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1) La cultura è (anche) un problema giuridico?

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INTRODUZIONE

IL SENSO DI UNA RICERCA: IL NOSTRO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE NEL CONTESTO MULTICULTURALE

SOMMARIO:1. La cultura è (anche) un problema giuridico? – 2. Cultura, ordinamenti, governabilità. – 3. La Costituzione tra libertà culturale e sviluppo della cultura . – 4. Il senso di una ricerca: il nostro ordinamento costituzionale nel contesto multiculturale.

1) La cultura è (anche) un problema giuridico?

Il presupposto culturale degli ordinamenti costituzionali è rappresentato dall’idea della possibilità di un “orizzonte comune”. È questa idea a dare legittimità, legittimazione, prospettiva, alle regole fondamentali che tengono unite le nostre società.

Invece, da una ventina di anni, si sono venute propagando nuove visioni del rapporto tra la cultura e gli ordinamenti, al tempo stesso più ampie e più ambigue, e soprattutto in grado di revocare in dubbio le radici stesse di quell’idea di “orizzonte comune” di cui si è accennato.

Già nel secolo scorso il ruolo della cultura, del suo controllo o della sua libera espressione, aveva assunto sempre maggiore importanza nei criteri di regolazione dei sistemi, sia democratici che non; con la fine di quello che è stato definito il secolo breve, l’improvvisa apertura di confini, prima invalicabili per le persone come per le idee, ha messo il mondo intero dinanzi al tema del confronto e dello scontro tra culture.

Nuove declinazioni culturali hanno iniziato a mettere in discussione i modelli di governabilità delle nostre istituzioni e, in qualche caso, gli stessi principi fondamentali che ne fanno da presupposto teorico.

Alcune teorie imperniate sul concetto di cultura hanno oggi l’ambizione di presentarsi come modelli di ordine politico generale, in grado di soppiantare o integrare i sistemi liberal democratici occidentali

1

: su queste teorie si è avviato un ampio dibattito che è penetrato nel vivo

1 Nel corso del lavoro e nella bibliografia verranno precisate in modo più analitico le teorie a cui si fa riferimento. È sufficiente indicare solo alcuni dei testi che mi sembrano veramente fondamentali: Per quanto riguarda il relativismo culturale HUNTINGTON, S., P., Lo scontro delle civiltà, Milano, 2000 e SARTORI, G., pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica, Milano, 2000; per quanto riguarda le teorie multiculturaliste TAYLOR, C., Multiculturalismo. La politica del riconoscimento Milano 1993; Gli immaginari sociali moderni, Roma, 2005; KYMLICKA, W., La cittadinanza multiculturale, Bologna, 1995; per quanto riguarda il tema del riconoscimento culturale YOUNG, I., Le politiche della differenza” Milano, 1994;

FRASER, N., HONNET, A., redistribuzione o riconoscimento? Una controversia politico filosofica, Roma, 2007;

per le tesi che cercano di coniugare il multiculturalismo con una qualche forma di universalismo HABERMAS, J., L’inclusione dell’altro, Milano, 1998 e BENHABIB, S., La rivendicazione dell’identità culturale, Bologna, 2005;

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dello scontro sociale e politico, generando fermenti, tensioni e motivi di conflittualità nel tessuto delle società.

Uno degli aspetti più dirompenti che contrassegnano il mondo attuale è rappresentato dal fatto che, dopo la fine delle alternative ideologiche

2

, i “punti di faglia”

3

che dividono ed uniscono gli uomini sembrano spostati intorno a grandi opzioni culturali

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.

In questo lavoro si propone di porre al vaglio queste nuove teorie in materia di cultura nel campo del diritto pubblico; di metterle a fuoco come problemi giuridici, facendole uscire, contemporaneamente, dal limbo della filosofia morale e dalla temperie dello scontro politico.

Il punto è che la cultura sta divenendo lo snodo intorno al quale si gioca il rapporto tra Costituzione (in quanto carta fondamentale contenente le regole e i valori di riferimento) e i modi attraverso i quali gli individui percepiscono sé stessi, dal punto di vista del loro riconoscimento sociale e delle loro aspettative nell’ordinamento giuridico.

Se registrassimo uno iato tra Costituzione e identificazione culturale della comunità nazionale, tra l’immagine che la società ha di sé e i principi che rendono credibili le norme, comprese quelle giuridiche, qualche problema si porrebbe. La tenuta del sistema costituzionale, la verifica,

“il tagliando”, del rapporto tra cultura costituzionale e orientamenti culturali della società sarebbero in discussione.

L’occasione viene fornit a dal fatto che, nell’analisi dei nuovi statuti regionali, emerge che questi tendono variamente ad assumere o a confrontarsi con quelle teorie, o forse più precisamente, con gli stessi problemi che hanno generato quelle teorie che hanno posto problematicamente il rapporto tra cultura ed ordinamenti.

A mio modo di vedere ciò non può non avere riflessi più generali sul modo come nel nostro ordinamento è affrontato il tema della cultura.

Un esame del modo come la Costituzione da una parte e gli statuti regionali dall’altra, si accostano al tema della cultura evidenzia notevoli differenze: intanto quantitative, poiché, come

sul rapporto tra cultura e globalizzazione RIFKIN, J., Era dell’accesso, la rivoluzione della new economy , Milano, 2000 e FLORIDA, R., l’ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Milano, 2006; infine sui principi fondamentali che stanno a presupposto anche delle tematiche culturali, oltre al già citato Habermas, RAWLS, J., Liberalismo politico, Milano, 1994 e SEN, A., la libertà culturale in un mondo di diversità, in Rapporto 2004 UNPD sullo sviluppo umano, Torino, 2004. Infine, a tesi già praticamente conclusa sono usciti FAMIGLIETTI, G., Diritti culturali e diritto della cultura – la voce “cultura” dal campo della tutela a quello delle tutele, Torino, 2010, e IMPARATO, E., Identità culturale e territorio tra Costituzione e politiche regionali, Milano, 2010, la cui lettura mi ha fatto vedere in quali altri modi avrei potuto sviluppare molti dei temi che ho cercato di affrontare

2 DAHL, R., A., Sulla democrazia, Bari, 2000, pag. 3, sostiene che alla fine del XX secolo è avvenuto un mutamento politico senza precedenti per il fatto che “tutte le principali alternative alla democrazia sono scomparse”. Aggiungiamo che, parallelamente, sono scomparse di scena in campo economico tutte le alternative al sistema capitalistico; nuovi motivi di divisione emergono invece in campo religioso oltre che culturale, che è il tema che tratterò

3 Come definiti da HUNTINGTON, S., P., Lo scontro delle civiltà, Milano, 2000

4 Oltre che religiose. La tesi tuttavia affronterà questo tema solo in relazione al suo rapporto con la cultura

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vedremo, gli statuti contengono nel complesso molti più riferimenti alla cultura rispetto alla Costituzione (sette nella Costituzione, un centinaio complessivamente negli statuti); inoltre la gran parte di questi riferimenti, trovano allocazione nella parte degli statuti dedicata ai principi e solo una piccola parte è inserita tra le norme di funzionamento (nella Costituzione la distribuzione è più equilibrata e semmai troviamo più riferimenti nel titolo V°, nell’ambito della distribuzione delle competenze).

Il tema culturale ha poi uno scarto qualitativo tra Costituzione e statuti. Per la Costituzione i temi di fondo sono quelli dei beni, degli istituti culturali, della promozione dello sviluppo culturale;

per le regioni la cultura è intesa (pur tra molte sfumature) come significazione sociale in chiave variamente identitaria e assurge a valore fondamentale, da riconoscere e salvaguardare nel contesto della propria regione.

Solo in una minoranza di casi si fa anche riferimento ai beni, alle attività, alle istituzioni culturali. Piuttosto, l’attenzione si sposta sul cosiddetto patrimonio culturale immateriale, che si manifesta anche sul pia no lessicale, con l’utilizzo di termini come “tradizioni”, “radici”, “storia”,

“identità”; termini assenti nella lettera e forse anche “nello spirito

5

” della Costituzione italiana e tuttavia parole evocative, immagini, che non vogliono solo descrivere ma che intendono anche alludere, fino a porsi come “immagini normative”

6

.

