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Il delitto di Corruzione tra privati. Profili criminologici, dogmatici e politico-criminali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

IL DELITTO DI CORRUZIONE TRA PRIVATI.

PROFILI CRIMINOLOGICI, DOGMATICI E

POLITICO-CRIMINALI

Il Candidato

Il Relatore

Fabio Migliorini

Chiar.mo Prof. Alberto Gargani

(2)

2

(3)

3 INDICE

INTRODUZIONE ... 8

CAPITOLO I ... 11

LA CORRUZIONE PRIVATA ... 11

1.1 Descrizione criminologia e socioeconomica del fenomeno ... 11

1.1.1 Definizione semantica e concettuale del fenomeno ... 11

1.1.2 Analisi socioeconomica e dei costi della corruzione ... 15

1.1.3 Descrizione criminologica ... 21

1.2 Dibattito dottrinale sulla risposta sanzionatoria ... 24

1.2.1 Corruzione privata come fenomeno fisiologico dell’homo oeconomicus ... 24

1.2.2 Corruzione privata come illecito da reprimere ... 27

1.2.3 Le possibili soluzioni fornite dall’ordinamento ... 29

1.2.3.1 L’eterna questione dell’opportunità dell’intervento penale in economia ... 29

1.2.3.2 Rimedio amministrativo ... 31

1.2.3.3 Rimedio civilistico ... 34

1.2.3.4 Autoregolamentazione ... 36

1.3.5 Diritto penale come unica soluzione o sistema integrato? ... 38

CAPITOLO II ... 41

I MODELLI DI TUTELA NEI SISTEMI GIURIDICI EUROPEI E L’OGGETTIVITÀ GIURIDICA ... 41

2.0 Introduzione ... 41

2.1 Francia... 42

2.1.1 L’origine storica della corruzione tra privati. Dal Code pénal… ... 42

2.1.2 (segue…) al Code du travail ... 43

2.1.3 Il ritorno al Code pénal ... 46

2.2 Austria ... 48

2.3 Inghilterra ... 51

2.3.2 Bribery act ... 53

2.3.3 Le Condotte tipiche ... 55

2.4 Germania ... 57

2.4.1 Evoluzione storica: Dall’UWG al StGB ... 57

(4)

4

2.4.3 Il fatto tipico ... 59

2.4.4 Raffronto tra il § 299, comma 1 n°1 e il § 299 comma 1 n°2 ... 60

2.4.5 Procedibilità e sanzioni ... 62

2.4.6 Kick-back: la Untreue di cui al § 266 e la contrapposta ipotesi di cui al § 299 StGB. ... 63

2.5 Spagna ... 64

2.5.1 Dibattito dottrinale e genesi della fattispecie ... 64

2.5.2 Analisi delle fattispecie ... 66

2.5.3 Trattamento sanzionatorio ... 67

CAPITOLO III ... 69

IL PRIMATO ASSUNTO DALLA TUTELA DELLA CONCORRENZA NELLA PROSPETTIVA EUROPEA ... 69

3.1 Raffronto tra i vari modelli ... 69

3.1.1 Modello lealistico ... 69

3.1.2 Modello patrimonialistico ... 71

3.1.3 Modello unitario ... 72

3.1.4 Modello della concorrenza ... 73

3.2 Ragioni alla base delle scelte sovranazionali ... 74

3.3 FONTI SOVRANAZIONALI ... 75

3.2.1 L’Unione Europea e la corruzione privata: l’Azione comune 1998/742/GAI e la Decisione quadro 2003/568/GAI ... 76

3.2.2 Convenzione di diritto penale del Consiglio d’Europa ... 81

3.3.3 ONU: Convenzione di Mérida ... 83

3.4 LA CONCORRENZA E L’ORDINAMENTO ITALIANO ... 84

3.4.1 Concorrenza e Costituzione ... 84

3.4.2 Polisemia della concorrenza ... 86

3.4.3 Concorrenza come bene finale superindividuale ... 87

CAPITOLO IV... 89

L’ESPERIENZA ITALIANA ... 89

PARTE I ... 91

LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE PRIVATA PRIMA DELL’AVVENTO DELL’ART. 2635 C.C ... 91

4.1 Gli strumenti repressivi ricavabili dal Codice penale ... 91

4.1.2 Le ipotesi speciali di corruzione tra privati ... 98

4.1.2.1 Il mercato di voto nel «Codice della crisi d’impresa» ... 98

(5)

5

4.1.2.3 Frode in competizioni sportive ... 102

4.1.2.4 Corruzione dei revisori contabili ... 105

PARTE II ... 109

LA STORICA INADEGUATEZZA DELL’ART. 2635 CC. ... 109

(«INFEDELTA’ A SEGUITO DI DAZIONE O PROMESSA DI UTILITA’») ... 109

4.2.1 La corruzione privata e l’ordinamento italiano: dai disegni di legge di fine anni Novanta al c.d. «Progetto Mirone». ... 109

4.2. L’Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità. ... 114

4.2.1 I soggetti attivi ... 114

4.2.3 Il bene giuridico protetto ... 117

4.2.4 Il fatto tipico ... 118

4.2.5 La condotta ... 119

4.2.6 Il pactum sceleris ... 119

4.2.7 Il compimento o l’omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio... 120

4.2.8 Causazione del nocumento alla società ... 121

4.2.9 L’elemento psicologico ... 123

4.2.10 La consumazione e il tentativo del reato ... 125

4.2.11 La procedibilità ... 126

4.2.12 Il rapporto tra l’art.2634 c.c. «Infedeltà patrimoniale» e l’art.2635 c.c. «Infedeltà a seguito di dazione o promessa d’utilità» ... 129

4.2.14 L’inadeguatezza dell’art. 2635 c.c. rispetto alle fonti sovranazionali e i successivi interventi di riforma ... 132

4.2.16 Una fattispecie di fatto inapplicata. ... 135

PARTE III ... 142

DALL’«INFEDELTÀ A SEGUITO DI DAZIONE» ALLA «CORRUZIONE PRIVATA»: TUTTO CAMBIA PERCHE’ NULLA CAMBI. ... 142

4.3.0 Premesse ... 142

4.3.1 I soggetti attivi ... 143

4.3.2 Il bene giuridico tutelato ... 145

4.3.3 La clausola di sussidiarietà ... 146

4.3.4 Il fatto tipico ... 147

4.3.5 La condotta, l’elemento soggettivo e il tentativo ... 147

4.3.6 Trattamento sanzionatorio... 148

4.3.7 Il regime di procedibilità ... 150

(6)

6

4.3.9 Gli interventi successivi ... 152

4.3.10 La ritrosia del legislatore italiano nella recezione delle indicazioni sovranazionali. ... 153

PARTE IV ... 155

GLI INTERVENTI DEL 2017 E 2019 MATERIA DI “CORRUZIONE TRA PRIVATI”: UN CAMMINO NON ANCORA CONCLUSO. ... 155

4.4.1 La legge delega 12 agosto 2016 n°170 ... 155

4.4.2 Il Decreto Legislativo 15 marzo 2017, n°38 ... 158

4.4.3 La corruzione tra privati ... 160

4.4.3.1 I soggetti attivi ... 160

4.4.3.2 Enti collettivi privati ... 162

4.4.3.3 Il bene giuridico protetto ... 163

4.4.3.4 Il fatto tipico ... 164

4.4.3.5 La condotta ... 165

4.4.3.5 Il pactum sceleris, il compimento e l’omissione di atti in violazione degli obblighi d’ufficio o di fedeltà ... 166

4.4.3.6 L’elemento psicologico ... 167

4.4.3.7 La consumazione e il tentativo ... 167

4.4.3.8 La clausola di sussidiarietà e il rapporto con gli altri delitti ... 169

4.4.3.9 Regime di procedibilità ... 170

4.4.3.10 Regime sanzionatorio ... 171

4.4.4 La Corruzione tra privati dopo la L. 9 gennaio 2019 n°3: un punto di svolta? ... 172

PARTE V ... 174

ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE TRA PRIVATI E PENE ACCESSORIE ... 174

