• Non ci sono risultati.

LA CULTURA E LA LETTERATURA VEDICA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "LA CULTURA E LA LETTERATURA VEDICA "

Copied!
156
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO PRIMO

DAL CONTESTO INDOIRANICO ALLA SOCIETÀ VEDICA

1. 1 CONTESTO INDOIRANICO

La ricostruzione del contesto storico-culturale e storico-religioso dell'Iran prezoroastriano deve essere affrontata con la comparazione dell'India Vedica. Una serie di indizi di natura archeologica, che conducono alla civiltà dell'Indo, e numerosi elementi linguistici fanno ritenere che in un periodo anteriore alla formazione della civiltà vedica, Iranici ed Indiani costituissero una comunità culturalmente omogenea1. Le popolazioni indoiraniche che si insediarono nel territorio, probabilmente attraverso varie e successive ondate migratorie, dovevano avere una configurazione pre-urbana e nomadica.

È difficile, senza dati sensibili e precisi, stabilire i limiti cronologici entro i quali si svilupparono e si mantennero queste condizioni di vita, ma presumibilmente si conservarono, sino all'epoca della riforma zoroastriana,

1 G.Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni, Laterza 2005, pag. 57.

(2)

sia per le società insediatesi in Iran che per quelle insediatesi in India.

É possibile che questi gruppi Indoiranici fossero organizzati in comunità cultuali di uomini2, fondate su un'etica e una struttura di tipo aristocratico e guerriero, molto probabilmente a carattere iniziatico, che indirizzavano il loro culto a una o a più figure extra-umane o divine3. Con queste comunità maschili sono probabilmente da collegare le fravaši4, “preferenze”, una sorta di collettività extra-umana a cui è assegnato il compito di assistere gli uomini nelle circostanze più difficili, ma anche di vigilare sull'ordine cosmico e sullo stesso Haoma/Soma. La società Indoiranica presenta la tipica tripartizione che si può riscontrare nell'ideologia indoeuropea5. Senza essere necessariamente divisi in classi o in caste rigidamente definite e schematizzate, i popoli indoeuropei avrebbero articolato il loro sistema sociale sulla base di tre funzioni ben distinte e complementari fra loro: la prima funzione era inerente al patrimonio mitico e rituale, cioè lo spazio

2 G.Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni,pag. 57, Laterza 2005.

3 Ibidem.

4 Ibidem.

5 «La cultura indoeuropea è un postulato, che gli studiosi si sono proposti di dimostrare, piuttosto che una concreta realtà storica, per la quale mancano quasi completamente prove e conferme archeologiche. La sua ricostruzione prende avvio dall'ipotesi che un certo numero di lingue europee e asiatiche derivino da un ceppo comune, dal momento che tra di esse è possibile riconoscere una indiscutibile parentela. Attraverso la comparazione linguistica e in base al principio che ogni cultura tende ad organizzarsi in sistema, è stata ricostruita ideologia tripartita o tripartizione funzionale [..] quale antecedente ideologico e sistemico nel quale sarebbero confluiti e si sarebbero organizzati i vari elementi costitutive del complesso della cultura indoeuropea» G.Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni,pag. 60-61, Laterza 2005; sulle lingue indoeuropee, anche: G.Dumézil, L'idéologie tripartie des Indo-Européens, Bruxelles 1958 [trad. it. L'ideologia tripartita degli Indoeuropei, Rimini 1988]; B.Campanile, La ricostruzione della cultura indoeuropea, Pisa, 1990.

(3)

che può essere definito in senso generico religioso, occupato dagli specialisti del sacro; i rappresentanti di questa funzione tendevano ad amministrare la giustizia esplicando questa funzione anche nell'esercizio del potere. Conseguentemente in essa si concentrano le dimensioni della sacralità, della sovranità e della classe reggente. Però questa prima funzione può essere osservata e intesa anche da un punto di vista antropologico, sociologico e storico come una sorta di chefferie o chieftainship6, la quale rende chiaro come i popoli indoeuropei ancora non avessero raggiunto il livello di una civiltà “superiore”7, ed implica che l'idea di un'autorità politica, tanto a carattere elettivo quanto ereditario e perciò con prospettive dinastiche, con privilegi economici, cerimoniali e connotata da una forte valenza sacrale, non si fosse ancora sviluppata a pieno nelle forme della regalità e della sovranità, alla quale questi popoli sarebbero approdati nelle fasi più recenti della loro storia e della loro evoluzione. La seconda funzione si esprimeva, a sua volta, nell'attività bellica o intesa in senso più generico come guerriera, alla quale competeva la difesa della comunità, ma sulla quale gravava il peso di sostenere il gruppo nei suoi momenti di espansione. In essa agivano in modo particolare i giovani, i quali attraverso

6 Chieftainship: «dignità (f.), rango (m.), autorità (f.) di capo (di tribù, clan ecc.)», significato dal sito della Garzanti Linguistica http://www.garzantilinguistica.it; termine citato in G.Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni,pag. 61, Laterza 2005.

7 A. Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell'Ateneo, 2003.

(4)

prove e probabilmente grazie a riti iniziatici accedevano a questo status e a questa condizione. La terza funzione, infine, abbracciava tutte le attività economiche e produttive nel senso ampio di tutto ciò che permette un continuo e prolungato accrescimento dell'esistenza del singolo e del gruppo, incluse pertanto, oltre alle attività artigianali e agricole, anche le scienze mediche che garantivano l'integrità fisica e il mantenimento in salute dei membri del gruppo, fattore indispensabile al mantenimento dello stesso. Essa era perciò di sostegno alle due precedenti funzioni, che potevano in tal modo esercitare le loro prerogative. Per la dinamicità stessa di ogni società le tre funzioni dovevano essere interattive e complementari fra loro, anche se ogni società ha poi rielaborato questa sistemazione, questo modello a seconda delle proprie esigenze8.

8 «“[...] Se l'ideologia tripartita era il nucleo attorno a cui gli indoeuropei avevano costruito la propria civiltà e il proprio universo religioso, conferendo senso e forma al mondo, nondimeno ogni popolo indoeuropeo ha poi rielaborato questo eventuale modello secondo le proprie esigenze, creando ciascuno un proprio specifico sistema culturale nel quale riflettersi”»

G.Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni,pag. 62, Laterza 2005.

