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Capitolo 1 Contesto cronologico e culturale

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Contesto cronologico e culturale

1. Il sito: inquadramento cronologico e culturale

L’insediamento neolitico di Colle Santo Stefano è situato in località Pozzo di Forfora, nell’area sud orientale del Fucino a circa 2 km da Ortucchio (AQ) (Carta IGM Foglio 152 IV NE, 41° 56’ 35” N 1° 11’ 40” E, Gioia dei Marsi; Foglio di mappa 29 del catasto del Comune di Ortucchio). L'area è un'ampia spianata in leggero pendio con andamento SO-NE e presenta uno spessore variabile che raccorda la piana del Fucino alle pareti di roccia circostanti e si imposta su un conoide fluviale di ghiaie, disposte in strati ben evidenti e distinguibili per le diverse dimensioni dei ciottoli.

Il deposito archeologico presenta una notevole omogeneità dei caratteri tessiturali e morfologici lungo tutto lo spessore suggerendo che il processo di accumulo sia stato di durata relativamente breve e verosimilmente ha continuato ad essere occupato dalla medesima comunità (Radi et alii, 2001). Le datazioni al 14C, realizzate su campioni di carbone provenienti da vari tagli e quadrati del deposito, indicano una durata dell'abitato non superiore ai quattro secoli. Le datazioni dei tagli inferiori dell'area nord della trincea di scavo, dove il deposito è più potente e la successione appare più ordinata, si attestano nell'intervallo 5840-5620 anni a.C., quelle dei tagli sovrastanti fra 5740-5480 anni a.C., mentre il

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2 termine recente è fornito dalla datazione del campione del taglio 3 fra 5630-5460 anni a.C. (Fabbri et alii, 2011).

Taglio Lab. BP Cal BC 2 σ h (cm)

3 LTL57A 6579±60 5640 (94.3%) 5460 05-10 6 LTL58A 6727±75 5750 (95.4%) 5490 20-25 8 Rome468 6575±80 5640 (95.4%) 5370 30-35 9 LTL59A 6718±40 5720 (95.4%) 5550 35-40 13 LTL60A 6843±40 5810 (95.4%) 5640 55-60 A 13 LTL525A 6651±60 5670 (95.4%) 5480 55-60 15 LTL061A 6688±110 5840 (95.4%) 5460 65-70 A 18 LTL526A 6823±55 5840 (95.4%) 5620 80-85 A

Nel deposito sono riconoscibili una successione di livelli di frequentazione, alcuni meglio definibili per la presenza di strutture identificabili (Radi & Verola, 1996; Radi & Danese, 2003).

Dalla base si osservano:

- Un acciottolato costituito da due piani strutturali: una superficie più antica (quota 160 - 165) costituita da ciottoli arrotondati di dimensioni medio-piccole, infissi in uno strato di limo lacustre, disposto artificialmente sulle ghiaie del substrato e localmente indurito e arrossato da riscaldamento; il piano presenta un contorno sub-rettangolare, con margini netti a E, dove è localizzata una buca di palo e si estende su circa 50 mq; ed una superficie più recente ad una quota leggermente superiore (150 - 155) con ciottoli di medie dimensioni spigolosi, maggiormente incoerenti, a tratti continua e diradata verso i

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3 margini, senza confini netti; lateralmente a questa area compaiono chiazze discontinue di limo giallo lacustre quasi sterile di materiale;

- una superficie intermedia (quota 135) caratterizzata dalla presenza di una canaletta orientata E-O, rettilinea per circa 9 m quindi compie una curva per una lunghezza totale di 15 m, larga 30/50 cm e profonda 50 cm, scavata nel deposito sottostante fino alle ghiaie di base. A nord della canaletta sono stati ritrovati un focolare a piccola fossa riempita di terreno carbonioso e coperto da frammenti di grandi macine, una struttura a conca circolare circondata da pietre e contenente un vasetto zoomorfo (Radi 1991) e numerose concentrazioni di materiale, tra cui abbondanti resti di faune. Essa è stata interpretata come una fondazione destinata ad alloggiare una struttura in elevato, verosimilmente una recinzione destinata a delimitare l’area posta a nord.

