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2. Normativa relativa alle fuliggini da olio combustibile

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2. Normativa relativa alle fuliggini da olio

combustibile

INTRODUZIONE

Le fuliggini sono il più importante e consistente rifiuto prodotto dalla combustione di oli combustibili in centrali termoelettriche. Il problema dello smaltimento di tali rifiuti è attualmente uno dei più sentiti e le norme che regolano tale materia sono sempre più restrittive.

Nel presente capitolo vengono esposti i rischi generalmente associati all’emissione in atmosfera del particolato e i provvedimenti legislativi italiani riguardanti le fuliggini prodotte dalla utilizzo di olio combustibile.

2.1. INQUINAMENTO ATMOSFERICO

Numerose sono le motivazioni che rendono le fuliggini o, più in generale, il particolato solido un sottoprodotto indesiderato della combustione.

Il particolato prodotto dalla combustione di oli combustibili è costituito da particelle microscopiche che risultano pericolose per l’apparato respiratorio dell’organismo umano; la pericolosità varia in funzione della loro dimensione. Il particolato di dimensione maggiore è bloccato al livello del naso e della faringe dalle barriere naturali predisposte dall’organismo. Le particelle aventi diametro di qualche micron possono raggiungere i bronchi e depositarsi su di essi per essere poi rimosse dall’azione delle ciglia nel giro di poche ore. Le particelle più pericolose sono quelle di dimensioni inferiori che possono raggiungere gli alveoli polmonari dai quali vengono rimosse in modo lento ed incompleto, dando luogo ad un possibile assorbimento nel sangue di sostanze tossiche [2.1].

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Le fuliggini infatti contengono solitamente numerosi elementi quali metalli pesanti come Cd, Co, Cr, Mn, Ni, V e Zn. Questi metalli pesanti se assunti in quantità elevate, superiori a quelle necessarie ai processi metabolici e fisiologici degli esseri viventi, risultano tossici in quanto non sono biodegradabili ed hanno la tendenza ad accumularsi essendo più difficilmente smaltibili che assimilabili.

E’ stato inoltre accertato che il particolato risulta il veicolo di diffusione più frequente degli idrocarburi policiclici aromatici (PAH) nell’aria e quindi nell’organismo umano. Molti di questi idrocarburi, formatisi per pirolisi nelle zone della camera di combustione più povere di ossigeno, hanno elevata azione cancerogena [2.2].

Le fuliggini emesse in atmosfera possono inoltre recare danni alla vegetazione e alle infrastrutture circostanti l’impianto, depositandosi su di esse e creando incrostazioni su tutte le superfici. Sono queste responsabili degli annerimenti tipici degli edifici e dei monumenti che si verificano nelle zone più industrializzate. Sulle piante lo strato di materiale depositatosi impedisce la fotosintesi facendo da scudo alla luce solare e ostacolando lo scambio di anidride carbonica con l’atmosfera.

La capacità che i metalli pesanti hanno di accumularsi e di trasferirsi agli organismi superiori della catena alimentare fa sì che anche le fuliggini depositate sulla vegetazione o ingerite da animali vengano poi ad accumularsi nell’uomo, che è a capo di tale catena.

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2.2. EVOLUZIONE NORMATIVA SULLE EMISSIONI IN ATMOSFERA

Per far fronte ai problemi di inquinamento atmosferico degli ultimi quaranta anni il sistema legislativo italiano ha provveduto ad elaborare una serie di decreti che regolano la materia in modo tale da ridurre sempre più le emissioni di sostanze inquinanti.

Nella legislazione nazionale sulla qualità dell'aria, mediante successivi decreti, sono stati introdotti una serie di concetti che nel tempo hanno subito alcune evoluzioni.

Con la prima legge organica sull'inquinamento dell'aria (legge 615/1966) si definiva l'inquinamento atmosferico come:

"stato dell’aria atmosferica conseguente alla immissione nella stessa di sostanze di

qualsiasi natura in misura e condizioni tali da alterare la salubrità dell’aria e da costituire pregiudizio diretto o indiretto per la salute dei cittadini o danno ai beni pubblici o privati".

