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Proposta metodologica per la valutazione di indicatori di pericolo e rischio da frana a scala intermedia: L'area della Stretta di Catanzaro (Calabria, Italia)

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PROPOSTA METODOLOGICA PER LA VALUTAZIONE

DI INDICATORI DI PERICOLO E RISCHIO DA FRANA A SCALA INTERMEDIA:

L’AREA DELLA STRETTA DI CATANZARO (CALABRIA, ITALIA)

Giovanni Gullà, Loredana Antronico, Marino Sorriso-Valvo & Carlo Tansi

CNR - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica - Sezione di Cosenza, Via Cavour 4/6 - 87030 Rende (CS), Italia e-mail: gulla@irpi.cnr.it

PREMESSA

La valutazione della pericolosità e del rischio rappre- senta una delle problematiche di maggiore rilievo nello studio dei movimenti in massa. Fra i molteplici aspetti connessi a tale studio quelli evidenziati si prestano ad essere trattati da diversi punti di vista disciplinari e sono anche fra quelli che più efficacemente possono essere affrontati con un approccio interdisciplinare.

La definizione usuale della pericolosità da frana è riferita al singolo fenomeno e la sua valutazione rigoro- sa, nei limiti delle assunzioni che in ogni caso è neces- sario fare per schematizzare la complessa problemati- ca, ha come presupposto la definizione del modello geotecnico dell’instabilità di pendio. Bisogna tuttavia rilevare il diffuso interesse alla connotazione areale

della pericolosità e del rischio da frana (Brabb, 1984;

Varnes, 1984; Einstein, 1988; Brabb, 1989; Canuti &

Casagli, 1996; Antronico et al., 1999; Gullà, 2001;

Gullà, 2002).

I punti di vista richiamati sono strettamente connessi e richiedono pertanto una più convinta trattazione uni- taria ed organica per conseguire avanzamenti significa- tivi in termini conoscitivi ed applicativi. Una tale visio- ne è opportuna anche quando è necessario procedere in maniera disgiunta a valutazioni puntuali o areali della pericolosità e del rischio da frana.

L’analisi del singolo caso di instabilità di pendio può essere condotta eseguendo i rilievi, le indagini e gli studi necessari alla definizione del relativo modello geotecnico, per la cui individuazione si può dunque seguire un percorso canonico, lungo il quale, tuttavia, RIASSUNTO - Le problematiche pericolosità e rischio da frana, sicuramente fra quelle di maggiore rilievo nello studio dei movimenti in massa, possono prestarsi ad una trattazione disciplinare, ma sono fra quelle che più efficacemente sono affrontabili con un approccio interdisciplinare. Assumendo come riferimento generale tale indicazione, nella nota è proposta una metodologia per la valutazione indicizzata della pericolosità e del rischio da frana, predisposta e validata con gli elementi conoscitivi desunti dalla “Carta litologico-strutturale e dei movi- menti in massa della Stretta di Catanzaro” alla scala 1:50.000. Il lavoro illustrato mostra come la Carta fornisca efficacemente gli elementi di valutazione utili per la scala intermedia utilizzata. La metodologia, semplice e robu- sta, consente di trarre indicazioni convenzionali circa la pericolosità ed il rischio (Indicatore di Pericolo e Indicatore di Rischio) con le quali è possibile delineare le priorità di intervento ed orientare oculatamente gli studi di dettaglio. La metodologia di valutazione può facilmente includere elementi specifici e conoscenze generali che si rendono man mano disponibili. Nell’area di studio si rileva che le instabilità sono caratterizzate da Indicatore di Pericolo medio (iP2) nel 58% dei casi, e moderato (iP1) nel 32% dei casi; il restante 10% riguarda instabilità con Indicatore di Pericolo elevato e molto elevato. La stima del rischio, condotta a titolo esemplificativo su un gruppo di instabilità, ha evidenziato il ruolo giocato dall’Indicatore di Pericolo e quindi dagli elementi utilizzati per la sua definizione.

PAROLE CHIAVE: Movimento in massa, indicatore, pericolosità, rischio.

ABSTRACT - Landslide hazard and risk are amongst items of major concern in the field of slope stability stud- ies. These topics can be suitable for disciplinary treatment, but they can be most effectively faced with an inter- disciplinary approach. Based on this concept, in this paper a method for the assessment of landslide hazard and risk is proposed. The procedure has been developed by means of elements extracted from the geological and mass movements map of the Stretta di Catanzaro (Central Calabria, Southern Italy), drawn at 1:50,000 scale for this purpose. The paper shows how the Map efficiently provides evaluation elements given the adopted intermediate scale. The procedure, simple and robust, permits to get conventional rank elements for hazard and risk assessment (Hazard Index and Risk Index) that allow to delineate action priorities and to properly address detail studies. The evaluation procedure can easily include elements of specific and general knowledge as they are available. In the study area it is evident that slope instability phenomena are characterised by a medium value of Hazard Index (iP2) in the 58% of cases, and by a moderate value (iP1), in the 32% of cases. The risk estimation, carried out as an example on a group of instability phenomena, underlined the extremely important role played by the elements considered to define Hazard Index classes.

KEY WORDS: Mass movement, index, hazard, risk.

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sono ancora molti gli aspetti che necessitano di appro- fondimenti (Einstein, 1988; Hutchinson, 1992; Fell, 1994).