2) Cultura, ordinamenti, governabilità

Le ragioni che fanno sì che la cultura abbia assunto un nuovo peso sono molteplici.

C’è da dire che sono, in primo luogo, cambiati i meccanismi stessi di produzione culturale, ormai ascrivibili solo in una parte decrescente ai tradizionali vettori culturali in mano alle istituzioni pubbliche, quali scuola, università, musei, teatri, biblioteche... Una fetta rilevantissima di cultura è invece sottratta alla sfera pubblica e trova veicoli nuovi, sostanzialmente globalizzati (attraverso televisioni, internet, you tube…); o è assorbita nella sfera economica, con la quale intreccia una profonda relazione, insieme, di traino, di indispensabile impulso creativo e di conoscenza, ma talora anche di asservimento funzionale.

Gli stati non possono più contare molto nella cultura come fattore di coesione sociale o anche di formazione di una coscienza nazionale; nel frattempo, attraverso canali culturali da questi non

5 Per usare la terminologia di una discussa sentenza della Corte Costituzionale, quale la n°304/2002 tra gli altri commentata da OLIVETTI, M., Lo spirito della Costituzione: un concetto giuridicamente inutile, in www.giurisprudenza.unifg.it

6 Si tratta di una definizione utilizzata, pure in contesti di studio assai diversi, da due fra i più importanti studiosi contemporanei quali Charles Taylor e Peter Haberle. Vedi di TAYLOR, C., Gli immaginari sociali moderni, Roma, 2005, pag. 37, e di HABERLE, P., Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Roma, 2001, pag.

155. Peter Haberle, più in generale, definisce le costituzioni “cristallizzazioni culturali”

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controllabili, ad immense masse umane sono date nuove ragioni per aggregarsi, dividersi, riconoscersi, omologarsi.

In compenso, la stessa concezione della cultura ha subito, anche in questo caso a livello planetario, un profonda trasmutazione: si può dire che l’umanità intera, e comunque molte delle sue componenti, variamente agglomerate sul pianeta, hanno assunto la consapevolezza della diversità culturale come carattere della loro identità e come presupposto per trovare un giusto riconoscimento da parte di tutti gli altri. Quella dell’identità culturale è divenuta una pretesa, una rivendicazione, ponendosi così, dinanzi agli ordinamenti, come richiesta di riconoscimento di un diritto

7

.

Basta infatti volgere lo sguardo al contesto più generale, per accorgersi che la cultura ha assunto una rilevanza tale da connotare questa fase storica: ne sono testimonianza lo spostarsi dei conflitti sociali dal versante economico redistributivo a quelli del diritto al riconoscimento culturale e la richiesta esplicita di diritti culturali. Nel frattempo, anche nel campo dell’economia, la conoscenza, l’informazione, la comunicazione, la creatività, ed in sintesi la cultura, diventano sempre più centrali, fino a sostituire o quanto meno ad informare di sé, le merci e la produzione. Da questo punto di vista, anzi, emerge un altro tipo di pretesa, sempre basato sulla cultura: intesa questa volta non più come identità ma come sintomo di capacità, di merito, sulla quale e solo sulla quale è richiesto che siano fondati i percorsi di mobilità sociale.

Tutto ciò ha messo gli ordinamenti, ed in primo luogo quelli, diciamo così, tradizionalmente fondamentali, cioè gli stati, dinanzi a nuove e gravi questioni sul tappeto.

In particolare, negli stati democratici, il contemporaneo emergere di particolarismi territoriali anche a base identitaria, di conflitti multiculturali, di rivendicazioni di stili di vita e costumi sempre più eterogenei rispetto a quelli tradizionali, il tutto nel quadro di un contesto di produzione e trasmissione di cultura sempre meno governabile dalle istituzioni pubbliche, pongono non pochi problemi di governabilità. In Italia tutto ciò si aggiunge alle difficoltà e ai ritardi a dotarsi di una politica di sostegno alla produzione culturale

8

.

Dunque la cultura, intesa anche come criterio di declinazione della governabilità nel nuovo contesto sociale, nel quale è immerso pure il nostro Paese.

7 Non a caso alcuni studiosi avanzano la teoria che “il tratto distintivo dei diritti, forse l’unico capace di collocarli in un ambito universalistico, è rappresentato dall’essere pretesi; dal fatto cioè di essere determinati da aneliti e mobilitazioni, sentite come essenziali per affermare la propria dignità”. BACCELLI, L., Diritti senza fondamento, in FERRAJOLI, L., Diritti fondamentali, Bari, 2001, pag. 208, riporta in tal senso la posizione di Joel Feinberg riassunta nell’espressione “the activity of claiming”

8 Vedi tra i tanti che denunciano questi ritardi, CAROLI, F., La politica dell’arte, Milano, 1979; vedi anche BARILE, P., Note a margine di un progetto di legge governativo sulla musica , in Studi Amorth, Milano, 1982,

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Occorre infatti domandarsi se un paese come il nostro, il quale si fregia dell’onore di essere stato uno tra i primi a contenere nella propria Costituzione specifici riferimenti al tema culturale, abbia oggi sviluppata un’adeguata riflessione all’altezza delle questioni sul tappeto.

La domanda ha portato a mettere a confronto le interpretazioni e “lo stato dell’arte” intorno all’art. 9 Cost., con le elaborazioni teoriche e ciò che si muove nell’ambito del concetto di cultura, nelle sue accezioni più attuali.

Pare a chi scrive di scorgere una sorta di sfasamento: la cultura cui fa riferimento l’art. 9 Cost., nelle sue varie interpretazioni, e quella del dibattito teorico, filosofico, politico, appaiono riferite a concetti molto diversi, tra loro contraddittori o inconciliabili; il comune nomen crea però l’effetto di vaso comunicante e finisce per produrre conseguenze interpretative non giustificate né, forse, giustificabili. Diventa così sempre più arduo interpretare il principio “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”, come contenuto nella nostra Costituzione.

Si tratta di un tema che ormai ha rilievo anche all’interno del diritto positivo.

Dopo la riforma del titolo V° della Costituzione è infatti avvenuta una novità, interamente allocata entro il mondo della produzione normativa: è avvenuto cioè che entro gli statuti regionali hanno trovato accoglienza principi, declinazioni, concezioni della cultura variamente innovative rispetto a quella presente nel testo costituzionale, evidentemente ancorate, questa volta, proprio al dibattito teorico e politico attuale in materia di cultura.

Allorché dunque queste tematic he hanno trovato accoglienza in documenti di valore normativo fondamentale come gli statuti regionali, quella reciproca non ingerenza concettuale è a mio avviso divenuta un problema da affrontare

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.

Sottolineo la duplice importanza degli statuti regionali: alla loro riformulazione è consegnata la volontà del nostro legislatore costituzionale di costituire una nuova stagione del regionalismo;

essi stessi rappresentano parte integrante della riconsiderazione del concetto di cultura, intesa ora, essenzialmente, come riconoscimento dell’identità culturale di popolazioni e comunità.

Dunque, riprendendo il discorso iniziale, si può ripetere che la cultura conta e gli statuti prendono atto e sono parte di quanto essa possa potenzialmente contare: essi conducono tutto il nostro ordinamento nel crogiolo ove si cerca di trovare un comune denominatore di convivenza, un nuovo “immaginario sociale

10

”, dinanzi all’esplodere della varietà culturale: essi se ne fanno

9 Pesa su queste novità il valore (culturale o politico ma non normativo) che la Corte Costituzionale, a decorrere dalle sentenze nn° 372, 378, 379 del 2004, ha inteso riconoscere, in generale, alle norme di principio contenute negli statuti regionali. Ciò ad avviso di chi scrive, non è sufficiente a risolvere i problemi che sono comunque sul tappeto

10 A questo tema è riservata una riflessione da parte di uno dei più importanti filosofi contemporanei TAYLOR, C., Gli immaginari sociali moderni, Roma, 2005; l’autore definisce l’immaginario sociale “quella comprensione, quel sapere comune, che rende possibili le pratiche comuni e un senso di legittimità ampiamente condiviso”

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artefici, ne utilizzano le potenzialità per marcare l’autonomia politica, oppure prendono atto di mutamenti ormai avvenuti e non più eludibili.