Con il DPR 203/88 lo stesso era definito:

"ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica,

dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità o con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente; alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati".

Si definivano inoltre i "valori limite di qualità dell’aria" come:

"i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e limiti massimi di esposizione ad

inquinanti nell’ambiente esterno".

E i "valori guida di qualità dell’aria" come:

"i limiti delle concentrazioni e limiti di esposizione relativi ad inquinamenti

nell’ambiente esterno destinati:

a) alla prevenzione a lungo termine in materia di salute e protezione dell’ambiente; b) a costituire parametri di riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione ambientale per le quali è necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria".

Per quanto riguarda le emissioni con il DM 12/7/90 [2.3], si definivano le "linee guida" come:

"i criteri in linea con l’evoluzione tecnica messi a punto relativamente a settori

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relativamente ai sistemi del contenimento delle emissioni; fattori di emissione con e senza l’applicazione della migliore tecnologia disponibile per il contenimento delle emissioni".

Ed ancora, i "valori limite di emissione" come:

"la concentrazione e/o la massa di sostanze inquinanti nella emissione degli impianti di

un dato intervallo di tempo che non devono essere superati".

Lo scopo di tale decreto ministeriale è quello di fissare i valori limite delle emissioni e i metodi di campionamento e di analisi delle stesse; per gli impianti già in funzionamento il decreto stabilisce inoltre le linee guida da seguire per il raggiungimento dell’obiettivo.

I limiti d’emissione previsti sono diversi per le varie tipologie d’impianto e per gli impianti di nuova costruzione rispetto a quelli già esistenti; diversi sono anche i limiti di tempo concessi per adeguarsi alla nuova normativa.

Le centrali termoelettriche, da cui derivano le fuliggini prese in considerazione nel presente studio, fanno parte, secondo il DM, della classe dei grandi impianti di combustione con potenza termica superiore a 50 MW.

Per questa tipologia d’impianto sono previsti i seguenti limiti di legge: Per impianti con potenza termica nominale uguale o superiore a 500 MW

• Biossido di zolfo 400 mg/Nm3 • Ossidi di azoto 200 mg/Nm3 • Polveri 50 mg/Nm3 • Monossido di Carbonio 250 mg/Nm3

Per impianti con potenza termica nominale inferiore a 500 MW • Biossido di zolfo 1700 mg/Nm3

• Ossidi di azoto 650 mg/Nm3 • Polveri 50 mg/Nm3 • Monossido di Carbonio 250 mg/Nm3

I limiti di emissione sopra riportati sono relativi a correnti gassose in cui la percentuale volumetrica di ossigeno è del 3%. Entro tali valori devono essere comprese le emissioni medie mensili dell’impianto calcolate sulla base delle effettive ore di funzionamento.

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Per impianti con potenza termica nominale superiore a 300MW il decreto prevede una misurazione in continuo delle concentrazioni di ossidi di azoto, di ossidi di zolfo e di particolato sulla corrente emessa in atmosfera.

Il DM prevede inoltre dei valori limite di emissione per le sostanze inorganiche presenti nel particolato:

• Cd, Hg, Tl (e i loro composti) 0.2 mg/Nm3

• Se, Te, Ni (e i loro composti) 2 mg/Nm3

• Sb, Cr, Mn, Pb, Pt, Cu, V, Sn, Rh (e i loro composti) 10 mg/Nm3

Il limite previsto per ciascun gruppo di sostanze è riferito alla somma cumulativa dei vari elementi. I limiti previsti per i gruppi successivi al primo sono relativi alla somma complessiva di tutti gli elementi appartenenti a tale gruppo e a quelli precedenti.

Il DM prevede inoltre dei limiti di emissione per: sostanze cancerogene, teratogene e/o mutagene; sostanze a tossicità e cumulabilità elevate; sostanze inorganiche sotto forma di gas o vapori (cloro < 5 mg/Nm3, idrogeno solforato <5 mg/Nm3 ecc.); sostanze organiche volatili espresse come carbonio totale (<300 mg/Nm3).