Per la valutazione areale della pericolosità e del rischio da frana sono numerose le proposte che si ritro- vano in letteratura ed un loro esame organico consente di evidenziarne alcuni aspetti cruciali (Carrara et al., 1982;

Carrara, 1983; Brabb, 1984; Varnes, 1984; Einstein, 1988; Brabb, 1989; Canuti & Casagli, 1996; Crescenti, 1998; Aleotti & Chaudrhury, 1999; Antronico et al., 1999; Gullà, 2001; Gullà, 2002; Sorriso-Valvo, 2002).

Nella valutazione areale della pericolosità e del rischio due aspetti, non sempre tenuti in debito conto, assumo- no particolare importanza: l’estensione della zona di interesse ed il tempo che, compatibilmente con le finali- tà di tale valutazione, si può utilizzare. Per poter infatti concludere in tempi accettabili tutte le attività necessarie e conseguire risultati coerenti alla scala di rilievo e rap- presentazione, bisogna individuare la minima dimensio- ne delle instabilità da considerare per la valutazione areale della pericolosità e del rischio. Riguardo quanto esposto è essenziale una scelta congruente degli stru- menti di indagine ed analisi.

L’impostazione delineata è stata seguita per trarre indi- cazioni circa la pericolosità ed il rischio da frana in un’a- rea d’importanza strategica per lo sviluppo della Calabria, dell’estensione di circa 1000 km2, che coinci- de con la Stretta di Catanzaro, Fig. 1. Accurati rilievi geologico-strutturali e geomorfologici hanno consentito la redazione della “Carta litologico-strutturale e dei movimenti in massa della Stretta di Catanzaro”, alla scala 1:50.000, allegata alla presente nota e di seguito richiamata come Carta (Antronico et al., 2001). La Carta fornisce gli elementi assunti come riferimento generale per sviluppare la metodologia proposta nella presente nota.

CARTOGRAFIA DI RIFERIMENTO Generalità

Il criteri assunti per la redazione della Carta sono cor- relati e calibrati all’estensione dell’area di studio e deter- minano gli elementi di valutazione della pericolosità e del rischio da frana.

La scala considerata (1:50.000) consente di procedere al rilievo ed alla rappresentazione degli elementi da utiliz- zare in maniera congruente, affidabile ed in tempi accet- tabili.

La coerenza dei dati è vincolata alla dimensione mini- ma reale che si può rappresentare sulla carta. Pertanto, nel caso specifico, sono rappresentati tutti gli elementi relati- vi alle litologie, alle strutture ed ai movimenti in massa con dimensioni maggiori o uguali a 2 mm (100 m come dimensione reale).

Geologia

La Stretta di Catanzaro nel quadro geodinamico del- l’Arco calabro-peloritano

La Stretta di Catanzaro ricade nel contesto geologico regionale dell’Arco calabro-peloritano (Amodio-Morelli et al., 1976), un’ampia porzione d’origine alpina dalla caratteristica forma ad arco, interposta tra la catena magrebide (ad andamento E-O) e l’Appennino meridio- nale (ad andamento NO-SE) (Ben Avraham et al., 1990).

Strutturalmente esso rappresenta un thrust-system prodot- to dalla sovrapposizione, tra il Cretaceo superiore ed il Paleogene, di una serie di unità cristallino-metamorfiche paleozoiche derivanti dalla deformazione di domini con- tinentali ed oceanici.

Successivamente alla sua strutturazione, l’Arco cala- bro-peloritano è stato interessato da un’intensa fase tetto- nica post-orogenica estensionale, iniziata dal Pliocene Superiore e tutt’ora in atto (Westaway, 1993; Wortel &

Spacman, 1993; De Jonge et al., 1994; Tortorici et al., 1995; Monaco et al., 1996).

L’estensione ha prodotto un’ampia zona di rift, denomi- nata da Monaco & Tortorici (2000) “rift-zone siculo-cala- bra” (Fig. 2), strutturata da un sistema di faglie normali sismogeniche (Postpischl, 1985; Boschi et al., 1995), che si estende dalla costa orientale della Sicilia, attraverso lo Stretto di Messina, fino al settore nord-occidentale della Calabria. Le faglie presentano direzioni variabili tra N-S e NE-SO e, meno frequentemente, evidenziano un anda- mento trasversale (direzioni medie ONO-ESE).

I singoli segmenti di faglia che costituiscono la rift- zone hanno frammentato l’Arco calabro-peloritano in bacini sedimentari marini, disposti sia parallelamente che trasversalmente rispetto alla direzione dell’Arco, ed in blocchi sollevati. Le faglie, che mostrano scarpate ben sviluppate e con sensibile grado di “freschezza” morfolo- gica, in Calabria sollevano e delimitano i fronti dei prin- cipali sistemi montuosi (Aspromonte, Serre, Catena Costiera, Sila).

Fig. 1 - Localizzazione dell’area di studio.

– Siting of the study area.

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I sistemi di faglie ad andamento trasversale della rift- zone siculo-calabra rivestono un ruolo particolarmente importante nell’area in esame, in quanto individuano la depressione tettonica (graben) che corrisponde alla Stretta di Catanzaro.

Caratteri litologico-strutturali

Da un punto di vista geologico-strutturale la Stretta di Catanzaro è una depressione tettonica denominata “gra- ben di Catanzaro” (Tansi et al., 1998). Il graben è colma- to da depositi plio-quaternari. Esso è stato strutturato da faglie sub-verticali con direzioni prevalenti ONO-ESE che evidenziano cinematismi per lo più normali, con una componente di trascorrenza sinistra che talora può diven-

tare predominante. Il graben è interposto tra due horst costituiti da unità cristallino-metamorfiche paleozoiche appartenenti all’Arco calabro-peloritano (Amodio- Morelli et al., 1976) rappresentati, rispettivamente, dalle propaggini più meridionali dei sistemi Catena Costiera- Altopiano Silano e da quelle più settentrionali del Massiccio delle Serre.

