilità al giudice delle indagini preliminari che avesse emesso un provvedimento cautelare era stata tradotta in una proposta di modifica del futuro art. 34 c.p.p. da parte della Commissione parlamentare e furono solo considerazioni attinenti ai “rilevanti problemi organizzativi” a spingere i redattori a disattendere il rilievo.

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“Nella materia che ci occupa, una delle categorie concettuali utilizzata più frequentemente è quella di indizio. Dato il carattere polisemico col quale tale termine è in uso o è variamente inteso, se ne impone un approfondimento, per due duplici ordini di motivi. Innanzi tutto, se riferito agli elementi di prova necessari per affermare la responsabilità di un soggetto in ordine ai reati ascrittigli, si identifica nelle prove logiche, attraverso le quali da un fatto certo si risale, per massime di comune esperienza consolidate ed affidabili, ad uno incerto da provare, secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario”13; altrimenti, “il concetto in commento, richiama gli elementi di prova legittimanti l’adozione di una misura cautelare personale, laddove la parola indizi fa riferimento ad ogni […] elemento probatorio, di qualsiasi natura tale da far apparire probabile la responsabilità dell’indagato in ordine al fatto o ai fatti per il quale si procede”14

. Emerge quindi, di tutta evidenza, “una nozione di indizio distinta dalla nozione di prova ed individuata sulla base dei caratteri di provvisorietà e di incompletezza che le valutazioni probatorie normalmente avranno nel momento in cui si pone un’esigenza cautelare. Pertanto, gli indizi impiegati in ambito cautelare, sono elementi di investigazione in proiezione probatoria, mancanti della verifica (cioè di quel necessario riscontro che fornirebbe loro la dignità di prova), ma in grado comunque, in quel particolare contesto, di fondare un convincimento”15.

Appare chiaro che l’indizio richiesto dalla norma in esame non coincide con quello dell’art. 192 c.p.p., il quale indica i criteri di

13 In commentario al codice di procedura penale, art. 273, Banca dati on-line “Leggi D’Italia”, in

AA. VV., a cura di Ipsoa, Gruppo Editoriale Wolters kluwer.

14 C. Cass., 18/03/1992.

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valutazione della prova logica indiziaria per cui “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che non siano gravi”, ovvero non suscettibili di obiezioni e dunque verosimili e credibili; la giurisprudenza ritiene che la gravità dell’indizio stia a denotare che il fatto noto deve avere una rilevante contiguità logica col fatto ignoto; “precisi” cioè non generici e non suscettibili di molteplici interpretazioni; per la giurisprudenza la precisione significa che il fatto noto deve essere indiscutibile, certo, nella sua oggettività, non essendo logicamente deducibile un fatto ignoto da un fatto a sua volta ipotetico; ed infine “concordanti”, quindi non reciprocamente contraddittori e non contrastanti con elementi certi; la giurisprudenza sostiene che la concordanza sta ad indicare che gli indizi, precisi nel loro insieme, prossimi logicamente al fatto ignoto, debbono muoversi nella stessa direzione e debbono essere collegati in un unico contesto in modo armonico16. “Infatti nelle valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere un significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice”17

.

Nell’art. 273 del c.p.p., “non è richiesta l’univocità e la convergenza dei dati indizianti, è necessario che l’indizio possa qualificarsi come grave, ovvero tale da esprimere un’alta probabilità di attribuibilità del reato all’indagato. Conseguentemente, la valutazione dei gravi indizi

16 Cfr. Tramontano L., op. cit. 17 C. Cass., n. 6682/1992.

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di colpevolezza ai fini cautelari deve tener conto della regola di giudizio a favore dell’imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all’imputato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto”18

.

Nella medesima prospettiva, particolare rilievo assume una recente pronuncia, con la quale si è affermato “che i gravi indizi cautelari, costituiscono “una prova allo stato degli atti”, valutata dal giudice in una fase in cui la formazione del materiale probatorio è ancora in itinere e non è stata sottoposta al vaglio del contraddittorio dibattimentale”19

.

Quindi, “in sede cautelare il minimo etico legittimante l’esercizio del potere cautelare presuppone l’esistenza di elementi a carico, suscettibili di integrazione e/o modifica in sede dibattimentale, ma che, prima facie, consentono di dimostrare come probabile la reità dell’indagato. Viceversa, quella certezza processuale che giustifica una decisione in esito al giudizio di merito presuppone la ricostruzione del fatto attraverso prove assunte di regola in dibattimento. Come noto, il quantum di prova necessario alla condanna è la dimostrazione della colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio”20.

L’ultimo comma della norma in esame, impedisce l’applicazione della misura cautelare ogni qualvolta risulti che il fatto-reato sia stato commesso in presenza di: 1) causa di giustificazione, ovvero quelle

18 C. Cass., 17/05/2001, n. 19759. 19 C. Cass., 4/5/2005.

20 Così Gaito A., I criteri di valutazione della prova nelle decisioni de libertate, Padova, 1995, p.

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situazioni eccezionali in presenza delle quali un determinato fatto, che normalmente costituisce reato, non è così considerato perché la legge o lo impone o lo consente; 2) causa di non punibilità, situazione che non elimina l’offensività della condotta che ha ingenerato il reato, ma espunge unicamente l’opportunità di applicare la pena sulla base di una valutazione degli interessi e dei contro interessi conseguenti; 3) causa di estinzione del reato o della pena, nel primo caso, facendosi questione di circostanze che escludono la possibilità di applicare la pena e gli altri effetti giuridici conseguenti, mentre nel secondo caso trattandosi di condizioni capaci di evitare, che la sanzione prevista possa essere irrogata all’esito del giudizio di merito. Di conseguenza, anche qualora “sussista un panorama indiziario legittimante l’applicazione di una misura cautelare personale, questa non potrà mai essere disposta qualora risulti che il fatto-reato sia stato posto in essere in presenza di una situazione per la quale è da pronosticare la non applicabilità di alcuna sanzione penale”21; nonostante il termine “risulti sembra ancorare l’operatività dell’art. 273, 2° co., ad “un’accertamento di oggettiva effettività”, è però la stessa disposizione in commento che, facendo riferimento per le cause di estinzione della pena alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, a denunciare l’inevitabilità di aspetti presuntivi e soggettivistici dell’operazione”22

. Cosicché, nell’applicare la misura, il giudice non può in nessun caso omettere, sia pure in termini sommari, la valutazione “circa la possibilità che venga irrogata una pena interamente assorbibile in una identificata causa di estinzione; ciò in quanto l’esito negativo di tale valutazione costituisce

21 Chiavario M., sub art. 273, in Comm. Chiavario, III, Torino, 1990, p. 35. 22 Chiavario M., op. cit., p. 38.

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presupposto essenziale per l’applicabilità della misura”23. Inoltre, qualora la causa estintiva non copra per intero la pena astrattamente irrogabile bensì solo una parte di essa “è compito del giudice cautelare determinare in via prognostica l’entità della pena presumibilmente irrogabile e stabilire di conseguenza se vi sia margine residuo per l’applicabilità della misura coercitiva”24

.