Livelli di "attenzione" e di "allarme", per alcuni inquinanti atmosferici, venivano introdotti con il DM 15/4/94 ed erano intesi ad assicurare il rispetto dei relativi standard di qualità dell’aria.

Successivamente il DM 25/11/94 definiva: "obiettivi di qualità", come:

"valore medio annuale di riferimento da raggiungere e rispettare" relativamente a: materiale particellare fine (PM10, cioè materiale particellare con diametro aerodinamico inferiore o uguale a 10 µm, prelevato con efficienza di campionamento del 50%), benzene e benzo(a)pirene.

Più recentemente il DL.vo 4 agosto 1999, n. 351 "Attuazione della direttiva 96/62/CE in

materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente" prevedeva

l'emanazione di alcuni decreti applicativi contenenti: valori limite e soglie di allarme, margini e tempi di tolleranza, valore obiettivo per l'ozono, valutazione preliminare della qualità dell'aria ambiente, modalità e norme tecniche per l'approvazione dei dispositivi di misurazione (metodi, apparecchi, reti, laboratori).

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Più recentemente, con il DM 60/2002, si sono aggiornati i limiti di qualità dell'aria e sono state abrogate le disposizioni relative al biossido di zolfo, al biossido di azoto, alle particelle sospese e al PM10, al piombo, al monossido di carbonio e al benzene contenute nei seguenti decreti:

• DPCM 28/3/83: limiti SO2, NO2, PTS, Pb, CO; • DPR 24/5/88: art. 20, 21, 22, 23 e allegati I, II, III, VI; • DM 20/5/91: criteri di raccolta dei dati di qualità dell’aria;

• DPR 10/1/92: indirizzo e coordinamento dei sistemi di rilevamento; • DM 15/4/94: norme tecniche, limiti, livelli di attenzione e di allarme;

• DM 25/11/94: norme tecniche, limiti, livelli attenzione allarme, obiettivi qualità.

2.3. NORMATIVA RELATIVA ALLO SMALTIMENTO DELLE FULIGGINI

Per ridurre le emissioni del particolato in atmosfera le aziende hanno provveduto alla messa a punto di sistemi di abbattimento sempre più efficaci; le fuliggini da olio raccolte costituiscono però, per la normativa vigente, un residuo solido pericoloso di non facile gestione che deve essere smaltito.

Il decreto legislativo 22/97 (Decreto Ronchi), che disciplina la gestione dei rifiuti, suggerisce dove possibile un recupero energetico e/o di materiale dalle fuliggini prima della messa a discarica.

L’elevato aumento dei costi di smaltimento in discarica ha costretto le aziende a seguire gli indirizzi del decreto Ronchi, ricercando soluzioni alternative nel contenimento e nel recupero dei rifiuti prodotti.

2.3.1. Combustione

Solitamente le fuliggini da olio, data l’elevata percentuale di incombusti presenti, si prestano bene ad un recupero energetico (si può pensare anche ad un recupero dei metalli pesanti quali Ni e V in esse contenuti).

Il recupero energetico attualmente adottato e permesso dalla normativa vigente consiste in una co-combustione delle fuliggini in centrali alimentate a carbone.

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Il primo decreto in materia è stato quello emanato il 16/1/95: “ Norme tecniche per il

riutilizzo in un ciclo di combustione per la produzione di energia dai residui derivanti da cicli di produzione o di consumo”.

Il decreto ministeriale del 16/1/95 disciplinava la combustione delle fuliggini da olio combustibile fissando le proprietà che esse dovevano possedere per risultare idonee alla combustione.

Le proprietà richieste erano:

• P.C.I. sul tal quale >8500 kJ/kg • Zolfo (% in peso) < 15 % • MgO (% in peso) < 13 % • V (% in peso) < 5 % • Ni (% in peso) < 2 %

Il recupero energetico del prodotto avente tali caratteristiche poteva essere effettuato attraverso la combustione diretta nelle caldaie alimentate a carbone; la miscelazione con il carbone era consentita in misura tale che il calore sviluppato rappresentasse una percentuale non superiore al 5% del calore totale prodotto dall’impianto, in qualsiasi fase del suo funzionamento.