Lungo il bordo settentrionale del “graben di Catan- zaro”, la faglia “Gizzeria-Nicastro-Pianopoli-Marcelli- nara” rappresenta l’elemento tettonico più rilevante su scala regionale poichè giustappone i litotipi cristallino- metamorfici paleozoici del sistema Catena Costiera-Sila ai depositi plio-quaternari. Il tratto occidentale della scar- pata della suddetta faglia è marcato da conoidi di deiezio- ne di dimensioni rilevanti.

Fig. 2 - Caratteri sismotettonici della “rift-zone siculo-calabra” (da Monaco & Tortorici, 2000).

– Seismo-tectonics of the Calabria-Sicily rift-zone (from Monaco & Tortorici, 2000).

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Le faglie che strutturano il bordo meridionale del gra- ben di Catanzaro risultano assai meno evidenti e sono riconducibili alle sole direttrici “Jacurso-Copanello” e

“Maida-Case San Fantino”, che segnano il limite tra i litotipi cristallini appartenenti al Massiccio delle Serre e i depositi sedimentari plio-quaternari che colmano il graben. In questo settore si riscontra inoltre un’assenza di conoidi di deiezione.

L’horst del sistema Catena Costiera-Altopiano Silano, è costituito da rocce cristallino-metamorfiche paleozoi- che d’origine alpina riferibili all’Arco calabro-peloritano e da rocce carbonatiche giurassiche appartenenti ad una sottostante catena appenninica neogenica, localmente affioranti in finestra tettonica.

Secondo Amodio-Morelli et al. (1976), la catena alpina è strutturata dalla sovrapposizione tettonica di cinque unità rappresentate, dalla più bassa alla più eleva- ta strutturalmente, da: Unità del Frido, costituita da rocce metamorfiche di grado da basso a medio, d’origine oceanica d’età cretacea; Unità di Gimigliano, costituita da rocce verdi (metabasalti e serpentiniti) d’origine oceanica d’età Giurassico-Cretaceo inferiore; Unità di Bagni, costituita da rocce metamorfiche paleozoiche di medio grado, d’origine continentale; Unità di Polia- Copanello costituita da gneiss kinzigitici paleozoici d’o- rigine continentale profonda; Unità di Castagna costitui- ta da gneiss occhiadini, paragneiss biotitici e micascisti granatiferi.

Al di sopra della catena alpina così strutturata sovras- corre l’Unità di Stilo costituita da un “basamento” pale- ozoico (composto da filladi e graniti), ricoperto da rocce carbonatiche, conglomerati ed arenarie del Triassico- Cretaceo superiore. La sottostante catena appenninica è rappresentata da rocce carbonatiche triassiche apparte- nenti al Complesso Panormide (Ogniben, 1973).

Le varie unità di catena sono ricoperte in discordanza da sedimenti terrigeni del Miocene superiore-Pliocene inferiore interessati da trasporto orogenico (Amodio- Morelli et al., 1976) riferibili a due distinti cicli sedimen- tari (Di Nocera et al., 1974): un ciclo Tortoniano supe- riore-Messiniano, rappresentato da conglomerati a ciot- toli di rocce cristalline e calcareniti bioclastiche, ed un ciclo Messiniano-Pliocene inferiore, rappresentato da conglomerati a ciottoli di rocce evaporitiche e calcaree e da sabbie.

Su un substrato costituito dalle unità di catena e dai depositi tortoniano-pliocenici, poggiano le coperture ter- razzate d’età pleistocenica costituite da conglomerati e sabbie d’origine marina e continentale. I terrazzi affiora- no a differenti altezze e sono delimitati da inner edges che spesso corrispondono alla base delle scarpate delle principali faglie normali.

In corrispondenza dell’horst del Massiccio delle Serre le unità di catena sono rappresentate dalla sola Unità di Polia-Copanello (Amodio-Morelli et al., 1976). Le rocce gneissiche che la costituiscono sono ricoperte da potenti coltri d’alterazione pleistoceniche. Al di sopra della sud- detta unità e della relativa coltre d’alterazione poggiano coperture terrazzate marine e continentali pleistoceniche

con caratteri del tutto simili a quelli affioranti nel setto- re settentrionale dell’area di studio.

Litologie

Date le finalità del lavoro, le molte unità stratigrafiche e tettonostratigrafiche affioranti sono state raggruppate nella Carta in “tipi litologici”.

I tipi litologici sono stati in gran parte derivati dalla carta geologica della Calabria in scala 1:25.000 (Casmez, 1967) e, in minor misura, derivano da lavori inediti compiuti dagli Autori della Carta nella zona in esame.

Nel presente paragrafo vengono descritte, per i vari tipi litologici, le unità formazionali che li costituiscono seguendo l’ordine riportato nella legenda della Carta.

DEPOSITI OLOCENICI (OL). Sono rappresentati dai sedimenti fluviali, dune e sabbie eoliche, detriti di frana e dai depositi di conoide affioranti prevalentemente lungo il bordo settentrionale del graben di Catanzaro.

DEPOSITI PLEISTOCENICI TERRAZZATI (PLC, PLM). Sono stati distinti in depositi continentali e depo- siti marini. I depositi terrazzati d’origine continentale (PLC) sono costituiti da conglomerati con ciottoli cri- stallini in una matrice sabbiosa grossolana intercalati da livelli sabbiosi. I depositi terrazzati d’origine marina (PLM) comprendono conglomerati di facies deltizia e sabbie talora fossilifere intercalate da orizzonti ghiaiosi e conglomeratici.