- la superficie superiore del deposito (a quota 110-120) presenta un’area di combustione in limo cotto, molto disturbata, e resti sparsi di un piano in terracotta con superficie lisciata pertinente alle fasi successive.

2. Storia delle ricerche

Il sito, scoperto da O. Ventura, fu oggetto di ricognizioni di superficie condotte da U. Irti nel marzo del 1987 che portarono alla raccolta di materiali riferibili a due orizzonti neolitici distinti: uno a ceramica impressa e l’altro pertinente al Neolitico recente (cultura di Ripoli, aspetto di Fossacesia) (Irti, 1988, 1991).

Le ricerche svolte dal Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa sotto la direzione di G. Radi, nel 1988-1993 (Radi & Wilkens, 1989) e nel 1997-2006, misero in evidenza il deposito archeologico su una superficie di circa 230 mq (Radi & Danese, 2003). L’area di scavo fu suddivisa in quadrati di lato 1 m, ognuno denominato rispettivamente da un

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4 numero e da una lettera. In una prima fase di scavo (anni 1988-1993) si è proceduto al rilievo di tutti i reperti e loro numerazione progressiva (quadrati F-O 29-22); con la ripresa dello scavo nel 1997 si è proceduto per tagli di 5 cm (tagli 1-18) (Fabbri et alii, 2011).

3. La cultura materiale

Il sito, riferibile ad una delle prime comunità neolitiche che popolano la Marsica, presenta alcune peculiarità pertinenti all’aspetto abruzzese marchigiano (Radmilli, 1974; Cremonesi & Tozzi, 1987). Altri caratteri attestano invece l'esistenza di legami fra il Fucino e l’area meridionale della regione con la ceramica impressa del sud-est della Penisola. I primi apporti neolitici con affinità meridionali, relativi alla facies Guadone (Fabbri & Angeli, 2010), sembrano essere presenti nel Fucino prima della “facies tradizionale”, considerando quest’ultima come prodotto semplificato e stilisticamente impoverito dell’aspetto ad affinità meridionali. In particolar modo, le ceramiche decorate con plastiche antropomorfe, con tecniche a sequenza o a microrocker, con il motivo del rocker, erano sconosciuti in Abruzzo o noti solo nella fascia litoranea, e fanno propendere nel considerare il Fucino come un’area dove la ceramica impressa avrebbe avuto una fase di stabilizzazione e di adattamento, prima di continuare la diffusione verso le regioni settentrionali della Penisola (Radi, 2002; Radi & Tozzi, 2009).

3.1. La ceramica ed il materiale fittile

Dal punto di vista macroscopico sono state identificate tre principali classi di impasto, grossolana, semifine e fine, distinte per quantità e tipi di inclusi, divise in sotto-insiemi in base a trattamenti specifici degli impasti al fine di migliorare le proprietà plastiche ed estetiche dell’argilla (Fabbri, 2006). La classe di impasto grossolano è caratterizzata da una notevole quantità di inclusi (degrassanti vulcanici o calcarei); le superfici nella maggior parte dei casi sono state sottoposte a lisciatura. Le decorazioni più attestate sono di tipo coprente; sono presenti rocker, micro rocker e sequenze e la maggior parte della decorazione plastica è realizzata in questo impasto (Fabbri et alii, 2011). La ceramica di impasto semifine, con inclusi in quantità e dimensioni ridotte, è stata generalmente sottoposta ad un trattamento piuttosto accurato di lisciatura. Le decorazioni più rappresentative sono le incisioni a tratti, ma anche impressioni coprenti ed organizzate; è attestato un solo caso di decorazione plastica.