4.5.1 L’Art. 2635-bis c.c. (Istigazione alla Corruzione tra privati) ... 174

4.5.2 Art. 2635-ter (Pene accessorie). ... 180

CAPITOLO 5 ... 182

LA CORRUZIONE TRA PRIVATI E L’IMPRESA: TRA GOVERNANCE E RESPONSABILITA’ DELL’ENTE ... 182

Parte I ... 182

Soft law, impresa etica e responsabilità dell’ente... 182

5.1.1 Diritto penale e soft law: i codici etici e l’art. 2635 c.c. ... 182

5.1.2 Codici etici e responsabilità dell’ente ... 183

Parte II ... 184

(7)

7

5.2.1 La responsabilità dell’ente D. Lgs 231/2001 (cenni) ... 184

5.2.2 La Corruzione tra privati come reato presupposto ... 188

5.2.3 I Modelli organizzazione e gestione anticorruzione ... 192

BIBLIOGRAFIA ... 197

(8)

8 INTRODUZIONE

La corruzione tra privati è un fenomeno “carsico”, che si insinua nelle pieghe del tessuto economico e che solo raramente è oggetto di attenzione da parte dei media. È un fenomeno ai più sconosciuto: molto spesso i comportamenti illeciti non vengono ritenuti tali dalla collettività, che li considera come un modus operandi interno al mondo degli affari, le cui ricadute lesive sono estranee alla vita di tutti i giorni e confinate in un ambito remoto. Tuttavia, questa è una erronea percezione: la corruzione privata permea ogni settore economico assumendo schemi e forme differenti. È il caso della corruzione di medici, veterinari o farmacisti da parte delle case farmaceutiche -Comparaggio1- che offrono veri e propri cataloghi di benefits in cambio della prescrizione o promozione di medicinali oppure dell’ambito sportivo, in cui spesso si ricorre alla corruzione di giudici di gara o di organizzatori per favorire la vittoria di un atleta o falsare il risultato della competizione2.

La distanza tra i consociati e il precetto penale è accentuata dalla natura del bene giuridico tutelato. Esso è spesso individuato nel patrimonio dell’impresa o nel rapporto di lavoro tra dipendente e principale3: questo aspetto accentua la percezione di un illecito espressione di una determinata fascia sociale. Tuttavia, non è così: la corruzione privata impatta sull’intero mercato e coinvolge quotidianamente la vita di numerosi consociati; un mercato distorto da intese corruttive e cartelli comporta la vendita di beni qualitativamente carenti ma dal prezzo maggiorato, con danni a carico del consumatore. Per questi motivi, la disciplina internazionale assume come referente di valore la concorrenza e impone la previsione di fattispecie idonee a tutelare i c.d. stakeholder -es., consumatori, fornitori dell’azienda, imprenditori concorrenti-. Solo adottando un referente valoriale siffatto si

1 V. infra, cap. 4. 2 V. infra, cap. 4.

3 Questi modelli di tutela sono adottati dalla Francia prima della riforma del 2005,

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9

riesce a strutturare una fattispecie penale di largo respiro, non confinata alla sola dimensione d’impresa. La corruzione tra privati ha, in non pochi casi, una portata lesiva pari se non superiore alla ben più nota corruzione pubblica; molto spesso la realizzazione del delitto è il risultato della commissione di altri reati per la creazione della tangente o per il suo occultamento nei bilanci sociali 4.

Fin dagli anni Novanta il legislatore sovranazionale5 ha posto l’attenzione sul fenomeno in esame, imponendo ai vari Stati l’introduzione di una disciplina repressiva unitaria. All’appello lanciato in campo intenzionale gli Stati nazionali hanno risposto in modo parziale, dilatando i tempi per l’adozione della disciplina penale prescritta o prevedendo fattispecie afflitte da scarsa capacità applicativa. La ragione si rintraccia nella costante pressione esercitata dal ceto imprenditoriale sul legislatore il quale si dimostra particolarmente attivo nell’apprestare una tutela perlopiù simbolica e priva di efficacia.

La storia quasi ventennale dell’art. 2635 c.c. «Corruzione tra privati» è contrassegnata da una fattispecie in fieri6, afflitta da continui e scoordinati interventi del legislatore a fronte di un’applicazione giurisprudenziale quasi assente -dal 2002 al 2020 si contano solamente due sentenze7 -. La politica criminale adottata è ondivaga: in principio la c.d. Commissione Mirone, concepiva l’art. 2635 c.c. come fattispecie avamposto rispetto all’«Infedeltà

patrimoniale»; successivamente l’attenzione del legislatore si è concentrata

nella privatizzazione la tutela penale subordinandola alla volontà della

4 V. MILITELLO, La corruzione tra privati, in AA.VV. La corruzione tra privati esperienze

comparatistiche e prospettive di riforma, a cura di R. Acquaroli e L. Foffani, Milano 2003, p. 359-360.

5 L’unione europea è intervenuta dapprima con l’Azione comune 1998/742/GAI abrogata

dalla successiva Decisione quadro 2003/568/GAI, Il Consiglio d’Europa mediante la Convenzione di diritto penale, le Nazioni Unite attraverso la Convenzione c.d. di Mérida. v.

infra cap. 3.

6 Alcuni l’hanno definita come un come un «gioco infinito» v. S. SEMINARA, Il gioco

infinito: la riforma del reto di corruzione tra privati, in Dir. pen. proc., 2017, p. 712 e ss.

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10

maggioranza del capitale sociale8. Questa volontà si è tradotta nella fattispecie di «Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità» prevedendo la causazione del nocumento, nel 2012 strutturando il regime della procedibilità d’ufficio come subordinato ed eventuale. L’intervento del 2017 modifica il bene giuridico, trasformando l’oggetto della tutela nel rapporto fiduciario tra titolare dell’ente e dipendente eliminando il nocumento dal fatto tipico. Il legislatore interviene nuovamente nel 2019 segnando il punto di maggior incertezza della norma: la procedibilità a querela è espunta insieme all’unico riferimento alla concorrenza previsto quale condizione per la procedibilità d’ufficio. Attualmente la disciplina dell’art. 2635 c.c. è disarmonica: l’intera fattispecie è incentrata sulla protezione del rapporto fiduciario -bene privato- mentre la procedibilità d’ufficio segna la timida volontà di uniformarsi al dettato sovranazionale e tutelare il bene pubblicistico della concorrenza.

L’intento di proteggere il ceto imprenditoriale dalle conseguenze di una disciplina autenticamente repressiva può essere desunto dalla lunga assenza dell’art. 2635 c.c. nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente D. Lgs 231/20019: nel 2012 il legislatore inserisce l’art. 2635 c.c., III comma (ipotesi di corruzione attiva). Allo stato attuale la disciplina è incompiuta e settoriale, con evidenti incapacità general-preventive. In futuro sarà più che probabile un nuovo richiamo dei controllori sovranazionali: si auspica una risposta risolutiva da parte dell’ordinamento italiano, con la presa di coscienza della reale portata offensiva della corruzione tra privati.

8 Sul punto ha inciso la presenza della procedibilità a querela e la forma della corruzione

passiva nelle forme del reato proprio a soggettività ristretta.

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11 CAPITOLO I

LA CORRUZIONE PRIVATA

SOMMARIO: 1.1 Descrizione criminologica e socioeconomica del fenomeno. - 1.1.1 Definizione semantica e concettuale. – 1.1.2 Analisi socioeconomica della corruzione e i suoi costi. – 1.1.3 Descrizione criminologica. -1.2 Dibattito dottrinale sulla risposta sanzionatoria. -1.2.1 Corruzione privata come elemento fisiologico dell’homo oeconomicus. -1.2.2 Corruzione privata come illecito da reprimere. – 1.3 Le possibili soluzioni fornite dall’ordinamento. – 1.3.1 L’eterna questione dell’opportunità dell’intervento penale nell’economia. -1.3.2 Rimedio amministrativo. -1.3.3 Rimedio civilistico. – 1.3.4 Autoregolamentazione. 1.3.5. Diritto penale come unica soluzione o sistema integrato?