(5)

1. 2 SOCIETÁ VEDICA9

Per quanto riguarda il caso specifico delle tribù degli Indo-Arii, attraverso la lettura del Ṛgveda è possibile capire l'area geografica sulla quale questi gruppi si estesero, e che la parte di territorio occupata era di notevole portata. Essi erano entrati in India attraverso i passi occidentali dell'Hindu- kush, in seguito si diressero, attraversando il Pañjāb10, verso Est e si stanziarono nella regione intorno alla Sarasvatī, in una zona distante dal fiume Gange, menzionato solo una volta (Ṛgveda X,75,5). A Est infatti gli Arii non si erano spinti ancora oltre la Yamunā, menzionata di fatto solo tre volte11. Inoltre si può notare come essi conoscevano le altre montagne del Nord, ma non sono menzionati i monti Vindhya; è quindi possibile sostenere che gli Arii vedici svilupparono la loro civiltà e composero la maggior parte degli inni raccolti nel Ṛgveda nella parte nord-occidentale della penisola indiana. Al loro arrivo in India, essi trovarono stanziate delle popolazioni autoctone, di cui è fatta menzione in vari inni, e che sono

9 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Principi, metodologie, storia, Torino, Utet 2000; A.Embree - F.Wilhem Storia Universale Feltrinelli, vol 17 in India, pag 24-39.

10 Pañjāb: «terra dei cinque fiumi».

11 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Cit. pag 16-18.

(6)

apostrofate con i termini dāsa (दास) o dasyu12(दसयु). Queste genti, spesso raffigurate nelle descrizioni dei poeti con l'aspetto di esseri demoniaci12, sono state da alcuni studiosi identificate con i rappresentanti delle civiltà dell'Indo13, mentre con molta probabilità queste erano popolazioni di stirpe dravidica che furono costrette a spostarsi ed a migrare verso Sud e Est.

Ai loro primordi, come le altre popolazioni indoeuropee, gli Arii erano pastori, guerrieri, allevatori e contadini, organizzati in tribù o clan retti da capi, definiti rāj (राज्), «re», e non avevano sviluppato ancora una civiltà urbana. I re e i nobili erano comandanti in guerra, e ci si aspettava da loro che ordinassero e pagassero i più costosi tra i sacrifici. Nella struttura tribale era radicata una divisione in classi, ereditata dall'epoca indoeuropea14: la nobiltà (ksatra, कत) ,gli uomini comuni della tribù (viś,

िवश्) e la classe sacerdotale (brahman, बहन). Si andava cristallizzando e stabilizzando in questo periodo il sistema e modello che in seguito portò alla creazione delle quattro caste che rimarranno alla base della cultura indiana: la casta dei sacerdoti (brahmaṇa, बहण) dei nobili (ksatriya, कितय) i commercianti e gli artigiani (vaiśya, वैशय) e “quelli che svolgevano i lavori

12 dāsa दास:Termini che significano «barbaro, selvaggio» ma anche «schiavo, servo», e nel corso dei secoli andranno a significare “demone, essere malvagio”. Significati riportati nel Dizionario Sanscrito-Italiano, Direzione scientifica di S.Sani, Edizioni ETS, Pisa.

13Civiltà di Mohenjo Daro e Harappa, delineate e rammentate nell'introduzione.

14Come citato e spiegato nel Cap 1, parag. 1.1, pag 2.

(7)

più umili” (śūdra, शूद), descritte e ordinate così già all'interno del Ṛgveda, nell'inno X, 90:

यत पुरषं वयदधुः कितधा वयकलपयन मुखं िकमसय कौ बाह का ऊर पादा उचयेते

बराहणो.असय मुखमासीद बाह राजनयः कतरः ऊरतदसय यद वैशयः पदां

शूदो अजायत ||15

“Quando gli dei smembrarono l'uomo primordiale (per il sacrificio), in quante parti lo divisero?

Che cosa divenne la sua bocca? Che cosa le sue braccia?

E come furono chiamate le sue cosce e i suoi piedi?

La sua bocca divenne il brahmano, dalla sua braccia fu creato lo ksatriya,

quello che erano le sue cosce divenne il vaiśya e da i suoi piedi nacque lo śūdra.

Unità base del sistema sociale di questi popoli indoeuropei era la famiglia, vero fulcro e cardine della società. L'insieme di un gruppo di famiglie era definito grāma16(गम), termine che andò a significare con il tempo

15 Testo sanscrito ripreso dal sito internet http://www.sacred-texts.com/hin/rvsan/rv10090.htm, The RigVeda in Sanskrit; le strofe seguenti sono le strofe 11-12 dell'inno X, 90 con la traduzione italiana di S.Sani presenti in S.Sani, Ṛgveda. Le strofe della sapienza, Marsilio Editori, 2000, pag 67.

16 Grama (गाम): 1 luogo abitato, villaggio, paesino (RV; AV); 2 collettività che abita un luogo,

(8)

«insediamento, villaggio». I matrimoni erano di regola monogami e la posizione della donna era meno subordinata rispetto al periodo post-vedico, inoltre il matrimonio fra bambini, usanza tipica delle epoche successive e presente fino ad oggi, non era conosciuto.

La situazione culturale che si evince dagli inni è disegnata in modo molto parziale, poiché è fortemente influenzata da coloro che comandavano il gruppo e dai poeti che riempivano il loro pensiero attraverso continui riferimenti ad immagine mitologiche.17

comunità, razza (RV X146,1; AV); 3 gruppo di uomini associati insieme, truppa (RV; AV) […] termini ripresi dal Dizionario Sanscrito-Italiano, Direzione scientifica di S.Sani, Edizioni ETS, Pisa, pag 511.

17 Come verrà rimarcato nel Capitolo 3, nel paragrafo riguardanti i Poeti e i veggenti.

(9)

1 . 3 L A R E L I G I O N E C O M U N E N E L S O S T R A T O INDOIRANICO

La ricostruzione del comune sostrato di Indiani ed Iranici è una tappa fondamentale per delineare e comprendere al meglio il quadro ideologico del sistema di tripartizione di questi due popoli indoeuropei. La centralità simbolica del fuoco in entrambi i contesti religiosi, personificato come Ātar in Iran e come Agni in India, può essere ragionevolmente associata alla parallela classificazione dei fuochi rituali: tre in Iran (farrōbay, riservato ai sacerdoti; gušnaps ai guerrieri; burzēnmihr agli agricoltori ed agli allevatori), e tre in India (āhavanīya (आहवनीय)18 per gli dei;

anvāhāryapacana (अनवाहायरपचन)19, che allontana i demoni e gli spiriti maligni; garhapatya (गहरपतय) per i rituali domestici), che sembrano richiamare simbolicamente la tripartizione indoeuropea20. Accanto a questi si trovano cinque fuochi naturali iranici, ai quali corrispondono altrettanti fuochi indiani. Allo stesso tempo, e sullo stesso piano simbolico del fuoco,

18 Āhavanīya आहवनीय : agg “che deve essere offerto come oblazione; […] spec. Fuoco rivolto a est dei tre accesi per il sacrificio” Dizionario Sanscrito-Italiano, Direzione scientifica di S.Sani, Edizioni ETS, Pisa, pag 226.