Le superfici della classe di impasto fine, in cui gli inclusi non sono visibili, sono state sottoposte ad un trattamento di lucidatura curata (F1, F2, F3) e levigatura (F1). Le decorazioni sono

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5 prevalentemente di tipo coprente a tratti incisi, a impressioni digitali o strumentali (F1), ma anche rocker, microrocker e sequenze (F1, F2, F3).

Malgrado lo stato frammentario è stato possibile effettuare la ricostruzione di alcune forme vascolari per lo più a morfologia semplice: orci a corpo cilindrico o ovoidale, olle globulari,

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6 bacini troncoconici o emisferici, scodelle emisferiche, ollette articolate con orlo distinto, vasi a fiasco con collo cilindrico.

Nelle forme semplici la decorazione più frequente è l’impressione o l’incisione coprenti, o con fasce a risparmio sull’orlo e alla base. Nelle forme composte sono attestati motivi decorativi organizzati (rocker, microrocker e sequenze) o incisi, realizzati con tecnica multipla.

Alcuni dati quantitativi suggeriscono l’esistenza di variazioni nel corso del tempo nella frequenza di alcune tipologie di decori e nell'utilizzo di determinati impasti che sembrano corrispondere alle due fasi di occupazione del Neolitico antico del sito. Il punto di rottura notato ai tagli 10-8, è indice di un cambiamento culturale: alla perdita di importanza del decoro, sia dal punto di vista quantitativo che di elementi decorativi (rocker, incrostazioni di pasta colorata), ed all’introduzione del “cardiale tirrenico” e della ceramica dipinta in nero corrisponde una maggiore preferenza dell’impasto fine che permette di avere manufatti di buona qualità (Fabbri, 2006; Fabbri & Angeli, 2010; Fabbri et alii, 2011).

Le decorazioni, le sequenze, il Cardium per le impressioni, il motivo del rocker e le protomi antropomorfe permettono di collegare Santo Stefano a siti costieri della regione (Marcianese, Fontanelle, Tricalle) e ad un sito meridionale (Monte Maulo).

La decorazione a zig-zag, ottenuta con tecnica simile a quella a negativo, assente nella facies impressa medio-adriatica, presenta alcune analogie con il decoro sul collo di un piccolo fiasco proveniente da Grotta Continenza e con gli ornati dipinti di La Marmotta.

Durante lo studio del complesso fittile sono stati individuati dei frammenti ceramici dai margini smussati, curvilinei o lineari che sono stati interpretati come lisciatoi (Angeli & Fabbri, 2011). Questi sono stati ricavati da frammenti di pareti ad impasto fine e possono essere a parete dritta o curvilinea. Solo in un caso si conservano strie longitudinali ed oblique attribuibili alla realizzazione degli strumenti attraverso incisione con strumento litico e successiva percussione diretta. La regolarizzazione della superficie funzionale era effettuata probabilmente su pietra. Analisi traceologiche hanno dimostrato che l’utilizzo di questi strumenti avveniva durante la fase di modellazione della ceramica attraverso strofinio su argilla molle o semi-molle.

3.2. L’industria litica

La principale materia prima per l’industria litica scheggiata è la selce, seguita dall’ossidiana (oltre il 10%). Analisi macro e microscopiche (Radi & Danese, 2003) hanno stabilito un approvvigionamento circumlocale della selce, fin dal momento dell’impianto dell’abitato, di cui il Monte Genzana potrebbe costituire la fonte principale. Per quanto riguarda l’ossidiana, le

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7 analisi effettuate hanno stabilito come principale luogo di provenienza Palmarola seguita in minor misura da Lipari (Bigazzi & Radi, 1998; De Francesco et alii, 2006).

Scarsissimi sono i nuclei sia in selce che in ossidiana, questi ultimi provenienti da Palmarola e diffusi quasi esclusivamente nei livelli più alti del deposito.