1.1 Descrizione criminologia e socioeconomica del fenomeno

1.1.1 Definizione semantica e concettuale del fenomeno

Fornire una definizione esaustiva e universalmente valida della corruzione privata è arduo. Il fenomeno si presta a molteplici punti di vista e soprattutto assume forme e strutture diversificate, rendendo impossibile inquadrarlo in maniera omogenea ed incontrovertibile. Questa difficoltà emerge già soffermandosi sull’aspetto meramente semantico. Se è vero che il termine di “corruzione”10 non fornisce particolari problemi, trattandosi di un

«fenomeno antico quanto la stessa comunità»11, è più difficile comprendere

il significato dell’aggettivo “privata”.

10 L’etimo esprime già la carica offensiva del comportamento: deriva dal verbo latino

corrumpere, disfare, guastare, alterare, www.treccani.it/vocabolario/corrompere.

11 V.MONGILLO, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, Edizioni

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12

Innanzitutto, il fatto di corruzione tout court si connota in una violazione di un dovere posizionale. O meglio: il soggetto corrotto trasgredisce una o più regole che presiedono la funzione da lui ricoperta. Per avere la corruzione, deve esistere giocoforza un sistema normativo che disciplina l’ambito di operatività del corrotto. Questo elemento è essenziale: in sua assenza, viene a mancare il parametro d’illiceità della condotta del soggetto.

Connaturata al rapporto corruttivo, vi è poi la prospettiva di un beneficio o vantaggio, non per forza di natura economica, che costituisce l’oggetto dell’accordo segreto12.

Fornite le coordinate per inquadrare l’aspetto essenziale del fenomeno, è decisamente più complicato chiarire cosa significhi l’aggettivazione “privata”. In linea di prima approssimazione, si potrebbe fornire una definizione a contrario, ossia: è privato tutto ciò che non è pubblico. Sicché sarebbero da inquadrare come corruzione privata tutti quei fatti che non coinvolgano un pubblico ufficiale o, in senso più generale, un pubblico agente13. Risulta evidente come ciò non contribuisca più di tanto a diradare le nebbie che avvolgono la definizione.

La dottrina straniera pare fornire un apporto più consistente, definendo la corruzione privata come: «the type of corruption that occurs

when a manager or employee exercises a certain power or influence over the performance of a function, task or responsibility within a private organization or corporation»14. Si sono aggiunti una serie di elementi ulteriori: il contesto “non pubblico” diviene un’organizzazione privata o meglio una società commerciale o un’impresa; il soggetto coinvolto possiede una qualifica o di dipendente/impiegato o di dirigente. Entrambe le definizioni sono -per il momento- intese in maniera molto lata. Le regole violate dal soggetto non

12 J. F. MALEM SENA, Globalizzazione, commercio internazionale e corruzione, Il Mulino,

Bologna, 2004, p.20-24

13 A. SPENA, Punire la corruzione privata? Un intervento di perplessità politico criminali, in

Riv. Trim. Dir. Pen. Ec. 2007 cit. p 813

14 A. ARGANDONA, Private to private Corruption, in Journal of Business Ethics, 47 2003,

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13

possono essere quelle dell’imparzialità e buon andamento, ma attengono alle regole proprie «del libero mercato, della concorrenza leale e della lealtà nel

lavoro»15. Il pactum sceleris non diverge particolarmente dalla corruzione

pubblica e si sostanzia nel «gain a particular benefit by offering some reward,

financial or nonfinancial, to representative(s) of another private company»16, dove l’unica difformità è l’appartenenza ad un’impresa da parte dei soggetti coinvolti.

Pur avendo punti in comune con il pendant pubblicistico17, la percezione collettiva della corruzione privata è pressoché assente: o ha una scarsissima portata offensiva ed è di rara verificazione, oppure le cause sono da rintracciare in altri motivi. Le ragioni della scarsa attenzione, anche da parte degli addetti ai lavori, paiono discendere da una convinzione quasi stereotipata del settore privato. Questo è ritenuto da sempre come maggiormente capace di salvaguardare i propri interessi autoregolandosi, così che sarà cura dei managers approntare soluzioni che impediscano condotte corruttive da parte dei dipendenti. Altra motivazione si rintraccia nella competitività del mercato, ritenendo che, quanto più vi sia concorrenza, tanto meno si crea la possibilità di condotte generatrici di inefficienza18.

Ci sono almeno altri due motivi che rendono la corruzione privata maggiormente insidiosa rispetto a quella pubblica. Il primo è costituito dalla scarsissima propensione da parte delle imprese a far emergere i fatti corruttivi avvenuti al loro interno. Il secondo coincide con il fatto che il fenomeno

15 J. F MALEM SENA, Globalizzazione…op. cit. cit. p.22.

16 K. JAAKSON- L. JOHANNSEN-K. HILMER PEDERSEN- M. VADI-G. ASHYROV-A.

REINO-M.L. SÖÖT, The role of costs, benefits, and moral judgments in private-to-private corruption, in Crime, Law and Social Change, 2019, cit.p.84

17 Per approfondire l’argomento, tra la molteplice letteratura si segnala: Il prezzo della

tangente, a cura di G. FORTI, Vita e Pensiero, 2003; T. PADOVANI, Il problema “tangentopoli” tra normalità dell’emergenza ed emergenza della normalità, in Riv. it. dir.

proc. pen.1996, p.448ss; G. FORTI, L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”:

inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv. it.

dir. proc. pen., p.476ss

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14

corruttivo si verifichi all’interno di transazioni commerciali in apparenza del tutto lecite.

In conclusione, per inquadrare la rilevanza del fenomeno, è utile far riferimento a due casi balzati recentemente all’onore della cronaca.

Il primo è il caso di corruzione tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e il sindacato United Auto Workers (UAW). Sulla scia dell’inchiesta federale anticorruzione del 2017, che oltre ai vertici del sindacato UAW aveva già coinvolto dirigenti FCA e di General Motors (GM), nel novembre 2019 la stessa GM ha denunciato FCA e alcuni suoi ex dirigenti per corruzione. Secondo la denuncia fatta da GM, i fatti risalgono al 2009, 2011 e 2015. Durante la contrattazione per il rinnovo dei contratti collettivi dei metalmeccanici, FCA avrebbe pagato tangenti per ottenere concessioni e vantaggi per sostenere minori costi per la forza lavoro. Successivamente a questi presunti accordi corruttivi, FCA ha potuto assumere più dipendenti temporanei con un minor costo orario rispetto alle case automobilistiche concorrenti19.

L’altro caso è l’assegnazione da parte della FIFA al Quatar dei mondiali di calcio 2022. Pare che tale assegnazione sia stata resa possibile proprio in virtù della dazione di tangenti consistenti verso dirigenti FIFA e figure di primissimo piano UEFA20. L’indagine condotta dalla Pnf prende avvio nel 2016 ed i fatti che segnano l’inizio della vicenda risalgono al 2010, nello specifico al pranzo svoltosi a Parigi tra Platini, all’epoca presidente dell’UEFA, Sarkozy e gli Emiri del Qatar21. Secondo l’accusa, è proprio questo il momento di contatto per indurre il Presidente UEFA a votare a favore dell’assegnazione del Mondiale. Unitamente a ciò, parrebbe che anche la FIFA fosse al centro di un complesso corruttivo sistemico. Ciò sembrerebbe confermato dal coinvolgimento nell’indagine dei dirigenti con diritto di voto per l’assegnazione, i quali sarebbero stati corrotti non solo

19 Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2019, p. 19.

20 https://tg24.sky.it/mondo/2019/06/18/platini-fermato-corruzione.html

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15

mediante somme di denaro, ma anche con la concessione di altre utilità inquadrabili come benefits22.

Le vicende appena illustrate rendono plasticamente tutte le particolarità richiamate: la complessità di far emergere i fatti e la mutevolezza delle utilità illecite, non per forza costituite da denaro.

