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CAPITOLO 2 Il segreto di Stato nella Costituzione Repubblicana

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INTRODUZIONE

Il “segreto” desta interesse da sempre, è termine dai plurimi significati e dalle molteplici forme, in continua lotta con le nozioni di “pubblico”

e di “conoscenza”.

Nel diritto processuale penale una prima generale accezione di

“segreto” è quella da riferire al segreto funzionale al corretto espletamento dell'attività giudiziaria, qual è il segreto investigativo, che preclude la conoscenza degli atti d'indagine sia alle parti private del procedimento che, a maggior ragione, a tutti coloro che si collocano al di fuori, traducendosi quindi in un segreto sia interno che esterno1; da tale nozione deve tenersi distinta quella, di cui qui tratteremo, del segreto che invece proprio dall'esterno proviene e che viene opposto al processo, il quale può essere tanto un segreto professionale quanto d'ufficio o di Stato. Quest'ultimo, in particolare, ha fatto discutere molto e continua a farlo, fin da quando la sua avventura2 è iniziata il legislatore, la giurisprudenza e la dottrina si sono confrontate e scontrate sul tema.

Parlare di segreto di Stato nel processo penale vuol dire parlare dei segreti nel processo3, perché tale istituto si traduce in un ostacolo all'accertamento di un fatto penalmente rilevante.

A causa di questa sua natura avversa alla ricostruzione della verità cui è teso il processo, ma sicuramente anche per l'abuso che ne è stato fatto, il segreto di Stato non ha mai goduto di buona reputazione presso

1 Sul segreto investigativo interno ed esterno si veda Filippi L., “Processo penale e tutela della libertà” in “Libertà d'informazione, nuovi mezzi di comunicazione e tutela dei diritti”, a cura di Barsotti V., Maggioli, 2015, pag 50-51.

2 Ne parla proprio in questi termini Ferrari, si veda “L'avventura del “segreto”

nell'Italia repubblicana tra gli anni '60 ed '80”, in “Il segreto nella realtà giuridica italiana”, Cedam, 1983, pag 25.

3 Bonzano affronta la distinzione tra “segreti sul processo” e “segreti nel processo”

in “Il segreto di Stato nel processo penale”, Cedam, 2010, pag 36.

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l'opinione pubblica, e sin da subito l'attenzione è stata rivolta alla ricerca di cause giustificatrici che lo legittimassero, a partire dalle teorie della ragion di Stato4 fino all'adozione del concetto di salus rei publicae.

Il rapporto segreto di Stato-rito penale è quindi dato dalla continua tensione verso l'emanazione di una disciplina risolutiva, per trovare un punto di equilibrio soprattutto in un ambito, tanto fondamentale per il processo, quale quello della prova testimoniale, qui si sono registrati maggiori contrasti e incertezze, tra interpretazioni soggettive ed oggettive del segreto, sempre in bilico fra la tutela di questo e la salvaguardia di valori altrettanto fondamentali5.

Per affrontare la tematica del segreto di Stato, dallo specifico punto di vista della sua opposizione nei processi penali, non si può perciò prescindere da un'analisi cronologica dell'istituto che ci permetta di comprenderne appieno la normativa attuale. Attraverso il susseguirsi dei codici di rito, delle loro modifiche, e del fondamentale ruolo delle sentenze e delle ordinanze della Corte Costituzionale, si è approdati a discipline extra codicem, prima con la legge n. 801 del 1977 e più di recente, nel 2007, con la legge n. 124 “Sistema d'informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto di Stato”.

Vediamo se il punto di equilibrio è stato raggiunto.

4 Si consideri che già Tacito negli Annales narra dei c.d. arcana imperii come di argomenti che per ragioni più o meno evidenti di opportunità politica erano sottratti alla curiosità dei più.

5 Basti pensare ad esempio al diritto di difesa.

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CAPITOLO 1 Prime tappe storico evolutive del rapporto segreto di Stato-processo penale

1.1 Disciplina preunitaria e codice di procedura penale del 1865.

La tutela processuale del segreto di Stato si affaccia alla storia già prima dell'unificazione d' Italia. In due Stati preunitari, a completamento della disciplina sostanziale6 diretta a reprimere il reato di rivelazione di tali segreti, si avvertì l'esigenza di una normativa processuale atta proprio ad evitare la trasformazione del rito penale in luogo di consumazione del suddetto crimine: si tratta del Regno di Sardegna e degli Stati Estensi.

Per quanto riguarda la legislazione di quest'ultimi la disposizione di riferimento era l' articolo 137 del codice di procedura criminale del 1855, il quale disponeva:

“gli avvocati e i procuratori a liti non possono essere obbligati a deporre su quei fatti di cui essi non abbiano cognizione se non in seguito di rivelazione o confidenza ad essi fatta dai loro clienti nell'esercizio delle loro funzioni.

Lo stesso ha luogo riguardo a medici, chirurghi od altri ufficiali di sanità, agli speziali, alle levatrici e ad ogni altra persona, cui per ragione del suo stato e della sua professione od officio fu fatta confidenza di qualche segreto, salvi i casi in cui la legge li obbliga espressamente ad informare la pubblica autorità”.

6 Per il profilo sostanziale nelle codificazioni preunitarie si veda Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, Giuffrè, 1977,pag 4 ss.

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D' identica portata l'articolo 2747 del codice di procedura penale del 1859 del Regno di Sardegna:

“gli avvocati e i procuratori non possono sotto pena di nullità, essere obbligati a deporre sopra fatti o circostanze di cui non abbiano cognizione che in seguito a rivelazione o confidenza ad essi fatta dai loro clienti nell'esercizio del proprio ministero.

Lo stesso ha luogo riguardo ai medici, chirurghi o altri ufficiali di sanità, agli speziali, alle levatrici, e ad ogni altra persona cui per ragione del suo stato o della sua professione od officio fu fatta confidenza di qualche segreto; salvi i casi in cui la legge li obbliga espressamente ad informare la pubblica autorità”.

Dalla lettura di entrambe le disposizioni si ricava che nessuna tutela processuale era dettata specificatamente per il segreto di Stato, gli articoli di cui sopra, semmai, introducevano una disciplina generale comprensiva del segreto professionale e d'ufficio. Ma in quell'inciso

“...e ad ogni altra persona cui per ragione del suo stato...fu fatta confidenza di qualche segreto” veniva letta una garanzia posta a copertura anche dei segreti di Stato.

La disciplina processuale del segreto si basava sul divieto per il giudice di obbligare a deporre e sulla corrispondente facoltà del testimone di astenersi dal farlo, ma allora la disciplina più che a garanzia del segreto di Stato, realizzava una tutela tutta personale8. Si trattava di una tutela però che non era estesa a tutti, perché nonostante l'inciso “ed ogni altra persona”, il teste non era obbligato a testimoniare soltanto se aveva appreso la notizia in ragione del suo stato-professione-officio, la

7 Lo stesso contenuto aveva già l'art. 150 del cpp anteriore, codice di rito 1847 del Regno di Sardegna.

8 In termini di “garanzia personale” Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, in Studi di diritto processuale penale, a cura di Conso G., Giuffrè, 1983, pag 7.

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facoltà di astensione era quindi riconosciuta solo in capo a soggetti qualificati, non a tutti i cittadini.

Dal punto di vista della magistratura poteva accadere che essa acquisisse notizie riconducibili alla categoria del segreto di Stato in conseguenza di spontanee dichiarazioni del teste, mentre davanti ad un rifiuto testimoniale non aveva nessun potere circa la verifica dell'effettiva esistenza del segreto, in tali ipotesi il giudice penale si limitava ad accertare i presupposti del diritto di astensione: la qualifica soggettiva del testimone e la modalità di acquisizione della notizia segreta.