19 Anvāhāryapacana अनवाहायरपचन : sm “fuoco sacrificale posto a sud, usato nel sacrificio [...]”

Dizionario Sanscrito-Italiano, Direzione scientifica di S.Sani, Edizioni ETS, Pisa, pag 83.

20 Filoramo, Massenzio, Raveri, Scarpi, Manuale di storia delle religioni,pag. 58-60, Laterza 2005; A. Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell'Ateneo, 2003, pag 192-193 ed pag 296.

(10)

agivano il succo dello haoma in Iran e del soma in India21.

Da qui si può delineare una profonda analogia che si manifesta nel pantheon, partendo dalla classificazione del mondo divino in asura (असुर) e deva (देव) in India e ahura e daēva in Iran. Anche se vengono utilizzati termini pressoché identici, la concezione di queste forze o entità ultraterrene nei due popoli mostra anche una decisa e marcata differenza nell'interpretazione di queste divinità22.

Le stesse divinità che compongono tutto il pantheon iranico sono riconducibili ad analoghe figure dell'universo divino indiano23, mostrando ancora una volta lo stretto legame che accomuna queste due civiltà, e il comune sostrato che traspare nelle figure, anche minori, del pantheon stesso, e che si articola nel corso dei secoli trovando proprie spiegazioni e sfumature diverse e peculiari alla società. Ultima caratteristica che desidero sottolineare, in funzione anche dei capitoli successivi, è come India e Iran

21 Per una trattazione maggiore su haoma e soma, in special modo, rimando ai capitoli successivi.

22 «“La svalutazione dei daēva, trasformati in esseri demoniaci, fu forse il prodotto della condanna del politeismo attuata da Zarathustra. Nondimeno pure in India è attestato un conflitto fra asura e daēva dove invece prevalgono questi ultimi.”» Filoramo, Massenzio, Raveri, Scarpi, Manuale di storia delle religioni,Laterza 2005, pag. 59; tutto da ricollegare ad un antico conflitto presente in molte mitologie indoeuropee, come ad esempio in quella germanica e anche in quella romana; per sottolineare ulteriori differenze, Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell'Ateneo, 2003, nei paragrafi relativi all'India vedica e alla religione mazdea, pag 192-200 e pag 294 -307.

23 Per vedere tutte le analogie, o comunque quelle che legano fra di loro le divinità principali dei due pantheon, come Mitra e Varuṇa con Ahura, Vayu e Indra, e anche per la figura di Yima (per quanto riguarda la parte iranica) e Yama, si veda Filoramo-Massenzio-Raveri- Scarpi, Manuale di storia delle religioni, pag. 59-60, Laterza 2005.

(11)

devono aver derivato da un sostrato comune anche le rispettive concezioni di aša e ṛta. Etimologicamente affini, aša e ṛta (ऋत) esprimono la struttura giusta e ordinata, il ṛta spingendosi fino a designare l'ordine stesso del divenire cosmico, umano e rituale, lo svolgersi dinamico dell'esistenza nel suo giusto cammino, fondato sulla regolarità e sulla legalità, quindi giusto e perciò vero. I depositari di questo ordine cosmico, oltre alle divinità stesse, sulla terra erano chiamati ṛtavan (ऋतवन्) in India e ašavan o artavan in Iran, ma il loro status sociale è difficile da definire, in mancanza di documenti, testi o dati materiali che diano prova della loro condizione all'interno della società indoiranica24. Ma data la situazione frastagliata e ambigua di una società come quella indoiranica, si può presumere che questi depositari dell'ordine e del giusto dovrebbero essere ricondotti alla tipologia dello sciamano25, elemento che cercherò di dimostrare nell'ultimo capitolo di questa tesi, portando prove e possibili considerazioni a sostegno ed a favore di questa idea.

24 Filoramo-Massenzio-Raveri-Scarpi, Manuale di storia delle religioni, pag. 60; Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell'Ateneo, 2003, pag.191 e seg.

25 Sulla figura dello sciamano e sulla sua possibile presenza nella società indoeuropea, con numerose implicazioni, rimando al capitolo 5.

(12)

CAPITOLO SECONDO

LA CULTURA E LA LETTERATURA VEDICA

2.1 CARATTERE SACERDOTALE, RELIGIOSO E CULTURALE

Adesso addentriamoci nella spiegazione dei caratteri fondamentali e centrali della cultura vedica, rammentando e definendo i testi che stanno alla base di essa.

La letteratura più antica in campo indoeuropeo è quella vedica, che prende il nome appunto dal termine Veda (वेद),che significa «sapienza»1. Nel suo contesto più ampio, il termine Veda serve sia ad indicare i testi che sono alla base e che costituiscono le fondamenta del Brahmanesimo, sia ad indicare il documento letterario in assoluto più antico della civiltà indiana e delle civiltà indoeuropee2. La letteratura vedica ha un'estensione

1 Veda (वेद): “1 conoscenza, conoscenza vera o sacra, erudizione, dottrina, sapere, scienza, conoscenza dei rituali (RV); 2 Nome di famose opere che costituiscono la base del primo periodo della religione indù” pag 1529 del Dizionario Sanscrito-Italiano, Direzione scientifica di S.Sani, Edizioni ETS, Pisa.

2 Maggiori approfondimenti e delucidazioni in: S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi.

(13)

cronologica di molti secoli, e consiste in molte opere che trattano di vari e molteplici soggetti, tutti di stampo religioso nel senso più alto del termine.

La parte più antica di questi testi sono le Saṃhitā (संिहता) , «raccolte» di inni (sūkta सूक, chandas छनदस्) di vario genere e di tipologie diverse:

invocazioni, formule sacrificali, litanie, benedizioni, maledizioni, scongiuri.

Attorno a queste opere si andarono a formare successivamente delle opere di accompagnamento e supporto, dal contenuto ritualistico e speculativo, che servivano e servono tutt'ora da spiegazione e da commento ai testi delle Saṃhitā: i Brāhmaṇa, gli Āraṇyaka e le Upanisad. Queste sono le opere vediche che la fede brahmanica attribuisce alla rivelazione divina (śruti, शुित).

Ora darò un breve profilo di tutte queste opere, tranne per il Ṛgveda che riceverà un trattamento più ampio successivamente.

Principi, metodologie, storia Torino, Utet 2000; A.A. MacDonell, A history of Sanskrit Literature, Appleton and company, New York 1900, fruibile on-line al sito http://en.wikisource.org/wiki/A_History_of Sanskrit_Literature.

