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Linea di confine

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Academic year: 2022

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Prefazione

Quella di affidarsi alla forza delle immagini è una vocazione antica dell’INAIL che già negli anni quaranta e cinquanta documentava con filmati, fotografie e manifesti la realtà del lavoro e la necessità della prevenzione.

Di quel linguaggio c’è ampia traccia in questo volume che propone una lettura delle trasformazioni nel mondo del lavoro attraverso un’originale visione, ogni volta doppia, di interni ed esterni che ci racconta di come sono cambiati i luoghi della produzione, le tecniche, i rischi lavorativi e

l’ambiente circostante.

E’ il terzo volume di quella che si avvia ormai a diventare una collana editoriale, che ha il merito di portare l’attenzione sulle condizioni di lavoro e sulle ragioni della sicurezza, utilizzando linguaggi diversi da quello scientifico e statistico che in genere accompagnano ogni discorso sul fenomeno degli infortuni da lavoro.

Linguaggi orientati ad una propositività evocativa del tema che all’inizio spiazza, poi fa riflettere.

Il successo dei primi due volumi (nel 2000 “Breve viaggio nella prevenzione” e l’anno scorso

“Donne al lavoro”), che ha superato addirittura i confini nazionali, ci conforta sull’efficacia della formula affidata agli stessi autori che, con rinnovata creatività, ci fanno osservare passato e presente del lavoro da un’insospettata, proprio perché nell’esperienza di noi tutti, “linea di confine”.

Linea di confine

Tutti noi abbiamo, ed abbiamo sempre avuto, nostre personali, e spesso non percepite, linee di confine che segnano fisicamente e metaforicamente il limite tra esterno ed interno, tra luogo di lavoro e ambiente circostante, tra lavoro e tempo libero, tra opera dell’uomo e natura. Porte e finestre sono la frontiera dei punti di vista. Di qua scene in un interno che ci raccontano come è cambiato nel tempo il lavoro, come sono cambiati i luoghi di lavoro, come è cambiato il modo di lavorare, come i rischi lavorativi si siano mantenuti o trasformati. Di là i condizionamenti imposti dall’uomo, i nuovi contesti metropolitani, l’evoluzione del paesaggio.

E che relazione c’è fra gli ambienti di lavoro, i lavoratori che vi operano e il gabinetto dell’oculista o la sala d’aspetto del medico o lo spoglio ingresso d’un ufficio assistenza per gli invalidi? Quegli opifici che alcune foto ci mostrano da dietro un vetro come in attesa, poi pieni di attività e di fervore non sono che un “pezzetto” della verità, che si compone anche della vita nelle case viste da lontano, dello spavento d’un infortunio, dell’esito tragico di questo. Ma certi scatti, anche se non vi

compaiono uomini, parlano tuttavia di vita e di lavoro: i macchinari silenziosi o la motrice ferma sembrano colti in un momento quasi di sospensione, non c’è l’operaio né la squadra, o il tecnico ad animarli, ma si intuisce che saranno lì fra poco o che da poco se ne sono andati. Oppure da molto, come ci racconta la vecchia fabbrica in rovina e il suo contorno di sterpi e di rovi.

Il singolo pezzetto non ci rende la realtà, perché si ferma inevitabilmente al di qua del vetro, dell’infisso, della porta e non ci fa sentire il fluire della vita, della fatica, del riposo. Non ci fa godere del sole che pure illumina e riscalda i giardini, le signore in passeggio o certi scorci squallidi che incorniciano vite, forse, piene e belle.

Ma basta togliere il filtro, ricomporre l’unità, per ritrovare il contesto più ampio.

Ad ognuno di noi deve appartenere lo sforzo di non farsi fermare sul limite dalla mancanza di curiosità, di conoscenza, di partecipazione, di solidarietà. Il confine fra il singolo uomo e l’altro, gli altri, delimita certo modi, impegni, destini, scelte di vita che disegnano l’individualità, ma che costituiscono il contesto nel quale si inscrive anche la nostra esistenza.

Un vecchio film giapponese, Rashomon, ci ha detto magistralmente che le verità possono essere

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tante quante sono le voci che le raccontano. Le immagini di questo libro ci ricordano che la verità è ingannevole se guardata da un solo punto d’osservazione e fuori dal suo contesto. E’ triste la selleria senza uomini né cavalli, come sono tristi le aule o i corridoi della scuola quando i bambini sono fuori, al di là della finestra. Basta rimettere le cose insieme? Basta eliminare il filtro del vetro e del telaio, o la porta che nasconde un interno, magari vivo e operoso, per avere una verità diversa da come ci è apparsa a prima vista? Sì, a patto di varcare il confine, guardando da dentro a fuori e da fuori a dentro, per avere sempre l’insieme, come ci propongono questi scatti sapientemente rielaborati ed incorniciati da infissi, allo stesso tempo veri e fisici nonché simbolici e virtuali.

Molte di queste foto sono tratte dall’archivio storico dell’INAIL e raccontano della capacità di cogliere l’insieme nell’attenzione, costante nel tempo, all’Uomo che lavora. Ritraendo lui, l’Istituto ha raccontato anche la storia del lavoro, dell’ambiente, dalle prime insospettate attenzioni alla prevenzione alla progressiva consapevolezza di dover promuovere, subito e prima, una sicurezza del lavoro piuttosto che pagare, dopo, i costi umani, sociali ed economici della sicurezza che non c’era.

Marco Stancati

Direttore Centrale Comunicazione

Ringraziamenti

L’INAIL ringrazia:

la società La Magona d’Italia

lo studio Riccardo Del Fa per aver messo a disposizione le fotografie utilizzate per questa pubblicazione

Bruna Bellonzi per la collaborazione Tutti i diritti riservati.

La presente pubblicazione non può essere riprodotta interamente o in parte, memorizzata o inserita in un sistema di ricerca delle informazioni o trasmessa in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo (elettronico o meccanico, in fotocopia o altro), senza il previo consenso scritto dell’editore.

Coordinamento editoriale Marco Stancati Ideazione e progetto Pino Modica

Impostazione grafica Pino Modica, Riccardo Del Fa, Claudio Cavallini Elaborazione digitale Riccardo Del Fa

Le fotografie provengono da:

archivio storico dell’INAIL

archivio storico La Magona d’Italia

archivio Riccardo Del Fa

Questo volume è stato stampato, in Milano, dalla Tipolitografia INAIL, nel novembre 2002.

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