COLTRI D’ALTERAZIONE PLEISTOCENICHE (COL). Comprendono conglomerati e sabbie residuali corrispondenti all’orizzonte d’alterazione degli gneiss dell’Unità di Polia Copanello. Lo spessore è dell’ordine dei metri.

SEDIMENTI TORTONIANO-PLIOCENICI (ARG, AS, CGL, EV). Sotto questa denominazione sono stati raggruppati sia i depositi medio-suprapliocenici di riem- pimento del graben di Catanzaro, sia i depositi terrigeni del Miocene superiore-Pliocene inferiore (Di Nocera et al., 1974).

• “Depositi prevalentemente argillosi” (ARG). Com- prende depositi infra-pliocenici rappresentati da argille siltose da grigio chiare a brune con intercalazioni sab- biose, siltose e marnose e depositi alto-miocenici rappre- sentati da argille sabbiose e siltose di colore prevalente- mente grigio con lenti di gesso e con intercalazioni sab- bioso-arenacee.

• “Depositi prevalentemente sabbiosi ed arenacei”

(AS). Comprende depositi del Pliocene medio-superiore rappresentati da sabbie brune a grana da media a fine con intercalazioni frequentemente siltose e raramente con- glomeratiche, localmente fossilifere ed a stratificazione incrociata, da depositi alto-miocenici rappresentati da arenarie a cemento calcareo e sabbie a grana da fine a grossolana con intercalazioni di argille e silt e con occa- sionali sottili orizzonti di gesso e di calcare.

• “Depositi prevalentemente conglomeratici” (CGL).

Comprende depositi del Pliocene medio-superiore rap- presentati da conglomerati ben costipati e cementati a

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ciottoli arrotondati di rocce ignee e metamorfiche con orizzonti sabbiosi e da depositi altomiocenici rappresen- tati da conglomerati rossi e bruni con ciottoli poco arro- tondati e mal classati di rocce cristalline e calcaree, immersi in una matrice sabbiosa grossolana e localmen- te argillosa, caratterizzati nelle porzioni sommitali da blocchi di gesso di dimensioni rilevanti.

• “Rocce evaporitiche e bioclastiche” (EV). Com- prende litotipi altomiocenici rappresentati da gessi macrocristallini massicci intercalati da sottilissimi livel- li di sabbie fini e da calcari evaporitici vacuolari di colo- re biancastro.

UNITÀ DELLA CATENA ALPINA CRETACICO- PALEOGENICA (FR, GIM, BAG, PCOP, CAS, STM, STG, STC). Riguardo alle unità tettoniche che costitui- scono la catena alpina cretacico-paleogenica, ed alle loro denominazioni ed ai loro reciproci rapporti tettonostrati- grafici, è stato adottato quasi integralmente lo schema proposto da Amodio-Morelli et al. (1976).

Dal basso verso l’alto sono state distinte le seguenti unità:

• “Unità del Frido” (FR). Comprende rocce metamor- fiche da medio a basso grado d’origine oceanica rappre- sentate da argilloscisti e filladi grigie cretacee composti da clorite, sericite e quarzo con frequenti intercalazioni quarzitiche ed occasionali intercalazioni di calcari cri- stallini, cui sono strettamente associate ofioliti apparte- nenti alla sottostante Unità di Gimigliano. Le rocce sono intensamente pieghettate. L’unità è interessata da un metamorfismo alpino (HP/LT).

• “Unità di Gimigliano” (GIM). Comprende rocce verdi d’origine oceanica rappresentate da metabasiti con intercalazioni di calcari cristallini e di serpentiniti e con coperture carbonatiche d’età titonico-neocomiana.

L’unità è interessata da un metamorfismo paragonabile a quello dell’Unità del Frido (HP/LT).

Le due suddette unità metamorfiche sono attribuibili ad un dominio paleogeografico di mare profondo riferi- bile al Complesso Liguride di Ogniben (1973).

• “Unità di Bagni” (BAG). Comprende rocce meta- morfiche di medio grado d’origine continentale rappre- sentate da filladi grigie paleozoiche composte da clorite, muscovite e quarzo, con intercalazioni di metareniti e porfiroidi. L’unità è interessata da un metamorfismo in facies scisti verdi.

• “Unità di Polia-Copanello” (PCOP). Comprende gneiss kinzigitici d’origine continentale profonda a gra- nato e sillimanite, frequentemente biotitici intercalati da rocce granitiche e granodioritiche e da filoni aplitici e pegmatitici. L’unità comprende anche gneiss tonalitici e quarzo-dioritici intercalati da masse di anfiboliti e peri- dotiti. Gli gneiss si presentano in affioramento intensa- mente fratturati ed alterati e, talora, ridotti in caratteristi- ci “sabbioni ”. Il metamorfismo prealpino è in facies gra- nulitica.

• “Unità di Castagna” (CAS). Comprende gneiss occhiadini a due miche, spesso fortemente foliati, e para- gneiss biotitici minuti a muscovite e, localmente, a silli- manite. L’unità è interessata da frequenti superfici di

sovrascorrimento talora marcate da duplex costituiti da micascisti granatiferi e da frequenti livelli pegmatitici e granitoidi. In affioramento le rocce si presentano da fre- sche a profondamente alterate e degradate. L’unità è interessata da un metamorfismo prealpino in facies scisti verdi.