In ogni caso, “stante l’utilizzo dell’espressione se risulta, la preclusione all’applicazione della cautela esiste solo nel caso in cui l’esistenza dell’esimente sia stata comprovata in termini di certezza e non di mera possibilità”25.

Invece la sussistenza della causa di giustificazione non deve ““essere provata con certezza”, essendo sufficiente “un elevato o rilevante grado di probabilità” che il fatto sia compiuto in presenza di una causa di giustificazione”26. La disposizione di cui all’art. 273, 2° co., trova peraltro applicazione “solo ove risulti la presenza della causa di non punibilità e non già in tutti i casi in cui il giudice possa solo prevedere che l’imputato potrà andare esente da pena”27. In relazione invece alla sussistenza di una causa di estinzione del reato o della pena, non può essere presa in considerazione “ la riduzione premiale per la scelta del procedimento speciale nelle cui forme potrà a suo tempo essere celebrato il giudizio”28

.

Nell’ambito della materia oggetto della presente trattazione, vale la pena inoltre soffermarsi, seppur brevemente, sul concetto di giusto processo, in nome del quale l’art. 273 è stato oggetto di riforma. Del

23 C. Cass., 06/07/1994, n. 3174. 24

C. Cass., 11/11/1993, n. 3285.

25 Così Chiavario M., op. cit. p. 39. 26 C. Cass., 20/08/2003, n. 46190. 27 C. Cass., 28/05/1991.

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resto, il crescente spirito europeo che va diffondendosi sta facendo affiorare l’importanza delle Convenzioni europee che ne costituiscono il prologo e fungono da costante stimolo affinché ogni Stato membro realizzi dinamiche processuali al passo con le norme e la prassi sovranazionale29.

La nuova disciplina, introdotta attraverso la L. 1/3/2011, n. 63, ha modificato il codice di rito in numerose disposizioni, e ne ha accentuato il carattere accusatorio. Inoltre ha maggiormente armonizzato il nostro ordinamento con quello dei paesi europei più evoluti.

In particolare l’esigenza della celebrazione di un giusto processo è presente nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, stipulata nel 1950, in cui, dopo aver ripudiato mezzi come la tortura e trattamenti sanzionatori inumani e degradanti, si impongono le seguenti prescrizioni:

- che i processi siano celebrati innanzi a tribunali imparziali, precostituiti per legge;

- che l’imputato sia informato del processo a suo carico nel più breve tempo possibile;

- che sia garantito il diritto di difesa;

- che sia garantita la possibilità di far interrogare i testimoni a carico ed a discarico;

- che lo straniero sia assistito da un interprete;

- che sia garantita la presunzione di non colpevolezza.

Le norme della Costituzione, al fine di dare concreta attuazione al “giusto processo”, prevedono: la garanzia del diritto di difesa per

29 Cfr., Conso G., Grevi V., Bargis M., Nell’introduzione al testo, Compendio di procedura penale,

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tutti i cittadini, anche non abbienti (cfr. art. 24); la soggezione del giudice soltanto alla legge (e non ad altri poteri: cfr. art. 101); l’imparzialità del giudice (cfr. art. 111, 2° co.); la garanzia del contraddittorio tra le parti, su un piano di parità (cfr. art. 111, 2° co.); la ragionevole durata del processo (cfr. art. 111, 2° co.); la garanzia di una veloce informazione all’imputato della pendenza del processo a suo carico; la possibilità di interrogare o far interrogare le persone che l’accusano o che possono discolparlo; la garanzia del contraddittorio, anche nella formazione della prova, con conseguente impossibilità di condannare un imputato in base ad accuse formulate da un soggetto che per libera scelta si è sottratto all’interrogatorio; l’ausilio di un interprete per lo straniero. Tali principi sono stati recepiti nel codice di rito, con riforme che hanno ridisegnato molti istituti rispetto alla originaria formulazione.

Proprio le dettagliate previsioni dell’articolo in oggetto, consentono di rilevare che esso rappresenta la matrice indispensabile al fine del rafforzamento delle garanzie che, già consacrate nella Carta fondamentale, devono governare il processo penale.

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§3. Gli elementi utilizzabili e la prassi.

In sede di affermazione dei principi del giusto processo penale, l’art 11, L. 1/3/2001, n. 63 ha provveduto alla modifica dell’art. 273, introducendo il 1° co. bis che impone, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, l’applicazione degli artt. 192, 3° e 4° co., 195, 7° co., 203 e 271, 1° co.. Cosicché, per esplicita previsione normativa, anche nelle decisioni de libertate, le dichiarazioni accusatorie del coimputato e/o imputato in un procedimento connesso o collegato devono necessariamente essere riscontrate da “altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità, attendibilità che dovrà essere piena, nella fase dibattimentale, coerentemente con il concetto di prova indispensabile per l’affermazione di responsabilità, parziale o tendenziale, nella fase delle indagini, ossia compatibile con il concetto di indizio, ancorché grave, che è necessario ma sufficiente per l’adozione del provvedimento cautelare, che si innesca in un procedimento in cui l’accertamento è, per definizione, sommario e incompleto”30, mentre non potranno in nessun caso essere utilizzati i risultati di intercettazioni eseguite ““fuori dai casi consentiti dalla legge” o in violazione degli artt. 267 e 268, 1° e 3° co., le dichiarazioni fornite alla polizia giudiziaria o ai “servizi di sicurezza” dai propri informatori se questi ultimi non sono stati interrogati o “assunti a sommarie informazioni” nonché le dichiarazioni di coloro

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che si rifiutano o non sono in grado di indicare la fonte da cui hanno appreso “la notizia” dei fatti oggetto del narratum accusatorio”31

. Appare opportuno esaminare tali modifiche nel dettaglio, pertanto, nell’ambito della più ampia problematica in ordine all’operatività o meno delle regole di valutazione di cui all’art. 192, da tempo si discuteva se ai fini dell’emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale basato sulle dichiarazioni di un coimputato occorrevano o meno elementi di riscontro esterno di natura individualizzante32. “Ricordiamo che il riscontro alla chiamata in correità può dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell’oggettiva conferma del fatto riferito dal dichiarante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato. Inoltre, si deve ritenere che gli elementi che confermano l’attendibilità delle dichiarazioni devono riguardare non soltanto il fatto storico che costituisce l’oggetto dell’imputazione, ma anche la sua riferibilità all’imputato”33

.