(14)

2. 2 LE SAṂHITĀ

संिहता

Il testo delle quattro Saṃhitā costituisce il mantra (मनत) cioè il formulario sacro; è a queste raccolte in particolare che in Europa ci si riferisce di solito con il nome Veda, usando il termine in senso più restrittivo, che altre volte è utilizzato anche per designare l'intera letteratura vedica. Le quattro raccolte si intitolano rispettivamente Ṛgveda (ऋगवेद), Sāmaveda (सामवेद), Yajurveda (यजुरवेद) e Atharvaveda (अथवरवेद.)

Le idee e le concezioni espresse in queste risalgono ad epoche molto più antiche della loro redazione, che come spesso accade in società e culture dove il sapere viene espresso e mantenuto attraverso la trasmissione orale da parte dei suoi detentori, non avvenne nello stesso momento e nello stesso luogo.

2. 2.1 ṚGVEDA ऋगवेद

La più antica di esse è senz'altro il Ṛgveda (ऋगवेद) “Il veda delle strofe”, che contiene per lo più inni di lode rivolti alle divinità e costituisce una

(15)

sorta di manuale di cui si serviva uno dei sacerdoti, lo hotṛ (होतृ)

«l'invocatore», che invitava e invocava gli dei affinché partecipassero al sacrificio3.

2. 2. 2 SĀMAVEDA4 सामवेद

Il Sāmaveda (सामवेद), o “Veda delle melodie” raccoglie canti (sāman सामन्), quasi tutti ripresi e costituiti da strofe all'interno del Ṛgveda. Il nome per esteso è Sāmavedasaṃhitā (सामवेदसंिहता “La raccolta della sapienza delle melodie”), ed ha finalità esclusivamente ritualistiche; era destinata all'utilizzo da parte dell'udgātṛ (उदातृ) «l'intonatore», il sacerdote che aveva il compito di accompagnare la preparazione del sacrificio e l'oblazione al dio o agli dei, ed in particolare il sacrificio del soma (सोम).

Dal punto di vista letterario è un'opera di minor importanza, dato che delle

3 Dei Ṛgveda tratterò in maniera più ampia nel prossimo capitolo, riprendendo molti temi e sviluppando in maniera più completa il significato di questi testi e il suo contenuto.

4 Definizioni riprese da S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Principi, metodologie, storia, Torino, Utet 2000, pag 9-10,43-45; ulteriori informazioni su AA. MacDonell, A history of Sanskrit Literature, Appleton and company, New York 1900, fruibile on-line al s i t o http://en.wikisource.org/wiki/ History_of_Sanskrit_Literature; e su J.Gonda, Vedic Literature, Otto Harrassowitz,Wiesbaden, 1975 in A History of Indian Literature, Volume 1, Otto Harrassowitz, Wiesbaden, 1975.

(16)

1810 strofe contenute in esso (o 1549 se vengono sottratte quelle che si ripetono fra loro), ben 17355 sono tratte dal Ṛgveda, soprattutto dai libri VIII e IX, e le rimanenti sono tratte invece da altre opere rituali, come Atharvaveda, Yajurveda e altre ancora. Importante è invece il contributo che è riuscito a fornire riguardo alla musica e alle melodie, e al loro utilizzo nel corso dei secoli: difatti la Sāmavedasaṃhitā costituisce il più antico esempio di canto liturgico che si conosca, e questo è importante per lo studio della storia della musica. Il testo ci è giunto attraverso tre recensioni, espressioni propriamente della scuola sacerdotale dei Jaiminīya, dei Kauthuma e dei Rāṇāyanīya (le ultime due presentano solo lievi differenze fra loro6). Varianti testuali importanti si riscontrano invece tra il Sāmaveda e le fonti da cui sono tratte le varie stanze: si notano, ad esempio, alterazioni d'accento e prolungamenti o ripetizioni di sillabe, dovute evidentemente all'esigenza di adattamento ai diversi moduli musicali adottati durante la liturgia7. Il testo del Sāmaveda è costituito da due parti o Ārcika (आिचक, “raccolte di versi”). La prima è il Pūrvārcika (पूवरआिचक), divisa in sei lezioni (prapāṭhaka,पपाठक) comprendenti 59 decadi (daśati,

5 Ibidem.

6 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Principi, metodologie, storia, Torino, Utet 2000, pag 9-10,43-45.

7 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Principi, metodologie, storia, Torino, Utet 2000, pag 9-10,43-45.

(17)

दशित) per un totale di 585 strofe. Ciascuna di esse costituisce un'unità a se stante, e corrisponde a un tipo diverso di melodia. Ogni melodia ha un suo proprio nome e le vengono attribuiti particolari significati simbolici. La seconda è l'Uttarārcika, che contiene 400 strotra (सोत «canti»), costituiti da tre stanze, il più delle volte, per un totale di 1225 strofe, e sono ordinati secondo la sequenza dei principali sacrifici8.

2. 2. 3 YAJURVEDA9 यजुरवेद

L o Yajurveda (यजुरवेद “Veda delle formule”) contiene le formule sacrificali. Il nome per esteso è Yajurvedasaṃhitā (यजुरवेदसंिहता La raccolta della sapienza delle formule rituali). Questo testo nasce in un'epoca in cui gli Arii si erano già insediati nella penisola indiana, e si erano già spinti ancora di più verso Est, andando ad occupare il centro dell'India settentrionale. Descrive la società nella sua evoluzione, dall'abbandono del nomadismo tipico degli allevatori di bestiame alla fondazione di

8 Ibidem.

9 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Principi, metodologie, storia, Torino, Utet 2000, pag 9-10, 43-45.

(18)

un'economia che si basava sempre più sull'agricoltura, e che a livello sociale si esprimeva vedendo accentrare il potere e l'importanza dei re, che risiedevano nelle varie città, e nei sacerdoti presenti alla loro corte (purohita, पुरोिहत). Questa Saṃhitā conteneva le formule (yajus, यजुस्) che il sacerdote officiante, l'adhvaryu (अधवयुर), recitava mentre compiva le varie fasi del sacrificio vedico. Il testo ci è presentato in due versioni, derivanti da sei recensioni, espressioni di altrettante scuole di sacerdoti che si distinguevano fra loro per alcuni particolari durante il compimento della liturgia. Quattro di queste recensioni fanno capo alla versione chiamata

«Yajurveda nero» (kṛsṇayajurveda, कृषणयजुरवेद), la quale comprende, oltre alle preghiere e alle formule sacrificali, anche un commento che ha la funzione di illustrare le varie pratiche rituali e spiegare il loro significato.