Il passo successivo, tra l'altro a brevissima distanza di tempo, si ebbe con l'emanazione del primo codice di procedura penale dell'Italia unita, il codice del 1865, il cui articolo 288 non faceva che riprodurre la disciplina delle codificazioni preunitarie richiamate.

Di pari passo dottrina e giurisprudenza interpretarono restrittivamente l'espressione “ogni altra persona” identificandola con la categoria dei pubblici ufficiali9, affinché l'estensione della facoltà di rifiutarsi di testimoniare non rendesse praticamente impossibile costringere nessuno a deporre.

Un altro aspetto a sfavore di quella che veniva identificata come la tutela processuale del segreto di Stato, e a favore di una “tutela del teste”, era la sanzione della nullità della testimonianza adottata dal codice del 1865 ma già prevista anche nelle legislazioni preunitarie.

Tale sanzione non era infatti finalizzata ad escludere la prova testimoniale dal processo quando in sede di esame era stato rivelato un segreto di Stato, ma si voleva punire la compiuta violazione del divieto di obbligare il testimone a deporre. Però, bisogna precisare, il campo

9 Per la giurisprudenza anche gli ufficiali di polizia giudiziaria circa i nomi dei confidenti e i sacerdoti, rispettivamente Cassazione 27 agosto 1895 in Rivista penale vol. XLII, pag. 451; Cassazione Napoli 15 febbraio 1886 in Foro italiano, vol. II, pag. 348.

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d'applicazione della suddetta sanzione non era molto ampio in quanto la nullità doveva essere opposta prima dell'esame, altrimenti risultava sanata dal silenzio e ciò vanificava ancora di più la tutela del segreto di Stato sul piano processuale.

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1.2 Il codice di procedura penale del 1913.

Il 27 febbraio 1913 venne emanato un nuovo codice di procedura penale, il c.d. codice Finocchiaro-Aprile, dal nome del Ministro Guardasigilli in carica.

Rispetto al 1865 si possono segnalare diverse e non trascurabili novità ma al tempo stesso non si può sottacere che non furono tutte dei veri e propri passi in avanti, scopriamo perché.

Articolo 248:

“Non possono a pena di nullità, essere obbligati a deporre su ciò che a loro sia confidato, o sia pervenuto a loro conoscenza, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione:

1° i ministri di un culto ammesso nello stato;

2° i notari, gli avvocati e i procuratori;

3° i medici e i chirurghi, i farmacisti, le levatrici e ogni altro ufficiale sanitario, salvo i casi nei quali la legge li obbliga espressamente d informare la pubblica autorità.

I pubblici ufficiali non possono essere obbligati a deporre su ciò che è stato loro confidato per ragioni d'ufficio, salvo i casi i cui la legge li obbliga espressamente a informare la pubblica autorità, e non possono essere interrogati sui segreti politici o militari concernenti la sicurezza dello Stato”.

Come i codici di rito precedenti, anche il c.p.p. del 1913 disciplinava in uno stesso articolo il segreto professionale, quello d'ufficio e il segreto di Stato, ma, quest'ultimo, per la prima volta, godeva di una disposizione specifica, con l'espressione “segreti politici-militari concernenti la sicurezza dello Stato”10 esso non veniva più considerato

10 Il c.p.p. del 1913 utilizza la categoria dei segreti politici e militari in perfetta sintonia con il codice penale Zanardelli del 1889 proprio per una migliore

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unitamente alle altre due tipologie di segreto, anzi, la stessa disciplina processuale mutava a seconda che l'oggetto della prova testimoniale fosse coperto dal segreto d'ufficio/professionale o da segreto di Stato.

Nel primo caso i pubblici ufficiali non potevano essere obbligati a deporre, mentre nella seconda ipotesi non potevano neanche essere interrogati. In base a questa disciplina il testimone difficilmente si sarebbe trovato di fronte all'alternativa tra il silenzio e la rilevazione del segreto11 perché lo sbarramento all'acquisizione della notizia era innanzitutto posto in capo al giudice, e costui si guardava bene dal concorrere nel crimen della rivelazione del segreto di Stato.

Dall'eliminazione della precedente normativa basata sulla sola coscienza del testimone si percepisce che il legislatore del 1913 era fortemente intenzionato a rafforzare la tutela processuale del segreto di Stato.

Ma pare in controtendenza con quest'ultima osservazione l'assenza, nel solo secondo comma dell'articolo 24812, della sanzione processuale della nullità prevista per la testimonianza assunta a seguito di violazione da parte del giudice del divieto d' interrogare sui segreti politici-militari.

La maggior parte della dottrina giustificò tale assenza sulla base della considerazione che tale sanzione non aveva alcun effetto riparatore rispetto al pregiudizio arrecato con la rivelazione del segreto, ma, per alcuni13, la reale spiegazione era soltanto la convinzione del legislatore di aver elaborato una tutela sufficiente del segreto di Stato, avendo coinvolto in primis il giudice (“...non possono essere interrogati..”).

Altro cambiamento operato dal legislatore del 1913 fu l'eliminazione dell'inciso “ed ogni altra persona”, il secondo comma dell'articolo in

interazione tra disciplina sostanziale e processuale.

11 Solo in caso di un giudice ignaro dell'esistenza del segreto.

12 Presente invece per il segreto professionale, art. 248 comma 1.

13 Per tutti si veda Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 27-28.

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esame veniva così a disciplinare esclusivamente la categoria dei pubblici ufficiali, ma nonostante la notevole riduzione soggettiva14, c'era ancora quella tutela “personale” del teste già conosciuta nella codificazione del 1865.

In tema di testimonianza un'altra disposizione del c.p.p. 1913 merita qui di essere richiamata: secondo il primo comma dell'articolo 246:

“i testimoni...non possono essere interrogati...su notizie o comunicazioni avute dalle persone menzionate dall'art. 248 in relazione ai fatti contemplati nello stesso articolo”

Questa disposizione è una riprova dell'intento del legislatore del 1913 di tutelare maggiormente il segreto di Stato, in questo caso prevenendo il rischio di deposizioni indirette.

Ma in realtà, a guardar bene, l'articolo 246 non introduceva niente di nuovo rispetto alla codificazione del 1865: quest'ultimo all'art. 288 menzionava il quivis de populo (“ed ogni altra persona”), mentre nel 1913 l'art. 246 allontanava i segreti di Stato dal pericolo di testimonianze de relato, cioè di nuovo il quivis de populo depositario, stavolta però indiretto, di un segreto politico-militare concernente la sicurezza dello Stato. Era così vanificata la riduzione soggettiva alla sola categoria dei pubblici ufficiali operata al comma 2 dell'art 248.

Per rinvenire una vera e propria novità sancita dal codice Finocchiaro- Aprile bisogna porre attenzione a un'altra disposizione, l'articolo 240, perché, se tutte le codificazioni anteriori si erano concentrate sulla testimonianza, adesso l'attenzione si era spinta oltre, precisamente al sequestro giudiziario.

Articolo 240:

14 Dal quivis de populo ai soli pubblici ufficiali.

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“I pubblici ufficiali e le altre persone indicate nell'art. 248 devono consentire la presentazione all'autorità giudiziaria, in originale o in copia, di atti, documenti, o di altra cosa esistente presso di loro, quando la detta autorità ne faccia richiesta, eccetto che trattisi di segreti politici o militari, concernenti la sicurezza dello Stato, ovvero di segreto d'ufficio o professionale che il pubblico ufficiale o la persona richiesta dichiari per iscritto di dover mantenere.