Anche nel giudizio cautelare deve verificarsi la sussistenza dei requisiti imposti per l’utilizzazione della chiamata di correo, secondo l’ordine logico più volte ricordato dalla Suprema Corte di Cassazione: “in primo luogo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l’altro alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con il chiamato in correità nonché alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto alla

31

Spangher G., Più rigore - e legalità –nella valutazione dei gravi indizi per l’applicazione delle misure cautelari personali, In Tonini ( a cura di), Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova (legge 1 marzo 2001, n. 63), Padova, 2001, p. 413.

32 Cfr. In commentario al c.p.p., art. 273, loc. ult. cit. 33 C. Cass., 28/06/2006, n. 31442.

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confessione e all’accusa dei coautori e complici; in secondo luogo verificare l’intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneità ed autonomia, precisione e completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza; infine esaminare i riscontri cosiddetti esterni, quindi inequivocabilmente idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti per i quali si procede e con il soggetto contro il quale si procede”34. “Pertanto, ai fini delle adozioni delle misure cautelari le dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato del medesimo reato o da persona indagata o imputata in procedimento connesso o collegato possono costituire grave indizio di colpevolezza, soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri esterni individualizzanti, sì da assumere idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de libertate e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato”35.

In buona sostanza, “la soluzione così accolta sorge dalla semplice considerazione che, se la responsabilità penale è personale, altrettanto deve essere il compendio probatorio necessario per affermarla, anche quando tale compendio è strumentale all’adozione di una misura cautelare. L’individualizzazione del riscontro è richiesta in sede cautelare perché il giusto processo esige che la restrizione della libertà non sia funzionale alla ricerca della prova, ma risponda ad esigenze di

34 C. Cass., 21/10/1992, n. 1653. 35 C. Cass., 30/05/2006, n. 36267.

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cautela esclusivamente processuale. L’essenza della cautela sta nel suo carattere meramente strumentale rispetto al fine del processo, che consiste nell’accertamento della responsabilità; ed è proprio in ragione di quella strumentalità che il procedimento cautelare deve essere munito delle stesse caratterizzazioni del giudizio di merito”36.

La giurisprudenza, sulla valutazione delle dichiarazioni inutilizzabili dell’imputo, ribadisce che “le dichiarazioni accusatorie dell’imputato in procedimento connesso che in dibattimento si avvalga della facoltà di non rispondere sono utilizzabili nell’incidente cautelare del diverso procedimento nei confronti dell’accusato, nonostante l’inutilizzabilità c.d. fisiologica nel procedimento a quo, perché le inutilizzabilità estensibili alla fase cautelare sono soltanto quelle richiamate, con elencazione tassativa, dall’art. 273, 1°co., bis c.p.p.”37.

Sempre in tema di dichiarazioni indizianti, l’utilizzazione ai fini cautelari di quelle “spontanee rese contra se dalla persona indagata alla polizia giudiziaria, è stata affermata, non soltanto nel caso in cui le stesse siano state acquisite nel corso delle indagini”38, (sul presupposto che il divieto ex art. 407, 3° co., riguarda solo gli atti investigativi del p.m., categoria alla quale non appartengono le dichiarazioni spontanee che possono essere rese dall’indagato in ogni momento anche se siano state rilasciate dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari39) ma anche nel caso in cui le medesime dichiarazioni spontanee siano “acquisite dalla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 350, 7° co., senza la presenza del difensore, in quanto, è

36 In dottrina Giordano P., La chiamata di correo e il giudice penale cautelare, tra i principi

costituzionali e profili applicativi, in DPP, 2007, 879; Olivieri Del Castillo, Giudici cautelari e libero convincimento. Chiamata in correità: servono garanzie, in Deg, 2006, 62.

37 C. Cass., 25/02/2011, n. 10724. 38 C. Cass., 6/02/2003, n. 13713. 39 C. Cass., 10/01/2005, n. 2666.

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stato detto, l’inutilizzabilità rileva solo ai fini del giudizio”40 e non può sostenersene l’inutilizzabilità “per l’impossibilità di un suo sviluppo processuale derivante dalla sua utilizzabilità ai soli fini delle contestazioni [...] giacché si tratta pur sempre di una inutilizzabilità relativa tipica di qualsiasi prova dichiarativa assunta nel corso delle indagini preliminari e derivante dal principio della divisione in fasi, e non di una inutilizzabilità genetica o patologica tale da impedirne la riproduzione in giudizio”41

.

“Con riferimento all’utilizzabilità dei risultati delle captazioni telefoniche o ambientali, pur dandosi atto che dopo la riforma del 2001 la sanzione prevista per le intercettazioni eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o senza l’osservanza delle prescrizioni imposte dagli artt. 267 e 268, 1° e 3° co., trova applicazione anche per le decisioni de libertate”42 si è specificato che la “sanzione, prevista dall’art. 271, è da considerarsi riservata alle ipotesi tassativamente indicate, riguardanti l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 267 e 268, co. 1° e 3° co.; ne consegue che ben possono essere poste a fondamento dell’ordinanza cautelare “intercettazioni telefoniche anche se contenute in brogliacci ovvero se riportate in forma riassuntiva, e ciò in quanto fra le ipotesi di inutilizzabilità tassativamente indicate dall’art. 271, 1° co., “non rientra quella della mancata trascrizione

40

C. Cass., 11/07/2006, n. 24679, per cui nei casi in cui un soggetto, dovendo essere sentito in qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, sia stato avvertito di tale sua qualità, ed abbia reso, in assenza del difensore, dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria, non è applicabile la disciplina del 2° co., art. 63 c.p.p., con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni nei confronti degli imputati di reato connesso o collegato, bensì la regola di cui al 7° co., art. 350 c.p.p., di tal che le sue dichiarazioni, sebbene non utilizzabili nel dibattimento salvo quanto previsto dal 3° co., art. 500 c.p.p., possono essere apprezzate nella fase delle indagini preliminari o nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di un provvedimento cautelare.