L’industria è quasi sempre realizzata su supporti laminari regolari, ai quali si aggiungono abbondanti supporti corti. Nella fase più antica l'industria è caratterizzata prevalentemente da elementi corti, ma nel tempo la struttura del complesso cambia passando ad un’impronta maggiormente laminare. Rimane invariata, invece, per tutto il deposito la scelta prevalente di supporti lunghi per l'ottenimento di manufatti ritoccati. Tra gli elementi con ritocco semplice in selce, si ha una prevalenza dei raschiatoi lunghi, seguiti dai corti e dai denticolati. Tra quelli specializzati predominano gli erti differenziati; scarsamente rappresentati sono i grattatoi, i bulini, gli scagliati ed i foliati. La composizione dei ritoccati in ossidiana è affine a quella in selce, con prevalenza di elementi con ritocco semplice (Giaco et alii, 2006). L'analisi condotta all'interno dei singoli tagli evidenzia un aumento dell'ossidiana nelle fasi più recenti e l’introduzione di altri tipi di strumenti, quali bulini, geometrici e grattatoi (Fabbri et alii, 2011).

La presenza di questo materiale sembra dimostrare, fin dai momenti più antichi, la partecipazione del villaggio ad una rete di scambi che da sud-ovest permetteva all'ossidiana di raggiungere le aree centro-settentrionali della penisola (Bigazzi & Radi, 2003; Radi & Pessina, 2006; Fabbri et alii, 2011).

Alcune caratteristiche tecno-tipologiche dei manufatti, tra le quali la tecnica di scheggiatura a pressione, la forte laminarità, le dimensioni micro ed ipermicrolitiche, l’impiego della tecnica del micro bulino e i piquants trièdres, la tipologia dei geometrici, alcuni tipi di denticolati, attestano un sostrato Mesolitico recente.

Nella fase più antica (tagli 18-11) l'industria di tradizione mesolitica è debolmente rappresentata, contrariamente a quanto si verifica nei momenti successivi di vita dell’abitato (tagli 10-4). Rimane invariata, invece, per tutto il deposito, la scelta prevalente di supporti lunghi per l'ottenimento di manufatti ritoccati.

Contrariamente alla ceramica ed in particolar modo ad una sua filiazione dalle ceramiche impresse del sud-est, caratterizzate da un’industria povera e su scheggia, l’industria litica

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8 presenta delle forti analogie con le industrie di La Marmotta sul Lago di Bracciano, La Lucciola sul Lago Trasimeno e La Maddalena di Muccia, appartenenti agli aspetti del cardiale tirrenico e dell’impressa adriatica tradizionale (Radi & Tozzi, 2009).

Come elementi di falcetto sono stati scelti in prevalenza elementi ritoccati, principalmente consistenti in raschiatoi lunghi, denticolati, dorsi, troncature e, dal taglio 8, anche geometrici. La posizione e l’estensione del lustro su un’area triangolare rivela, per quasi tutti i pezzi, l’inserzione obliqua nel manico. Analisi traceologiche su un campione di elementi hanno dimostrato strette analogie tra le differenze nella lucentezza, distribuzione e localizzazione del lustro nei singoli manufatti e le diverse attività svolte nell'abitato. Il tipo più frequente sembra essere un lustro a superficie piatta dovuto al taglio dei cereali, meno frequenti elementi con profonde strie di abrasione che potrebbero essere connesse, a seconda del loro orientamento, in alcuni casi alla pratica della despigazione ed in altri al taglio di vegetali silicei più duri, quali giunchi o canne (Fabbri et alii, 2011).

Per concludere, l'industria litica levigata in pietra dura e calcare, comprende pochi esemplari interi ed alcuni frammenti, rappresentati da accette, asce e scalpelli.

È interessante notare che, oltre ad un'accetta riutilizzata come percussore, si osservano frequentemente tracce di ravvivamento di strumenti usurati e tentativi di reimpiego per ottenere altri strumenti di dimensioni minori.