(...)” .

L'articolo 240 riproponeva la distinzione netta, già vista nell'art. 248, tra segreto d' ufficio/professionale da una parte e segreto di Stato dall'altra; in caso di atti e documenti coperti da segreto politico- militare il pubblico ufficiale era dispensato dal dover dichiarare per scritto il proprio obbligo verso il mantenimento del segreto, dichiarazione a cui era invece tenuto dalla disciplina prevista per gli altri due tipi di segreto15.

A fronte degli articoli esaminati, non si può concludere diversamente, cioè che il quadro normativo delineato dal codice del 1913 costruiva un autentico limite probatorio sul tema del segreto di Stato.

15 Art. 240 comma 1 cpp del 1913.

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1.3 Il codice Rocco: evoluzione o arretramento?

Il codice Finocchiaro-Aprile venne applicato per meno di venti anni, fu sostituito dal codice Rocco, emanato nel 1930 ed entrato in vigore il 1º luglio 1931. Rispetto al suo antecedente di matrice liberale, il c.p.p. del 1930 era il frutto della legislazione fascista, ma proprio questo non devi trarci in inganno, tutti gli studiosi che si sono occupati del tema16 hanno infatti sottolineato come qualsiasi aspettativa “rivoluzionaria”

della tutela processuale del segreto di Stato non abbia trovato riscontro nel tessuto delineato dalle nuove disposizioni.

Se il codice di rito del 1913 era espressione dello stato liberale, perché emanato in quel contesto storico-culturale, era del tutto legittimo aspettarci da parte del codice Rocco una traduzione in norme dell'ideologia dello stato totalitario; ma, come già anticipato, non fu propriamente così.

Il codice di procedura penale del 1930 si rifaceva al codice abrogato, l'impianto era lo stesso e la ratio di questa apparente stranezza stava forse nella realizzazione da parte del codice del 1913 di uno sbarramento probatorio pressoché completo sul segreto di Stato17, il giudice non aveva alcun potere dinnanzi ad esso e ciò determinava un rapporto di totale subordinazione dell'autorità giudiziaria. E' proprio questo rapporto che permise il mantenimento della disciplina anche in epoca fascista, perché si conciliava perfettamente con l'accentramento statale messo in atto dal regime, in cui l'autorità amministrativa si collocava in primo piano mentre il giudice e la sua attività accertativa molte file indietro.

16 A mero titolo esemplificativo, sia Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 29; che Bonzano C., “Il segreto di Stato nel processo penale”, Cedam, 2010, pag 54, hanno evidenziato come il codice Rocco abbia recepito la normativa previgente.

17 Si veda l'analisi degli articoli del codice Finocchiaro-Aprile nel paragrafo precedente.

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Le considerazioni fin qui fatte non devono però sfociare in una lettura del codice Rocco come di una semplice riproduzione asettica di ciò che era già stato messo nero su bianco dal legislatore del 1913, perché diversi furono i profili di novità.

La tutela processuale del segreto di Stato si concentrava in due disposizioni, l'articolo 352 per la testimonianza e l'articolo 342 in tema di sequestro giudiziario, rispettivamente, per fare un parallelismo, articolo 248 e 240 del c.p.p. del 1913.

Partiamo dalla prova testimoniale, l'articolo 352 così recitava:

comma 1:

“I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio non possono, a pena di nullità, essere obbligati a deporre sui fatti conosciuti per ragione d' ufficio e che debbono rimanere segreti.”

comma 2:

“Essi, a pena di nullità, non debbono essere interrogati sui segreti politici o militari dello Stato o su altre notizie che palesate possono nuocere alla sicurezza dello Stato o all'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato medesimo.”

comma 3:

“Se l'autorità procedente non ritiene fondata la dichiarazione fatta da alcuna delle predette persone, ne fa rapporto al procuratore generale presso la corte d'appello, che ne informa il Ministro della giustizia.

Non si procede in tal caso per il delitto di cui all'articolo 372 del codice penale, senza l'autorizzazione del Ministro della giustizia.”

Procediamo con ordine, un comma alla volta.

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Il comma 1 ci è utile per un veloce raffronto con il 2° per evidenziare la ripresa dal codice abrogato della disciplina differenziata tra segreto d' ufficio, caratterizzato dalla facoltà di astensione del testimone, e segreto di Stato imperniato invece sul divieto d'interrogare. Di nuovo, quindi, un doppio ostacolo all'accertamento giudiziario, concentrato in prima battuta ancora sul giudice, garante diretto dell'inviolabilità di quanto coperto da segreto politico-militare, e solo se quest'ultimo ne ignorava l'esistenza la tutela passava al teste che doveva eccepirla con dichiarazione orale.

Ma veniamo al cuore della disciplina.

La tutela del segreto di Stato in sede processuale si presentava con notevoli novità rispetto al codice del 1913.

In primo luogo il comma 2 ampliava la categoria dei soggetti sottratti all'esame testimoniale, non più i soli pubblici ufficiali, ma anche i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio, quindi potremmo dire che quasi tutto il personale amministrativo statale beneficiava della tutela accordata al segreto di Stato in sede di processo penale18, un'affermazione non poi così azzardata se si pone mente alla concezione dell'amministrazione tipica dell'ideologia del regime.

Questo ampliamento dei soggetti qualificati, dispensati dall'obbligo della deposizione, era però controbilanciato dall'abrogazione dell'articolo 246 del codice di procedura penale del 1913 disciplinante il divieto di testimonianza indiretta19, il che aveva determinato “una

18 Parlano di “condizione di vantaggio e d'intoccabilità per il personale dipendente degli apparati amministrativi statali” Clementi F. e Musci A. in “Il segreto di Stato, dal caso Sifar alla “giustizia negata” di Ustica e Bologna, Profili giuridici e prospettive di riforma”, Democrazia e diritto, Editori riuniti riviste, 1990, pag 21.

19 E se confrontiamo la disciplina processuale con quella sostanziale notiamo che non erano affatto coincidenti: il codice penale del 1930 incriminava chiunque si fosse procurato o avesse rivelato notizie segrete o riservate, il quivis de populo, quindi identificava tale crimine come reato comune, viceversa il codice di rito si rivolgeva esclusivamente ai pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di un

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discriminazione di alcuni cittadini, rispetto a tutti gli altri”20.

Sul punto però non mancarono contrasti a livello interpretativo e, parte della dottrina sosteneva un'estensione di quanto disciplinato dal secondo comma dell'art. 352 c.p.p. 1930 oltre le persone letteralmente menzionate nello stesso, appellandosi ad un'applicazione analogica in virtù dell'interesse tutelato dalla norma stessa, il segreto di Stato, di cui poteva essere a conoscenza anche un soggetto non qualificato. Ma sposare questa lettura voleva dire svuotare di significato l'elenco soggettivo contenuto nel suddetto comma; se il legislatore del 1930 si era rivolto solo a quelle categorie di soggetti, ricoprenti un determinato incarico, e al tempo stesso aveva eliminato il divieto di testimonianza indiretta, di certo non era sua intenzione avallare poi un'applicazione estensiva della regola probatoria dettata dall'articolo 352 comma 2 c.p.p. 1930.

La prima conclusione che si può trarre sul codice Rocco è allora quella di una tutela ancor più soggettiva, rivolta solo a determinati soggetti, a discapito di una protezione oggettiva del segreto.