1.1.2 Analisi socioeconomica e dei costi della corruzione

Ineludibile per un’indagine completa è l’analisi socioeconomica. In tal modo è possibile percepire il fenomeno corruttivo in “rerum naturae” e quali effetti provoca nel tessuto economico. Dal punto di vista storico, la maggiore attenzione per la corruzione privata risale al processo di privatizzazione avvenuto tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, allorquando si è registrato un mutamento degli assetti di mercato con il passaggio dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore. In questa particolare fase storica, si è assistito alla privatizzazione delle imprese pubbliche e delle attività di erogazione di pubblici servizi facendo venir meno la c.d.

imprenditoria statale che era stata la principale protagonista dell’economia

statale nonché al centro di numerose indagini per corruzione di pubblici funzionari23.

Sarebbe ingenuo, tuttavia, pensare che la privatizzazione abbia eliminato tout court la corruzione dal sistema, spostando semplicemente il problema dal pubblico al privato. Ciò ha comportato il crearsi di un’area di impunità: i soggetti dapprima sottoposti allo statuto penale della PA, hanno

22 Si fa riferimento a benefit, «come quello "incassato" da tre membri esecutivi della Fifa

con diritto di voto, prelevati da un jet privato appartenente alla federazione del Qatar e portati direttamente a una festa a Rio de Janeiro pochi giorni prima della votazione»

https://www.foxsports.it/2017/06/27/mondiali-qatar-2022-bild-svela-rapporto-fifa-corruzione/.

23 Noto è il caso della fusione tra Eni e Montedison sul finire degli anni Ottanta che genererà

il filone più eclatante di Mani Pulite (c.d. maxitangente Enimont). Durante il processo di privatizzazioni delle aziende controllate dall’IRI vi sono stati molteplici procedimenti giudiziari tra le quali spicca la vicenda SME. Per una breve cronaca v. https://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2003/11_Novembre/22/sme_storia.shtm.

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perso la qualifica pubblicistica, la quale non è estendibile agli imprenditori privati subentrati nella gestione. Da una parte, è stata resa impossibile l’applicazione delle norme sulla corruzione pubblica, salvo evidenti forzature24, dall’altra non era presente una fattispecie che incriminasse la corruzione privata.

Segnatamente, si è assistito allo sganciamento della dimensione economica dal controllo statuale. Le ragioni dell’arretramento dello Stato sono da rintracciare nell’«idea hayekiana secondo cui la complessità delle

economie e del mercato impedirebbe allo Stato centrale di avere un’adeguata conoscenza locale e, dunque intervenire efficacemente».25 Si è ritenuto che la pervasiva disciplina del mercato misto dovesse essere sostituita con la più duttile autodisciplina degli operatori economici. Quest’ultimi possiedono un bagaglio cognitivo che riesce a far fronte rapidamente ai complessi cambiamenti del nuovo mercato globalizzato26.

Di conseguenza, la repressione della corruzione privata è diventata fondamentale perché impatta direttamente sul mercato e, nello specifico, sul meccanismo della domanda e dell’offerta. Il perfezionarsi del pactum

sceleris, si traduce in una forte asimmetria informativa tra il corruttore, che

accede ad una posizione di vantaggio illecita, e gli altri concorrenti 27. Questo scarto genera inefficienza in quanto non permette un’allocazione ottimale delle risorse. Si genera uno spreco delle stesse, permettendo ad un imprenditore che produce in modo non economico, o senza incontrare i desideri della domanda, di continuare ad operare nel mercato.28

24 R. ACQUAROLI-L. FOFFANI, La corruzione tra privati: note introduttive

sull’esperienza italiana, in AA.VV. La corruzione tra privati esperienze comparatistiche e

prospettive di riforma, Giuffrè, Milano, 2003, p.7-8; A. SPENA, Punire la

corruzione…op.cit. p.838-839.

25 G. FORTI, La corruzione tra privati nell’orbita di disciplina della corruzione pubblica:

un contributo di tematizzazione, in AA.VV La Corruzione tra privati… op.cit., cit. p. 338 v.

nt. 103 e 104 per approfondire teorie Hayek e Foucault.

26 G. FORTI, ibidem, p.339 e ss.

27 M. NUNZIATA, Verso l’(indispensabile) incriminazione della «corruzione inter privatos»

in Riv. pol. 1998, p.422 e ss.

28 M. ARNONE, E. ILIOPULOS, La corruzione costa effetti economici, istituzionali e

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17

Tale analisi conferma un dato ormai consolidato: la corruzione costa. Questa affermazione, valida per il settore pubblico, si adatta perfettamente anche per quanto riguarda l’area privata.

Si rende necessaria, però, una precisazione: i costi si suddividono in esterni ed interni al patto corruttivo. Quelli esterni presentano un ulteriore dicotomia tra costi macroeconomici e microeconomici. Per fugare ogni dubbio sulla perniciosità del comportamento corruttivo, è doveroso far riferimento ad almeno una teoria delle c.d. «grease hypothesis»29. È il modello c.d. «speed money», ove la corruzione viene concepita come un vantaggio temporale. Data una certa situazione di coda e di tempi rallentati, il corruttore, ossia colui che attribuisce maggior costo-opportunità al fattore temporale, decide di corrompere la controparte. Il fine è quello di rimuovere l’ostacolo e di giungere alla conclusione dell’operazione. In tal modo, la corruzione è sì un costo, ma è efficiente perché consente un risparmio di tempo e, dunque, un’allocazione ottimale delle risorse30.

Tuttavia, tale modello finisce per restringere eccessivamente l’area della corruzione. «Infatti, la possibilità di trarre tangenti dall’esistenza di

code favorisce comportamenti diretti ad aumentare i tempi d’attesa allo scopo di mantenere o accrescere il livello della tangente stessa». La

conseguenza è che il costo microeconomico della tangente, per la singola transazione, aumenta «danneggiando l’efficienza del sistema»31 nel suo

complesso. In tal modo, quello che all’inizio poteva essere uno scenario vantaggioso ed efficiente, genera un’allocazione non ottimale delle risorse.

Tenendo ferma la considerazione della corruzione come un costo microeconomico, il rimedio potrebbe essere quello di considerarla come un

29 Formulate negli anni Sessanta da Leff e Huntington, queste teorie concepiscono la

corruzione come “lubrificante” (grease) per gli affari e per il miglior funzionamento del mercato. Negli anni successivi si è utilizzato l’esperienza del rapido sviluppo di Thailandia e Indonesia per giustificare l’istituzionalizzazione della corruzione percependola come pagamento di un servizio mirante a ridurre l’incertezza delle scelte economiche. Approfonditamente v. GALEAZZI, Corruzione, efficienza del sistema produttivo e sviluppo

economico, in AA.VV, La corruzione privata op.cit., p.179 e letteratura ivi citata

30V. amplius G. GALEAZZI, ibidem, p.179ss.

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18

qualsiasi elemento di costo in una normale operazione di investimento. In realtà, il “costo tangente” è solo apparentemente assimilabile ad un costo generico. Osservandolo in chiave di profittabilità, ha un onere decisamente maggiore rispetto ai normali costi di gestione dell’impresa. Questo avviene sia perché non può essere fiscalmente detratto, sia perché immette - nell’intera operazione di investimento - un ulteriore elemento di rischio.32

Per quanto riguarda il punto di vista macroeconomico, la presenza della corruzione ha molteplici ricadute negative sul sistema economico. Innanzitutto, provoca una distorsione che impatta sulle nuove imprese. La presenza di una corruzione diffusa in un determinato settore di mercato è un disincentivo per l’ingresso dei nuovi operatori. Infatti, questi non possono permettersi di sostenerne i costi d’ingresso, pur offrendo prodotti migliori.33 La diretta conseguenza è che l’astensione da parte di nuove imprese ad entrare nel mercato comporta un rallentamento della crescita del sistema. Perciò, saranno sempre le stesse imprese a rimanere sul mercato, nonostante non effettuino investimenti in programmi d’innovazione.