L'altra versione invece prende il nome di «Yajurveda bianco»

(Śuklayajurvedaशुकलयजुवेद), e contiene soltanto le preghiere e le formule senza aggiungere nessun commento relativo alla spiegazione e al significato del rituale10. Lo Yajurveda è diviso in sezioni (il cui numero varia a seconda della recensione) con riferimento ai vari tipi di sacrificio;

composto sia da parti in versi, sia da parti in prosa, che lo rendono il più

10Per i nomi delle varie scuole a capo delle due versioni di Yajurveda, vedere S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in G.Boccali – S.Piano – S.Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Cit. pag 40-42.

(19)

antico esempio di prosa letteraria dell'antico-indiano, e quindi acquisisce ulteriore importanza per lo studio dal punto di vista linguistico11.

Le formule sono di vario tipo: possono essere costituite soltanto da pure e semplici sillabe sacre (vasatवषत, im इम्, vāṭ वाट्, veṭ वेट्), da frasi brevissime, o invece da litanie d'interminabile lunghezza dove sono invocati tutti gli dei. Particolare da notare è come spesso le formule non si rivolgano agli dei, ma ai doni o agli strumenti sacrificali stessi. Anche qui si può notare come il sacerdote utilizzi un linguaggio enigmatico e mistico per descrivere e mettere in rapporto gli strumenti sacrificali con gli avvenimenti mitici e le forze della natura. Caso particolare e curioso sono anche le numerose identificazioni fatte dai sacerdoti12, che si possono capire solamente, e non tutte, grazie al commento presente nello «Yajurveda nero»

(कृषणयजुरवेद).

Questa Saṃhitā fornisce una maggiore e profonda conoscenza della religione, si avverte il cambiamento del rapporto tra l'uomo e la divinità, fra l'essere mortale e quello immortale. Alcune divinità vengono limitate, il

11 «“[..]Prosa occasionalmente ritmica, dallo stile piuttosto coinciso, costituita da frasi spesso brevi e dalla sintassi piuttosto rudimentale, […] Altre volte le frasi cercano una certa solennità attraverso l'accumulo di apposizioni, la scelta di termini particolari e il ricorso alla ripetizioni e all'omofonia”» S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani; in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Cit. pag 40-42.

12 «“[...]come, ad esempio, della vacca e del vento: quella, infatti, col concime da lei prodotto, purifica la terra così come fa il vento quando ne percorre la superficie”» S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Cit. pag 41.

(20)

loro potere diminuito; tra alcune avviene un sincretismo, una vera e propria fusione; altra invece conquistano un potere ed un'influenza che prima non avevano, come il caso del dio Viṣṇu, da divinità di secondo piano e incolore a divinità eccelsa, da essere identificata con il sacrificio stesso. Il fenomeno più significativo è senza dubbio l'enorme importanza che assunse il sacrificio, che viene ad occupare nell'India tardo-vedica una posizione di preminenza assoluta. Difatti, mentre prima il sacrificio era un mezzo con il quale ottenere il favore degli dei, lo Yajurveda mostra come questo non sia può solamente un mezzo, ma lo scopo e il fine ultimo. Il sacrificio diviene fine a se stesso, ed era inteso come mezzo in grado di piegare gli dei alla volontà del sacrificante, quindi del sacerdote che compiva il sacrificio.

Questo fatto sanciva la vittoria dell'uomo, capace, secondo lui, di imporre la propria volontà agli dei13.

Le divinità assumono il ruolo di strumenti nelle mani del sacrificante, alla stregua degli utensili del sacrificio e degli atti rituali che vengono divinizzati anch'essi e ai quali vengono dirette le formule propiziatorie. Gli inni dello Yajurveda erano destinati alla recitazione nelle numerose cerimonie, tra cui quelle celebrate in occasione del novilunio e del plenilunio, quelle per il culto del fuoco, delle stagioni o del Soma14.

13 Per ulteriori approfondimenti, vedere S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi. Principi, metodologie, storia, pag 41.

14 Elencate le varie cerimonie di utilizzo dello Yajurveda in S.Sani, Le scritture sacre dei

(21)

2. 2. 4 ATHARVAVEDA15 अथवरवेद

L'Atharvavedasaṃhitā (अथवरवेदसंिहता “La raccolta della sapienza degli Atharvan”) è la seconda per estensione e importanza tra le saṃhitā vediche;

contiene oltre 6000 strofe, per un numero complessivo di 731 inni, i quali, ad eccezione dei libri XV e XVI redatti in prosa, sono composti negli stessi metri utilizzati nel Ṛgveda.

L'intera opera è formata da venti kāṇḍa (काणड, «libri»), ma gli ultimi due sono aggiunte posteriori. Il XX libro contiene essenzialmente inni ripresi dalle parti più recenti del Ṛgveda, e anche il resto della raccolta vi attinge in larga misura. Come il Ṛgveda, rivela nella sistemazione e posizione dei libri un'elaborazione editoriale molto accurata16.

Il nome più antico di questa opera è Atharvāṅgirasaḥ (अथवारिङगरसः), un composto formato da due nomi di due antiche famiglie di sacerdoti gli Arthavan (अथरवन) e gli Āṅgiras (अिङगरस्). Questi due membri sono attestati anche separatamente, ma sempre in unione con un altro termine, il

Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 43.

15 In S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India.

La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 10, 26-39.

16 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India.

La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 10, 26-39; approfondimenti e ulteriori informazioni e spiegazioni sono rintracciabili nell'introduzione di S. Sani presente nell'opera Atharvaveda : inni magici, a cura di C.Orlandi e S.Sani, Milano, Tea, 1997.

(22)

che dimostra che ogni elemento ha una sua distinta e intrinseca individualità e come tale può essere impiegato anche separatamente17. Il primo termine individua una classe di sacerdoti che praticavano il culto del fuoco, discendenti di Arthavan (अथरवन), che di fatto è il primo sacerdote che produsse il fuoco e così ne istituì il culto. Fin dai tempi più antichi questo nome è usato in riferimento alla magia bianca, cioè nei riti risanatori e pacificatori.

L'altro termine, Āṅgiras (अिङगरस्), designava i sacerdoti (tradizionalmente considerati “figli del cielo” o “figli degli dei”) particolarmente abili nella pratica di magia nera, cioè nella stregoneria e negli incantesimi18.

Altre designazioni per questa raccolta sono Bhṛgvaṅgirasaḥ e Brahmaveda (la prima è quasi un sinonimo dei nomi elencati precedentemente, la seconda invece si concentra sulla sfera del rituale atharvanico19).

L'Atharvaveda è cronologicamente l'ultima delle quattro saṃhitā.

Tramandata oralmente come le altre tre, essa è stata composta intorno al 1000 a. C. anche se non possiamo sapere con precisione l'epoca in cui è stata redatta e ultimata. Ha occupato per molto tempo una posizione subordinata rispetto alle altre raccolte: nei Brāhmaṇa e nel Canone

17 Citazione da Atharvaveda : inni magici, a cura di C.Orlandi e S.Sani, Milano, Tea, 1997, che a sua volta cita, alla nota 3, Bloomfield 1897, pXVIII.