Le Unità di Bagni, di Polia-Copanello e di Castagna sono riferibili al Complesso Calabride di Ogniben (1973).

• “Unità di Stilo”. È costituita da un “basamento” pre- triassico differenziato in un’unità metamorfica e in una sovrastante unità granitica; sul basamento poggiano in discordanza successioni sedimentarie mesozoiche.

- Il basamento metamorfico (STM) comprende filla- di, metagrovacche e metacalcari intrusi da granito e da vene di filoni di porfido, nonché paragneiss biotitici, localmente granatiferi, e gneiss biotitico-anfibolici, caratterizzati da un’intensa alterazione.

- Il basamento granitico (STG) comprende graniti e granodioriti spesso a microcristalli di k-feldspato, micro- granodioriti, tonaliti, micrograniti a due miche, interse- cati da filoni di porfidi rossi e verdi.

- La copertura (STC) è costituita da calcari neritici da massicci a ben stratificati, da dolomie saccaroidi compatte generalmente arenacee alla base e da conglo- merati ed arenarie di tipo “Verrucano”.

UNITÀ DELLA CATENA APPENNINICA NEOGE- NICA (DOL). Le unità carbonatiche triassiche della catena appenninica (Unità Panormidi di Ogniben, 1973), collocate, in posizione tettonica, al di sotto delle coltri alpine (Amodio-Morelli et al., 1976), sono rappresenta- te, nell’area in esame, da dolomie e brecce dolomitiche localmente associate a calcari dolomitici. Tali rocce affiorano, in finestra tettonica, tra Gizzeria e Nicastro.

Strutture tettoniche

Nella Carta sono stati distinti sovrascorrimenti e faglie ad alto angolo. I sovrascorrimenti sono legati alla strutturazione del thrust-system a polarità europea che ha portato all’impilamento delle diverse unità che costitui- scono le catene alpina ed appenninica. Queste strutture sono d’età compresa tra il Cretaceo superiore e il Miocene inferiore e pertanto sono riconoscibili esclusi- vamente all’interno delle unità cristallino-metamorfiche paleozoiche e delle unità panormidi mesozoiche. Data l’età, esse non presentano evidenze morfologiche e risul- tano smembrate dalle strutture tettoniche più recenti.

Le faglie ad alto angolo presentano piani sub-verticali e cinematismi normal-trascorrenti. Esse sono connesse prevalentemente con le fasi tettoniche post-orogeniche estensionali quaternarie legate al sollevamento isostatico dell’Arco calabro-peloritano.

La più evidente conseguenza dell’attività di queste faglie nell’area di studio, è la presenza di spettacolari terrazzi marini, raggruppati da Tortorici et al. (2002) in sette ordini, che rappresentano il risultato dell’interazio- ne tra l’uplift tettonico e le oscillazioni eustatiche quater- narie (Westaway, 1993).

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L’età relativamente recente delle faglie ha consentito di distinguerne, attraverso studi aerofotointerpretativi, le evidenze morfostrutturali (scarpate morfologiche, alli- neamenti di crinali con discontinuità altimetriche, fac- cette triangolari e trapezoidali, corsi d’acqua rettificati).

Laddove i dati morfotettonici hanno evidenziato setto- ri interessati da meccanismi deformativi particolarmente spinti, sono stati eseguiti rilievi mesostrutturali di cam- pagna atti a comprovare la natura tettonica dei lineamen- ti e a valutarne i cinematismi. Gli stili strutturali di superficie sono stati confrontati ed affinati mediante l’in- terpretazione di dati di sottosuolo, quali profili sismici a riflessione AGIP e stratigrafie desunte da sondaggi diret- ti (sondaggi meccanici e trivellazioni), anche alla luce di studi basati sulle emissioni di gas elio (Guerra &

Lombardi, 1984).

Le faglie ad alto angolo sono state differenziate nella Carta, sulla base dei loro cinematismi prevalenti, in

“faglie normali” e “faglie trascorrenti” e, sulla base del loro rigetto morfologico, in “faglie normali a rigetto ele- vato” e “limitato”. Per quest’ultima distinzione è stato considerato un limite approssimativo nel rigetto, valuta- to lungo la scarpata di faglia, dell’ordine di qualche deci- na di metri.

Sulla base di affinità giaciturali e cinematiche, le faglie recenti sono raggruppabili in tre sistemi che ven- gono di seguito descritti.

SISTEMA DI FAGLIE NORMALI CON DEBOLE COMPONENTE DI TRASCORRENZA DESTRA AD ORIENTAMENTO DA N-S A NNE-SSO. Nel settore depocentrale della Stretta, il sistema è rappresentato da faglie normali, poco frequenti, ribassanti verso E che dislocano i sedimenti tortoniano-pliocenici e pleistoceni- ci; a sud della direttrice “Jacurso-Stalettì” (descritta nel seguito), il sistema trova la sua massima espressione lungo le propaggini cristallino-metamorfiche più setten- trionali del Massiccio delle Serre.

SISTEMA DI FAGLIE NORMALI CON COMPO- NENTE DI TRASCORRENZA SINISTRA AD ORIEN- TAMENTO MEDIO ONO-ESE. È il sistema responsa- bile dell’individuazione del graben di Catanzaro. Il bordo settentrionale del graben è caratterizzato da un sistema a “gradinata” di faglie ad andamento ONO-ESE, ribassanti verso SSO, che culmina, per estensione e rigetti, con la direttrice “Gizzeria-Nicastro-Pianopoli- Marcellinara”. Tale faglia solleva le propaggini meridio- nali cristallino-metamorfiche paleozoiche del sistema Catena Costiera-Altopiano Silano rispetto ai depositi tortoniano-quaternari di riempimento del graben. La scarpata di faglia, in parte mascherata lungo la sua por- zione orientale da conoidi di dimensioni rilevanti, evi- denzia un sensibile grado di “freschezza” morfologica e mostra un andamento sinuoso in pianta (direzioni varia- bili tra E-O e ONO-ESE).