41 C. Cass., 28/01/2004, n. 7976.

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nella fase delle indagini preliminari”43, trascrizione che deve sussistere, invece, nella fase dibattimentale ex art. 268, 7° co.. La cassazione nella stessa sentenza ribadisce, peraltro, “che i risultati delle captazioni contenute nei verbali di polizia giudiziaria possono essere utilizzati in sede cautelare anche quando il loro contenuto sia esplicitato a mezzo di una traduzione simultanea affidata ad un interprete non nominato dal giudice” che agisce come “semplice ausiliario del personale addetto all’ascolto”44; in quest’ultimo senso, vale la pena specificare che resta sempre fermo il “potere dovere del giudice [...] di verificare sulla base di ogni utile elemento messo a disposizione dal P.M. o altrimenti legittimamente acquisito la piena affidabilità dell’interpretazione”45

.

Inoltre, di recente la Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di riesame, “l’omesso deposito del cosiddetto brogliaccio di ascolto e dei files audio delle registrazioni di conversazioni oggetto di intercettazione non è sanzionato da nullità o inutilizzabilità, dovendosi ritenere sufficiente la trasmissione, da parte del P.M., di una documentazione anche sommaria ed informale, che dia conto sinteticamente del contenuto delle conversazioni riferite negli atti di polizia giudiziaria, fatto salvo l’obbligo del Tribunale della libertà di fornire congrua motivazione in ordine alle difformità specificamente indicate dalla parte fra i testi delle conversazioni telefoniche richiamati negli atti e quelli risultanti dall’ascolto in forma privata dei relativi files audio”46.

43 C. Cass., 28/03/2003, n. 20715. 44 C. Cass., 28/03/2003, n. 20715. 45 C. Cass., 23/01/2002, n. 7406. 46 C. Cass., 23/09/2010, n. 37014.

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Sempre in giurisprudenza, si è riconosciuta, sul presupposto che i gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 ““possono essere tratti da qualsiasi elemento di indagine, con esclusione soltanto di quelli che non hanno, sin dall’origine alcuna possibilità di divenire prove nel dibattimento”, la possibilità di utilizzare anche “dichiarazioni di persone informate sui fatti riferite dalla polizia giudiziaria, per le quali opererebbe in dibattimento il divieto di testimonianza de relato previsto dall’art. 195, 4° co. ”; e ciò in quanto sussisterebbe un “alto grado di probabilità che quelle dichiarazioni divengano prove in sede dibattimentale mediante l’escussione in qualità di testimone, della persona che le ha rese””47

.

Inoltre, sempre in considerazione della possibilità di essere ripetute in dibattimento, non sono da considerarsi ““intrinsecamente inutilizzabili” nel procedimento cautelare le dichiarazioni rese dalla persona offesa alla polizia giudiziaria “documentate in maniera irregolare”, ovvero non verbalizzate ma registrate su nastro e annotate ex art. 357, 1° co.”48.

Sul punto occorre tenere in adeguata considerazione la circostanza che il mancato ed esplicito richiamo al divieto di cui all’art. 195, 4° co., per un verso trova fondamento razionale nella naturale distinzione tra acquisizione e valutazione della prova, e per altro verso trae giustificazione corretta nella difficoltà di prevedere – in via generale ed astratta – nella fase investigativa (dove di regola si colloca l’intervento in funzione cautelare) il verificarsi di una situazione omologa alla testimonianza de relato della polizia giudiziaria nel corso del dibattimento, ovvero l’assunzione da parte del

47 C. Cass., 28/01/2003, n. 7014. 48 C. Cass., 21/10/2004, n. 233.

(20)

rappresentante della pubblica accusa di sommarie informazioni dall’agente di polizia giudiziaria che aveva svolto l’indagine49

. “Inoltre, nell’ambito del procedimento cautelare, non viene in considerazione il collegamento tra divieto di testimonianza indiretta degli organi di polizia giudiziaria e irrilevanza probatoria della contestazione”50: “le dichiarazioni raccolte unilateralmente nella fase investigativa, se acquisite con le modalità del codice di rito, ben possono entrare a far parte del panorama indiziario per il legittimo esercizio del potere cautelare. Tuttavia, ciò non esime dal ritenere operante il divieto de quo agitur anche nella fase investigativa, laddove le dichiarazioni de auditu vengono utilizzate come un comodo escamotage per trasferire nel materiale decisorio, attraverso annotazioni di polizia giudiziaria (o addirittura in forma di vere e proprie sommarie informazioni rilasciate dagli operatori di polizia giudiziaria), confidenze fatte agli organi investigativi mai verbalizzate, nonostante la loro natura di atti investigativi preordinati all’acquisizione di informazioni. A conforto dell’impostazione potrebbe valere l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 273, 1° co. bis all’art. 203, disposizione che disciplina il c.d. segreto di polizia, cioè quello relativo all’identità dell’informatore (abituale o occasionale è lo stesso) degli organi di polizia; richiamo che estende anche alla materia cautelare il divieto di utilizzare la notizia confidenziale, anche qualora sia stata rivelata la fonte, ogni qualvolta gli informatori non siano stati interrogati né assunti a sommarie informazioni. Ciò equivale a dire che in nessun caso l’informazione confidenziale potrebbe mai costituire grave indizio di colpevolezza se non confermata e trasfusa

49 Cfr. In Commentario al c.p.p., art. 273, loc. ult. cit. 50 C. Cost., 26/02/2002, n. 32.

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nel verbale da redigere qualora il confidente fosse interrogato o sentito a sommarie informazioni a seconda della sua posizione soggettiva nel procedimento”51.