Ancor più in generale, la corruzione impatta sul processo di crescita e di sviluppo dell’economia34, costituendo un disincentivo per i nuovi investimenti diretti esteri. Questi sono altamente positivi per il tessuto economico che li accoglie, in quanto trasferiscono nuovi saperi e tecnologie. Poiché impegnano nel medio-lungo periodo, gli imprenditori saranno disincentivati ad investire in un tessuto economico corrotto, il quale aggiunge una componente di rischio facilmente prevedibile.35

Infine, la corruzione privata incide soprattutto sulle piccole-medie imprese (PMI). A differenza di quelle di grandi dimensioni, le PMI non riescono a far fronte ai costi della pratica illecita. La conseguenza diretta è che questa tipologia di imprese è spinta ai margini del mercato, se non

32 G. GALEAZZI, ibidem, p.183-183.

33 M.ARNONE-E. ILIOPULOS, La corruzione costa…op. cit., 2005, p.39-40.

34 K.A. ELIOTT, Corruption and the global economy, Institute for international economics,

Washington, 1997, p. 43.

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addirittura al di fuori dello stesso. La ridotta dimensione e la difficoltà nell’operare in contesti distorti determinano come conseguenza il farle agire in mercati privi di corruzione e perciò altamente concorrenziali. Ciò comporta che le PMI avranno profitti ulteriormente ridotti in virtù della molteplicità di imprese concorrenti36.

Bisogna ora considerare i c.d. «costi di gestione della tangente» che si strutturano come veri e propri costi di transazione37 e che rappresentano la componente maggiormente aleatoria. La loro entità non è completamente definibile a priori, bensì solo al momento dell’esecuzione della tangente poiché a seconda del caso concreto muta il numero di soggetti convolti e le dinamiche realizzative. In tal senso le considerazioni di natura economica valide per gli scambi leciti si adattano mutatis mutandis anche per gli scambi corruttivi a conferma dell’esistenza di un vero e proprio mercato corruttivo: governato da regole proprie che riproducono i meccanismi delle transazioni lecite38.

Procedendo con maggior precisione, questi costi possono essere scomposti in tre tipi: a) costi di ricerca-identificazione, b) i costi di negoziazione, c) i costi di enforcement.

I costi sub a) consistono nelle risorse impiegate per ricercare e

assicurare che la controparte sia affidabile e propensa ad effettuare il patto illecito; quelli sub b) sono parte centrale dell’accordo e riguardano le regole che governeranno lo scambio corruttivo e l’entità della tangente. Il punto c) assorbe tutti i costi per assicurare l’adempimento del patto illecito39. Proprio quest’ultima componente mostra un’alta capacità criminogena della

36 M.ARNONE-E. ILIOPULOS, ibidem, p.58-60.

37 I costi di transazione teorizzati da Coase nel 1937 in «The nature of the firm»

-rappresentano, nella variante neoclassica, «i costi per l’utilizzo del mercato» cioè rappresentano le risorse spese per giungere all’attuazione di un accordo. Si strutturano in: spese per l’incontro delle parti; costi per lo scambio di informazioni, costi per la negoziazione dell’accordo stesso e infine costi per garantire l’esecuzione. A VANNUCCI, Costi di

transazione e maccanismi di governance nel mercato della corruzione, in Rivista Italiana

Politiche Pubbliche, fasc,1, 2018, p.28 e ss.

38 A. VANUCCI, Costi di transazione…op. cit., p. 29-30. 39V. amplius A. VANNUCCI, ibidem, p.31 e ss.

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corruzione in quanto capace di delineare un vero e proprio sistema di tutela parallelo ed illecito40.

La componente di enforcement prevede delle vere e proprie sanzioni volte ad imporre costi aggiuntivi alla parte inadempiente. Ciò è finalizzato a rendere più sicure le transazioni corruttive, ossia ad evitare che la controparte non rispetti le regole del gioco. Queste sanzioni mirano a colpire la reputazione del soggetto attraverso la minaccia di rendere pubblico lo status di corrotto o corruttore oppure a stigmatizzarlo all’interno del sistema corruttivo tacciandolo di inaffidabilità, in modo tale da estrometterlo da futuri scambi corruttivi e dalle operazioni economiche che li presuppongono41.

È ora necessario fornire una rappresentazione plastica del rapporto corruttivo attraverso la descrizione del suo presupposto ontologico: la “relazione di agenzia” tra principale e agente42. L’agente-dipendente deve

essere titolare di una posizione di responsabilità43, caratterizzata dalla delega da parte del principale di un certo numero di poteri e doveri volti al perseguimento degli obiettivi dell’organizzazione sociale. La conseguenza è che questo soggetto sarà legato da un rapporto di fedeltà ed esclusività rispetto alla cura degli interessi del principale.

Parallelamente alla “relazione di agenzia” -fisiologica- se ne instaura un’altra -patologica- tra l’agente e un soggetto terzo, la “relazione corruttiva”. Questa ha come oggetto il contravvenire al corretto espletamento dei doveri e poteri posizionali per apportare un vantaggio non dovuto al terzo in cambio di un’utilità.

Potrebbe sembrare un ossimoro pensare ad un principale che non controlli il suo agente o che possa tollerare -se non incoraggiare-

40 La componente di enforcement genera a sua volta ulteriori costi a seconda: a) della durata

e vocazione a ripetersi del rapporto illecito b) ammontare della tangente c) l’ampiezza della rete corruttiva, v. A. VANNUCCI, ibidem, p 33-34.

41 A. VANNUCCI, ibidem, p.35 e ss.

42 G. FORTI,La corruzione tra privati nell’orbita di disciplina della corruzione pubblica:

un contributo di tematizzazione, in AA.VV La Corruzione tra privati esperienze op.cit., p.

.294-296.

43 A. SPENA, Punire la corruzione privata? Un inventario di perplessità criminali, in Riv.

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comportamenti corruttivi. In realtà, dal punto di vista dell’impresa, che per sua natura è volta a massimizzare i profitti, ciò è del tutto plausibile. Il controllo esercitato sull’agente sarà tanto minore quanto sarà funzionale all’incremento dei profitti e, dunque, pienamente in linea con i fini imprenditoriali. Invero, il “controllo” dell’agente è un vero e proprio “costo di agenzia” in quanto implica una serie di investimenti e oneri a carico del

principale44.

1.1.3 Descrizione criminologica

Per inquadrare la devianza alla base di queste condotte, bisogna fornire le coordinate del tipo di criminalità a cui appartengono il corrotto e il corruttore, partendo dal contesto sociale ove si muovono. Come già affermato45, la cornice sociale è l’impresa, o meglio, il mondo degli affari nella sua genericità. Secondo l’indagine pionieristica di Sutherland, tale contesto è pienamente riconducibile alle c.d. «sottoculture criminali»46, aventi un proprio quadro di riferimento valoriale «largamente estrane[o] al

clima dei valori tradizionali comuni all’intera società»47. Si è dinanzi ad un

humus culturale altamente deviante. Il soggetto, non solo è incoraggiato ad

uniformarsi ai comportamenti criminali per assolvere ordini dei superiori, ma anche per evitare di essere marginalizzato all’interno dell’ufficio ove la pratica criminale è prassi. Difficilmente, egli percepirà il disvalore del comportamento illecito, proprio perché all’interno della “sottocultura degli affari” è considerato come neutro, se non addirittura con valenza positiva48. Ulteriore aspetto tipico della criminalità degli affari, intimamente connesso al precedente, è l’appartenenza del soggetto ad una classe o gruppo socialmente

44 G. FORTI, La corruzione tra privati…op.cit. p. 297. 45 V. supra.

46 Per approfondire, v. E.H SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, a cura di Gabrio

Forti, Giuffrè, 1987.

47C.E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen. cit. p.916. 48 v. A.K. COHEN, The sociology of deviant act: anomie theory and beyond, in American

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accettati. L’ammirazione e l’accettazione da parte dalla collettività comporta l’affievolirsi della general prevenzione: il comportamento non viene percepito come criminale e dato l’elevato tasso di tecnicismo dei comportamenti economici non immediatamente percepibili dall’uomo della strada49.

La corruzione, segnatamente quella privata, aggiunge ulteriori elementi disvalorali; è un reato-contratto, il collante dell’intesa criminosa è il mantenimento del silenzio da parte dei protagonisti. La conseguenza è una bassissima propensione alla delazione che comporta l’assenza di percezione del disvalore da parte dei consociati50.