A nord della direttrice “Gizzeria-Nicastro-Pianopoli- Marcellinara”, faglie appartenenti al sistema ONO-ESE giustappongono variamente le diverse unità paleozoiche, i depositi altomiocenici ed i depositi postorogeni: tra queste si segnalano le direttrici “Gagliano-Catanzaro”,

“Angoli-Tiriolo-Siano” e le due faglie normali antiteti- che (ribassanti verso N) che si sviluppano nell’area di Caraffa di Catanzaro.

Le faglie appartenenti al sistema ONO-ESE appaiono cronologicamente più recenti per quasi tutto lo sviluppo del graben di Catanzaro, fatta eccezione per la porzione NE dello stesso, dove risultano dislocate dal sistema OSO-ENE, descritto di seguito.

Il bordo meridionale del graben di Catanzaro si pre- senta strutturalmente meno articolato rispetto al bordo settentrionale, essendo delimitato dalle due sole direttri- ci ONO-ESE ribassanti verso NNE, “Jacurso-Stalettì” e

“Maida-Case S. Fantino”. Queste due strutture sono responsabili del sollevamento delle metamorfiti paleo- zoiche dell’Unità di Polia-Copanello rispetto ai sedi- menti plio-quaternari di riempimento del graben di Catanzaro. Immediatamente a sud delle suddette faglie, i sistemi predominanti diventano decisamente le faglie estensionali appartenenti al sistema NNE-SSO, che rap- presentano gli elementi tettonici cronologicamente più recenti.

SISTEMA DI FAGLIE NORMALI AD ANDAMEN- TO OSO-ENE. Caratterizza il settore orientale della Stretta di Catanzaro, dove disloca il sistema ONO-ESE.

Tra le faglie appartenenti a questo sistema è opportuno segnalare la struttura “Martelletto-Catanzaro-Case Manna”, responsabile del sollevamento dei terreni cri- stallini della Sila rispetto ai depositi della Stretta di Catanzaro; più a SE è stata riconosciuta la faglia antite- tica “M. Savuto-M. Volturino”. Procedendo verso lo Ionio si segnalano infine una serie di faglie normali, ribassanti nel complesso verso SE, che caratterizzano il tratto terminale del bacino del Fiume Corace, tra Catanzaro e Catanzaro Lido, interessando esclusivamen- te depositi argillosi tortoniano-pliocenici.

Come già accennato, l’area di studio ricade in una zona ad elevato rischio sismico connesso con l’attività delle faglie sismogeniche estensionali appartenenti alla

“rift-zone siculo-calabra” (Fig. 2).

Nell’ambito della suddetta rift-zone e facendo riferi- mento ai lavori di Tortorici et al. (1995), Monaco &

Tortorici (2000) e Tortorici et al. (2002), è stato possibi- le distinguere nella Carta le “faglie normali attive o molto recenti”. Come per le faglie ad alto angolo, anche per questa categoria di faglie è stato possibile differen- ziare quelle a “rigetto elevato” e a “rigetto limitato”.

Parte delle faglie ONO-ESE, che strutturano il bordo settentrionale del graben di Catanzaro, costituiscono una fascia sismogenica: questi caratteri sono particolarmente evidenti nella faglia che, nei pressi del Torrente Zinnavo, disloca una conoide di deiezione post-würmiana e lungo la cui scarpata si impostano due nuove conoidi oloceni- che, indicative di un “ringiovanimento” della stessa.

I caratteri sismotettonici del settore meridionale della Stretta di Catanzaro sono invece definiti da due faglie normali, appartenenti al sistema ad orientamento da N-S a NNE-SSO, che caratterizzano l’area compresa tra Francavilla Angitola, Curinga e il tratto più vallivo del Fiume Amato.

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Geomorfologia Caratteri generali

La Stretta di Catanzaro è un istmo che congiunge la Calabria settentrionale a quella meridionale. Sia la Calabria settentrionale sia quella meridionale costitui- scono delle morfostrutture (Gerasimov, 1946) di primo ordine, se rapportate al rilievo emerso, ma in effetti esse mantengono tale caratterizzazione anche se rapportate alla topografia dei fondali jonico e tirrenico.

La Stretta di Catanzaro è una morfostruttura di secon- do ordine, costituita da una depressione tettonica, essen- zialmente un graben trasversale ai rilievi delle morfo- strutture di primo ordine.

La depressione è emersa nel Quaternario, durante la fase di sollevamento tettonico che ha generato l’attuale configurazione morfostrutturale dell’intero territorio calabrese. La caratteristica morfologia a mesa testimonia l’antico fondale di un mare poco profondo sollevato tet- tonicamente.

Il graben, con orientamento generale ONO-ESE e deli- mitato dai sistemi di faglie normali organizzate a gradi- nata precedentemente descritti, presenta un rilievo mas- simo di circa 390 m, rappresentato dall’altopiano che ospita gli abitati di Borgia e di Caraffa di Catanzaro. I due centri sono edificati sui depositi terrazzati del Pleistocene. Da Borgia verso SE, il rilievo diminuisce fino ai circa 0-20 m s.l.m. della piana costiera ionica, gra- zie ad una gradinata di faglie.