18 Ibidem.

19 Con numerose precisazioni ed ampliamenti, vedere Atharvaveda : inni magici, a cura di C.Orlandi e S.Sani, Milano, Tea, 1997.

(23)

Buddhista si parla esclusivamente della trayī vidyā (तय िवदा) , «triplice sapienza», nella quale non era annoverato l'Athrvaveda, che veniva collocato in una posizione separata. Il fatto di essere stato tenuto così a lungo in disparte può fornire il motivo per cui questo testo appare composto in epoca più recente20, oltre al fatto che al suo interno si trovano elaborati che si riferiscono alla così detta “religione minore”, quella degli dei inferiori che sovrintendono a singoli fenomeni o a singoli avvenimenti della vita umana, quella delle cerimonie individuali, degli incantesimi e degli scongiuri.

Come già ribadito, è una raccolta di inni di vario contenuto. Il nucleo principale è costituito da esorcismi per l'allontanamento dei demoni o degli animali dannosi, per la guarigione delle malattie, per allontanare o neutralizzare i presagi infausti, ma anche da formule magiche che vengono recitate per cercare moglie, per riconquistare un amore perduto, per trovare sollievo dall'insonnia, per avere fortuna al gioco e per tante altre necessità quotidiane. Si trovano anche inni di contenuto teosofico e cosmogonico, inni funerari e nuziali e anche da inni composti per scopi sacrificali21.

20 S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India.

La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 10, 26-39; approfondimenti e ulteriori informazioni e spiegazioni sono rintracciabili nel testo Atharvaveda : inni magici, a cura di C.Orlandi e S.Sani, Milano, Tea, 1997.

21 Per ulteriori informazioni riguardanti tutte le tipologie di incantesimi, esorcismi e formule magiche presenti nell'Atharvaveda, rimando alle due opere di S.Sani, Atharvaveda : inni magici / (introduzione di S. Sani); Milano, Tea, 1997, alle pag 9-22, ed a Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 26-39.

(24)

All'interno dell'Atharvaveda si nota come la divisione della società indiana fosse già schematizzata e divisa nelle quattro caste, che gli dei avevano perso quella individualità che li contraddistingueva nel Ṛgveda, e venivano nominati e chiamati in gruppo; il linguaggio è più uniforme rispetto all'opera più antica, meno irregolare, con una fraseologia più semplice ed anche più concreta, forse proprio perché gli autori descrivevano i loro bisogni contingenti, e quindi il linguaggio si rese molto più esplicito e diretto. Serve inoltre a capire tutte le credenze elementari che precedono il costituirsi di una religione codificata: infatti i dati all'interno dell'Atharvaveda sono di grande interesse per gli elementi folkloristici e di poesia popolare al suo interno, per le credenze e le superstizioni che albergavano e dominavano il pensiero degli strati più bassi della società indiana22. Tali credenze sono la testimonianza dell'innesto nei culti primitivi, praticati dalle popolazioni autoctone già prima dell'arrivo degli Arii, di procedimenti magici che risalgono all'età indoeuropea. Gli intenti che i carmi atharvavedici perseguono è quello del raggiungimento di scopi pratici: un raccolto abbondante, la fortuna in amore, l'arte della seduzione, la fecondità delle donne, la vittoria nella contesa oratoria, nel gioco dei dadi e in battaglia, il successo nelle attività commerciali, il prevalere sugli altri.

22Molto importante, infatti, è per gli studi di storia delle religioni, di antropologia ed etnologia, dato che amplia notevolmente la visione degli strati minori, dando una spaccato di società che non è trattata nelle altre opere religiose. É importante soprattutto per la conoscenza della fede popolare.

(25)

Ci si premuniva di rimanere liberi dai mali più svariati, come le malattie, o i demoni che venivano cacciati insieme alle influenze malefiche e alle maledizioni che i malvagi operatori di magia praticavano sui nemici. Questi inni, per l'uomo vedico, sono in grado di modificare il corso naturale degli eventi e di influire su di essi provocando effetti sanatori o malefici.

L'efficacia dell'incantesimo, come la riuscita di un sacrificio, dipendeva dalle parole che lo accompagnavano23.

Per questo suo potere, la sua recitazione fu affidata al brahman (बहन्), che doveva scongiurare, con apposite e specifiche formule, eventuali errori di pronuncia formulati dagli altri officianti al sacrificio.

Il brahman così acquisì un potere inimmaginabile, tanto da essere definito sarvavid (सवरिवद्) «onnisciente». E tutto questo potere lo doveva solamente al grande valore attribuito alla parola: la parola, infatti, funzione creatrice, è la matrice dell'esistenza, è la realtà stessa. Quindi conoscere la parola significava conoscere la sostanza, ergo conoscere era equivalente ad avere il potere su tutta la realtà24.

23 Sul potere della parola e di quello dei poeti, vedere al Cap 3.

24 Per far capire al meglio questo concetto, riporto due passi dell'Atharvaveda, AV I,1 e AV VI,61,3, riprendendo la traduzione italiana da Sani Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 31 «“Di quei tre volte sette che vanno in giro portando tutte le forme// Vācaspati, il dio della

parola, mi conceda oggi i poteri e le manifestazioni” AV I,1; “Io sono il creatore del cielo e della terra // Io ho generato le stagioni e i sette fiumi // Io posso rendere vero con la parola ciò che non è vero”» AV VI,61,3.

(26)

CAPITOLO TERZO

IL ṚGVEDA E IL PANTHEON VEDICO

3.1 COMPOSIZIONE DELL'OPERA

L a Ṛgvedasaṃhitā (ऋगवेदसंिहत, “la raccolta della sapienza delle strofe), comunemente conosciuta e chiamata nella forma abbreviata Ṛgveda, si è conservata in un'unica recensione, attribuita alla scuola sacerdotale degli Śākala. Essa comprende al suo interno 1028 inni (sūkta सूक), raggruppati in dieci libri denominati maṇḍala (मणडल) «cicli», di varia lunghezza26. Questi dieci maṇḍala mettono in evidenza la suddivisione storica che sta dietro alla recensione del testo sacro, mostrando le numerose fasi di rielaborazione che la saṃhitā ha subito nel corso dei secoli, e questa recensione è quella adottata ed utilizzata anche in Occidente. Esiste anche un'altra ripartizione del testo, creata per scopi didattici, più tarda e

26 «“[...] solo il I e il X contengono un numero uguale di inni (191), il che denota già di per se denota una posizione non casuale della raccolta. Le stanze sono 10.462: l'inno più corto (I,99) ne comprende una sola, il più lungo (IX, 97) 58.”» tratto da S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 10 e seguenti.