Altra novità rispetto al codice Finocchiaro-Aprile era la reintroduzione della sanzione della nullità, la quale si portava dietro un interrogativo di non poco conto collegato ad dato letterale del secondo comma:

quest'ultimo sanciva il divieto di interrogare e non obbligare a deporre, e con ciò lasciava intendere l'applicazione del comma, e quindi della nullità, non solo alle dichiarazioni del testimone, ma anche a quelle dell'imputato. Se l'imputato in sede d'interrogatorio avesse spontaneamente disatteso il dovere di segretezza, l'autorità giudiziaria poteva servirsi di quanto dichiarato?

Partendo dalla constatazione che il termine nullità era inteso nel senso odierno di inutilizzabilità, la risposta al quesito non può che essere

pubblico servizio, perciò reato proprio.

20 Si esprime in questi termini Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 60.

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negativa in quanto la rivelazione di una notizia segreta e quindi a danno della sicurezza dello Stato o all'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato medesimo era tale sia se palesata da un testimone che dall'imputato, purché naturalmente in possesso delle qualifiche soggettive richieste dall'articolo in esame21.

Di fronte ad una spontanea rivelazione il giudice non poteva avvalersene e questo si trasformava in un grosso problema per l'imputato, costui subiva una totale ed evidente compressione del suo diritto di difesa22: non poteva dichiarare la verità coperta da segreto di Stato né, se comunque decideva di farlo, il giudice poteva aggiungere la dichiarazione al resto del materiale probatorio del processo. E' chiaro come un simile meccanismo impedisse facilmente l'emanazione di una sentenza di proscioglimento, ma questa non era l'unica ipotesi in cui la disciplina processuale del segreto di Stato mostrava tutta la sua inadeguatezza, perché, allo stesso tempo, nel caso in cui coperta dal segreto fosse invece stata la prova a carico, ciò che veniva compromesso era l'interesse all'accertamento della verità da parte del giudice, impotente davanti ai possibili abusi di tale tutela dai soggetti qualificati legittimati a “sfruttarla”.

Analizzando ancora il secondo comma, un altro elemento allontanava la disciplina del 1930 da quella precedente, precisamente era cambiata l'espressione con cui si identificava il segreto di Stato, non più “segreti politici o militari concernenti la sicurezza dello Stato” ma semplicemente “segreti politici o militari dello Stato”, con l'aggiunta dell'inciso “o altre notizie che palesate possono nuocere alla sicurezza dello Stato o all'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato medesimo”. Due categorie di notizie quindi, il segreto di Stato in senso stretto e l'emergente gruppo delle c.d. notizie riservate.

21 Come già detto solo i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio.

22 Vedremo che il problema si farà molto più evidente con l'introduzione della Costituzione Repubblicana.

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E' evidente come all'estensione soggettiva della tutela processuale del segreto di Stato, ad una più ampia classe di soggetti qualificati di cui si è detto, il codice Rocco avesse unito anche un ampliamento in senso oggettivo. Non solo l'eliminazione del riferimento alla sicurezza dello Stato che il codice Finocchiaro-Aprile aveva usato per delimitare i segreti politici-militari sottratti all'accertamento giudiziario23, che già di per sé dimostrava la scelta tutta politica di ricorrere a formulazioni il più generiche possibili per garantire una protezione maggiore al segreto di Stato, anzi a qualunque interesse dello Stato, ma addirittura l'inserimento di un altro limite all'esame testimoniale, le notizie riservate24, notizie non segrete ma “di cui l'autorità competente ha vietato la divulgazione”25. Un privilegio processuale, è chiaro, che andava ben oltre il segreto di Stato e che, vale la pena accennarlo, ha diviso la dottrina in tema di corrispondenza con la disciplina sostanziale26.

Un assetto normativo, quello delineato fin'ora, che apriva la strada ai dubbi sul possibile abuso dello strumento del segreto di Stato. Si trattava comunque di un sistema adeguato, come già detto nelle pagine precedenti, alla concezione dello stato totalitario, dove, è bene rimarcarlo, l'attività politico-amministrativa non poteva certo essere

23 Art. 248 com. 2 c.p.p. 1913 “...segreti politici o militari concernenti la sicurezza dello Stato”.

24 A titolo esemplificativo un elenco di notizie riservate è contenuto nel r.d.

1161/1941 che indicava le seguenti materie: ordinamento e dislocazione delle Forze armate, sia in pace che in guerra; efficienza e impiego delle Forze armate;

loro preparazione; metodi e impianti di comunicazione per le Forze armate...fortificazioni...pubblicazioni documenti, atti d'ufficio; pensiero e attività di Governo.

25 Articolo 256 c.p. 1930.

26 Per una tutela maggiore sul piano processuale rispetto al sostanziale si veda Paolozzi G. in “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag. 35; mentre per una perfetta corrispondenza tra codice penale e di rito si veda Grevi V., in “Il segreto nella realtà giuridica italiana”, PUBBLICAZIONI DELL'ISTITUTO DI DIRITTO PUBBLICO DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA, serie terza, vol. 36, 1983, pag. 228.

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assoggettata alla cognizione del giudice.

E' a questo punto che dobbiamo proseguire nell'analisi dei commi dell'articolo 352 c.p.p. 1930.

La tematica dei possibili abusi era infatti affrontata dal terzo comma dove veniva configurato un meccanismo di controllo operante nell'ipotesi di opposizione di un segreto di Stato da parte del teste, una novità piuttosto importante rispetto alla disciplina del 1913, la quale non conteneva assolutamente niente di simile.

“Garantire quanto possibile l'interesse all'accertamento della verità contro gli arbìtri delle persone legittimate ad opporre il segreto”, queste le parole del Guardasigilli Rocco nella Relazione Ministeriale al codice di procedura penale, queste le parole in cui il comma 3° trovava la propria ragione d'essere, il proprio scopo.

Partendo dal dato letterale si ricava che il sistema di controllo delineato era il seguente: il giudice di fronte al testimone, qualificato, che eccepiva l'esistenza di un segreto di Stato, se non riteneva fondata tale opposizione ne faceva rapporto al procuratore generale che a sua volta portava il caso all'attenzione del Ministro della Giustizia; a ciò si aggiungeva l'impossibilità per il giudice di procedere per falsa testimonianza senza un intervento del Ministro favorevole in tal senso.

Apparentemente un meccanismo davvero atto a controbilanciare l'estensione della tutela del segreto di Stato in ambito processuale e a punire quanti si trinceravano dietro di esso per sfuggire all'azione giudiziaria, ma in realtà era una previsione solo teorica perché sul piano pratico lo cose stavano diversamente.

Davanti a quella che sembrava una pretestuosa invocazione del segreto di Stato, il giudice non appariva del tutto disarmato, come invece accadeva durante la vigenza del codice del 1913. Il legislatore del 1930 lo aveva munito di un potere, ma a guardar bene non lo era a tutti gli effetti: all'autorità procedente era infatti ancora preclusa qualsiasi

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attività diretta a verificare la fondatezza o meno della dichiarazione del testimone, il giudice non poteva procedere ad alcun accertamento, la sola facoltà riconosciutagli era quella di inviare rapporto al procuratore generale presso la Corte d'Appello

Già qui sorgevano i primi interrogativi, su che base il giudice riteneva non fondata l'opposizione del teste? In assenza di un obbligo di motivazione della stessa, l'autorità giudiziaria poteva contare solo sulla propria intuizione, era solo un sospetto che faceva scattare il meccanismo d'interpello. Il dubbio di una errata interpretazione data dallo stesso testimone all'informazione in suo possesso o di un puro pretesto per schivare le domande del giudice.