Nel settore settentrionale della terminazione di SE del graben, il rilievo è minore ed i depositi terrazzati sono limitati a quote che non superano i 150 m s.l.m.. Verso ovest, il pianoro di Borgia e Caraffa degrada lentamente fino ai 40 m circa dell’abitato di S. Pietro Lametino.

Verso NO, il terrazzo si trova a circa 200-240 m in pros- simità di Vena di Maida ed a quote intorno a 120-140 m ancora più a nord. Nella parte occidentale del margine settentrionale, il sistema di grandi conoidi di Nicastro ricopre i depositi terrazzati.

A nord ed a sud del graben, per effetto delle faglie bor- diere, i depositi terrazzati si trovano a quote crescenti verso l’esterno, giungendo fino a 500 m di Jacurso a sud ed agli oltre 350 m a monte di Sambiase.

Una caratteristica che differenzia le due terminazioni del graben è la diversità per numero e per quote dei ter- razzi e delle superfici spianate. Troviamo infatti un mag- gior numero di terrazzamenti a NO, rispetto a SE. C’è da notare, in prima istanza, che i terrazzi francamente mari- ni sono limitati alle quote inferiori, mentre a quote supe- riori, fin oltre i 700 m, si trovano superfici di spianata (probabilmente per abrasione marina) senza sedimenti marini o con depositi continentali.

L’analisi della carta litologico-strutturale e dei movi- menti in massa, consente comunque di comprendere come la molteplicità di terrazzi e superfici di spianamen- to, e le loro diversità che non si spiegherebbero con i soli moti eustatici o di epirogenesi omogenea, si giustificano ammettendo tassi di sollevamento tettonico diversi tra i

vari blocchi separati da faglie normali, o con rilevante componente normale nella dislocazione tettonica. Tipico è il caso dei lembi di terrazzo di S. Pietro a Maida e di Maida, che si trovano su un blocco tettonicamente deli- mitato da faglie normali con rigetto elevato, ma non pre- sentano livelli corrispondenti altrove nella Stretta. Un ulteriore ordine a quote superiori sembra invece costitui- to dai terrazzi degli abitati di Jacurso e di Cortale.

Nelle aree di affioramento del substrato sedimentario neogenico, dove predominano termini a prevalente com- ponente argillosa, sono diffusamente presenti fenomeni di dissesto che assumono la forma di frane, anche di grandi dimensioni, e/o di degradazione generalizzata per erosione diffusa di tipo calanchivo associata a frane superficiali. Nelle aree in cui dominano i fenomeni fra- nosi, i versanti presentano un’acclività generalmente ri- dotta. Al contrario, nelle aree ad erosione calanchiva o di intensa erosione lineare tipica delle sabbie limose, l’ac- clività è accentuata, così come l’accidentalità della mor- fologia a livello di forme minori.

Le valli dei torrenti e fiumare che provengono dai rilie- vi montuosi a nord ad a sud della Stretta, hanno un reti- colo la cui organizzazione risente sia dei deboli gradien- ti del rilevo locale, sia del controllo strutturale. I corsi d’acqua principali, con i bacini maggiormente estesi, provengono da nord (Sila). Ad est, il T. Alli, il T. Fiuma- rella e il F. Corace, tutti con caratteri di transizione verso le fiumare, presentano un andamento consequente rispet- to alla morfostruttura silana, e, tranne un affluente di destra del F. Corace, il F. Fallaco, attraversano senza sub- irne apparente controllo la gradinata di faglie bordiere settentrionali del graben di Catanzaro. Un maggiore con- trollo sul drenaggio da parte delle strutture tettoniche si nota nelle parti montane dei bacini di questi fiumi. Sul margine orientale, brevi corsi ad andamento resequente ed assetto subparallelo incidono profondamente i deposi- ti terrazzati ed i sottostanti terreni plio-pleistocenici.

Il F. Amato è il maggiore dei fiumi della Stretta. Esso proviene dalla Sila percorrendo una stretta valle, con direzione SE, caratterizzata da ampi meandri sovrimpo- sti per antecedenza. Poco a nord di Miglierina e Tiriolo, il fiume compie un’ampia svolta verso la destra idrogra- fica, quindi percorre una lunga valle rettilinea con dire- zione OSO, per poi espandersi nell’ampia piana di Lametia dopo aver ricevuto il T. Pesipe da sinistra e la F.ra S. Ippolito da destra.

La svolta di Miglierina del F. Amato è, probabilmente, il risultato di un progressivo adattamento consequente rispetto al gradiente generato dalla gradinata di faglie bordiere. È possibile un’altra evoluzione geomorfica di questo tratto dell’Amato: l’antico corso del fiume, che scorreva verso SE, potrebbe essere stato catturato da uno dei corsi consequenti impostati sulla gradinata di faglia.

La valle del Pesipe si estende da est ad ovest e concor- re a spostare molto verso ovest, rispetto al centro della Stretta, lo spartiacque continentale.

I fondovalle dei vari corsi d’acqua che provengono dalla Sila e dalle Serre nei tratti terminali sono piatti e molto estesi in larghezza. Essi conferiscono alla Stretta

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una morfologia simile a quella della Piana di Gioia Tauro. Questa caratteristica è marcata soprattutto nella parte nord-occidentale della Stretta, dove sono presenti fenomeni franosi di probabile innesco sismico, dalla morfologia molto simile ai numerosi fenomeni co-sismi- ci della Piana di Gioia Tauro (Cotecchia et al., 1969).