Dopo quest’ultima edizione degli statuti regionali, l’articolo 9 Cost. primo comma, cessa di essere una di quelle buone intenzioni

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costituzionali dalla tenue effettività, tali da consentire un libero sviluppo per il legislatore: non possiamo più limitarci a ricercare tutte le più nobili ragioni che hanno spinto i nostri costituenti ad orientare la Repubblica allo sviluppo della cultura; siamo fuori dal novero dei buoni propositi: dobbiamo invece porci il problema di quale cultura sviluppare e delle conseguenze, anche costituzionali, incidenti sui diritti fondamentali

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o, infine, impattanti sull’unità stessa dell’ordinamento.

Dobbiamo prendere atto che la cultura sta dive ntando il criterio di declinazione di diritti e principi fondamentali tra i quali quelli di libertà di uguaglianza, di personalità, di dignità.

È importante sottolineare che gli statuti regionali registrano un cambiamento del tema culturale già avvenuto

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; riconoscono l’urgenza di dover dotare le istituzioni di nuovi strumenti, adeguati alla nuova complessità del sistema. Non a caso sarà evidenziata la sinergia tra i contenuti regionali e quelli dei più importanti documenti adottati da organismi internazionali o comunitari in materia culturale.

Le regioni avvertono che in tema di cultura si è vicini ai limiti della reciproca tolleranza e le difficoltà a coesistere con l’alterità si fanno sempre più importanti. Dal punto di vista politico, infatti, l’oggettiva nuova e sempre più incipiente interdipendenza economica del mondo, entra in collisione con le resistenze, sempre più forti, contro forme di interazione transculturale, generando nuove forme di sciovinismo culturale o facendo emergere istanze di arroccamento con rischi di vera e propria “balcanizzazione

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” della cultura.

3) La Costituzione tra libertà culturale e sviluppo della cultura

Dunque, intorno alle nuove declinazioni del tema culturale si giocano alcune partite decisive relative alla tenuta degli stessi assetti istituzionali e qualche indicazione potrebbe venirci da nuove interpretazioni dell’articolo 9 della Costituzione.

11 Di cui come sappiamo è lastricato l’inferno. In precedenza questo argomento era trattato alla stregua di un’attività promozionale dello Stato la cui meritorietà nessuno metterebbe in discussione. Solo oggi emerge quanto possa essere fomite di discriminazione promuovere la cultura in una direzione piuttosto che in un’altra, senza prestare attenzione alla specificità delle componenti culturali della società

12 Assumo d’ora in poi l’espressione “diritti fondamentali”, consapevole di quanti fiumi d’inchiostro siano stati versati in particolare sul tema della loro fondazione, delle loro caratteristiche formali, della necessarietà o meno della loro effettività. Espressione che peraltro non metto tra virgolette in quanto presa per come è dagli stessi testi e trattati giuridici in materia

13 Come bene mette in evidenza MONCERI, F., Ordini costruiti, Catanzaro, 2008, pag. 127, la manifestazione della diversità, in generale nei sistemi umani, e in particolare per il fenomeno del multiculturalismo, si manifesta in quanto non cambiamento in atto ma, semmai, cambiamento già avvenuto

14 Usa questo termine BENHABIB, S., La rivendicazione dell’identità culturale, Bologna, 2005, pag. 173

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La promozione dello sviluppo della cultura può infatti consistere anche nell’azione volta a far emergere le conflittualità in modo trasparente e ciò equivale all’apertura al dialogo, alla reciproca apertura di credito, persino in condizioni ove le distanze culturali sembrano incolmabili.

Si propone così di rivisitare il testo costituzionale, facendo tra l’altro emergere una distinzione forse non pienamente sviluppata: quella tra promozione della cultura e promozione dello sviluppo della cultura.

Promuovere la cultura significa promuovere le culture, in quanto tutte partecipi, come forme culturali, del concetto di cultura. Ciò comporta anche di affermare un metodo: la cultura non si

“promuove” se la si concepisce in modo olistico, privata di ogni possibilità ipotetica e di apertura al confronto tra le culture. La promozione della cultura comporta quindi di dover affrontare i temi della libertà culturale e dell’eguaglianza tra le culture.

“Lo sviluppo della cultura” segnala invece un percorso che è sempre in itinere, che ha continuamente la capacità di spingere le differenti culture a svilupparsi. Ognuno è libero di aderire ad una cultura in un clima di uguaglianza culturale, ma alla Repubblica spetta il compito dello sviluppo, che può avvenire solo se nessuna cultura è concepita come narrazione già data e ferma una volta per tutte.

Possiamo far emergere dall’articolo 9 Cost. problematiche come quelle sopra esposte? È quello che cercherò di fare, proponendo alcune risposte, ma anche lasciando aperte alcune domande.

Tra i punti fermi direi prima di tutto, l’impossibilità costituzionale alla criminalizzazione preconcetta, di una qua lche cultura; la Costituzione si frappone anche a prevaricazioni aprioristiche di una cultura rispetto ad altre. Essa assegna inoltre alla cultura ed al suo rilievo nelle potenzialità di espressione umana, uno spazio autonomo, da distinguere rispetto ad altri, pur fondamentali attività, quali quella economica, politica, religiosa.

Un’altra risposta riguarda il rischio, già citato, di balcanizzazione culturale: mi sembra anzi a questo proposito che il nostro ordito costituzionale non consenta una totale tolleranza multiculturale, se intesa come indifferenza a qualunque sistema di valori, ancorché prospettato in termini identitari.

Certo, la libertà culturale è un principio costituzionale indiscutibile. Ma quell’idea di assumere in un’ottica la più vasta possibile, e dunque “omnicomprensiva

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” il concetto di cultura, deve oggi fare conti con i livelli di alterità che la convivenza multietnica e multiculturale ci pone dinanzi.

Ebbene, può forse tornare oggi utile separare il concetto di libertà culturale, che deve permanere integro (nella sua grande forza ma anche nel suo limite di “libertà negativa”), dal concetto di

15 Usa questa locuzione MERUSI, F., in BRANCA, G., (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 197

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promozione dello sviluppo della cultura, che esprime un valore positivo, assegnato alle cure della Repubblica.

Esso consiste nel far si che ogni orientamento culturale, anche il più distante da quelli che siamo abituati a considerare nostri punti di riferimento, e direi persino a discapito di chi lo propugna, non debba essere semplicemente tollerato e lasciato indisturbato, ma debba invece essere considerato come un’occasione di sviluppo della cultura. Dunque, né rigetto né mera tolleranza, ma costante ricerca a creare le occasioni di dialogo e di crescita collettiva.

Le domande sono numerose. Un primo gruppo riguarda la demarcazione dello spazio della cultura che ha confini variabili in particolare tra la sfera pubblica e quella privata: una variabilità che è correlata però alla cultura cui si aderisce, atteso che questioni familiari, relative alla sessualità, all’educazione dei figli, alla privacy… sono considerate come oggetto di diritto pubblico o di costumi privati a seconda della cultura di riferimento. La domanda è allora: quale spazio riserva la nostra Costituzione, rispettivamente al livello delle scelte collettive e a quello delle scelte personali?

Come convivere con culture che non riconoscono allo Stato il diritto di intromettersi in questioni che essi ritengono private e intangibili? O al contrario chiedono allo Stato di riconoscere stili di vita (ad esempio relazioni stabili omosessua li

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) che lo Stato relega all’ambito delle scelte private non rilevanti a fini pubblici?

Può avvenire che nella sfera pubblica vi sia la garanzia di libertà culturale maggiore rispetto a quelle cui aspirano parti della popolazione: si può imporre questa maggiore libertà?

Altre domande riguardano poi la questione dei diritti collettivi culturali e, tra essi, di un diritto al riconoscimento culturale, alla sua qualificazione e bilanciamento nell’ambito dei diritti, alla sua compatibilità con esigenze di dialogo e convivenza tra diverse opzioni culturali.

4) Il senso di una ricerca: il nostro ordinamento costituzionale nel contesto multiculturale.

Come si vede l’argomento ha anche implicazioni di ordine filosofico, sociologico, intrecci interdisciplinari, tale è l’attualità del tema.