Soffermandosi sulle proiezioni lesive, l’obbiettivo è di far emergere con quanta più chiarezza possibile chi possa essere la vittima dei comportamenti corruttivi. In prima battuta, vi è l’imprenditore, qualora il soggetto corrotto consegua un vantaggio meramente personale. Tuttavia, si è in presenza anche di una «vittima diffusa», che ricomprende tutti i terzi che interagiscono con l’azienda, sia attivamente che passivamente. Rientrano in questa ampia categoria: i consumatori, i fornitori e gli altri imprenditori concorrenti, cioè tutti coloro che vantano un interesse legittimo verso l’azienda. La molteplicità dei rapporti fa sì che vi sia una frammentarietà della lesione, «sicché le vittime danneggiate da singoli comportamenti corruttivi

tardano a percepire i contorni della condotta illecita e, conseguentemente il danno subito»51. La difficoltà di percepire il fenomeno accentua la mancanza

di cognizione dei risultati apportati dalla disciplina repressiva. Da un lato, i destinatari, cioè gli operatori economici, non hanno grande interesse ad una disciplina che renda gli scambi commerciali più gravosi dall’altro, i beneficiari reali -gli stakeholders- non si riconoscono come tali e non posseggono un’adeguata conoscenza tecnica per comprendere la disciplina52.

49 C.E PALIERO, Consenso sociale…op.cit., p. 915-916.

50 G. MANNOZZI, Combattere la corruzione: tra criminologia e diritto penale, in Dir. Pen.

Proc., 2008, p.780; M. SENA, Corruzione…op.cit., p. 21.

51 G. MANNOZZI, Combattere la corruzione op.cit., p. 782.

52 C.E PALIERO, Consenso sociale…op.cit., p.916. L’A. delinea un interessante parallelo

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Chiariti tutti gli aspetti “statici” del rapporto corruttivo, è necessario analizzare come la corruzione si dipani nel mondo degli affari. È d’obbligo precisare che, la medesima classificazione delle forme che può assumere la corruzione pubblica è mutatis mutandis traslabile nella descrizione di quella privata, di conseguenza anche essa può essere pulviscolare, sistemica e

organizzata.

È pulviscolare la corruzione caratterizzata da un allarme sociale dimidiato, che si concreta in un incontro occasionale tra soggetti e da una struttura organizzativa minima o inesistente per la gestione dello scambio, oltre che dall’assenza di terzi garanti. I soggetti coinvolti non possiedono un elevato status all’interno dell’ente: ad esempio, è probabile che sia coinvolto il solo dipendente responsabile per quella determinata transazione. Alla ridotta dimensione della corruzione pulviscolare, al contrario, corrisponde una forte potenzialità criminogena. Questa può costituire il punto di partenza per l’evoluzione del rapporto corruttivo in strutture più complesse, le quali presuppongono come regola base un’interiorizzazione delle dinamiche criminogene che governano il mercimonio illecito53.

La corruzione sistemica rappresenta un’espansione dei rapporti corruttivi pulviscolari, ove il numero di soggetti aumenta e vi è «un complesso

di regole di comportamento, con ruoli ben strutturati tra diversi individui appartenenti al gruppo organizzato dei corrotti e da relazioni di connivenza con altre strutture di controllo e agenti non direttamente coinvolti»54. È utile

esemplificare: al responsabile della singola transazione si aggiunge il responsabile dell’ufficio acquisti. I contatti con il o i corruttori non divengono sporadici, ma bensì frequenti, concretizzando quella vocazione a ripetersi insita nei comportamenti corruttivi. È proprio in questo momento che si

conto che la legge sulla droga non ha liberato le strade dai tossicodipendenti e dalla loro temuta microcriminalità, mentre nessun quivis de populo sentirà il bisogno di controllare-ammesso che ne sia informato- i risultati conseguiti dalle norme che hanno di recente criminalizzato l’insider trading».

53 A. VANNUCCI, Costi di transazione…op.cit., p. 40-41.

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instaura una precisa prassi corruttiva, con regole definite e attribuzione di ruoli precisi.

Al culmine della progressione criminale, vi è la corruzione

organizzata, che è propria di vaste aree e settori. Ciò comporta una

complessità tale nel governo degli scambi corruttivi, che rende necessario il ricorso ad uno o più garanti per permettere l’efficienza del sistema. La categoria dei terzi garanti è eterogenea e può ricomprendere diverse figure: i c.d. faccendieri; altri imprenditori con una posizione di dominio nel mercato e infine, politici. È intuitivo come l’interazione tra più soggetti anche pubblici, crei una c.d. «zona grigia», con la possibilità che la corruzione privata si saldi a quella pubblica55. Quest’ultima ipotesi è propria della creazione di distorsioni permanenti in determinati settori di mercato: «si pensi

a tutta la filiera di aggiudicazione dei lavori svolta in forma privata -non è raro che l’ufficio commerciale chieda una percentuale sul valore dei lavori- per aggiudicare l’ordine […] un comportamento del genere […] impedisce che l’ordine di lavoro venga attribuito a chi ha presentato la miglior offerta di prezzo, il miglior progetto e fornisce le migliori garanzie realizzative»56.

1.2 Dibattito dottrinale sulla risposta sanzionatoria

1.2.1 Corruzione privata come fenomeno fisiologico dell’homo oeconomicus

Segnatamente all’introduzione nell’ordinamento italiano del delitto di “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità” -art. 2635 c.c.-57 si sono sollevate voci critiche sul ricorso alla criminalizzazione delle condotte corruttive private. Tali rilievi ritengono che l’utilizzo del diritto penale in questo settore sia, in realtà, un velo di Maya: la scelta della penalizzazione celerebbe unicamente un giudizio etico volto a stigmatizzare un comportamento -quello della violazione del dovere di fedeltà dell’agente al

principale- senza che vi sia una reale aggressione ad un bene giuridico. La

55 A. VANNUCCI, Costi di transazione…op.cit., p. 42-43.

56 M.A. TESI, Le tipologie della corruzione, Giappichelli, Torino, 2012 cit. p.183-184. 57 Introdotto nel 2002 con il D. Lgs 11 aprile 2002 n°61.

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fattispecie risulterebbe del tutto estranea ai tradizionali pilastri del diritto penale classico: la ratio della tutela riposerebbe interamente nell’intento di moralizzare l’attività imprenditoriale privata58. Secondo la tradizionale concezione del laissez-faire la libertà del mercato non dovrebbe essere limitata utilizzando la sanzione massima dello strumento penale. Questa posizione intransigente si spinge oltre, ritenendo che l’assunzione del rischio d’impresa rischio d’impresa dovrebbe essere premiata mediante «una

franchigia in termini di libertà d’azione anche eticamente scorretta»59.

Soffermandosi sulla fedeltà dell’agente, questa è qualificabile solamente in rapporto all’interesse del superiore. Ogniqualvolta l’agente persegue un interesse proprio o del terzo, viola il dovere di fedeltà. Come si è già accennato, la conseguenza è che, reprimere la corruzione privata equivale a incriminare un atteggiamento morale, privo di reale consistenza materiale60.

Altri61 hanno individuato il bene giuridico protetto nel patrimonio del principale. Tuttavia, nella scala dei valori, il rango ricoperto da questo bene non è tale da giustificare un’eccessiva anticipazione nelle forme del pericolo astratto o presunto della tutela. Vi è di più: il modello lealistico-soggettivo ha l’ulteriore difetto di spostare il baricentro della corruzione dal pactum sceleris all’esecuzione di ciò che si è pattuito. In altre parole, l’agente nel momento in cui perfeziona il patto corruttivo non ha ancora posto in essere alcun atto contrario all’interesse del principale, evenienza quest’ultima che potrebbe anche non verificarsi. L’esistenza del pactum sceleris non implica di per sé l’automatica produzione di un atto contrario agli interessi del principale.

Questa concezione non permette di distinguere la corruzione propria da quella impropria, né considera la riserva mentale del corrotto che non

58 E. MUSCO, L’illusione penalistica, Milano,2004, p4ss. Nello specifico l’A. ritiene che

questa politica criminale sia stata frutto di gruppi di pressione tra i quali la Chiesa cattolica e Wtc per imporre l’etica corrente nel mondo degli affari p.14.