D’altra parte, “la palese volontà di omologazione dimostrata dal legislatore, non può che indurre a considerare l’elenco di cui all’art. 273, 1° co. bis una sorta di “parametro sistematico” sulla base del quale “cogliere le interconnessioni” con altre ed analoghe ipotesi di inutilizzabilità (rispetto a quelle espressamente menzionate) da ritenere rilevanti anche in materia de libertate, stante la pacifica constatazione dell’operatività dell’art. 191, c.p.p., per tutto l’arco del procedimento. Sarebbe paradossale peraltro ritenere che una legge che muova da una ratio di garanzia dettando una specifica elencazione, consentisse interpretazioni contrarie alle finalità da essa perseguite”52. È pur vero che “l’art. 273, 1° co. bis, nel richiamare le norme del codice di rito che devono trovare applicazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, si limita a far riferimento al solo art. 195, 7° co. Tuttavia, tale mancato richiamo alle restanti parti dell’art. 195, e segnatamente al 4° co., se da un lato potrebbe consentire di utilizzare le informazioni de relato di cui sia nota la fonte (anche se quest’ultima non sia stata sentita nel corso dell’indagine), dall’altro lato non permette certamente di utilizzare in sede cautelare, in luogo delle sommarie informazioni rese dalla fonte diretta, le dichiarazioni de auditu della polizia giudiziaria aventi ad oggetto informazioni acquisite in violazione dell’obbligo di documentazione con elusione delle modalità espressamente assegnate dal codice di rito a pena di

51 C. Cost., 26/02/2002, n. 32. 52 Spangher G., op. cit., p. 419.

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invalidità”53. La Suprema Corte ha ribadito tale orientamento interpretativo “escludendo che le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte dalla polizia giudiziaria e trasfuse in una nota informativa, priva di sottoscrizione da parte del dichiarante, possano costituire gravi indizi di colpevolezza rilevanti ex art. 273; tali dichiarazioni, essendo acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricompresse nell’utilizzabilità di cui all’art. 191, non sono suscettibili di utilizzazione dibattimentale e, pertanto, non possono essere utilizzate neanche per l’emissione di un provvedimento cautelare, in quanto “inidonee a formulare” la prognosi “di probabilità della colpevolezza dell’imputato””54

.

Insomma in considerazione del divieto di cui all’art. 195, 4° co., appare chiaro come, anche nella fase delle indagini preliminari e per l’adozione di un provvedimento cautelare, una interpretazione rispettosa delle ragioni che hanno spinto il legislatore alle più recenti modifiche in tema di formazione e valutazione della prova debba necessariamente prendere le mosse dal regime dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni de auditu della polizia giudiziaria; tanto più quando sono state acquisite in violazione delle norme che regolano le modalità di documentazione degli atti investigativi55.

Sul presupposto che gli indizi di colpevolezza ex art. 273 “consistono in tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che [...] non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi saranno idonei a dimostrare tale responsabilità si è

53 Spancher G., op. cit., p. 420. 54 C. Cass., 1/04/2003, n. 21937.

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ritenuto che per l’emissione della cautela possano essere utilizzati gli atti e i documenti acquisiti dal P.M. ai sensi degli artt. 117 e 371 e provenienti da indagini preliminari relative a differenti procedimenti penali”56

.

Vale qui inoltre la pena ricordare che poiché l’art. 238 e l’art. 78 disp. att., “relativi alla fase dibattimentale non sanciscono l’assoluta inutilizzabilità degli atti in questione”, la Cassazione ha ritenuto, ai fini l’emissione di una misura cautelare, l’utilizzabilità degli “atti disposti e compiuti dall’autorità straniera”57, sempre che siano stati rispettati i “diritti fondamentali che l’ordinamento garantisce e non siano stati violati specifici divieti di legge”58.

In tema di dichiarazioni va altresì detto che sono “pienamente utilizzabili a fini cautelari le dichiarazioni rese da soggetto sentito come persona informata dei fatti che, successivamente ed in diverso procedimento, assuma la qualità di indagato in procedimento per reato solo probatoriamente connesso con quello nell’ambito del quale le dichiarazioni accusatorie siano state rese e con questo solo eventualmente suscettibile di riunione”59, nonché “le dichiarazioni erga alios rese da un coindagato senza l’assistenza del difensore, in quanto la sanzione dell’inutilizzabilità, a norma dell’art. 197-bis, 5° co., è prevista solo nel caso in cui di tali dichiarazioni si faccia uso contro la persona che le ha rese”60.

56

C. Cass., 04/11/1999, n. 5169, nella quale la Corte ritenne legittima l’ordinanza cautelare emessa sulla base di fotogrammi, estratti da ripresa televisiva a circuito chiuso, trasmessi al p.m. procedente da altro ufficio di procura che li aveva raccolti in una diversa indagine a carico dei medesimi soggetti per analogo reati di rapina.

57 C. Cass., 10/07/1997, n. 4807. 58 C. Cass., 01/12/2000, n. 10133. 59 C. Cass., 06/03/2000, n. 1691. 60 C. Cass., 26/11/2007, n. 4230.

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Non sono invece utilizzabili ai fini della sussistenza dei gravi indizi ex art. 273 “le dichiarazioni sui fatti che concernono la responsabilità di altri, rese da indagati, il cui interrogatorio ovvero le cui dichiarazioni ai sensi dell’art. 350 sono stati assunti senza l’osservanza della garanzia di cui all’art. 64, 3°co., lett. c”61.

Infine, meritano una menzione “i dati investigativi e di genetica, per i quali si ritiene sufficiente, ai fini dell’applicazione della cautela, ad esempio in relazione al reato di spaccio di stupefacenti, il narcotest eseguito dalla polizia giudiziaria, non occorrendo “una formale perizia sulla qualità della sostanza”62.

Costituisce, inoltre, ““elemento di rilevante valore indiziario” ai fini dell’emissione di una misura cautelare, l’individuazione fotografica in quanto circostanza “idonea a lasciar desumere l’attribuzione del reato all’indagato””63 specificando che l’individuazione non deve essere inficiata dal punto di vista dell’attendibilità.

Di recente si è affermato “che l’individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria è idonea a fondare i gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare, indipendentemente dall’accertamento delle modalità e quindi dalla rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell’art. 213”64, in quanto “lascia fondatamente ritenere che sbocchi in un atto di riconoscimento, formale o informale, ovvero in una testimonianza che tale riconoscimento confermi”65.

Merita dare risalto alla circostanza secondo la quale “le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari di cui all’art. 273

61

C. Cass., 07/11/2001 n. 42553.

62 C. Cass., 30/09/2003, n. 44789. 63 C. Cass., 28/11/2001, n. 40861.

64 Cfr., In Commentario al c.p.p., all’art. 273, loc. ult. cit. 65 C. Cass., 15/01/2004, n. 5043.

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(sussistenza di gravi indizi), valgono per tutte le cautele di natura personale, siano esse coercitive ovvero interdittive, mentre non sono estendibili alle misure di carattere reale, adottabili anche ed indipendentemente da ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi”66.

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§4. Ritratto costituzionale.