Occorre dunque partire da alcune prescrizioni metodologiche: la prima consiste nel taglio della trattazione che, dopo un breve inquadramento di carattere storico più generale, intende partire dall’analisi del nuovo contesto costituzionale dopo la riforma del titolo V°: se infatti, come accennato, gli statuti regionali si sono premurati di intromettersi nel tema culturale, occorre domandarsi se e quale valore hanno queste intromissioni in rapporto con la Costituzione.

16 La nostra Corte Costituzionale (sentenza 165/1985) ha definito l’omosessualità “un modo d’essere”

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Si affronterà così per primo il problema delle fonti, per verificare fino a che punto la Costituzione e poi il presidio ad essa garantito dalla Corte Costituzionale, consentano ai legislatori regionali, in sede statutaria e legislativa, di inerpicarsi in questo scosceso percorso.

Incontreremo ed esamineremo così due indicazioni costituzionali: quella, contenuta all’art. 117 cost., che ascrive l’esercizio della potestà legislativa regionale (evidentemente compresa la potestà statutaria), al “rispetto della Costituzione”; quella, espressa dall’art. 123 cost., che fa riferimento, limitatamente agli statuti, alla necessità di una loro “armonia con la Costituzione”.

Metteremo poi a confronto i principi di armonia e rispetto della Costituzione con l’elaborazione della Corte Costituzionale circa la necessità per gli statuti regionali di rispettare, oltre che le norme, anche “lo spirito della Costituzione”.

Sempre su questo piano sarà esaminato il tema del valore degli enunciati di principio contenuti negli statuti regionali.

Come noto la Corte Costituzionale

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ha ritenuto il carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di principio, relegandole ad una funzione “di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa” e neppure tale da fo ndare l’esercizio di poteri regionali.

Si tratta di una posizione che si segnala come drastica chiusura, ampiamente commentata in sede di dottrina

18

, su cui occorre un’attenta indagine che sarà svolta nel corso del lavoro.

È in questa fase sufficiente segnalare che, mentre il governo ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale su specifici articoli, attinenti solo ad alcuni degli innumerevoli principi reperibili negli statuti regionali, la Corte Costituzionale ha tratto spunto dalla necessità di doversi esprimere per affermare una regola generale riguardante tutti i principi statutari, anche se espressi su materie di competenza legislativa concorrente o residuale, e senza entrare nel merito circa la diversa struttura e funzione di ognuno dei predetti principi.

La presente ricerca cercherà invece di entrare nel merito per focalizzare in particolare l’impatto dei principi di tipo culturale sull’ordinamento costituzionale.

Per quanto riguarda l’affermarsi nei testi giuridici di riferimenti alla cultura identitaria, già importanti studi hanno messo in evidenza il nesso tra sviluppo del regionalismo o del federalismo e fondamento antropologico culturale delle entità territoriali

19

. Si tratta dunque di

17 A partire dalla già citata sentenza n° 372/2004 e ripetutamente con le successive sentenze n° 378/2004, n°

379/2004, n° 365/2007

18 vedi i commenti a margine della sentenza 372 (nota da completare)

19 Su questo tema la cultura giuridica italiana ha individuato in taluni studi di matrice tedesca lo spunto per autonome riflessioni vedi HABERLE, P., Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Roma, 2001 e dello stesso autore Costituzione e identità nazionale, Milano, 2006

.

L’autore che in Italia ha maggiormente

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scandagliare se questo fondamento antropologico sia ed in quale misura “armonico e rispettoso”

dei principi costituzionali.

L’indicazione della Corte Costituzionale circa “la natura politica” dei principi statutari porterà ad indagare circa la possibilità di qualificare le norme statutarie di principio come atti d’indirizzo politico, espressione della politicità riconosciuta costituzionalmente alle regioni.

Attraverso il riconoscimento di una identità culturale della propria comunità lo statuto, possiamo dire, si atteggia a costituzione, intesa come norma giuridica capace di interpretare o meglio ancora essere specchio e traduzione della società regionale nella sua complessità. Di conseguenza attraverso questa operazione la regione legittima la sua effettività come soggetto ordinamentale; è uno strumento, forse il principale, di legittimazione dell’istituzione regione.

Posta in questi termini l’identità culturale diviene quasi il prerequisito che consente alle regioni non solo di introdurre, sul filo dell’armonia con la Costituzione, altri principi e valori di riferimento all’interno dei propri statuti, ma di legittimare il proprio ruolo nell’ordinamento, di dar senso al suo essere soggetto costitutivo della Repubblica.

Per questo, il legislatore regionale ha consapevolmente introdotto questo tema identitario, che, anche a relegarlo a mera opzione politica, non avrebbe certo quella innocua valenza che una superficiale lettura delle sentenze costituzionali lascerebbe presupporre.

Una parte importante della tesi consiste in un’analisi degli statuti regionali.

Con ciò si vuole seguire un preciso percorso, si vuole costringere le riflessioni entro il quadro normativo dato. Verificando in che modo le novità introdotte dalle regioni incidono sul contesto più generale.

L’attenzione al diritto regionale non deve intendersi come rifugio nel localismo, ma piuttosto come modalità di approccio per dar conto dei tentativi di reagire alla crisi della statualità del diritto, eroso contemporaneamente da spinte di tipo autonomistico e forme di governance ultranazionali ed internazionali, alle prese con le crescenti difficoltà a poter dare un ordine alla società globalizzata

20

.

posto attenzione a queste tematiche è BARTOLE, S., (a cura di) Le regioni alla ricerca della loro identità cultura le e storica, Milano, 1999. Non mancano studi riferiti ad altri contesti nazionali: vedi ad es. RUGGIU, I., Testi.

giuridici e identità. Il caso dei nuovi statuti spagnoli, in Le Istituzioni del federalismo, 2.2007

20 Taluni vedono nella crisi della statualità uno degli aspetti salienti e preoccupanti della società contemporanea:

ad esempio BRZEZINSKI, Z., Il mondo fuori controllo, Milano, 1995, preconizza il crollo dell’autorità degli stati e vede come conseguenza l’intensificarsi di conflitti tribali, etnici, religiosi; oppure l’emergere di organizzazioni criminali internazionali e l’affermarsi di grandi centrali terroristiche

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Il tema culturale sarà messo in relazione con contenuti degli statuti regionali: ad esempio con

“storia” “radici” “tradizioni” o anche con concetti quali “multiculturalismo”, “identità culturale”.

Si tratta di tematiche che portano alla ribalta gli aspetti immateriali della cultura e soprattutto vogliono “arricchire di un’anima

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” le proprie istanze autonomistiche. Rappresentano anche una reazione ai processi di globalizzazione culturale in atto, proponendo, talora, una strategia difensiva o addirittura “di arroccamento” a presidio di un’improbabile purezza culturale da gelosamente preservare; in altri casi aprendosi al riconoscimento della diversità culturale e del multiculturalismo.

Tra gli argomenti presenti negli statuti si segnala poi quello della cultura come risorsa, che parallelamente al tema identitario, e quasi senza apparente connessione con questo, le regioni e degli enti locali hanno iniziato a valorizzare nella prospettiva dello sviluppo economico dei territori; si è così cominciato a sviluppare modelli ordinamentali aventi al centro il rapporto tra cultura e funzionamento generale dei sistemi economici

22

.

Gli studi più recenti

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mettono bene in evidenza come ormai lo sviluppo economico sia inscindibilmente legato anche all’emergere di poli di innovazione non solo tecnologica ma anche culturale ed artistica; e come che ormai questi poli di attrazione si identifichino nelle città, nelle aree metropolitane, nei distretti, e comunque in aree interstatali, capaci di coagularsi in unità naturali della vita economica e sociale.

Poli di attrazione in misura proporzionale alla loro capacità di rinnovare il tessuto urbano e di renderlo palpitante attraverso la cultura, l’arte, la musica, le sinergie tra diversi saperi.

Ancora una volta il tema della cultura, veicolo di un ulteriore significato , mette in discussione gli assetti ordinamentali.

