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Academic year: 2021

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C

APITOLO

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I

PERTERMIA CLINICA E CONTROLLO DELLA TEMPERATURA

2.1 Metodi per realizzare l’ipertermia

Dai tempi in cui l’uso del calore per il trattamento dei tumori ha cominciato ad essere oggetto di studio, le metodologie per favorire l’innalzamento della temperatura corporea nei pazienti oncologici sono state le più varie. Coley, nel 1893, provò ad iniettare tossine batteriche allo scopo di ottenere elevati stati febbrili nel soggetto in esame. Alcuni autori giapponesi sostengono che la bassa incidenza di certi tipi di tumore nella popolazione nipponica sia determinata dall’uso continuo di bagni molto caldi.

Negli ultimi 20 anni i progressi nel campo sono stati considerevoli, ed oggi l’ipertermia viene realizzata con diverse metodologie tra cui l’immersione in acqua calda, il riscaldamento extra corporeo del sangue (efficace per tumori agli arti) o il riscaldamento elettromagnetico (microonde, radiofrequenze) della parte interessata.

Appare evidente che le tecniche non basate sull’irradiazione elettromagnetica presentano molti svantaggi per il paziente: l’immersione va ad interessare l’intero organismo, mentre il riscaldamento extra corporeo del sangue è una tecnica piuttosto cruenta. Il riscaldamento dei tessuti tramite campi elettromagnetici, invece, permette di trattare zone

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limitate (torace, arti, etc.) o addirittura di focalizzare il segnale solo sulla parte malata e consente di raggiungere anche temperature di 43 °C, che non possono essere tollerate se non localmente, con una maggior efficacia per la terapia. A tale scopo, si utilizza l’intervallo di frequenza che va dalle microonde alle onde corte, sino alle onde lunghe della diatermia. La potenza dissipata localmente per ottenere sopraelevazioni della temperatura di alcuni gradi centigradi (da 40-41 °C fino a 45 °C) nei tessuti bersaglio, corrisponde a valori di SAR (potenza elettromagnetica assorbita in un corpo per unità di massa) di alcune centinaia di W/kg. Per le applicazioni di ipertermia il range di temperatura disponibile è piuttosto stretto, infatti sopra i 45 °C il calore danneggia sia le cellule sane che quelle tumorali, mentre fra i 37 °C e 41 °C accelera la proliferazione cellulare e, quindi, può causare un aumento anche delle cellule neoplastiche. La frequenza a microonde che viene utilizzata è di 2450 MHz, pari ad una lunghezza d’onda di 12.25 cm che viene assorbita da molecole molto polari come H2O.

Attualmente sta crescendo il ricorso alle microonde nell’ipertermia clinica perché offre vantaggi dovuti sia all’estrema precisione spaziale nell’irradiare unicamente la zona interessata che alla comprensione teorica che si ha oggi di questa tecnologia. Per contro bisogna tener presente la bassa penetrazione delle microonde in mezzi dissipativi quali i tessuti biologici: il campo risulta apprezzabile solo nelle vicinanze dell’applicatore, e la penetrazione non è mai superiore ai 4 cm [8].

2.2 Applicatori non invasivi

I dispositivi utilizzati per l’ipertermia elettromagnetica possono essere divisi in due categorie principali: applicatori invasivi e non invasivi.

Per quanto riguarda le tecniche non invasive, il problema maggiore è quello di conciliare la profondità di riscaldamento con le dimensioni dell’antenna o della guida d’onda che viene utilizzata ed inoltre di avere un soddisfacente adattamento. Un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto che, irradiando il soggetto, si rischia di bruciare la pelle anziché la metastasi interna, specialmente ad alte frequenze. Si rimedia a questo inconveniente ponendo a contatto con la superficie della zona irradiata un bolo contenente acqua ghiacciata, con il quale si riesce a mantenere costante la temperatura sulla pelle, in modo da provocare riscaldamento solamente all’interno. La presenza dell’acqua, inoltre, offre il vantaggio di

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ridurre il salto di impedenza che si avrebbe all’interfaccia aria-tessuto, e quindi la riflessione. Per questo scopo vengono anche utilizzate guide d’onda riempite di un materiale che ha una costante dielettrica vicina a quella dell’acqua; in questo modo è inoltre possibile propagare nella guida modi a frequenza più bassa senza aumentarne le dimensioni, perché si abbassa la frequenza di taglio.

Un altro genere di applicatori è costituito dalle linee di trasmissione a microstriscia, che hanno il vantaggio di essere più compatte e leggere rispetto alle guide d’onda. Possono essere costituite da vari tipi di elementi radianti, come patch o loop, posti su una linea di trasmissione a microstriscia.

2.3 Applicatori invasivi

Le tecniche invasive, invece, possono essere effettuate inserendo all’interno del corpo degli elettrodi, oppure delle particelle ferromagnetiche (tecniche a RF), o ancora mediante l’introduzione di piccole antenne. Nel primo caso il riscaldamento è ottenuto mediante la corrente prodotta dalla differenza di potenziale tra gli elettrodi; nel secondo caso si sfrutta la conduzione termica tra le particelle, che vengono scaldate per induzione magnetica mediante un campo esterno al soggetto, e il tessuto; in questa ultima tecnica si possono raggiungere al massimo frequenze intorno ai 500 kHz per il trattamento di zone piuttosto ampie, mentre per aree di dimensioni più limitate non si possono superare frequenze di 1.9 MHz. L’inserimento di antenne è particolarmente indicato nei casi in cui la parte malata è facilmente raggiungibile dall’esterno. Questi dispositivi sono costituiti da una parte radiante alimentata da un cavo coassiale; alle volte il conduttore centrale viene fatto funzionare da elemento radiante, per esempio rivestendolo con un manicotto di materiale dielettrico.