(27)

puramente meccanica27. Addentrandoci nell'opera, dobbiamo innanzitutto distinguere i maṇḍala compresi fra II e VII, che sono omogenei e costituiscono il nucleo più antico dell'intera collezione; essi sono tradizionalmente denominati “libri di famiglia”, poiché gli inni all'interno di questi sarebbero stati visti da poeti appartenenti a una stessa famiglia.

Basandoci sulle citazioni all'interno dei testi esegetici, la composizione dei maṇḍala può essere suddivisa nel seguente modo: il II maṇḍala è attribuito alla famiglia Gṛtsamada, il III alla famiglia Viśvāmitra, il IV ai Vāmadeva;

il V agli Atri, il VI ai Bharadvāja e il VII ai Vasiṣṭha. A corroborare queste attribuzioni concorrono anche fatti e indizi presenti nei libri stessi28. All'interno dei “libri di famiglia” gli inni venivano allestiti e raggruppati in maniera del tutto peculiare: gli inni erano raggruppati secondo la divinità a cui erano dedicati e i primi due gruppi erano sempre formati da inni indirizzati alle due divinità principali, Indra (इनद) e Agni (अिग). All'interno dei gruppi gli inni venivano sistemati secondo il numero decrescente delle stanze e, se due inni avevano lo stesso numero di stanze, allora precedeva quello che aveva il metro di lunghezza maggiore. Infine, questo nucleo di

27 «“[...] raggruppa gli inni in otto asṭaka (अषक, ottavi), ognuno dei quali comprende otto adhyāya (अधयाय), suddivisi a loro volta in varga (वगर) di cinque o sei stanze”» S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 10.

28 «“Come ad esempio delle formule o dei ritornelli tipici di certe famiglie o la predilezione per certi modelli linguistici o metrici”» S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, pag 10 e seguenti.

(28)

maṇḍala all'interno della saṃhitā si susseguivano secondo un ordine che teneva conto del numero crescente degli inni contenuti in essi. I maṇḍala I, VIII, IX e X furono aggiunti successivamente al nucleo principale costituito dai “libri di famiglia” e non furono composti ciascuno da una distinta famiglia di ṛsi, ma da gruppi di inni considerati in base ad altri criteri29. Il I X maṇḍala contiene 114 inni attribuiti a oltre sessanta autori: come contenuto, questo maṇḍala è il più omogeneo poiché è formato da inni, preghiere e lodi indirizzate e dedicate a Soma, specialmente nel momento del sacrificio durante il quale viene «chiarificato» (pavamāna, पवमान30), ; di questo maṇḍala parlerò in maniera più dettagliata in seguito . Il X libro infine costituisce l'aggiunta più recente ed è considerata da molti come un'appendice all'opera vedica.

Gli inni del Ṛgveda furono raccolti e conservati per molti secoli per tradizione orale in seno a quelle famiglie di poeti, ṛsi (ऋिष) che li avevano composti. Si ritiene che la sistemazione del testo del Ṛgveda dovrebbe essersi conclusa più o meno intorno al 600 a. C. quando cioè, secondo la

29 Per conoscere le altre peculiarità riguardanti la redazione e le aggiunte all'interno del Ṛgveda, riamando alla lettura di S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, cit. pag 10, 11, 12, 13; per una visione unitaria e completa del Ṛgveda rimando sempre anche alle opere di A.A. MacDonell, A history of Sanskrit Literature, Appleton and company, New York 1900, fruibile on-line al s i t o http://en.wikisource.org/wiki/A_History_of_Sanskrit_Literature; e su J.Gonda Vedic Literature, Otto Harrassowitz,Wiesbaden, 1975 in A History of Indian Literature, Volume 1, Otto Harrassowitz, Wiesbaden, 1975.

30 Pavamāna, पवमान: “che è purificato o filtrato, che scorre bene (detto del soma).” pag 910 del Dizionario Sanscrito-Italiano.

(29)

tradizione, il potere della riproduzione orale cominciò a declinare; la sistemazione che ne scaturì comportò fatti di arcaizzazione e anche alcune corruzioni testuali, ma sostanzialmente i testi mantennero nel complesso un livello di autenticità piuttosto elevato.

Del Ṛgveda si menzionano cinque recensioni, ma quattro di queste non ci sono pervenute, mentre quella rimasta è attribuita da una tradizione tarda a Vyāsa31, al quale sono attribuiti anche i restanti Veda. La compilazione dell'opera, nella redazione in cui la possediamo, è attribuita a Sākalya, e dopo la sua sistemazione, il testo è rimasto inalterato per molti secoli.

Alcune di queste parti, però, ci sono giunte più o meno alterate in altri testi vedici e questo fatto ci fa capire come queste varianti testuali fossero dovute al desiderio di creare una lettura più adatta ad uno scopo prettamente liturgico, e, grazie a questo desiderio, spesso è possibile ottenere anche varianti, forse, precedenti alla compilazione definitiva di Sākalya. Inoltre è bene specificare come il Ṛgveda venga tramandato principalmente in due redazioni, una in sandhi सिनध (cioè dove sono applicati tutti gli adattamenti che le regole eufoniche impongono tra le parole che si susseguono in una frase) e una in padapāṭha पदपाठ (dove tutte le parole del testo sono riportate nella loro forma originaria), che ci

31 Vyāsa (वास): «Nome di un mitico saggio e autore considerato dalla tradizione il compilatore e sistematore del Ṛgveda e del Mahābhārata» pag 1559 del Dizionario Sanscrito-Italiano.

(30)

mostrano il livello elevato di esegesi e di analisi linguistica che questi testi hanno subito nel corso del tempo, fin dall'antichità.

3.2 DATAZIONE E CRONOLOGIA DEL ṚGVEDA

Come affermato in precedenza, la produzione letteraria vedica si estende per un arco di parecchi secoli, e molti studiosi sono concordi nel ritenere che le redazioni definitive del Ṛgveda e di tutti gli altri testi finora menzionati dovevano essere già esistenti nella loro forma definitiva prima della nascita del Buddhismo nella seconda metà del VI secolo a. C. e prima che la diffusione della cultura Aria giungesse nel sud dell'India.

Ad una prima considerazione, riguardante la cronologia relativa, si può dire che fra le quattro saṃhitā, il Ṛgveda è di certo la più antica, in quanto viene citato dalle altre raccolte, mentre queste non sono nominate nell'opera. La determinazione del limite superiore della datazione è strettamente connessa con l'inizio della civiltà Indo-Aria e quindi con la questione dell'arrivo dei popoli Arii in India e della loro sedentarizzazione. Questo ha portato a numerose e divergenti soluzioni al problema: gli studiosi indiani ad esempio collocano il Ṛgveda in epoche estremamente remote, come a

(31)

supportare la sua validità e l'aura di sacralità che gli è attribuita32. Altri studiosi invece, propendevano per datazioni molto più basse33.