Infatti se l’interpretazione di gran lunga prevalente dell’art. 9 Cost. ha inteso scorgervi l’introduzione di un valore estetico culturale, diverso e conflittuale “rispetto ai valori dominanti dell’industria e del profitto”

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, ora al contrario, tra promozione dello sviluppo della cultura e sviluppo economico sembra intravedersi piuttosto una sinergia.

È in effetti aperto un dibattito tra chi propone una visione che vuole intendere le potenzialità della

21 Per usare una felice espressione tratta da GROPPI, T., L’evoluzione della forma di Stato in Italia: uno Stato regionale senz’anima? In www.federalismi.i, 2007

22 Anche in questo caso il fenomeno è collegato a processi e direttrici ormai sedimentati a livello globale.

Sull’esempio di altre aree territoriali europee (Glasgow, Bilbao..) si è iniziato a percepire che il livello della governance regionale o locale, può risultare vincente dinanzi alle sfide globali, sulla base di una forte connessione tra valorizzazione di beni culturali, sviluppo di istituti culturali e qualificazione del contesto economico sottostante

23 Vedi ad esempio FLORIDA, R., TINAGLI, I., Europe in the Creative Age, disponibile on line su www.creativeclass.org/acrobat/Europe_in_the_Creative_Age_2004.pdf (14 Settembre 2005).

24 AINIS, M., FIORILLO, M., L’ordinamento della cultura – Manuale di legislazione dei beni culturali, Milano, 2003, pag. 97

(12)

cultura quale come fattore produttivo

25

e chi

26

con l’esplicita volontà di compiere “una battaglia di civiltà”, denunc ia questa idea della cultura come risorsa, foriera di trasformare i beni culturali in “beni in fiera”

27

, travisando il ruolo della cultura, alla quale lo Stato dovrebbe destinare finanziamenti invece che attendersi vantaggi economici. Da evidenziare che que sto orientamento contrappone, all’idea della cultura come risorsa, l’assunzione del patrimonio culturale come fulcro dell’identità nazionale e della memoria storica.

Infine, last but not least, le su citate novelle declinazioni del concetto di cultura impattano duramente con il tema nuovo e, per certi versi, inusitato, dei nuovi diritti culturali (cui si dedicherà un capitolo): tra essi, il diritto al riconoscimento, il diritto all’identità culturale ed alla sua protezione, i diritti culturali collettivi, i diritti di cittadinanza culturale. Si tratta di un’area di diritti in grande espansione, ma ancora non ben caratterizzata, né chiaramente riconosciuta dal diritto positivo.

Ma, a veder bene, anche questo emergere dei diritti culturali, impone un riesame complessivo del concetto costituzionale di cultura e forse un criterio può essere quello di affrontare il tema culturale attraverso una lettura del primo comma dell’art. 9 Cost. svincolata sia dal secondo comma, che dal successivo art. 33 Cost.

Anche la domanda su cosa si intenda per cultura appare generica e soprattutto fuorviante

28

. Piuttosto ci si domanderà: cosa è la cultura della quale la Repubblica è impegnata a promuovere lo sviluppo? Ciò porterà ad una riconsiderazione del concetto di cultura che, come noto, nello specifico caso italiano, è intimamente legato al tema dei beni culturali: si tratta di un corpo di elaborazioni di grande valore ma, alla luce dei problemi attuali, passibile di qualche riflessione critica. Solo per fare un esempio, anc he ammesso che la nostra Costituzione affermi una sorta di valore identitario del nostro patrimonio storico e artistico, non possiamo, de plano, affermare di poter riconoscere nella Costituzione un valore altrettanto identitario alle radici culturali del popolo italiano.

Per questo la peculiarità dell’approccio italiano al tema della cultura, da tutti visto come una risorsa, può anche, per certi aspetti, rivelarsi un fardello, se non consente di delineare in modo

25 SANTAGATA, W., La fabbrica della cultura, Bologna, 2007, pag. 11; vedi anche SACCO, P. L., FERILLI, G., Il distretto culturale evoluto nell’economia post industriale, Venezia, 2006, che dopo aver qualificato la cultura come una forza strategica, distinguono tra la sua capacità di incidere sullo sviluppo economico o, più complessivamente sullo sviluppo locale

26 In particolare: SETTIS, S., Italia spa. Assalto al patrimoni o culturale, Torino, 2002; lo stesso autore è tornato recentemente sull’argomento con il volume: Battaglia senza eroi: i beni culturali tra istituzioni e profitto , Milano, 2005

27 COSI, D., Diritto dei beni e delle attività culturali, Roma, 2008

28 Molti testi, tra cui i recenti FERRI, D., La costituzione culturale dell’Unione Europea, Padova, 2008 e FAMIGLIETTI, G., Diritti culturali e diritto della cultura – la voce “cultura” dal campo della tutela a quello delle tutele, Torino, 2010 si propongono , in generale, una qualificazione della nozione di “cultura”

(13)

chiaro il tema dell’identità culturale nazionale, in relazione con le altre identità culturali e più in generale con il riconoscimento delle culture presenti nel nostro paese.

Così che, la tesi esulerà dalle tematiche relative ai beni culturali

29

. In questo senso non sarà volutamente seguito il tradizionale percorso dei lavori dedicati al diritto della cultura, i quali, nella logica della lettura unitaria dell’art. 9 Cost., affrontano congiuntamente i temi relativi ai principi culturali e quelli attinenti ai beni culturali.

Al fondo alcune interroga zioni circa il senso o anche la mancanza di senso di un sistema normativo come strumento idoneo a cimentarsi con tematiche quali quelle della cultura, della promozione culturale, dell’identità culturale.

PARTE PRIMA

LE CULTURE A CAVALLO DELLA MODERNITÀ

CAPITOLO I

UN PO’ DI STORIA ED UN PO’ DI GEOGRAFIA

SOMMARIO:1. Un po’ di storia – 2. Un po’ di geografia. – 3. Le regioni tra storia e geografia

1) un po’ di storia

Un accenno alla prospettiva storica permette di far affiorare alcuni fattori di lungo periodo e dunque, sia di delineare alcune costanti, sia di fornire alcune spiegazioni ai problemi attuali: le radici dei problemi non possono essere eluse, se vogliamo ottenere qualche risultato soddisfacente.

Tuttavia, tutte le volte che per l’esame di un tema ordinamentale, svolto in ambito giuridico, si sconfina verso altre discipline, non possiamo far a meno di scontare un problema di metodo. Per

“arginare i danni” si terrà ferma l’attenzione su una domanda. Quali sono le radici che originano i problemi attuali del rapporto tra cultura e diritto?

Lo sguardo alla storia fa subito capire che l’argomento della tesi non è affatto aulico: le culture hanno combattuto più guerre degli eserciti e spesso con molta più efficacia.

Un’attenzione anche solo rapsodica alla storia serve, innanzi tutto, ad acquisire la coscienza che, sottostante al dialogo culturale, ci sono sempre stati e permangono tutt’oggi rapporti di potere, situazioni di sopraffazione e violenza perpetuata o annunciata.

29 Come, del resto, dal tema del diritto d’autore

(14)

Ad esempio uno dei più radicali propositi di sopraffazione umana, verificatosi nel ventesimo secolo in Cina, ha assunto nientemeno che il nome di “rivoluzione culturale”; molti altri esempi potrebbero agevolmente dimostrare quanto la storia sia gravida di episodi dove la cultur a di coloro i quali sono percepiti come diversi, oppure degli sconfitti, dei colonizzati, è stata ridicolizzata, infangata, annullata, considerata come degenerata, falsificata

30

.

La presenza di etnicità, culture, valori diversi è stata a lungo percepita come una minaccia dell’armonia sociale ed è stata pertanto combattuta, spesso con la soppressione fisica delle comunità portatrici di autonome identità culturali, attraverso pulizie etniche e persecuzioni. In altri casi attraverso discriminazioni e politiche di esclusione o di assimilazione.