E ancora, pur considerando “un atto dovuto” l'informativa del procuratore al Ministro27, che nel “contenuto non potrà che ricalcare nella sostanza il rapporto del giudice procedente”, quali gli effetti di tale meccanismo ai vertici dell'amministrazione? Il Ministro di Grazia e Giustizia, poteva o doveva verificare la fondatezza dell'opposizione del segreto di Stato?

Quesiti importante se si pone mente agli effetti sul piano processuale:

senza autorizzazione la “vicenda era chiusa”28, il placet del Ministro era il vero ostacolo all'attività accertativa che lo stesso Guardasigilli Rocco aveva però dichiarato essere tutelata dal nuovo c.p.p. Ma stando così le cose, il risultato non poteva essere che quello della tutela di un altro interesse, non la verità processuale ma l'interesse dell'esecutivo.

Unico esito del meccanismo dell'interpello espresso dalla lettera del 3°

comma dell'articolo 352 consisteva nella possibile instaurazione di un processo per falsa testimonianza a carico del teste, previa autorizzazione del Ministro.

Da quanto appena detto, tramite una ricostruzione al contrario,

27 In questi termini Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, Giuffrè, 1977, pag 173.

28 Ancora Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, Giuffrè, 1977, pag 173.

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ricaviamo che questo era l'epilogo scaturente alla constatazione da parte dei vertici dell'amministrazione dell'effettiva infondatezza dell'opposizione del segreto di Stato. Verrebbe ora da pensare che in simili ipotesi l'autorità giudiziaria potesse finalmente acquisire la prova testimoniale negatale in precedenza, in realtà no; il testimone non era più tale, con l'autorizzazione a procedere rilasciata dal Ministro egli aveva assunto la veste d'imputato acquistando così il diritto di non rispondere.

Quest'analisi dell'articolo 352 comma 3° ci permette di concludere che in realtà il codice di rito del 1930 non aveva migliorato la posizione dell'autorità giudiziaria, quest'ultima era ancora disarmata di fronte al segreto di Stato, tanto quanto lo era stata precedentemente.

La disciplina del codice Rocco, stante il suo carattere lacunoso e una tutela marcatamente soggettiva, non poteva certo essere considerava un'evoluzione dell'assetto previgente.

Passiamo ora all'altro articolo posto a protezione di quanto coperto da segreto politico-militare dello Stato.

L'art. 342 c.p.p. 1930 stabiliva:

“I pubblici ufficiali e impiegati, gli incaricati di un pubblico servizio...devono consegnare immediatamente all'Autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, e ogni altra cosa esistente presso di essi per ragione del loro ufficio, incarico..., salvo che dichiarino per scritto anche senza motivazione che si tratta di segreto politico o militare...

Quando la dichiarazione concerne un segreto politico o militare, l'Autorità procedente, se non la ritiene fondata, provvede a norma del secondo capoverso dell'articolo 352”.

(20)

Già alla prima lettura si nota una differenza tra la disciplina del sequestro giudiziario e quella già analizzata della testimonianza, circa i rispettivi campi d'applicazione. L'articolo 342 era circoscritto al segreto di Stato in senso stretto, senza alcun riferimento alle notizie riservate. Inoltre, in tale norma, non era sancito alcun divieto, i soggetti indicati erano semplicemente dispensati dalla consegna di quanto richiesto dall'autorità procedente; l'acquisizione era rimessa in capo allo stesso detentore dell' “atto, documento ed ogni altra cosa”, che si avvaleva di tale esenzione tramite una dichiarazione scritta ma senza obbligo di motivazione. Di fronte a quest'ultima il giudice si trovava nella stessa identica condizione prodotta dall'opposizione di un segreto di Stato in sede di prova testimoniale, e, infatti, è qui che ritroviamo il collegamento tra le due discipline: l'articolo 342 riproponeva il meccanismo d'interpello per la verifica della fondatezza del segreto già visto per la dichiarazione del teste, e lo riproponeva proprio attraverso un richiamo esplicito all'articolo 35229.

Sembra giunto il momento opportuno per tirare le somme e constatare come il codice di procedura penale del 1930 non sia uscito vincitore nella ricerca di un punto di equilibrio tra gli interessi in conflitto: il processo penale, la giustizia e il diritto di difesa da una parte e il segreto di Stato dall'altra.

La disciplina delineata poneva su un piedistallo l'amministrazione che risultava quindi la sola a poter bilanciare il sistema essendo praticamente concentrato nelle sole sue mani il potere derivante dal

29 Però con una differenza non trascurabile perché l'art. 352 prevedeva l'applicazione della procedura prevista dal 3° comma sia in caso di segreto polito- militare che d'ufficio, viceversa l'art. 342 ne limitava il raggio d'azione al solo segreto di Stato, prevedendo invece per il segreto d'ufficio il dovere in capo allo stesso giudice di verificarne la fondatezza e il potere, se del caso, di ordinare il sequestro, “Quando la dichiarazione concerne un segreto un segreto d'ufficio o professionale, l'Autorità procedente, se non la ritiene fondata può ordinare il sequestro”.

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vincolo del segreto di Stato.

Alcuni autori30 hanno evidenziato un aspetto interessante ponendo a confronto la disciplina ordinaria con quella militare, dove il rapporto segreto di Stato-processo penale non era così conflittuale.

L'articolo 293 c.p.m.p.31 poneva a tutela del segreto politico-militare una regola diretta, non a bloccare l'acquisizione probatoria, ma a garantire la segretezza del giudizio:

“Qualora occorra tutelare il segreto politico o militare il giudice istruttore o il presidente, con provvedimento non soggetto a impugnazione, può escludere il difensore o il consulente tecnico non militare”

Il processo si svolgeva praticamente con il semplice accorgimento dell'allontanamento del personale non militare.

Quanto appena detto ci consente di richiamare brevemente un altro articolo del codice di procedura penale del 1930, l'articolo 423, di cui riporto il passo di nostro interesse:

“Le udienze...sono pubbliche, a pena di nullità.

Il presidente o il pretore può tuttavia disporre anche d'ufficio con ordinanza che il dibattimento o alcuni atti di esso abbiano luogo a porte chiuse, quando la pubblicità, può nuocere alla sicurezza dello Stato, all'ordine pubblico...”

Tale disposizione sanciva la regola della pubblicità del dibattimento ma prevedeva, come eccezione alla stessa, la possibilità di procedere a porte chiuse quando risultava opportuno tutelare vari interessi, tra cui

30 Casadei Monti e Paolozzi.

31 Emanato con il Regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303.

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proprio la sicurezza dello Stato32.

Qualcosa di simile, se ci sforziamo, a quanto previsto in ambito militare, però il c.p.m.p. è stato l'unico che ci ha offerto una riprova della possibile esistenza di un' equilibrio e della volontà del legislatore del 1930 di realizzare però un altro risultato.

32 Anche il c.p.p. del 1913, all'articolo 373, prevedeva l'ipotesi di dibattimenti a porte chiuse, soltanto che si limitava a riferirsi ad un generico interesse pubblico

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CAPITOLO 2 Il segreto di Stato nella Costituzione Repubblicana

2.1 La disciplina del 1930 di fronte alla Costituzione:

l'esigenza di riforma.

“Nello Stato costituzionale la pubblicità è la regola, il segreto l'eccezione”. Una singola frase di Norberto Bobbio che racchiude tutta la problematica della tutela processuale del segreto di Stato, all'indomani dell'entrata in vigore della Costituzione.