La datazione invece considerata la più plausibile dagli studiosi e maggiormente accettata è quella che è stata proposta da Max Müller. Le sue idee si basavano sull'ipotesi che i sūtra fossero, all'incirca, contemporanei al diffondersi del Buddhismo, e li collocava in un arco cronologico compreso fra il 600 e il 200 a.C.

Poiché riteneva che i Brāhmaṇa, per poter essere compilati e redatti, non potessero aver richiesto un periodo inferiore ai due secoli, poneva i più antichi fra questi fra l'800 e il 600 a.C.; inoltre, poiché la composizione delle saṃhitā doveva aver richiesto un periodo almeno altrettanto lungo, ipotizzava che alla fine gli inni del Ṛgveda dovevano risalire almeno fino al 1000 a.C., e che gli inni più antichi si potevano spingere fino al 1200 a.C.34

Questo computo, ritenuto da molti valido e ragionevole, ha fornito le basi per la datazione delle stratificazioni letterarie indiane, e di conseguenza anche dell'invasione Indo-Aria in India, anche se questa viene spostata ad

32 «Abinas Candra Das ha, per esempio, cercato di dimostrare che esso risalirebbe al periodo del miocene, mentre Bāl Gaṅgādhar Tilak, analizzando gli accenni astronomici che si trovano nella raccolta arriva ad affermare che la composizione degli inni più antichi deve situarsi tra il 6000 e il 4000 a.C. A conclusioni analoghe [...]arrivava […] anche H. Jacobi che, sempre in base a considerazioni astronomiche, riteneva il Ṛgveda anteriore al terzo millennio.”» S.Sani, Le scritture sacre dei Brahmani, in Boccali - Piano - Sani, Le letterature dell'India. La civiltà indiana dai Veda a oggi, cit. pag 15.

33 Ibidem.

34 Ibidem.

(32)

alcuni secoli precedenti (XVI-XV secolo a.C.) poiché i periodi sono considerati troppo brevi fra loro, e sembra impossibile attribuire una datazione troppo bassa35.

3.3 CONTENUTI E VISIONI ALL'INTERNO DEL ṚGVEDA

Come già affermato più volte, la situazione sociale descritta all'interno dell'opera vedica, soprattutto quella culturale, è estremamente parziale ed influenzata dalla visione di coloro che detenevano il potere e il comando, e dai poeti, dotati di fulgida immaginazione, abili creatori ed inventori di metafore. Questi poeti intessevano il loro pensiero con immagini mitologiche ed eroiche, cosparse di divinità ed esseri sovrannaturali. Il loro intento non era descrivere la loro vita religiosa, sociale e politica o trasmettere informazioni concrete e relative alle modalità di vita della

35 Infatti pare difficile assegnare una datazione relativamente bassa alla composizione del Ṛgveda, sia per la distanza che questa opera ha con gli altri testi della letteratura indiana, sia per le numerose affinità trovate anche in campo archeologico, che collegano il pantheon Indo- Ario e Iranico con quello delle classi dominanti in Asia Minore, dove sorse il regno di Mitanni. Difatti in questo regno, attraverso prove linguistiche e culturali, è possibile attestare che era presente una classe regnante composta da elementi proveniente da tribù Indo-Arie, che probabilmente durante lo spostamento che porto questi popoli in India, si diressero invece verso l'Asia Minore e fondarono lì alcuni regni. Questi regni, risalenti sicuramente alla metà del II millennio, mostrano il pantheon già formato e con alcune caratteristiche peculiari riscontrabili già nei Ṛgveda, ed è quindi plausibile che i primi inni alle divinità fossero già stati composti dai popoli Indo-arii prima del loro arrivo nella sede indiana.

(33)

società vedica. Gli inni sono cosparsi di allusioni ad eventi mitologici, ma è nullo il loro contributo nella conoscenza e nella trasmissione di notizie riguardanti il culto quotidiano e religioso, e ancora meno sono presenti riferimenti e nozioni sulle dottrine che si svilupperanno e troveranno ampio spazio in seguito, e che verranno conosciute come tipicamente indiane (le dottrine trasmesse e trattate nei Brāhmaṇa36 e nelle Upanisad ad esempio).

L'oscurità di certe parti del Ṛgveda è per lo più dovuta alla mancanza di conoscenza delle circostanze cultuali e mitologiche che stanno dietro ai testi, e al bagaglio conoscitivo e mitico a cui i poeti attingevano per creare e completare le loro opere, sulla loro visione del mondo e sulle loro credenze religiose. Ma oltre a ciò, è importante sottolineare anche la destinazione che questi testi avevano: consistevano in opere a scopi puramente ed esclusivamente cultuali, per questo sono costellati di divinità, a cui si chiedeva la presenza, la partecipazione durante i sacrifici, e a cui si chiedevano in cambio favori, beni, ricchezza e felicità. Infatti i desideri che vengono manifestati negli inni sono estremamente terreni e materiali, e le preghiere rivolte alle divinità non sono mai di ringraziamento, ma solo di richiesta agli essere divini.

Questa infatti è una particolarità molto interessante del pensiero religioso vedico, che incentra la preghiera e le lodi nella richiesta di un bene

36 Vedere capitolo 2, paragrafo 2.2.5 e 2.2.7 .

Riferimenti

Documenti correlati

di cooperazione sulle tecnologie dual use (cioè ad uso sia militare sia civile), il nucleare civile e l’aerospaziale. La normalizzazione delle relazioni tra Cina, Russia e India

Per quanto Berosso, sacerdote di Bel Marduk e astronomo babilonese in epoca tarda aves- se evocato la fine del mondo a seguito dell’allineamento dei pianeti attraverso una

In India, the agency of human trance mediums, as exemplified in the musi- cal and ritual boil tradition of the Bora Sambar region (Guzy 2013: 41–47) is a widespread mode

I sette paesi vengono poi descritti sinteticamente ad uno ad uno attraverso la ricostruzione della storia più recente (prevalentemente degli ultimi 50 anni), la

Perciò, mettere a punto processi e tecnologie allo scopo di tracciare rapidamente i contagi, è essenziale per circoscrivere e contrastare l’espandersi delle catene

This special collection assembles perspectives on different concepts of fright and fear within diverse Indian cultural contexts – introduced primarily through the lens

Nella prima parte di questo suo ultimo libro, dopo un’utile sezione introduttiva dedicata alle fonti – a cui fa pendant l’articolazione della bibliografia finale – presenta

[r]