Contemporaneamente non possiamo non osservare come la storia dell’umanità sia sempre anche stata la storia di permeabilità e contaminazioni reciproche tra le culture dei popoli: dove talora si è verificato che i popoli vinti hanno, attraverso la loro cultura, influenzato profondamente le società che, sul piano politico o militare erano risultate dominanti. Anche qui gli esempi sono innumerevoli: il più classico è quello rappresentato dal ruolo della Grecia su Roma nell’età antica, ma, anche solo a guardare il ventesimo secolo, possiamo domandarci cosa ne sarebbe della musica

31

che oggi tutti noi ascoltiamo, senza le contaminazioni del gospel, del jazz e del blues, cioè di culture musicali proprie delle popolazioni afroamericane, delle quali è inutile ricordare la storia di schiavismo e segregazione

32

.

Dunque, a dispetto della volontà di sopraffazione, oggettive contaminazioni o anche soggettive volontà di sviluppare alcune forme di dialogo culturale, risultano presenti e costanti nel percorso storico.

In ogni caso si è posto, costantemente nella storia dell’umanità, il tema del rapporto tra cultura, culture, regole di convivenza: ciò, sia sul piano degli ordinamenti interni sia, dal punto di vista delle relazioni internaziona li.

Anche qui, potremmo dire: ovviamente! Che cosa sono infatti le regole, e tra esse le regole giuridiche, se non anche il prodotto di concezioni culturali o, forse ancor di più, di ipotesi di mediazione e soluzione, dinanzi a diverse e coesistenti concezioni culturali

33

?

30 Si pensi alla denigrazione continua del popolo ebraico o alla ridicolizzazione degli indiani d’America nei film di Holliwood

31 Peraltro anche la nascita storia della pittura del ventesimo secolo ha come episodio primario la scoperta dell’arte scultorea africana, cioè di popoli allora considerati come primitivi: Les damoiselles d’Avignon, opera fondamentale di Picasso che dà origine al cubismo, nasce appunto da questa scoperta. Per non parlare, come antecedente, del ruolo della cultura oceanica per Gauguin e dell’arte giapponese per Van Gogh, nell’ambito della ricerca di una nuova dimensione della classicità e della bellezza

32 Che, giova ricordarlo, comprendeva anche una rigida volontà di annullamento culturale: basti pensare che agli schiavi negri era assolutamente proibito di imparare a leggere ed a scrivere

33 Non a caso importanti studi comparatistici hanno affrontato il tema della “tradizione giuridica occidentale” e della correlata “cultura giuridica occidentale” inquadrandola come risultato di contaminazioni più che come evoluzione di una sola cultura: si segnala MONATERI, P., G., GIARO, T., SOMMA, A., Le radici comuni del

(15)

Ma perché dunque, proprio oggi il tema della cultura e delle sue declinazioni irrompe in modo così inusitato nel dibattito contemporaneo e, soprattutto, si insinua e scompiglia il mondo della produzione dei principi e delle regole giuridiche?

Quali sono i presupposti fattuali, ammesso che ve ne siano, di una fase storica ove il rapporto tra le culture diviene così cruciale, non soltanto in sé, ma anche specificamente per il diritto?

Possono essere fornite molte e molto varie tipologie di risposte a domande come quelle sopra espresse; storia, sociologia, demografia, scienze economiche, hanno variamente studiato le peculiarietà della nostra epoca, analizzando fatti ed elaborando concetti quali quelli di globalizzazione

34

e di multiculturalismo.

Vorrei però azzardare una risposta che, mi sembra, sia propriamente riferibile allo specifico campo del diritto: costituzionale ed internazionale.

Penso infatti che un carattere centrale, emerso in modo prepotente negli ultimi venti anni, consista nel fatto che, da una parte il dialogo tra le culture è avvertito come una sorta di obbligo giuridico, derivante dai principi e dai valori che stanno alla base degli ordinamenti costituzionali e dei trattati internazionali; mentre dall’altra, ci accorgiamo sempre più di quanto questo obbligo giuridico non sia così pacificamente assunto ed interiorizzato nelle nostre società e che, soprattutto, il quadro dei diritti e delle regole vigenti, non ne garantisca la cogenza.

Sembra così che il dialogo culturale, che pure, come detto, è stato anch’esso costantemente presente nel corso della storia umana, oggi e solo oggi debba anche convivere con la con la sua stessa imposizione giuridica, divenendone inesorabilmente contemporaneo: per essere talora vissuto come il frutto amaro di una reazione ad un dominio culturale lungamente perpetuato o anche come il lasciapassare per l’ingresso nella modernità.

diritto europeo, Roma, 2005; VARANO, V., BARSOTTI, V., La tradizione giuridica occidentale, Torino, 2006;

GAMBARO, A., SACCO, R., Sistemi giuridici comparati, Torino, 2002

34 Il termine “globalizzazione” è ormai assunto al fine di contrassegnare il periodo storico che si è aperto dopo la caduta del muro di Berlino e la definitiva fine della guerra fredda. Peraltro taluni fanno risalire l’ingresso di questa parola nel linguaggio scientifico N. Luhmann ed alle sue teorizzazioni sul “sistema mondo” degli ultimi anni sessanta. A partire dalla fine degli anni novanta si è prodotta sul tema una sconfinata bibliografia ove, naturalmente, sono proposte le più diverse visioni prospettiche. A solo titolo di riferimento si ricordano i “best seller” che hanno reso popolare questo concetto: BAUMAN, Z., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone,Bari, 1999;

KEIN, N., No logo, Milano, 2001 ; STIGLITZ, J., La globalizzazione e i suoi nemici, Torino 2002; NEGRI, A., HARDT, M., Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano, 2002; BECK, U., Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Roma, 1999; LE GALES, P., Le città europee. Società urbane e globalizzazione, Bologna, 2006. Per l’Italia: ZOLO, D., Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Bari, 2004; D’ALESSANDRO, D., Morfologie del contemporaneo – Identità e globalizzazione, Perugia, 2009. Poiché ritengo con Patrick Le Gales che della globalizzazione occorra distinguere le dimensioni politiche, strategico militari, culturali, economiche (cui aggiungere una ulteriore specifica dimensione giuridica), utilizzerò questo concetto collegandolo di volta in volta all’aggettivo qualificativo appropriato. Utilizzerò invece il termine globalizzazione da solo quando mi riferirò in modo sintetico e avalutativo ad una certa fase storica. Con riguardo alla globalizzazione giuridica CASSESE, S., Il diritto globale – giustizia e democrazia oltre lo stato, Torino, 2009;

IRTI, N., L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, pag. 112, nota che “la globalizzazione è un’opportunità per il giurista che deve saper leggere i valori fondanti della convivenza civile e non rinunciare al profilo sistematico dei suoi argomenti”

(16)

Occorre a questo punto giustificare questa affermazione che consta, come visto, di due assunti:

la giuridicità costituzionale e universale del dialogo culturale e la difficoltà ad inquadrare nell’ambito dei diritti costituzionali questa giuridicità.

Non c’è, almeno in apparenza, grande necessità di spiegare perché il dialogo culturale sembra derivare dai principi fondamentali: esso è il portato di una serie di principi, recepiti variamente dalle costituzioni occidentali, tra cui la nostra, e solennemente ribaditi dalle convenzioni e dai trattati internazionali

35

.

Primo fra tutti il principio di uguaglianza, che ne lla nostra Costituzione è espresso all’art. 3, ove si stabilisce che a tutti sia riconosciuta pari dignità a prescindere da distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ci sono, in quest’articolo, l’assunzione del principio di universalità dei diritti fondamentali, coniugato con il concetto di cittadinanza

36

: ci accomuna la cittadinanza, che ci rende uguali a prescindere dalle possibili distinzioni che caratterizzano altrimenti gli esseri umani. Attraverso la cittadinanza, la legge costituisce il principio che ci associa nel riconoscimento di regole uniformi, valide indifferentemente per tutti. E che, per ciò che ci interessa, ci dà l’uguale diritto a partecipare alla formazione della volontà generale.

Segue il principio pluralistico, inteso nel senso più ampio, come pluralismo culturale, oltre che politico, religioso, sociale, sindacale, istituzionale.

Esso connota la nostra stessa forma di Stato e consente di distinguere tra la sfera privata, ove ognuno è libero di scegliere i propri orientamenti e perseguirli in piena libertà, la sfera della società civile, ove sussiste il confronto e la dialettica tra i vari orientamenti, ed infine la sfera pubblica statuale: quest’ultima è caratterizzata non solo dal principio di laicità e di equidistanza rispetto alla pluralità degli orientamenti in campo, ma anche dal dover garantire la tolleranza reciproca e di promuovere a tutto campo il pluralismo, favorendo il dialogo, la dialettica, il confronto, come strumenti indispensabili per realizzare le condizioni della convivenza entro i principi del patto costituzionale.