In tale contesto appare opportuno richiamare i rilievi effettuati dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 314 del 199667, la quale “ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 192, 3° co. e 273 c.p.p. sollevata con riferimento agli 3, 2° co., 13, 2° co., 24, 2° co., e 27, 2° co. Cost., nella parte in cui non richiedendo, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, la presenza di riscontri esterni individualizzanti la chiamata in correità, consentirebbero di ravvisare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza anche in presenza di chiamate insufficienti a formare prova in dibattimento”68. Nell’occasione, i giudici della Consulta hanno specificato “che le condizioni richieste per l’adozione della misura non si sottraggono, comunque, all’osservanza del precetto di cui all’art. 273 e alla necessità che sussista una qualificata probabilità di colpevolezza; d’altra parte, a garanzia del precetto costituzionale starebbero pur sempre l’obbligo di motivazione ex art. 292, 1° co., lett. c, e la previsione di strumenti di controllo, tanto di legittimità quanto di merito, volti a scongiurare il rischio di ingiuste detenzioni”69.

Più di recente, e dopo l’introduzione dell’art. 273, 1° co bis, i giudici delle leggi sono stati chiamati a pronunciarsi “sull’ortodossia costituzionale della nuova disposizione, per contrasto con l’art. 3, laddove impone, per l’adozione delle misure cautelari personali, la ricerca di un “riscontro esterno individualizzante” delle dichiarazioni accusatorie rese da persona indagata (o imputata) in procedimento

67 C. Cass., 25/07/1996, n. 314. 68 C. Cass., 25/07/1996, n. 314.

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connesso ovvero collegato, anche qualora “risulti che il dichiarante è stato sottoposto a minaccia, affinché non renda dichiarazioni o dichiari il falso nel corso di una successiva audizione70”; la Consulta ha dichiarato “manifestamente infondata la questione, assumendo che il “vulnus costituzionale” lamentato dal giudice a quo, ovvero l’irragionevole disparità di trattamento che si verrebbe a creare “nel confronto con la disciplina valevole per la fase del dibattimento”, trae fondamento da una premessa errata, ovvero che “il meccanismo di salvaguardia prefigurato dall’art. 500, 4° co.” consenta la pronuncia di un verdetto di responsabilità fondato “sulle sole dichiarazioni accusatorie iniziali del soggetto intimidito, ancorché non corroborate dai riscontri richiesti dall’art. 192, 3° e 4° co.,” attribuendo così alla previsione dell’art. 500, 4° co. “un significato inesatto, confondendo in sostanza i due profili dell’acquisizione e della valutazione della prova”71

. Diversamente, l’art. 500, 4° co., nel consentire “di acquisire al fascicolo del dibattimento e di utilizzare come prova dei fatti le dichiarazioni precedentemente rese dalla persona esaminata in presenza di specifiche circostanze, si limita solo ed esclusivamente a rimuovere lo sbarramento all’utilizzabilità dibattimentale di determinate dichiarazioni rese fuori dal contraddittorio delle parti: e lo rimuove – in attuazione all’art. 111, 5° co., Cost., – a fronte della circostanza che il contraddittorio (quello genuino) non può nella contingenza instaurarsi, perché ostacolato da una condotta illecita”72. Tutto ciò non significa, però, che ““le dichiarazioni acquisite in forza dell’ art. 500, 4° co., restino sottratte alle regole generali sulla valutazione della prova beneficiando di una sorta di regime

70 Spangher G., op. cit., p. 419. 71 C. Cost., 25/07/2002, n. 405.

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privilegiato di attendibilità”, ma al contrario, quando il narratum, entrato a far parte del fascicolo processuale, provenga dal coimputato o da imputato in un procedimento connesso o collegato (cfr. artt. 197 bis e 210), deve necessariamente applicarsi la regola dettata dagli artt. 192, 3° e 4° co. e, di conseguenza, dovrà essere valutato “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”: “lettera e ratio dell’art. 500, 4° co. non autorizzano una conclusione diversa””73.

Ne consegue che, mentre è evidente l’esclusione del “meccanismo di recupero” di cui all’art. 500, 4° co., per l’adozione di misure cautelari nella fase delle investigazioni, ben potendo il giudice utilizzare gli elementi probatori raccolti unilateralmente dal P.M., infine, nella stessa sentenza, la Corte Costituzionale sottolinea che “non è riscontrabile, in realtà, alcuna disparità di trattamento tra fase delle indagini preliminari e dibattimento, in punto di valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese dall’indagato in procedimento connesso o collegato “coartato”: restando ferma, in entrambi i casi, l’applicabilità della regole di valutazione de qua”74

.

73 Così ancora i giudici di legittimità nella nota sentenza n. 405 del 2002. 74 Cfr., C. Cost., n. 405 del 2002.

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§5. Le esigenze cautelari.

Una disciplina delle misure cautelari personali che ne consentisse l’applicazione sulla base del semplice fumus commissi delicti, finirebbe per configurare delle sanzioni penali incidenti sulle libertà della persona giustificate da un giudizio provvisorio di colpevolezza, ecco perché, è necessario che sussista il cosiddetto periculum libertatis, devono perciò venire in rilievo circostanze tali da far emergere almeno una delle esigenze cautelari tassativamente indicate dall’art. 274, la cui estrema analiticità, trova ragione nell’intenzione del legislatore di evitare che le misure cautelari possano costituirsi come una sorta di anticipazione della sanzione penale, assunto che non troverebbe riscontro alcuno nelle garanzie costituzionali, laddove viene sancita la presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva di condanna75.

In particolare, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, si considerano rilevanti le seguenti esigenze: a) pericolo di inquinamento probatorio; b) pericolo di fuga; c) pericolo di reiterazione di condotte delittuose. Per ognuno di tali pericula, la norma suddetta pretende che sia concreto, aggiungendovi, nell’ipotesi di inquinamento probatorio, la attualità, comunque implicita anche nelle altre due ipotesi; infatti, il verbo utilizzato, sussistere, declinato al tempo presente, implica che l’attualità sia sostanzialmente immanente alla effettività del pericolo considerato76.