A partire dal 1° gennaio 1948 l'Italia assume un nuovo assetto costituzionale, basato su un altrettanto nuova concezione del rapporto tra lo Stato e la popolazione: questa non è più composta da sudditi ma da persone a cui la Carta costituzionale riconosce una posizione primaria nell'assetto statale; si pensi al principio della sovranità popolare, alla garanzia dei diritti individuali o, più semplicemente, al principio d'uguaglianza, tutti valori, non solo nuovi, ma addirittura opposti rispetto a quelli su cui si fondava lo stato totalitario da poco caduto.

Ma è proprio a quest'ultimo che bisogna tornare, perché al momento dell'approvazione della Costituzione Repubblicana, la disciplina processuale del segreto di Stato era ancora quella contenuta nel codice di rito del 1930, frutto della legislazione fascista, che, come abbiamo visto33, poneva l'amministrazione, e non il singolo, al centro del sistema.

La Costituzione, invece, sembra ribaltare l'assoluta e, fino ad allora, indiscutibile supremazia dell'interesse statuale su quello individuale, ed è facile comprendere come, in un simile contesto, la disciplina dettata

33 Si veda paragrafo 1.3

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dagli articoli 342 e 352 del c.p.p. del 1930 non rispondesse più alla realtà storico-istituzionale.

Semplice, quindi, ma soprattutto naturale, concludere a favore della necessaria riforma della disciplina processuale.

In verità, le tutele riconosciute al segreto di Stato, in seno al processo penale da parte del codice Rocco, non vennero corrette né tanto meno eliminate nei tempi immediatamente successivi all'entrata in vigore del dettato costituzionale, sebbene, è opportuno evidenziarlo, non mancarono interventi riformatori sul c.p.p. del 1930 diretti proprio ad eliminare le disposizioni palesemente contrastanti con il nuovo ordinamento repubblicano.

A metà del XX secolo questa era la situazione: un “vecchio” codice di procedura penale pervaso dallo spirito autoritario e una “nuova”

Costituzione infusa dei supremi principi democratici.

Di nuovo il solito interrogativo: possibile trovare un punto di equilibrio? E più precisamente, il segreto di Stato trovava spazio nella Carta costituzionale?

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2.1.1 Le fondamenta costituzionali del segreto di Stato.

La Costituzione italiana non contiene alcuna disposizione specifica sul segreto di Stato; indi, non si esprime neanche in una chiara negazione dello stesso.

Il principio di pubblicità è richiamato più volte, come del resto è logico attendersi, dato l'impianto democratico di cui la Carta è traduzione concreta; ma al tempo stesso alcune disposizioni trattano del “segreto”.

Varie e rispondenti a tutele molto diverse sono le tipologie che si trovano enucleate nel testo costituzionale: il segreto della corrispondenza all'articolo 15 Cost., il divieto di associazioni segrete all'articolo 18 Cost., la segretezza del voto, atta a garantirne il libero esercizio, all'articolo 48 Cost., l'articolo 64 della Costituzione che, dopo aver fissato la pubblicità come regola generale per lo svolgimento delle sedute parlamentari, sancisce la possibilità di riunirsi in seduta segreta.

In fondo, le diverse forme di segreto “non valgono a trasformare l'ordinamento nel quale vigono in un ordinamento in sé antidemocratico”34 e “immaginare una vita associata in cui tutto sia palese...è utopia”35. Ogni forma statale ricorre al segreto; è un elemento sempre presente e nelle organizzazioni democratiche spetta alla Costituzione fissarne le fondamenta e l'estensione.

Da qui la ricerca da più parti, sia della dottrina che della giurisprudenza, dello spazio, se esistente, riconosciuto al segreto di Stato, massima espressione del segreto pubblico, segreto che trovava le proprie origini nella ragion di Stato36 e che ora, per sopravvivere

34 Si esprime così Morrone A., “Il nomos del segreto di Stato”, in “Nuovi profili del segreto di Stato e dell'attività di intelligence”, a cura di Illuminati G., Giappichelli, 2010, pag. 9.

35 Miglio G., “Il segreto politico”, in “Il segreto nella realtà giuridica italiana”, Cedam, 1983, pag 171.

36 Sorrentino definisce la ragione di Stato come la specifica razionalità politica legittimante l'esercizio occulto del potere. Si veda Sorrentino V., “Il potere

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all'evolversi storico-istituzionale, necessitava di trovare un titolo di legittimazione nella Costituzione Repubblicana.

La dottrina ha offerto diverse letture nel tentativo di rinvenire un fondamento costituzionale al segreto di Stato, più articoli della Carta sono stati richiamati.

Partiamo dagli orientamenti minoritari fino alle argomentazioni che hanno riscosso maggior successo.

La lettura37 sicuramente meno diffusa ha fatto leva su quanto sancito dall'articolo 2 Cost.:

“La Repubblica...richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”

In questa disposizione è stato colto il riconoscimento del sacrificio della libertà del singolo a vantaggio della difesa della collettività, nel senso della possibile prevalenza delle istanze statualistiche, comprendenti anche il segreto politico-militare.

Un'impostazione, quella appena riportata, che ha registrato notevoli critiche: la dottrina prevalente ha affermato l'evidente insufficienza dell'articolo 2 Cost nel giustificare la tutela del segreto di Stato, basti anche solo osservare come il richiamo ai doveri di solidarietà politica, economica e sociale, sia in realtà posto in secondo piano nella stessa struttura della disposizione in esame, in quanto preceduto dal riconoscimento dei diritti individuali dell'uomo.

Altro tentativo è stato quello di rinvenire la radice costituzionale del segreto di Stato nel 1° comma dell'articolo 54 Cost.:

“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica...”

invisibile”, Dedalo, 2011, pag 276.

37 Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 97.

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Autorevole dottrina38 ha evidenziato come questa lettura, che collega il segreto al dovere di fedeltà, abbia una spiegazione storica: lo spionaggio, pericolo moderno, non è altro che il risultato evolutivo di ciò che in passato era il tradimento verso il sovrano. La fedeltà nei confronti dello Stato giustifica il ricorso al segreto, il quale necessiterà quindi di tutela.

Ma pure l'articolo 54 Cost. è inidoneo allo scopo; la dottrina maggiormente critica verso tale richiamo ha fatto leva sulla constatazione che proprio l'art. 54 Cost. potrebbe legittimare l'opposta esigenza, cioè quella di render noti fatti e notizie potenzialmente pericolose per lo Stato repubblicano, sebbene classificabili come segrete in base alla disciplina codicistica.

L'articolo 52 della Costituzione ha riscosso maggiori consensi, il 1°

comma recita:

“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”

Dottrina e parte della giurisprudenza39 hanno interpretato il generico dovere di difesa della Patria come obbligo di astensione da qualsiasi azione potenzialmente lesiva per l'esistenza dello Stato, rivenendovi la base costituzionale dei segreti politici-militari. In effetti, l'articolo 52 Cost. rimanda al concetto di salus rei publicae, già invocato come ratio della disciplina posta a tutela del segreto di Stato dal codice di rito; ma la dottrina su un punto è divisa: una parte di essa ha messo in luce anche i limiti del richiamo all'articolo 52 Cost. in quanto, tale disposizione offrirebbe una giustificazione costituzionale al solo

38 Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, Giuffrè, 1977, pag 212.

39 Per la giurisprudenza favorevole a questa lettura si veda Bonzano C., “Nuovi confini processuali nella tutela penale del segreto di Stato”, in Rivista Italiana di diritto e procedura penale, 2000, pag 237, (in particolare la nota 8).