Dunque: universalità, cittadinanza, statualità, pluralismo. Potremmo ricordare anche l’affermarsi dell’idea che la persona sia al centro della società e che pertanto le persone

35 Se nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non compaiono diritti relativi alla diversità culturale, questi hanno sempre più udienza nelle relazioni internazionali, specie a partire dagli anni novanta. Per le Nazioni Unite si fa riferimento alla dichiarazione dei diritti delle persone che appartengono alle minoranze nazionali, etniche, religiose, linguistiche, approvata dall’Assemblea Generale, riunione plenaria del 18.12.1992. Anche il Consiglio d’Europa, il 5.11.1992, ha adottato una dichiarazione dei diritti delle minoranze linguistiche (carta europea per le lingue regionali e minoritarie)

36 Va evidenziato che il concetto di cittadinanza dell’art. 3 Cost. non può essere interpretato come status, da cui possano derivare discriminazioni nei confronti dei non cittadini

(17)

precedano le entità collettive e le stesse relazioni e vincoli sociali

37

; o anche l’emergere della consapevolezza del ruolo dell’economia come sistema di regolazione autonomo delle relazioni umane e non solo degli scambi. Si tratta di concetti fondanti i principi della nostra modernità, assunti nei sistemi costituzionali e implicanti l’idea di una comunità poggiata sul dialogo.

C’è poi una ragione più profonda, che deriva dagli stessi fondamenti di legittimazione di quello che è stato chiamato lo “stato costituzionale

38

”: esso pretende la sua scaturigine in un procedimento inclusivo dell’opinione e della volontà di tutti i soggetti che ne danno origine. Ne consegue che il dialogo tra le correnti culturali che vi partecipano è avvertito come totalmente interiorizzato; e che l’appartenenza della sovranità sia sostanzialmente assorbita entro il quadro giuridico e tragga da esso e solo da esso alimento.

Tutti questi concetti fanno dire che il dialogo culturale, in quanto principio ispiratore di regole giuridiche e alla stregua del quale è valutata la costituzionalità delle norme dei nostri ordinamenti, è oggi assunto come pienamente “giuridicizzato”

39

.

Si tratta di altrettanti concetti, oggi, tutti quanti divenuti improvvisamente controversi

40

, proprio a cospetto del tema del dialogo culturale e dei suoi stessi presupposti di diritto, rappresentati dal rapporto tra uguaglianza e riconoscimento dell’alterità e della differenza. Pare infatti che il riconoscimento della differenza, intesa anche come differenza di percorsi storici, da cui promanano differenti concezioni dell’uomo e del suo rapporto con la società, finisca con il mettere in discussione le basi stesse dell’universalismo su cui si basano i principi e i diritti fondamentali.

37 Le cui basi filosofiche possono esser fatte risalire all’idea di natura umana elaborata dal giusnaturalismo.

Tuttavia la filosofia moderna è, si può dire, interamente orientata a ricostruire il tema del rapporto individuo società.

C’è ad esempio una bellissima espressione di Karl Marx che ben fa emergere questa dimensione dell’individuo maturata nella modernità: per Marx “l’uomo non è soltanto un animale sociale, ma un animale che solamente nella società può isolarsi”. Mi sembra che questo modo così suggestivo di coniugare la socialità e l’individualità umana sia quello che meglio rappresenta il percorso filosofico che ha caratterizzato l’idea di uomo nel suo rapporto con la società del pensiero moderno. MARX, K., lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Firenze, 1968, pag. 5

38 Ad esempio da Jurgen Habermas o da Gustavo Zagrebelsky alla cui bibliografia si rimanda

39 Rimando al capitolo VIII ove si passa in rassegna la giurisprudenza sull’argomento, tale da far dire che il dialogo culturale sia anche “giurisdizionalizzato”

40 Non voglio qui negare che quei concetti siano stati, in un certo senso, sempre controversi, fino dalla loro comparsa.

Il punto è che oggi si disputa della loro validità o attualità proprio alla luce della nuova problematica del multiculturalismo e dell’emergere del tema del riconoscimento delle identità culturali. Su questi temi in particolare, segnalo alcuni testi (uno per ognuno dei concetti in questione) che mi paiono fondamentali, tra i moltissimi che sono negli ultimi anni usciti. Per una sostanziale abiura del principio universalistico vedi HUNTINGTON, S. P., Lo scontro delle civiltà, Milano, 2000; per una critica serrata al concetto di cittadinanza che sembrerebbe oggi aver perso la sua capacità espansiva di riconoscimento dei diritti, per assomigliare invece ad una sorta di status attribuito solo a taluni e dunque discriminatorio verso i non cittadini si può citare FERRAJOLI, L., Diritti fondamentali, Bari, 2001; sul tema della crisi della statualità come luogo privilegiato per il riconoscimento dei diritti; sulla crisi del principio di statualità BECK, U., GRANDE, E., L’Europa cosmopolita – società e politica nella seconda modernità, Roma, 2006; sull’insufficienza del contesto pluralistico a consentire il pieno dispiegarsi del multiculturalismo vedi KYMLICKA, W., La cittadinanza multiculturale, Bologna, 1999

(18)

In specifico sembrano prendere forma, nel più recente percorso storico, soggetti ed istanze che mettono in discussione quell’assunto di inclusività proprio del momento costituente, quella comune origine che conferisce legalità e legittimità dei processi politici. Essi fanno piuttosto riferimento a valori culturali dei quali pretendono il riconoscimento, a prescindere dal fatto che questi valori siano stati coinvolti nel processo costituente. Chiedono inclusività e mettono così a nudo il fatto che anche nello stato costituzionale sussistono soggetti che traggono alimento da valori e culture sostanzialmente estranee alla Costituzione.

E questa è una prima risposta al quesito circa all’irrompere, proprio del presente periodo storico, del tema culturale nel mondo della produzione dei principi e delle regole giuridiche.

Quanto al tema della cittadinanza, essa è oggi intesa non solo come requisito di piena e paritaria appartenenza ad un ordinamento giuridico retto da un patto costituzionale, ma anche e sempre più, in termini identitari e di status, capace di includere ed escludere, e comunque di distinguere i diritti e le opportunità di coloro che ne sono titolari da tutti gli altri.

Si pensi al tema della limitazione alla partecipazione politica, a partire dal diritto al voto, o al diritto di costruire e gestire luoghi di culto; o anche al diritto di veder rispettare e riconoscere simbologie, festività, abitudini alimentari o di costume.

Ora che le altre culture, quelle estranee al percorso storico occidentale, non possono più essere trattate alla stregua di pittoresco folklore o di curiosa caricatura di una modernità, altrimenti soltanto nostra, l’assunzione del dialogo culturale assume connotati angoscianti e si contorna di paure, di fantasmi, di presentimenti.

Nel contempo assistiamo ad una sempre più diffusa inquietudine nei confronti della nostra cultura. Basti pensare all’orgogliosa rivendicazione del diritto di portare indumenti tradizionali, come quanto avvenuto in Francia, comportando un aspro dibattito e interventi dei massimi organi costituzionali di quel paese.

Mi pare che emerga una composita e convergente diffidenza verso l’idea, di origine universalistica, che una società democratica e pluralista deve assumere il dialogo culturale come suo connotato imprescindibile. Questa diffidenza cela il timore di essere corrotti, inglobati, fagocitati da altre culture e, di volta in volta, apre la strada all’accusa ad una cultura (non importa qui se si tratta della nostra o di quella del nostro presunto nemico) di contenere i germi della volontà egemonica nei confronti delle altre

41

.