Sono attestati infine numerosi frammenti di grandi macine in arenaria e un macinello in calcare.

3.3. Gli oggetti di ornamento

Fra gli oggetti di ornamento sono stati identificati ed analizzati 68 esemplari fra interi e frammentari prodotti in conchiglia, dente ed osso (Graniti, 2008, 2011).

Gli oggetti ornamentali realizzati in conchiglia riguardano le classi: Gasteropodi (Columbella rustica), Bivalvi (Acanthocardia sp., Cerastoderma sp.) e Scafopodi (Dentalium sp.). La perforazione è stata effettuata previa abrasione, percussione o attraverso la combinazione delle due tecniche, interessando l’umbone nel caso dei Bivalvi e l’ultima spira nel caso dei Gasteropodi.

I Dentalium sono stati segmentati fino a raggiungere un’omogeneità dimensionale degli elementi.

Per quanto riguarda i denti, sono stati utilizzati esclusivamente canini appartenenti alle specie di Felis silvestris, Martes sp., Sus scrofa. Sia i canini di piccolo carnivoro che le zanne si presentano perforate. Nel caso dei canini la perforazione è stata effettuata sulla radice. La tecnica

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9 utilizzata per la foratura dei denti è sempre quella rotativa, solo in un caso si osservano tracce di abrasione per la riduzione dello spessore della radice.

Tra gli ornamenti in osso, è attestata la presenza di un frammento perforato con tecnica rotativa a partire dal foro nutritizio.

Un manufatto di forma subcircolare con due estremità divergenti appuntite è stato interpretato in un primo momento come oggetto d’ornamento. È proponibile tuttavia una diversa ipotesi, un “hameçon spiniforme” (Cleyet-Merle, 1990) in tal caso bifido (Graniti, 2008).

Sono infine presenti 4 perline (3 in conchiglia, 1 in osso) di forma cilindrica.

4. Economia1

L’occupazione di Colle Santo Stefano è caratterizzata da un’economia di produzione neolitica. Gli animali domestici hanno un indice del 90% rispetto al 10% di quelli selvatici. Fra i primi

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I dati disponibili sulla fauna del sito fanno riferimento ad un studio preliminare effettuato su un modesto campione (Radi & Wilkens, 1989; Wilkens, 1996). L’insieme dei resti faunistici è tuttora in corso di studio presso il Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini.

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10 prevalgono gli ovicaprini2 (43%) ai quali è da aggiungere la quasi totalità dei piccoli ruminanti (29% Ovis aries, Capra hircus, Capreolus capreolus e Rupicapra rupicapra), seguono i suini (11,5% Sus sp.) e i bovini (6,5%) (Radi & Wilkens, 1989; Radi & Danese, 2003).

Per la comprensione della gestione del bestiame, sono state studiate 96 mandibole di ovicaprini (56 di pecora, 20 di capra e 20 pecora/capra) e 10 mandibole di bovini. I risultati di queste analisi dimostrano una selezione nell’età di macellazione degli ovicaprini, comunemente abbattuti tra 2-6 anni con una bassa percentuale degli individui sub-adulti e giovani. Questo profilo di macellazione riflette un’economia mista, in cui lo sfruttamento della lana è associato alla produzione di latte. Per quanto concerne le mandibole bovine, non è stato possibile effettuare un’analisi dettagliata in quanto il campione risulta piuttosto esiguo. Si può delineare, tuttavia, lo sfruttamento animale a favore degli ovicaprini seguito da quello dei bovini sia per i prodotti primari che secondari (Salque et alii, 2012).