59 E. MUSCO, ibidem, cit. p15.

60 A. SPENA, Punire la corruzione privata? ...op.cit., in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, p.

820-823.

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26

proceda alla sua esecuzione pur avendo concluso il patto illecito 62. Risulta chiara la volontà principalmente moralizzatrice della disciplina: anche volendo cercare di rendere più concreto il referente valoriale, il risultato ottenuto è comunque quello di una tutela penale oltremodo dilatata. Non solo: vengono inclusi nel fatto tipico anche quei comportamenti che, pur essendo moralmente ambigui, sono realizzati in esecuzione dei valori propri dell’homo oeconomicus, senza essere meritevoli di pena63.

La posizione dottrinale in esame ha il pregio di gettare uno sguardo critico sul confine labile tra comportamento moralmente riprovevole e comportamento disvaloriale meritevole di essere punito., Vi è il pericolo di costruire una tutela che consenta un’indagine nel foro interno per accertare se effettivamente il soggetto abbia tenuto un atteggiamento moralmente riprovevole, cioè lesivo della fiducia riposta in lui dal superiore. Sintetizzando, si difende la laicità dello strumento penale che non può, o meglio non dovrebbe prescrivere comportamenti meramente educativi, che assumono le forme di un diritto penale simbolico. Ne deriva il ricorso allo strumento penale, senza che vi sia una reale lesione da ricomporre nella società; bensì utilizzato come vessillo da sventolare per rassicurare la collettività 64.

Diviene ovvia la conclusione di alcuni autori 65 secondo cui occorre fare un passo indietro, abbandonando le velleità punitive per scegliere una disciplina civilistica o di soft law.

62 A. SPENA, Punire la corruzione privata? …op.cit., p.824-826. 63 A. SPENA, ibidem, p.840-841.

64 Parla di “risvolti demagogici” N. MAZZACUVA, Gli art.2634 e 2635cc: diritto penale

simbolico o necessaria “frammentarietà” dell’intervento punitivo, in AA.VV. La corruzione tra privati…op.cit., p.349 e ss.

65 v. S. SEMINARA, Intervento…op.cit., p.273 e ss: «una volta stabilita la dimensione

privatistica in cui muove la fattispecie, la consueta evocazione dei concetti di lealtà o probità del dipendente non può trarre in inganno… perché non sono beni in se meritevoli di tutela… al più rivestono una natura propedeutica alla lesione di un bene diverso». E. MUSCO, L’illusione penalistica…op.cit., cit.p.18-19: «l’inadempimento di una regola di correttezza commerciale…il livello di lesività sia talmente basso… dovrebbero addirittura essere sufficienti i codici di comportamento”»

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In conclusione, la critica verso l’incriminazione delle condotte di corruzione privata verte sulla stigmatizzazione dell’ineliminabile ambiguità morale66 insita nei comportamenti economici. L’intento perseguito dal legisaltore sembrerebbe quello di purificare il mondo degli affari, colpendo le fasi preliminari dell’iter criminoso. Vengono così punite condotte che solo in via presuntiva ed eventuale possono portare a conseguenze dannose, con conseguente rischio di rarefazione del disvalore del fatto tipico. La tecnica legislativa così adottata è del tutto estranea a quella prescritta dal diritto penale classico. Il punto di partenza utilizzato per approntare la tutela contro la corruzione privata non è l’evento di danno o di pericolo. Viene considerato un momento saliente lesivo -la violazione del dovere di fedeltà- intorno al quale si costruisce la fattispecie, senza che si operi un riscontro effettivo se quel comportamento possa cagionare un danno reale. Il risultato ottenuto è una disciplina ipertrofica avulsa dalla connotazione di extrema ratio e di sussidiarietà che dovrebbe avere la legislazione penale67.

1.2.2 Corruzione privata come illecito da reprimere

La necessità di punire sarebbe giustificata dal «ruolo istituzionale

proprio del diritto penale, [cioè] impedire la trasfigurazione dell’homo oeconomicus in homo homini lupus»68. La differenza verte sulla divergente

concezione dell’etica degli affari. La posizione dottrinale Per analizzata legittima l’homo oeconomicus ad attuare comportamenti eticamente riprovevoli, perché così facendo esegue i precetti del mondo degli affari: tale posizione non sostenibile. L’etica generale del mondo degli affari, cioè la massimizzazione dei profitti, non può costituire una legittimazione dei comportamenti scorretti. La morale generale, quella diffusa tra i consociati, assume sempre un ruolo di primazia ed i suoi precetti devono essere osservati

66 S.P. GREEN, Moral ambiguity in white collar criminal law, in Notre Dame Journal of law,

Ethics & Public Policy, 2004.

67 C. LONGOBARDO, L’infedeltà patrimoniale, Edizioni Scientifiche Italiane Napoli, 2013

p.146 e ss.

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ancor prima di quelli dell’etica settoriale69. È proprio la morale pubblica maggiormente diffusa ad essere recepita dal legislatore; ma allo stesso tempo il rapporto tra etica/morale e diritto si interrompe nella formazione della legge. La regola giuridica non ha più alcun contenuto etico, «ricercare un

contenuto morale nelle regole di concorrenza, si rivela inutile conato. […] Si tratta di disposizioni necessarie alla sopravvivenza del mercato nel quale tutte le imprese devono operare […]»70.

Quella che per alcuni è un’operazione di moralizzazione dei costumi, per altri è il normale dispiegamento della funzione d’elezione del diritto penale, ossia garantire la convivenza pacifica dei consociati, stigmatizzando i comportamenti che la possono minare. Tale assunto se trasportato nella legislazione speciale economica, rende la punizione del tutto conforme ai principi generali. Se è vero che l’operatore economico è portato ad agire in maniera auto-interessata, è altrettanto vero che sarà portato ad alterare le regole del gioco per cercare di distorcere a suo favore il contesto istituzionale ove opera. L’intervento del legislatore è rivolto ad eliminare proprio tale comportamento distorsivo, tutelando il pacifico dispiegarsi dei rapporti commerciali71.

La presunta connotazione morale della legislazione contro la corruzione privata è del tutto infondata. Tali critiche pagano l’errato inquadramento del bene giuridico protetto, che non è il patrimonio del principale o la lealtà del rapporto d’agenzia, ma il rispetto delle regole del mercato. L’intervento penale diviene garante delle regole dei rapporti economici, o meglio della convivenza pacifica degli operatori del mercato, ponendosi «quasi come le regole della cavalleria, nel rispetto cioè di una

lealtà particolare nella slealtà [competitività tra imprese]»72.

La necessità dell’intervento penale è un’esigenza ancor più avvertita, data la dimensione transazionale che hanno assunto gli scambi commerciali.

69 G. ROSSI, L’etica degli affari, in Riv. Delle Società, 1992, p.540. 70 G. ROSSI, ibidem., cit., p. 548.

71 M.NUNZIATA, Verso l’(indispensabile)…op.cit., p. 423. 72 G. ROSSI, L’etica…op.cit., cit. p. 545, parentesi aggiunte.

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La conseguenza è che la concorrenza tra imprenditori si è intensificata con il contestuale accrescimento delle vittime dei comportamenti corruttivi. Per tutti questi motivi, è impensabile concepire la corruzione privata come un normale costo aziendale. Trattandosi di condotte idonee a provocare danni nel tessuto economico nel suo complesso, la criminalizzazione risulta opportuna anche se le condotte non sono immediatamente pregiudizievoli sotto il profilo del disvalore d’evento 73.

1.2.3 Le possibili soluzioni fornite dall’ordinamento

1.2.3.1 L’eterna questione dell’opportunità dell’intervento penale in economia

Ogniqualvolta si considera la tutela di un bene sovraindividuale nell’ambito del diritto penale economico si ripropone la questione dell’opportunità dell’intervento penale. La discussione verte sulla possibilità che una tutela siffatta possa essere contraria ai canoni del diritto penale classico. Nello specifico, viene rilevata la contrarietà al principio di offensività verso un bene giuridico individuale e determinato. Parte della dottrina nega che possa esservi l’anticipazione della tutela penale, senza la concretizzazione della lesione del bene giuridico individuale74: in questi casi, l’intervento penale dovrebbe cedere il passo a soluzioni extra-penali. Tuttavia, tale impostazione è eccessivamente restrittiva e appiattita su concezioni liberali di politica economica.