La legge consentiva la combustione negli impianti di potenza termica non inferiore a 50 MW e imponeva inoltre che le emissioni rispettassero comunque i limiti fissati dal D.M del 12 luglio 1990.

Il Decreto ministeriale del 25/2/2000 [2.4], emesso in sostituzione a quello del 16/1/95, provvede a regolamentare, in accordo con la direttiva 94/67/CE, le emissioni provenienti da impianti di incenerimento e di coincenerimento di rifiuti pericolosi. Sono compresi in quest’ultima categoria tutti gli impianti non destinati principalmente all’incenerimento di rifiuti pericolosi, ma che bruciano tali rifiuti come combustibile normale o addizionale per qualsiasi procedimento industriale.

Tale decreto stabilisce le misure e le procedure finalizzate a ridurre e a prevenire, per quanto possibile, gli effetti negativi dell’incenerimento di rifiuti pericolosi, in particolare l’inquinamento atmosferico, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché i rischi per la salute dell’uomo.

A tal fine il decreto disciplina:

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• I metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli stessi;

• I criteri e le norme riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali nonché le condizioni di esercizio degli impianti;

• I criteri temporali di adeguamento degli impianti di incenerimento preesistenti a tale decreto.

La legge non prevede alcun limite per le caratteristiche delle fuliggini inviate alla combustione, per tale motivo si ritengono idonee a tale trattamento, salvo particolari disposizioni regionali, fuliggini con qualsiasi composizione e proprietà. Il decreto non impone, inoltre, alcun limite alla quantità di fuliggini bruciate negli impianti di coincenerimento.

Il D.M. del 25/2/2000 prevede per gli impianti di incenerimento e coincenerimento la suddivisione in due classi: una comprendente tutti gli impianti di incenerimento e quelli di coincenerimento in cui il calore prodotto dal rifiuto pericoloso, durante la combustione, risulta superiore al 40% del calore totale prodotto in qualunque fase di funzionamento; l’altra per gli impianti di coincenerimento in cui tale quantità risulta inferiore.

I limiti di emissione imposti per le due classi sono diversi.

Impianti di incenerimento e coincenerimento

(calore prodotto dal rifiuto pericoloso superiore al 40% del totale)

Gli impianti devono essere progettati, equipaggiati e gestiti in modo che durante il periodo di effettivo funzionamento, comprese le fasi di avvio e di spegnimento dei forni (esclusi i periodi di guasti), non vengano superati i seguenti limiti di emissione nell’effluente gassoso:

• Monossido di carbonio

50 mg/m3 come valore giornaliero 100 mg/m3 come valore medio semiorario • Polveri totali

10 mg/m3 come valore giornaliero 30 mg/m3 come valore medio semiorario • Ossidi di azoto (espressi come NO2)

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400 mg/m3 come valore medio semiorario • Ossidi di zolfo (espressi come SO2)

50 mg/m3 come valore giornaliero 200 mg/m3 come valore medio semiorario

• Sostanze organiche in fase gas o vapore (espresse come % di Carbonio

organico)

10 mg/m3 come valore giornaliero 20 mg/m3 come valore medio semiorario • Idrocarburi policiclici aromatici (I.P.A)

0.01 mg/m3 come valore medio di un tempo di campionamento di 8 ore • Metalli e loro composti (Sb, As, Cr, Co, Cu, Mn, Ni, V, Sn)

0.5 mg/m3 come valore medio della somma delle concentrazioni dei dieci inquinanti rilevato nell’effluente gassoso sotto forma di gas, vapore o polvere, per un periodo

di campionamento di 1 ora.

• Cadmio e i suoi composti espressi come Cd (nell’effluente gassoso sotto forma

di gas, vapore o polvere). Tallio e i suoi composti espressi come Tl (nell’effluente gassoso sotto forma di gas, vapore o polvere)

0.5 mg/m3 come valore medio della somma delle concentrazioni dei due inquinanti rilevato per un periodo di campionamento di 1 ora.