75 Cfr., Conso G., Grevi V., Bargis M., op. cit., p. 403.

76 In Commentario al codice di procedura penale, art. 274, c.p.p., Banca dati on-line “Leggi

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“Prima di analizzare le esigenze considerate dalla norma, è opportuno verificare come la necessità di certezza dei dati sui quali fondare il giudizio di sussistenza del pericolo di volta in volta ritenuto rilevante, oltre che con l’uso del termine concreto (e di quello attuale) riferito al pericolo, è variamente espressa dalle locuzioni adoperate. Si ha così che, in relazione alle “situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova” è fatto riferimento a “circostanze di fatto” che, non solo devono essere “espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio”, ma in relazione alle quali si pone pure una regola d’esclusione, per cui esse “non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti”; in ordine al “pericolo di fuga, la concretezza del pericolo è da considerarsi in relazione all’ipotesi in cui l’imputato abbia effettivamente tentato la fuga, laddove il suo contegno sia cioè caratterizzato da facta concludentia, oppure in relazione all’ipotesi in cui lo stesso abbia approntato atti preordinati alla fuga; circa il pericolo di reiterazione delittuosa, infine, l’ambito delle certezze di fatto fondanti il giudizio soffre, invero, di due palesi presunzioni”77: le “specifiche modalità e circostanze del fatto” che, in quanto ancora da accertare, non si comprende come possano rientrare nell’ambito di alcuna certezza acquisita, e “la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta […] dai suoi precedenti penali”, espressione che, se pare offrire certezza in ordine al dato, risulta equivoca in relazione all’accertamento, posto che, pur certo in sé, il dato non è sufficiente a produrre certezze sul pericolo considerato. In proposito si

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è rivelato opportuno un intervento del giudice di legittimità che, collegando il precedente all’attualità, ha precisato che, in tal caso, “l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari può rinvenirsi anche quando il delitto accertato risalga nel tempo, ma l’indagato continua a mantenere provati atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il delitto era maturato””78

.

L’art. 274, modificato dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, la quale ha sostituito la lett. a e la lett. c dell’articolo in esame, definisce le esigenze cautelari che, concorrendo con il presupposto rappresentato dalla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, giustificano l’adozione delle misure cautelari personali.

“Indiscutibile la volontà legislativa di “attribuire rilevanza autonoma a ciascuna delle tre ipotesi descritte nella disposizione in commento, ciascuna idonea a giustificare di per sé il ricorso allo strumento cautelare”79.

Nello stesso senso la giurisprudenza è “unanime nel riconoscere che i presupposti in base ai quali il giudice può procedere alla limitazione della libertà personale dell’imputato, vanno considerati alternativamente e non cumulativamente, onde anche uno solo di essi legittima la valutazione del periculum libertatis”80, “il quale è stato definito attraverso opportune puntualizzazioni dirette a meglio definire i criteri di esercizio della discrezionalità del giudice”81.

Di conseguenza è imposto all’autore dell’ordinanza coercitiva ““un approccio argomentativo giuridicamente corretto e ispirato ad un

78

C. Cass., 07/07/1998, n. 2156.

79 Chiavario M., Sub art. 274, c.p.p., In Commentario Chiavario, III, Torino, 1990, p. 43. 80 C. Cass., n. 26/04/1990, n. 507.

81 Grevi V., Misure cautelari, In Conso, Grevi, Compendio di procedura penale, 2ª edizione,

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criterio logico, plausibile e convincente, nel trovare la equilibrata composizione degli interessi attinenti all’esercizio della potestà di giustizia e della sfera personale del soggetto, garantita dalla Costituzione in termini assai rigorosi”, accertando che, “in concreto ed in termini specifici, ricorrano quelle situazioni che definiscono l’esigenza imprescindibile di adottare la cautela di natura coercitiva personale””82

.

“Il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale”83.

“La prima delle finalità cautelari considerate dalla disposizione in commento attiene alla salvaguardia dai rischi di dispersione e inquinamento del materiale investigativo e/o probatorio che potrebbero derivare dallo stato di libertà del soggetto sottoposto ad indagine o imputato. Specificamente il rinnovato art. 274, 1° co., lett. a, richiede che le esigenze attinenti alle indagini oltre ad essere inderogabili, siano anche specifiche e che il pericolo di inquinamento delle prove sia concreto ed attuale; la concretezza va identificata in una situazione dalla quale può desumersi, in via non semplicemente astratta, che l’indagato può effettivamente compromettere l’ordinario corso della giustizia, turbando il procedimento formativo della prova,

82 C. Cass., 11/05/1995, n. 1825. 83 C. Cass., 31/03/2011, n. 16085.

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mentre l’attualità fa riferimento ad una situazione di pericolo che deve sussistere nel momento in cui le indagini vengono eseguite”84.

Quanto alla predeterminazione della durata della misura disposta per esigenze di cautela probatoria, il novellato art. 292, 2° co., lett. d, precisa che la scadenza del termine vada fissata in relazione alle indagini da compiere: un controllo penetrante ed una prognosi puntuale, quella cui è chiamato il giudice, come conferma l’art. 301, 2° co. ter, che consente la proroga della misura solo dopo che siano state “valutate le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per cui le esigenze la misura era stata disposta85.

“Conseguentemente il P.M. è tenuto a dimostrare, da un lato, l’esigenza, fondata su circostanze di fatto, che ha di svolgere taluni filoni di indagine in vista di obbiettivi determinati, e dall’altro lato, il concreto pericolo che quell’azione investigativa possa essere pregiudicata dall’indagato a piede libero; mentre il giudice da parte sua, nel disporre la misura, deve determinare la durata in base al tempo ritenuto strettamente indispensabile per svolgere le indagini senza il paventato pregiudizio. Insomma, la misura coercitiva deve essere adottata sempre con riferimento ad un obbiettivo predeterminato e soltanto per il tempo necessario ad assicurare la prova. Bando quindi agli onnivalenti periodi ipotetici, che nulla hanno a che vedere con la fisionomia legale del rischio probatorio, e al generico riferimento al fisiologico svolgimento delle indagini il quale non può, di fatto, coincidere con l’esigenza cautelare de qua”86.

Non si intende con ciò pretendere l’indicazione dei singoli e specifici atti d’indagine espletandi; del pari non è però possibile la

84 In commentario al c.p.p., art. 274, loc. ult. cit. 85 Cfr. In commentario al c.p.p., art. 274, loc. ult. cit. 86 In commentario al c.p.p., art. 274, loc. ult. cit.

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prospettazione di un generico pericolo di inquinamento probatorio discendente dalla semplice circostanza che l’attività d’indagine è in corso e dall’altrettanto generico interesse (che avrebbe qualsiasi indagato in quanto tale) ad eliminare prove a proprio carico.