Prima ancora che sull’opportunità dell’intervento penale, la riflessione deve poggiarsi sulla concezione dell’economia e, nello specifico, della concorrenza. Risulta erroneo ritenere l’attività economica concorrenziale come un sistema avulso da elementi normativi. «Non c’è un

unico e naturale regime di concorrenza, ma tanti regimi di concorrenza

73 R. ZANNOTTI, La corruzione privata: una previsione utile nel nostro ordinamento?

Riflessioni su un dibattito in corso, in Indice Penale,2005, p553-554.

74 Formulata della Scuola di Francoforte, la tesi è comunque temperata dal concepire il bene

collettivo come meritevole di tutela se e solo se si assume come punto di riferimento l’individualità della persona: v. L. FOFFANI, Sicurezza dei mercati e risparmio, in AA.VV Studi in onore di M. Romano, Napoli, 2011, III, p.1930-1931 e bibliografia ivi citata.

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quanti gli statuti normativi»75: è il legislatore a creare il regime di concorrenza attraverso la produzione di norme e disposizioni.

Di conseguenza «l'intervento penale in economia [diventa] non solo

legittimo, ma doveroso. Lo Stato, tenuto conto della tutela accordata anche a mezzo della minaccia di pena, ha l'obbligo di non trascurare un settore primario della vita moderna dove beni collettivi e individuali di decisivo rilievo siano o possano essere gravemente pregiudicati»76. La norma penale

ha la funzione di demarcare il campo di gioco dell’agire economico e di individuarne i limiti (oltre al rispetto della libera concorrenza, si pensi anche alla tutela ambientale, a quella antinfortunistica e del risparmio). L’intervento normativo consente, cioè, di mantenere la materia economica su circuiti virtuosi, assicurando la tutela di beni vitali per lo sviluppo della società e degli individui77. In tale prospettiva l’intervento penale è posto a garanzia del sistema economico78.

In realtà, la critica relativa all’intervento penale in economia è sul

quomodo, più che sull’an. Negli ultimi decenni, si è assistito ad interventi

legislativi rapsodici alternando: la depenalizzazione-bagatellizzazione da un lato e l’iper-penalizzazione dall’altro. È evidente che il vero problema è la totale assenza di una politica criminale dotata di senso e scopo strategico79. La criticità è costituita dall’immissione nel sistema di forti dosi di irrazionalità, con la scomposizione di discipline omogenee o la mancata armonizzazione delle varie fattispecie. Caso emblematico è lo strabismo sanzionatorio, che si è verificato dopo la riforma dei delitti societari del 2002 tra l’art. 2635 c.c. «Infedeltà a seguito della dazione o promessa di utilità» e

75 N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Laterza, 2004, cit., p.136. L’A. precisa che il

concetto di concorrenza è eminentemente normativo, frutto di scelte politico economiche e non di ricezione di modelli presenti in natura.

76 M. ROMANO, Materia economica e intervento penale, in Riv. soc. fasc 2-3, 2010, cit.,

p.551.

77 M.ROMANO,Materia economica…op.cit., p. 550-551.

78 A. CORDA, La forza espansiva della matrice, in Riv.trim.dir.pen.econ.2015, p.789ss.

L’autore fornisce una interessante ricostruzione storica che dimostra che anche per lo stesso Smith l’intervento repressivo nel mercato è funzionale al buon andamento dello stesso.

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l’art. 2634 c.c. «Infedeltà patrimoniale». La fattispecie di cui all’art. 2635 c.c., pur possedendo un maggior carico disvaloriale rispetto a quella di cui all’art. 2634 c.c., aveva un indice edittale inferiore, tradendo in tal modo la

ratio stessa del delitto80.

La produzione di esiti poco opportuni non è da imputare allo strumento -il diritto penale-, ma a chi lo utilizza -il legisaltore-. Molto spesso la regolamentazione penale del mercato è tratteggiata in maniera del tutto sciatta e umorale. Esempio della cattiva tecnica legislativa è il risultato della riforma dei delitti societari del 2002, dove l’intervento del legislatore ha prodotto una tutela complessiva rarefatta con fattispecie -tra cui quella prevista all’art.2635c.c.- rese sterili dall’utilizzo di meccanismi frenanti, tra i quali la procedibilità a querela81. La conseguenza che se ne deve trarre non è una fuga dall’intervento penale tout court, bensì la sua razionalizzazione. L’intervento penale in economia deve possedere tutti quei tratti caratteristici del diritto penale tradizionale. Questo è un monito verso il legislatore che è l’unico a poter individuare il bisogno di pena e soprattutto capace di comprendere quando si debba anticiparla per poter proteggere beni giuridici sovraindividuali82.

1.2.3.2 Rimedio amministrativo

Più voci in dottrina hanno proposto di reprimere la corruzione privata attraverso l’utilizzo di strumenti extra penali. Tra questi vi è il ricorso all’illecito amministrativo ma è evidente che costituisca una scelta pare impraticabile, innanzitutto, in chiave general preventiva. L’utilizzo della sola sanzione pecuniaria comporterebbe un’operazione di bagatellizzazione della fattispecie. La sanzione pecuniaria non comporta una maggiore effettività, ma anzi monetizza la condotta, nel senso che si verrebbe a creare l’effetto costo-beneficio connesso al rischio da illecito, con la conseguenza di rendere

80 V. amplius cap. 4.

81 G.M. FLICK, Dall’andante con moto all’adagio ma non troppo e viceversa. Variazioni sul

tema del diritto penale dell’economia. In Banca borsa, tit. cred., fasc.4, 2011, p. 225.

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accettabile correre il rischio di essere scoperti ogniqualvolta il risultato prodotto dalla corruzione sia maggiore dell’importo della sanzione amministrativa83.

Anche l’utilizzo delle sanzioni interdittive, per cercare di recuperare gli elementi tipici del diritto penale -general prevenzione, stigma sociale, rieducazione- non pare una soluzione convincente. Per quanto siano maggiormente incisive sulla libertà del soggetto rispetto alla sanzione pecuniaria, sarebbero comunque in frizione con i principi costituzionali che informano la pena. Anzi, depenalizzare il reato, facendolo divenire un illecito amministrativo sanzionato con misura interdittiva, attribuirebbe all’intera operazione la patente di truffa delle etichette, poiché al substrato formalmente amministrativo si celerebbe, in realtà, una sanzione penale84.

Vi sarebbero ulteriori difficoltà di natura procedurale per l’accertamento degli illeciti: le autorità amministrative non possono esperire mezzi di ricerca della prova efficaci, come perquisizioni, intercettazioni telefoniche o ambientali. Questi mezzi di ricerca della prova, per la loro invasività nella libertà dell’indagato, devono essere disposti ed eseguiti dall’autorità giudiziaria, nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali. Risulta impensabile, salvo fortissime frizioni costituzionali, attribuire tali poteri alle autorità amministrative indipendenti quali AGCM (Agenzia Garante della Concorrenza e del Mercato) o CONSOB per le società quotate. Ne consegue che la previsione della corruzione privata come illecito amministrativo elide già ex ante la possibilità di una efficace persecuzione dei fatti85. è proprio quest’ultimo punto che costituisce la critica maggiore alla strutturazione di un illecito amministrativo di corruzione privata. Il ricorso alla depenalizzazione può essere utilizzato per reati a struttura semplice. Per

83 C.E. PALIERO, La sanzione amministrativa come moderno strumento di lotta alla

criminalità economica, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, p. 1033.

84 G.M. FLICK, Fisiologia e patologia…op.cit., in Riv. soc. 2011 p.49; A. BERNARDI, La

depenalizzazione e le sue diverse forme, in A. BERNARDI-I. ZODA, Depenalizzazione. Profili teorici e pratici, Padova, CEDAM, 2008, p. 23.

85 A. BERNARDI, Sui rapporti tra diritto penale e soft law, in AA.VV Studi in onore di M.

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