Con le tecniche invasive è possibile rilasciare il calore direttamente nel tumore, senza causare apprezzabili variazioni di temperatura nel resto del corpo; l’unico svantaggio consiste nel fatto che queste terapie possono risultare fastidiose per il paziente.

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2.4 Controllo della temperatura

Durante il trattamento è essenziale monitorare la temperatura nel tumore e nei tessuti circostanti, dato che variazioni, anche minime, possono risultare dannose per il paziente. È proprio l’impossibilità di un controllo automatico e non invasivo della distribuzione spaziale e temporale della temperatura che non ha reso ancora l’ipertermia uno standard clinico, anche se a questo scopo sono stati sviluppati numerosi tipi di sensori, più o meno invasivi.

Le misure della temperatura all’interno del soggetto vengo realizzate mediante apposite sonde termometriche, oppure tramite l’uso della Magnetic Resonance Imaging (MRI) o della termografia.

2.4.1 Sensori a termo-coppia

Un termometro a termo-coppia è realizzato ponendo una giunzione dei due metalli nel punto dove c’è la temperatura da misurare T’ e la seconda giunzione ad una temperatura di riferimento T’’. Quando si ha un metallo con un estremo più caldo dell’altro, gli elettroni presenti a questo estremo acquistano più energia e tendono a diffondere verso il lato più freddo. Su quest’ultimo si crea quindi un eccesso di carica che produce una debole differenza di potenziale, E, il cui coefficiente di temperatura (Forza Termoelettrica Assoluta) è espresso da:

dE/dT=m

Poiché le strutture elettroniche dei due metalli sono differenti, anche le forze termoelettriche sono diverse. La d.d.p. agli estremi della termo-coppia viene quindi letta con un microvoltmetro.

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Figura 2.1- Termometri a termocoppie.

Le termo-coppie rame-costantana (una lega rame-nichel), chiamate anche coppie di tipo T, sono quelle più diffuse e sono molto sensibili (40 mV/°C). Il grande vantaggio offerto dalle termo-coppie è dato dal fatto che possono essere realizzate in dimensioni estremamente ridotte, anche di 10 micron; per contro le misurazioni di temperatura possono venire influenzate da qualsiasi causa che possa originare delle tensioni continue, come potenziali di contatto, ma anche dal lavoro meccanico e dalla presenza di impurità nei materiali. Inoltre il movimento degli elettroni che fluiscono nei circuiti di misura ed eventuali campi magnetici possono essere ulteriore causa di disturbo. Per questo motivo i campi e.m. alterano il valore di T misurato dalle termocoppie.

2.4.2 Altri tipi di sensori invasivi

Esistono numerosi altri dispositivi che possono essere usati come sensori. Fra i più interessanti ci sono i componenti elettronici come diodi e transistor. Attualmente vengono realizzati circuiti integrati funzionanti come sensori termici; essi risultano essere pressoché

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lineari semplificando così tutte le operazioni di lettura. Recentemente sono stati sviluppati termometri che usano, per trasmettere l’informazione, la luce che si propaga lungo una fibra ottica. I termometri di questo tipo misurano il coefficiente di riflessione tra energia luminosa incidente e riflessa, il quale dipende da T, ed hanno bisogno di una sorgente luminosa per inviare la luce al sensore e di un photodetector per rilevare la luce riflessa dal sensore.

Figura 2.2- Esempi di sensori per termometri fluoroptici (datasheet Luxor).

Tra i sensori basati su effetti termo-ottici rivestono particolare importanza quelli che sfruttano le proprietà ottiche estremamente stabili dei materiali fluorescenti. Questo genere di strumento è realizzato mediante un piccolo sensore al fosforo montato in testa alla fibra. Il fosforo, eccitato per impulso elettrico, emette un segnale di fluorescenza il cui decadimento è dipendente dalla temperatura e permette di ricavare un valore di temperatura molto accurato. Tutti i termometri a fibra ottica oltre ad essere insensibili ai campi magnetici dispongono anche di dimensioni estremamente ridotte. Lo svantaggio più grosso è nella alta qualità della tecnologia richiesta per la realizzazione. I sensori più semplici sono le termo-coppie, ma purtroppo sono sensibili al campo elettromagnetico [8]. Per ridurre le deformazioni che i sensori possono dare al campo è necessario orientarli perpendicolarmente al vettore campo elettrico. Per comprendere se il sensore interferisce sul campo basta eliminare il campo: se la temperatura rilevata dal sensore scende molto rapidamente, allora il suo valore, misurato prima della soppressione del campo, non è reale, ma dovuto all’interferenza del sensore con il campo stesso.

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2.4.3 La termografia

Tutti i sensori analizzati sono comunque di tipo invasivo; se si vuole misurare la temperatura in modo non invasivo, si può usare la termografia: si analizza lo spettro di emissione del tessuto, che dipende da T, nel campo degli infrarossi o delle microonde. La termografia IR è più localizzata rispetto alla MW, ma non permette di misurare la T in profondità.

Figura

Figura 2.1- Termometri a termocoppie.
Figura 2.2- Esempi di sensori per termometri fluoroptici (datasheet Luxor).

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