Nel senso che ““l’inderogabilità delle esigenze attinenti alle indagini e la concretezza del pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova” non possono essere in nessun caso ritenute sussistenti sulla sola base “della asserita lunghezza e complessità delle indagini, dovendosi invece spiegare quali elementi specifici, e per quali ragioni, debbono essere necessariamente acquisiti e quali siano, altresì, i pericoli concreti per la loro acquisizione e la loro genuinità, cui la misura cautelare è destinata a far fronte”, ulteriormente specificando come la “concretezza del pericolo” implica non solo il richiamo “ad una situazione effettiva, e non semplicemente astratta”, ma anche il doveroso riferimento ad “una situazione controllabile sulla base degli atti del procedimento””87

. Nello stesso senso, va ribadito che il ““pericolo concreto” deve essere identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere che l’indagato “possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando la relativa fonte”; ed al fine di evitare che lo stesso, si trasformi in mera clausola di stile, “è necessario che il giudice indichi, con riferimento all’indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali esso viene desunto, fornendo, sul punto, adeguata e logica motivazione””88

; ne consegue, altresì, l’obbligo di indicare “le indagini ancora da svolgere e la funzione preventiva della misura al

87 C. Cass., 13/10/1993, n. 4153. 88 C. Cass., 3/12/2003, n. 306.

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riguardo”89

. Va però detto che il requisito della specificità è riferito alle esigenze e non alle indagini pertanto non è indispensabile che il giudice, nel suo provvedimento, indichi con precisione gli atti da compiere.

È stato ulteriormente chiarito come “il pericolo attuale e concreto per l’acquisizione o la genuinità della prova, richiesto per l’emissione di una misura cautelare personale dall’art. 274, lett. a, è riferibile “non solo a condotte proprie dell’indagato ma anche a quelle di eventuali coindagati, volte ad inquinare, nell’interesse comune, il quadro probatorio emergente nella fase delle indagini preliminari relative ai fatti per i quali si procede””90.

In tema di “esigenze cautelari, legittimanti l’emissione o il mantenimento di un provvedimento cautelare personale, il pericolo di inquinamento probatorio deve essere riferito alle indagini relative al procedimento a carico dell’indagato da sottoporre, o sottoposto, alla misura e non a quelle relative al procedimento connesso, anche se riunito, a carico di soggetti diversi e per altri reati rappresentanti il fine del reato addebitato al suddetto indagato. La norma strumentale dettata in tema di connessione (art. 12, 1° co., c.p.p.) è stata infatti predisposta per consentire di cumulare i procedimenti in autonoma e comune competenza, ma non anche allo scopo di allagare l’ambito della cautela istruttoria tipica di un determinato reato ad ulteriori reati ascritti a diversi indagati”91.

In ultima analisi, “quanto all’indicazione del termine di durata della cautela disposta per esigenze probatorie, si è in più occasioni ritenuta superflua la fissazione della data di scadenza della misura

89 C. Cass., 26/09/2002, n. 35370. 90 C. Cass., 12/10/2007, n. 40535.

(36)

ogni qualvolta al rischio probatorio si accompagni altra e diversa esigenza cautelare special-preventiva”92.

“L’affermazione è palesemente errata. E’ sufficiente, al riguardo riportarsi all’insegnamento della Suprema Corte, la quale, richiamando l’attenzione sulle rilevanti modifiche introdotte sul terreno cautelare dalla novella del 1995, ha in maniera inequivocabile affermato che la disposizione de qua pretende l’adempimento in parola senza configurare eccezioni di sorta sicché l’applicazione deve ritenersi obbligatoria in ogni caso; precisandosi, ovviamente, che perdurando le altre esigenze cautelari [...] la dichiarazione di nullità non implica l’automatica estinzione della misura né la scarcerazione, ma comporta l’accertamento in motivazione del venir meno dell’esigenza (di cui alla lett. a) dell’art. 274 per omessa indicazione del termine”93

.

Insomma, anche qualora “la cautela sia disposta per soddisfare esigenze endoprocessuali ed esigenze extraprocessuali di tipo special-preventivo, il giudice non può sottrarsi all’obbligo di determinare la durata della misura in base al tempo ritenuto strettamente indispensabile per svolgere le indagini senza il paventato pregiudizio; con la ineludibile conseguenza che l’assenza del termine comporta la nullità in parte qua dell’ordinanza coercitiva”94.

E non potrebbe essere diversamente, “stante l’inesistenza di una diversa codificazione eccettuativa; al contrario, l’enunciato legislativo dimostra in modo incontrovertibile come la volontà normativa non implichi affatto la distinzione tra misura cautelare disposta solo per esigenze probatorie e misura disposta anche per esigenze probatorie.

92 In Commentario al c.p.p., art. 274, loc. ult. cit. 93 C. Cass., 3/10/1996, n. 3354.

(37)

In forza dell’art. 292, 2° co., lett. d,“l’ordinanza che dispone la misura cautelare contiene a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché è disposta al fine di garantire l’esigenza cautelare di cui alla lett. a del co. 1° dell’art. 274””95. Ciò basta a ricomprendere tanto le ipotesi in cui il rischio probatorio sia l’unica esigenza da tutelare nello specifico, quanto il caso in cui sussista anche il pericolo della c.d. reiterazione specifica ovvero l’esigenza di cui all’art. 274, lett. b.

In giurisprudenza non sono mancate tuttavia pronunce di segno contrario che “limitano l’obbligo di fissazione del dies ad quem all’ipotesi di misura cautelare disposta esclusivamente per prevenire l’inquinamento probatorio, dal momento che sarebbe inutile prevedere un termine di scadenza qualora la misura dovesse comunque continuare ad avere applicazione per ulteriori esigenze”96.

Si tratta però di una impostazione non adeguata alla rinnovata disciplina codicistica; donde la sentenza della Cassazione n. 3354 del 1996 con la quale si è dato atto delle conseguenze che si ricollegano alle modifiche legislative in tema di provvedimenti cautelari (nella specie: nullità rilevabile ora anche d’ufficio, durata massima di 90 gg. per la custodia cautelare disposta per esigenze probatorie), evidenziando, fra l’altro, come “la mancata fissazione di un termine e l’omesso accertamento della nullità, quando vengono meno le ulteriori esigenze cautelari, determinano alcune perplessità circa l’immediata revoca della misura”97.

95 In Commentario al c.p.p., art. 274, loc. ult. cit. 96 C. Cass., 24/02/2005, n. 12410.

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