• Mercurio e i suoi composti espressi come Hg (nell’effluente gassoso sotto forma

di gas, vapore o polvere)

0.05 mg/m3 come valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 1 ora. Altri limiti non sono stati riportati perché non interessanti le emissioni gassose derivanti dalla combustione delle fuliggini in questione.

Impianti di coincenerimento

(calore prodotto dal rifiuto pericoloso inferiore al 40% del totale).

Gli impianti devono essere progettati, equipaggiati e gestiti in modo che durante il periodo di effettivo funzionamento, comprese le fasi di avvio e di spegnimento dei forni (esclusi i periodi di guasti), non vengano superati i limiti di emissione nell’effluente gassoso sotto riportati.

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Per gli inquinanti:

• Monossido di carbonio • Polveri totali • Ossidi di azoto (espressi come NO2) • Ossidi di zolfo (espressi come SO2)

• Sostanze organiche in fase gas o vapore (espresse come % di Carbonio organico)

• Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

• Metalli e loro composti (Sb, As, Cr, Co, Cu, Mn, Ni, V, Sn) • Mercurio e i suoi composti espressi come Hg

• Cadmio e Tallio con i loro composti espressi rispettivamente come Cd eTl I valori limite di emissione sono calcolati applicando la formula seguente:

processo

rifiuto

processo

processo

rifiuto

rifiuto

totale

V

V

C

V

C

V

C

+

+

=

dove:

• Vrifiuto è il volume dell’effluente gassoso derivante esclusivamente dalla combustione dei rifiuti pericolosi nella quantità massima prevista nell’autorizzazione e determinato in base al rifiuto con più basso potere calorifico; se il calore prodotto è inferiore al 10% di quello totale il valore di Vrifiuto deve essere calcolato dalla quantità (fittizia) di rifiuti che inceneriti equivalgono ad un calore prodotto del 10%, a calore totale dell’impianto fissato; • Crifiuto è il valore limite di emissione stabilito per quell’inquinante nel caso

di impianti di incenerimento o coincenerimento con calore prodotto dal rifiuto pericoloso maggiore del 40% del calore totale;

• Vprocesso è il volume dell’effluente gassoso derivante dall’attività dell’impianto, inclusa la combustione dei combustibili autorizzati normalmente utilizzati nell’impianto (esclusi i rifiuti pericolosi);

• Cprocesso è il valore limite di emissione, fissato dalla normativa statale o regionale, nel caso vengano bruciati i combustibili normalmente autorizzati (esclusi i rifiuti pericolosi);

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• Ctotale è il valore limite di emissione da rispettare in caso di impiego simultaneo di rifiuti pericolosi e combustibili autorizzati.

I risultati delle misurazioni, effettuate per verificare l’osservanza dei valori limite di emissione sopra riportati, devono essere normalizzati alle seguenti condizioni:

• temperatura 273 K; • pressione 101.3 kPa; • gas secco;

• tenore volumetrico di ossigeno nel gas secco pari al 3%.

Per entrambi le classi di impianti il D.M. prevede la misura in continuo, nell’effluente gassoso, delle concentrazioni del monossido di carbonio, delle polveri, delle sostanze organiche in fase vapore o gas, degli ossidi di zolfo e di azoto; deve inoltre essere misurato in continuo il tenore volumetrico di ossigeno, la temperatura, la pressione, il tenore di vapore acqueo e la portata volumetrica dell’effluente.

Gli impianti devono essere gestiti in modo da ottenere il più completo livello di incenerimento possibile adottando, se necessario, adeguate tecniche di pretrattamento dei rifiuti; il contenuto totale di incombusti nelle scorie non deve superare il 3%.

Il calore prodotto dal processo di incenerimento deve essere sfruttato nella maggior misura possibile.

Gli inceneritori di rifiuti, secondo quanto previsto dal D.M citato, devono inoltre garantire, dopo l’ultima immissione di aria in camera di combustione, la permanenza dei fumi prodotti ad una temperatura di 850°C, per almeno 2 secondi, in presenza di una percentuale volumetrica di ossigeno superiore al 6%.

2.3.2. Smaltimento in discariche controllate

La frazione di fuliggini da olio combustibile che non viene inviata ad un riutilizzo viene smaltita in discarica.