Recentemente, si è cercato di definire l’indice dei prodotti secondari, mediante analisi volte all’individuazione di residui organici sui frammenti ceramici, che permettono l’identificazione degli alimenti trasformati nei contenitori (Ibidem). Attraverso le differenze di composizione isotopica degli acidi grassi è possibile effettuare una distinzione tra i grassi dei ruminanti e dei non ruminanti e tra la carne e i prodotti caseari. Ciò permette di dimostrare in che misura è avvenuto l’utilizzo di prodotti derivanti dal latte in un sito in cui gli ovicaprini risultano dominanti tra gli animali domestici. Dalle analisi effettuate su un campione di 79 frammenti, è emerso che residui di lipidi sono stati identificati in 20/58 frammenti ceramici non decorati e in 1/21 frammenti decorati, riflettendo la preferenza di vasi non decorati per l’utilizzo quotidiano come contenitori da fuoco/cucina. Solo sul 14% dei frammenti, afferibili a vasi troncoconici, è stato possibile riconoscere lipidi attribuibili a prodotti caseari.

Il risultato delle analisi sui residui dei lipidi associato allo studio archeozoologico dimostra che a Santo Stefano l’economia fosse principalmente di sussistenza, scarsamente rivolta alla produzione specializzata di prodotti secondari, sebbene quest’ultima sia attestata.

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Nel campione osteologico del sito si nota la presenza di 8 cavicchie ossee di caprino appartenenti a 7 maschi adulti, di dimensioni maggiori rispetto alle cavicchie rinvenute in siti mediorientali. Ciò rafforza l’ipotesi dell’esistenza nel Neolitico antico italiano di capre domestiche “arcaiche” di grosse dimensioni, nelle prime fasi di transizione selvatico/domestico (Urìa et alii, 2012).

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11 Infine, per quanto riguarda gli animali selvatici i più rappresentati sono il cinghiale (2,5%) e il cervo (1,9%), mentre percentuali minime hanno il camoscio ed i piccoli mammiferi (ghiro, scoiattolo e riccio). È inoltre attestata la caccia agli uccelli (Folaga e Moriglione), la pesca di trote e la raccolta di molluschi terrestri. Infine, la presenza di conchiglie marine (Semicassis undulata, Dentalium, cardium) ed un aculeo caudale di Myliobatis (aquila di mare), attestano l’esistenza di contatti con la costa (distante un’ ottantina di Km in linea d’aria da entrambe le coste).

Lo sfruttamento vegetale è testimoniato dall’elevato numero di utensili rinvenuti nel sito, quali elementi di falcetto, macine e macinelli che sembrerebbero indicare l’esistenza di pratiche agricole. Le uniche attestazioni di resti paleobotanici di cui si dispone fanno riferimento a culmi e foglie di graminacee insieme ad involucri di cariossidi conservati negli impasti di incannucciata. Le impronte ed i residui conservatisi suggeriscono l’utilizzo di frumento vestito, probabilmente di farro o farricello (Castiglioni & Rottoli, 2003).

5. Resti umani

All’interno del deposito sono stati rinvenuti resti sparsi di ossa umane, consistenti in frammenti di volta cranica, una porzione di mandibola, alcuni denti ed una diafisi femorale pertinenti ad un individuo adulto di sesso maschile ed altri frammenti di teca ed uno di mascellare appartenenti ad un individuo giovane di sesso non diagnosticabile (Radi, 2002).

6. I culti

Nei quadrati M24-M25, a stretto contatto con la canaletta, si trovava una fossetta circolare (dal diametro di 50 cm e profonda 10 cm) delimitata da ciottoli angolosi e riempita da un sedimento limoso giallastro ricco di frustoli di carbone. Al suo interno è stato rinvenuto un vasetto zoomorfo frammentario, interpretato come una deposizione cultuale. Il vasetto, di forma ovoidale cava, si presenta privo della testa e reca, alla base, quattro appendici cilindriche spezzate. E’ possibile osservare una costolatura sul dorso che interessa tutta la lunghezza, dal collo all’estremità opposta dove si sviluppa un’ulteriore protuberanza di forma sub-triangolare. Alcuni caratteri fanno propendere nel considerarlo un bovino (Radi, 2004).

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Riferimenti

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