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settore dei segreti militari.40

Entra qui in gioco la distinzione tra sicurezza interna ed esterna, rispettivamente, la tutela della stabilità dell'ordinamento costituzionale dal rischio di azioni sovversive condotte dall'interno, e, la difesa della Repubblica dalle aggressioni provenienti da forze esterne allo Stato.

A favore della lettura restrittiva dell'articolo 52 Cost. ci sarebbe il riferimento al servizio militare e alle Forze Armate che la disposizione in esame fa al secondo e terzo comma. Ciò sembra permettere una sola interpretazione, quella in “chiave internazionale”41, comprendente quindi il solo segreto militare e diplomatico42.

Quanto appena detto non sta a significare che sia impossibile trovare un fondamento costituzionale al segreto di Stato posto a tutela della sicurezza interna, anzi, la stessa dottrina si è mossa nell'intento di risolvere la questione, combinando l'articolo 52 Cost. con l'articolo 54 Cost.

L'interpretazione di questo binomio (artt. 52 e 54 Cost.) permetterebbe di giustificare il segreto di Stato senza alcuna specificazione aggiuntiva, perciò, sia le informazioni militari che politiche, sulla base del generico interesse alla sicurezza dello Stato.

Autorevole dottrina parla, per l'appunto, di un “duplice fondamento costituzionale del dovere di conservazione del segreto”43: il segreto politico avrebbe la propria base costituzionale nell'articolo 54 Cost.,

40 A favore di una lettura restrittiva dell'art. 2 Cost., come aggancio costituzionale per i soli segreti militari/diplomatici si veda Morrone A., “Il nomos del segreto si Stato”, cit., pag 18; Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, cit., pag 214.

Invece a favore della lettura dell'art. 2 Cost. come base costituzionale dell'intera gamma dei segreti di Stato si veda Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 100; Bonzano C., “Nuovi confini processuali nella tutela penale del segreto di Stato”, cit., pag 327.

41 Espressione di Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, cit., pag 215.

42 La dottrina costituzionale più recente ha però affermato come compito delle Forze Armate, alla luce della riforma operata dalla l. 331/2000, sia la difesa dello Stato, anche dalle insidie provenienti dall'interno. Per un'analisi completa sulle Forze Armate si veda Pizzolato F., “Servizio militare professionale e Costituzione”, in Quaderni Costituzionali, Il Mulino, 2002, 4, pag 771.

43 Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 100.

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nel dovere di fedeltà verso la Repubblica; il segreto militare nel diverso dovere di difesa della Patria, ex articolo 52 Cost.

Dall'esame fin qui svolto dei percorsi seguiti dagli studiosi, un'unica certezza è stata raggiunta: il segreto di Stato non è un valore in sé, bensì un mezzo funzionale alla tutela di altri beni ed interessi.

Così come il segreto epistolare è imperniato in un più ampio sistema di garanzie che lo Stato democratico riconosce e garantisce al singolo individuo, per la sua realizzazione, anche il segreto di Stato è mezzo e non fine.

Un'ultima argomentazione a sostegno della compatibilità dell'istituto del segreto di Stato con l'impianto della Carta si basa sull'articolo 82 della Costituzione, al cui 2° comma si trova scritto:

“...la commissione d'inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria”

Questo richiamo ci interessa particolarmente per il collegamento esplicito alla disciplina processuale del segreto di Stato. Precisamente, i limiti cui si riferisce l'inciso dell'articolo 82 Cost. sembrerebbero alludere agli articoli 342 e 352 del c.p.p. del 1930.

Sulla base di quest'interpretazione è stata elaborata la c.d. teoria della

“costituzionalità globale”44 della normativa del segreto di Stato vigente al momento dell'emanazione della Costituzione Repubblicana.

Desunto che la stessa Carta identifica nel segreto di Stato un ostacolo ai poteri delle commissioni parlamentari d'inchiesta, la normativa contenuta negli articoli 342 e 352 del c.p.p. del 1930 non può allora essere considerata confliggente con il dettato costituzionale; è la Costituzione stessa a richiamare i suddetti articoli del codice di rito.

44 Si veda Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, cit., pag 203.

(30)

Un'interpretazione, quest'ultima, mossa dai migliori intenti, ma allo stesso tempo fortemente osteggiata: come poteva il legislatore costituzionale voler richiamare, e quindi legittimare, una disciplina prodotta dalla politica del regime fascista che proprio con la Costituzione veniva soppresso?

Una tesi totalmente priva di sensibilità storica.

La dottrina prevalente45 ha infatti sostenuto l'inidoneità dell'articolo 82 Cost. come baluardo alle istanze riformistiche della disciplina processuale del segreto politico-militare; principalmente per tre ordini di ragioni:

• nell'assetto del nuovo ordinamento democratico, di cui la Costituzione esprime i valori, il vero fine dell'articolo 82 Cost.

sarebbe riaffermare l'importanza primaria dei diritti fondamentali e delle libertà del singolo, affinché, in questo caso specifico, non siano lesi nel corso di attività parlamentari d'inchiesta.

• il riferimento all'autorità giudiziaria senza alcuna precisazione ulteriore è espressione troppo generale, che non può certo alludere a disposizioni specifiche quali gli articoli 342 e 352 del codice di procedura penale del 1930.

• anche qualora l'articolo 82 Cost. si riferisse alla disciplina del codice Rocco, ciò varrebbe soltanto per le Commissioni d'inchiesta emanate da una singola Camera, le uniche prese in considerazione dalla disposizione: “Ciascuna Camera può disporre inchieste...”. I poteri di una Commissione d'inchiesta bicamerale non sarebbero quindi vincolati al rispetto della normativa processuale sul segreto di Stato.

Il bilancio conclusivo della ricerca sul terreno costituzionale di una base legittimante la tutela del segreto di Stato si sostanzia

45 Paolozzi G., “La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 101-102, in particolare nota 45; Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, cit., pag 203 ss.

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nell'affermazione del possibile ricorso ad esso, ogni volta che la diffusione di fatti o notizie possano recar danno agli altri beni fondamentali tutelati dalla stessa Costituzione.

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2.1.2 Il segreto di Stato e la collisione con altri interessi tutelati dalla Costituzione.

Il riconoscimento di uno spazio al segreto di Stato in seno all'ordinamento democratico non ha esaurito le problematiche legate al suo rapporto con la Carta costituzionale.

Il legittimo ricorso al segreto, come strumento per tutelare specifici interessi, potrebbe infatti scontrarsi con altri valori ugualmente riconosciuti dalla Costituzione.

Sebbene l'emanazione della Carta abbia determinato la fine dell'aprioristica prevalenza dell'interesse pubblico su qualsiasi principio diverso da questo, talvolta, di fatto, è ancora il segreto di Stato a prevalere, trasformandosi in un ostacolo alla realizzazione dei diritti cui può essere opposto.

Nell'analisi della disciplina processual-penalistica, i meccanismi predisposti a tutela del segreto di Stato non risultano pienamente compatibili con alcuni diritti fondamentali: il principio d'uguaglianza (art. 2 Cost.), l'inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 Cost.), le garanzie riconosciute alla magistratura (artt. 101-102-104 Cost.), la necessaria motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (art. 111 Cost.) e l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.).

Queste incompatibilità hanno favorito l'acuirsi dei dubbi sulla legittimità costituzionale degli articoli 342 e 352 del c.p.p. del 1930.