41 Da questo punto di vista le posizioni apparentemente opposte appaiono speculari: vedi ad es. FALLACI, O., La forza della ragione, Milano, 2004 e NEGRI, A., HARDT, M., Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano, 2002. La prima evidenzia la vulnerabilità dell’occidente che, a suo dire, in onore alle sue radici di pluralismo e tolleranza, “rischia di essere facile preda di concezioni irragionevoli ed intolleranti”; i secondi sostengono che obbiettivo del “cosmopolitismo” occidentale è “affermare le differenze e di sistemarle in un efficace dispositivo di comando ”. In entrambi i casi, si ritiene di smascherare un trucco, perpetuato, ora dall’occidente, ora

(19)

Dunque, non solo sono in discussione principi universali di tipo contenutistico, ma lo stesso dialogo, cioè, in sostanza, la fonte, il nocciolo duro del metodo democratico, è avvertito come una pratica attraverso la quale si potrebbe generare un pericolo.

Si tratta, credo, di un’insidia rimarchevole ed insinuante alla cultura costituzionalistica moderna, che fa del patto costituzionale, cioè dell’accordo sui principi comuni, e soprattutto sulle regole, la propria pietra angolare.

Emergono invece distinzioni tra gruppi culturali identitari, realtà etniche, comunità a base religiosa, che sembrano comportare una reviviscenza di forme di organizzazione della società che (sembrava) fossero, se non definitivamente soppresse dopo la rivoluzione francese, quanto meno metabolizzate nell’ambito delle entità statali e dell’agorà delle società civili.

Può essere dunque utile qualche riferimento storico: uno sguardo al passato può aiutarci a rendere più penetrante la consapevolezza del presente per individuare similitudini e dissonanze.

Ad esempio, a farci evitare il rischio di offuscare la peculiarità delle problematiche odierne, immaginando qualche improbabile reviviscenza di is tituti e contesti giuridici desueti.

Il primo tema è quello relativo alla matrice universale o piuttosto “occidentale” del dialogo culturale.

Su questo argomento si può dire che ormai non c’è studio che, nell’affrontare la questione del dialogo e della convivenza tra culture diverse, non si preoccupi di individuarne gli aspetti genetici negli albori della cosiddetta modernità

42

/

43

, offrendo una nuova ricostruzione.

Molti di questi studi hanno in comune l’evidenziazione di come la storia della modernità occidentale incroci l’affermazione dell’universalismo con un fenomeno di sopraffazione quali le conquiste coloniali. Dalla conquista spagnola delle americhe, al colonialismo “capitalistico

44

” olandese, allo svilupparsi delle colonie in america del nord a partire dalla spedizione dei padri

dall’islam, consistente nell’utilizzo della cultura a fini di colonizzazione. Ma, quel che più conta, si ritiene di dover derubricare ogni idea di universalità del valore del dialogo culturale. Un’altra interessante posizione, direi complementare a quella di Oriana Fallaci è quella di BRUCKNER, P., La tirannia della penitenza, Parma, 2007 e Saggio sul masochismo occidentale, Milano, 2007. Questi tratta il tema della vergogna di sé, che egli crede di riconoscere come il male della civiltà occidentale contemporanea. L’autore cerca di comprendere e spiegare un paradosso: "Tutto il mondo bussa alle porte dell'Europa, vuole avere la meglio nel momento in cui quest'ultima si macera nella vergogna di sé". Riferendosi all'Europa appunto, il masochismo di cui parla l'autore non è soltanto l'eccesso di pentimento, ma anche la tendenza a negare le nostre tradizioni liberali e repubblicane. Si sostiene che

“le élite europee non hanno più il coraggio di rivendicare la propria eredità politica e morale”

42 Ad esempio vari autori già citati come John Rawls, Charles Taylor, Will Kymlicka, Samuel Phillips Huntington, Luigi Ferrajoli; anche altri autori che saranno ripetutamente citati, quali, Ermanno Vitale, Sonia Benhabib ricostruiscono il tema culturale sul filo della storia della modernità occidentale

43 A dire il vero non mancano studi e riflessioni storiche anche sul medio evo o anche sull’antichità, tese a far emergere modalità del confronto scontro tra le culture utili per comprendere i problemi dell’attualità. Si propone ad esempio il monumentale catalogo AA.VV. Roma e i barbari – la nascita di un nuovo mondo, Venezia, 2008, predisposto in occasione dell’omonima mostra tenuta nel 2008 a Venezia

44 Così definito da SALVADORI, M., L., L’età moderna, vol 2, Torino, 1990, pag. 228

(20)

pellegrini del Mayflower, l’ideale universalistico si interseca, quasi in un nodo gordiano, con il colonialismo e, per quel che ci riguarda, con il misconoscimento culturale.

In effetti, come noto, la data della scoperta dell’America, presa a riferimento per fondare l’era moderna, pone dinanzi a tutti il tema della convivenza tra culture totalmente differenti e fino ad allora mai incrociate.

Vi fu presto un dibattito tra chi sosteneva la superiorità dei bianchi sugli indios e chi al contrario ne difendeva i diritti

45

.

È interessante notare come entrambe le posizioni, pur opposte, avessero al centro il tema della cultura e, sostanzialmente, su tale argomento concordassero. Chi sosteneva il diritto degli spagnoli a colonizzare i popoli del nuovo mondo trovava una convincente giustificazione nel fatto che questi ultimi “non soltanto sono totalmente privi di cultura ma non conoscono le lettere, non conservano alcun documento della loro storia, ma hanno soltanto… costumi barbari”

46

. Per contro, chi dichiarava la piena illegittimità della colonizzazione violenta dei paesi extraeuropei, proponeva l’immagine del buon selvaggio non meno umano dei cristiani ancorché affetto da “ignoranza invincibile

47

”.

Questa definizione di “selvaggio” persiste persino nelle posizioni più radicalmente innovative, che pure sono presenti a partire dal sedicesimo secolo

48

, le quali, pur affermando il principio di diversità, tuttavia non si liberano da un sapore agiografico e malcelano così l’intenzione di costruire una teoria dell’uomo di natura, semplice ed incontaminato, da contrapporre, più o meno ideologicamente, alla condizione dell’uomo contemporaneo. In altre parole la teorizzazione dell’uomo di natura era funzionale a ricostruire una sistematica dei diritti da attribuire all’uomo, diremmo oggi, occidentale, piuttosto che a riconoscere la peculiarità dei diritti dei popoli colonizzati.

45 È famoso il confronto sull’argomento tra Juan Gines de Sepulveda e Bartolomè de Las Casas, autori , rispettivamente, del Democrates secundus de iustis belli causis (1547) e della Apologetica Historia (1550 c.)

46 Si tratta di una frase di Juan Gines de Sepulveda tratta da GLIOZZI, G., (a cura di), Le teorie della razza nell’età moderna” Torino, 1986

47 Fra gli studi su Bartolomè de Las Casas si propone BENZI, M., Bartolomè de Las Casas il difensore degli indios, Viterbo, 1996

48 Prima fra tutte quella espressa dal filosofo francese DE MONTAIGNE, M., Civiltà e barbarie, in Saggi, Milano, 1982, che, partendo da posizioni scettiche, giunse a riconoscere la relatività di tutte le scale di valori: per il filosofo il confronto tra i costumi europei e quelli del nuovo mondo faceva mettere in discussione lo stesso concetto di barbarie, atteso che è giudicato barbaro ciò che non rientra nei nostri schemi mentali e nelle nostre abitudini. Si inaugura, con De Montaigne, un filone di pensiero molto significativo lungo tutto il percorso della modernità: un filone che associa l’idea di selvaggio con l’umanità degli albori del mondo. Lo stato di natura dell’uomo, è così idealizzato in contrapposizione alle degenerazioni della modernità in quanto assunto come modello di purezza e semplicità che deve ispirare un processo di rinnovamento del mondo moderno. Su questa linea che fa del

“selvaggio” una metafora o comunque un’astrazione e non un oggetto di concreto studio delle differenze, come non ricordare il pensiero illuministico di ROUSSEAU, J., J., Discorso sull’origine e i fondamenti della ineguaglianza tra gli uomini, Roma, 1994, o anche di VOLTAIRE, Conversazioni tra un selvaggio ed un baccelliere, in Il filosofo ignorante, Treviso, 1993. Anche il pensiero contemporaneo è intriso di queste concezioni: si pensi alla idilliaca visione della società contadina, in contrapposizione con la degenerazione della modernità, proposta da Pier Paolo Pasolini

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