Il decreto Ronchi del 5/2/1997 n°22 (allegato D ) e i decreti successivi ad esso (D.M. 11/3/98 N.141) classificano questo rifiuto come pericoloso; le fuliggini appartengono infatti alla tipologia dei rifiuti impiantistici che per la loro composizione (presenza di consistenti quantità di metalli pesanti) possono dare origine, dopo la posa in discarica, a

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prodotti di lisciviazione che risultano tossici e nocivi; le discariche a cui sono destinate sono, perciò, del tipo 2B e 2C.

Il tipo di discarica a cui il rifiuto deve essere inviato dipende dalla composizione chimica dello stesso; per i rifiuti destinati alle discariche di tipo 2B le sostanze tossiche devono rispettare dei limiti specifici sia nel rifiuto tal quale che nel suo eluato; per quelli destinati a discariche di tipo 2C i limiti sono imposti solamente sul rifiuto tal quale [2.5].

Uno degli aspetti più preoccupanti dell’inquinamento di una discarica è quello associato al percolato; questo, trascinando con se numerosi inquinanti del rifiuto solido, può contaminare l’ambiente circostante e le falde acquifere presenti.

Per discariche di tipo 2C il rischio di contaminazione delle falde acquifere è attenuato dalle caratteristiche idrogeologiche del territorio in cui sono ubicate, tali da impedire in ogni caso al percolato di raggiungere la falda sottostante.

Per discariche di tipo 2B l’impatto ambientale dovuto al percolato è minimizzato operando contemporaneamente sia sulle caratteristiche chimico fisiche del rifiuto (eluibilità delle sostanze tossiche) sia sulle modalità di impermeabilizzazione della discarica.

Prima della messa a dimora di un rifiuto in una discarica di tipo 2B è necessario effettuare dei test di eluizione; questi test hanno lo scopo di simulare i processi chimici alla base degli equilibri che si instaurano in discarica tra la fase solida (rifiuto) e la fase liquida (percolato). I risultati dell’analisi effettuata dovranno essere confrontati con il limiti imposti sull’eluato per il tipo di discarica in questione e dovranno risultare inferiori a questi ultimi affinché il rifiuto possa essere ivi destinato [2.5]. E’ evidente che quanto più il test di eluizione riesce a simulare il comportamento reale dei rifiuti posti a dimora tanto maggiore potrà essere il controllo e quindi la sicurezza di una discarica.

Conferire un rifiuto in discariche di tipo 2C risulta più oneroso che in discariche di tipo 2B in quanto le prime richiedono maggiori controlli e accorgimenti; ad esempio una discarica di tipo 2C non può essere edificata in zone sismiche e richiede impermeabilità elevate del terreno in cui è ubicata. E’ evidente che, dove possibile, si cercherà di smaltire il rifiuto nelle discariche meno costose ricorrendo anche ad opportuni trattamenti (inertizzazione) atti a far rientrare le caratteristiche del rifiuto e quelle del suo eluato nei limiti previsti dalla discarica stessa.

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Riferimenti

[2.1] “La qualità dell’aria: Gli inquinanti” informazioni tratte dal sito web: http://www.minambiente.it/.

[2.2] Kozinski, J.A., Slupek, St., “Effect of Polycyclic Aromatic Hydrocarbons on

Soot Particles Formation and Their Emission to the Atmosphere”,

Environmental Protection Engineering, Vol.14 pp. 99-109 (1988).

[2.3] Decreto Ministeriale 12 luglio 1990, “Linee guida per il contenimento delle

emissioni degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione” - G.U. - S.O. 30 luglio 1990, n.176.

[2.4] Decreto Ministeriale del 25 febbraio 2000 n.124, “Regolamento recante i

valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988 n.203, e dell'articolo 18, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.22” - G.U. 18 maggio 2000, n.114.

[2.5] M. Baldi, I. Vecchio, F. Conti, “Significatività dei Test di Eluizioneper lo

Smaltimento in Discarica di Rifiuti Industriali Inertizzati”, RS. Rifiuti Solidi, vol.XII n°3, pp. 186-192, Maggio-Giugno (1998).

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