Prima di procedere all'analisi dei singoli interessi che soccombono dinanzi al segreto di Stato, è opportuno anticipare come il contrasto tra diritti fondamentali e notizie coperte dal segreto di Stato sia un conflitto di valore. A meno che non sia la Costituzione stessa a sancire quale dei due beni in gioco debba avere la meglio46, il contrasto d'interessi può essere risolto solo ricorrendo ad un bilanciamento sulla

46 Ciò significherebbe che all'interno della Carta è rintracciabile una gerarchia di valori.

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base del criterio della ragionevolezza e del reciproco contemperamento.

Era necessario elaborare degli accorgimenti allo scopo d'imporre reciproche limitazioni, per salvare entrambi i valori via via confliggenti.

Ma quali sono i principi che risultano soccombenti dinanzi al segreto di Stato?

• Segreto di Stato e principio d'uguaglianza:

nella disamina degli articoli 342 e 352 del codice Rocco abbiamo evidenziato come entrambi riconoscessero la facoltà di astenersi dagli obblighi processuali, rispettivamente in sede di esibizione di materiale e di esame testimoniale, soltanto a favore di determinati soggetti qualificati.

I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio erano le sole persone cui il codice di rito del 1930 consentiva di sottrarsi alle richieste e alle domande dell'autorità giudiziaria, con la semplice opposizione del segreto politico-militare.

La parità di trattamento di tutti i soggetti non risultava certo realizzata nell'ambito del processo penale; l'articolo 3 della Costituzione, disciplinante il principio d'uguaglianza, ne usciva leso, tanto più quando il privilegio, riconosciuto nella fase dell'acquisizione probatoria, esplicava i propri effetti fino a salvare l'individuo accusato dalla condanna.

(34)

• Segreto di Stato e diritto di difesa:

Uno degli aspetti più dibattuti, se non il tema centrale del problematico rapporto tra segreti politico-militari e processo penale, era la compressione subita dal diritto di difesa.

Articolo 24 comma 2 Cost.:

“La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”

Abbiamo già visto come a partire dal codice Rocco la normativa dettata dall'articolo 352 c.p.p. non si limitasse al teste, ma coinvolgesse anche l'imputato.47

Già nel 1868, in una seduta della Camera dei deputati, quindi fuori da una aula di tribunale, il generale Alfonso La Marmora, semplicemente per difendere il proprio onore incontrò notevoli difficoltà. Egli decise di dare pubblica lettura di alcune direttive provenienti dal governo prussiano, una scelta, questa, che se compiuta qualche anno dopo, precisamente a partire dal 1889, anno di emanazione del codice penale Zanardelli, gli avrebbe comportato un'incriminazione per rivelazione di segreti.

Il Generale La Marmora rivendicava “solo” il proprio diritto di difendersi provando, e, in un suo scritto48 successivo all'accaduto, sentenziò: “Ammettere d'altronde i segreti di Stato...non è egli ammettere che i Governi abbiano la facoltà di ricorrere ad atti e misure in qualche modo illecite?”.

Il pensiero del Generale era espressione dell'incompatibilità, ad alcuni evidente fin dall'origine, tra l'istituto del segreto di Stato e l'esercizio della difesa che, a sua volta, si ripercuoteva negativamente sull'accertamento condotto dall'autorità

47 V. retro, CAP 1, § 1.3.

48 La Marmora A., “I segreti di Stato nel governo costituzionale”, Barbera, 1877.

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giudiziaria.

La vicenda riportata dà prova della capacità del segreto di rendere impossibile all'imputato respingere le accuse ricevute, impedendogli di fatto di addurre prove a proprio discarico; ma sebbene la situazione tipo fosse quest'ultima, una compressione del diritto di difesa era prospettabile per qualsiasi parte privata, in quanto, tramite l'articolo 24 Cost., la difesa è principio riconosciuto in termini generali.

• Segreto di Stato e garanzie della magistratura:

Articolo 101 comma 2 Cost.:

“I giudici sono soggetti solo alla legge”

Articolo 102 Cost.:

“La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari...”

Articolo 104 comma 1 Cost.:

“La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro”

Gli articolo 342 e 352 del codice di procedura penale del 1930 dettavano una disciplina totalmente incompatibile con gli incisi costituzionali di cui sopra: in caso di opposizione di un segreto politico-militare il giudice era alla mercè dell'esecutivo.

La ricerca della verità e l'esito del processo erano nelle mani del Ministro della Giustizia. Il potere dell'autorità giudiziaria procedente, dubbiosa circa la reale sussistenza del segreto opposto, si esauriva nella possibilità di fare rapporto al

(36)

procuratore generale. La decisione definitiva sull'effettiva esistenza del segreto di Stato e sull'alternativa di una prosecuzione del processo per falsa testimonianza era riconosciuta in capo al Ministro.

Essendo questo l'assetto processuale, non si poteva certo affermare né che i giudici erano soggetti solo alla legge (art 101 Cost.), né che la giurisdizione fosse esercitata da questi (art 102 Cost.), o quanto meno solo da essi, visto che il placet per la prosecuzione del processo doveva arrivare dall'amministrazione; era questa, nella figura del Ministro della Giustizia, che ordinava al giudice come procedere. Infine, e conseguentemente, l'autorità giudiziaria non appariva neanche autonoma e indipendente (art 104 Cost.), ma condizionata dal potere degli organi dell'esecutivo di bloccare la sua attività tramite l'insindacabile opposizione del segreto di Stato. Il Ministro si rendeva autore di un'interferenza nell'attività giurisdizionale, evidentemente lesiva del principio di separazione dei poteri.

Mentre gli articoli 101-102-104 della Costituzione mettevano nero su bianco le garanzie riconosciute all'autorità giudiziaria, il codice di procedura penale sanciva ancora la preminenza del potere amministrativo su ogni altro. Un punto di equilibrio era arduo da individuare.

• Segreto di Stato e motivazione dei provvedimenti giurisdizionali:

Il testo originario del primo comma dell'articolo 111 della Costituzione49 recitava:

49 Sarà riformato dalla legge costituzionale n.2 del 1999, l'inciso rimarrà ma verrà spostato al sesto comma della stessa disposizione.

(37)

“Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”

Secondo una ristretta cerchia di studiosi, anche quest'ultimo inciso risultava violato dai meccanismi di tutela del segreto di Stato: a livello processuale, sia in sede di esame testimoniale (art 352 c.p.p. del 1930), che in caso di sequestro giudiziario (art 342 c.p.p. del 1930), nessun obbligo di motivazione era imposto per la dichiarazione con la quale si eccepiva il segreto.

Per la dottrina minoritaria50, questo difetto di motivazione si riverberava anche sulla pronuncia del giudice determinando il mancato rispetto dell'articolo 111 della Costituzione.

• segreto di Stato ed azione penale:

Articolo 112 Cost.:

“Il Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale”

L'obbligatorietà sancita da questa disposizione, concernente, nello specifico, l'esercizio della giurisdizione nel settore penale, rischiava di essere vanificata ogni qual volta veniva opposto un segreto di Stato. Quindi non era leso “soltanto il diritto di difesa individualisticamente inteso, ma lo stesso interesse ad una corretta amministrazione della giustizia”51. I segreti politico-militari sbarravano la strada allo svolgimento delle indagini e all'acquisizione delle prove, se non anche alla

50 Pisa P., “Il segreto di Stato: profili penali”, cit., pag 250, nota 125; Paolozzi G.,

“La tutela processuale del segreto di Stato”, cit., pag 92, nota 13.

51 Pisa P.,“Il segreto di Stato: profili penali”, cit., pag 254.

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