I corsi d’acqua che provengono dai monti sboccano da gole profonde. Essi hanno formato e tuttora formano ampie conoidi alluvionali nella parte occidentale della Stretta. Nella parte orientale e nella zona centrale trovia- mo solo alcune piccole conoidi lungo il versante destro del F. Fallaco, affluente di destra del F. Corace, e tre conoidi che interessano il fondovalle del T. Pesipe affluente del F. Amato.

Questa diversità in numero, ampiezza e molteplicità di ordini delle conoidi, differenzia in modo molto evidente la morfologia delle due estremità della Stretta.

Il motivo di tale differenza è evidentemente legato ad un maggior trasporto solido nei corsi d’acqua del versan- te tirrenico, e/o ad una loro minore capacità di trasporto, rispetto ai torrenti del versante ionico, ma il motivo pre- ciso non è stato finora individuato. La corrispondenza del maggior sviluppo delle conoidi con il maggior numero dei terrazzi, indica il probabile effetto del diverso regime tettonico, più discontinuo ed intenso nel tratto occidenta- le, rispetto a quello più regolare e meno intenso nel trat- to orientale.

A sud di Lacconia si trovano campi dunari le cui sab- bie sono ben visibili nelle trincee autostradali. Apparten- gono ad un ordine di terrazzi probabilmente pre-oloceni- co (rilievo locale di oltre 20 m), ma la datazione precisa non è disponibile. Campi dunari attuali sono presenti nella zona di retrospiaggia tirrenica attuale, anche se ormai sono pochi i tratti preservati dall’urbanizzazione.

Sul versante ionico, sono presenti sottili cordoni dunari attuali.

La costa tirrenica è caratterizzata da un’ampia spiaggia che presenta un completo sistema di forme di spiaggia e retrospiaggia (i cordoni dunari) e piana costiera emer- gente. Nella zona di foce del F. Amato, sebbene non sia presente un vero e proprio delta, si trova un accenno di progradazione che in effetti è caratteristico di tutta la costa della Stretta. La spiaggia è prevalentemente sab- biosa, con ampi tratti ciottolosi. All’altezza di Gizzeria Lido, è sviluppata un’ampia spit bar che ha racchiuso un lago costiero dal lato della radice.

La piana costiera ionica è molto meno sviluppata di quella tirrenica, sebbene anch’essa sia in relativo equili- brio per quanto concerne il regime di degradazione/pro- gradazione.

Attualmente, sebbene la zona della Stretta di Catan- zaro presenti un tasso di sollevamento medio relativo a tutto il Quaternario di circa 0,2 mm/a (Sorriso-Valvo, 1993), quindi inferiore a quello della Sila e delle Serre, la dinamica geomorfica della Stretta è relativamente rapida, a causa delle elevate pendenze locali e dell’ampia diffu- sione dei fenomeni di erosione e di movimento in massa.

I fenomeni di erosione sono attivi essenzialmente sui brevi versanti ad alta acclività che circondano i rilievi

tipo mesa o a creste allungate, separati da ampi fondoval- le aggradati. Tale aggradazione si riflette sulla dinamica costiera, che risulta in progradazione in prossimità della foce del F. Amato, e in erosione a nord ed a sud rispetto a questa foce (D’Alessandro et al., 1983). La costa ioni- ca risulta invece in sostanziale equilibrio.

L’elevata intensità della dinamica geomorfica della Stretta è testimoniata chiaramente dai numerosi eventi di inondazione e di riattivazione dei fenomeni franosi occorsi negli ultimi secoli: dal 1638 al 1990, in un’area in gran parte sovrapponibile a quella di studio si sono verificati 45 importanti eventi di alluvionamento, quasi sempre accompagnati da numerose frane, anche di note- voli dimensioni; per lo stesso periodo si sono registrati cinque eventi sismici maggiori, e numerosi altri di inci- denza locale (Rizzo & Fragale, 1999). La tettonica è il motivo principale della intensa morfodinamica del terri- torio della Stretta di Catanzaro, anche se è determinante l’assetto geologico-strutturale (che controlla quello mor- fologico) e il carattere del clima, caratterizzato da forti contrasti stagionali ed eventi idrologici estremi.

I movimenti in massa

Dalla Carta di Antronico et al. (2001) è possibile desu- mere, come già evidenziato, gli elementi in vario modo correlati alla pericolosità ed al rischio da frana.

Utilizzando come riferimento la “Carta delle Grandi Frane e Deformazioni Gravitative Profonde di Versante”

di Sorriso-Valvo & Tansi (1996) nella Carta il tematismo che rappresenta i movimenti in massa è stato ottenuto mediante analisi aereofotointerpretativa (foto aeree IGMI in B/N a scala 1:33.000 del 1954-55 e del 1990), validan- do quanto cartografato con mirati controlli sul terreno.

Nella Carta, considerate le finalità dello studio, sono riportati solo i fenomeni di movimento in massa certi, rite- nuti tali sulla base della valutazione esperta degli Autori.

Per la classificazione dei movimenti in massa si è fatto riferimento a quanto riportato in Varnes (1978) e in Cruden & Varnes (1996), che ne rappresenta un aggiorna- mento.

Per quanto riguarda il cinematismo dei fenomeni frano- si sono stati distinti e cartografati i seguenti tipi di movi- mento: scorrimento, colata, tipo complesso di scorrimen- to-colata. In questa sede il termine fenomeno “comples- so” viene utilizzato come riportato in Varnes (1978) dove rappresenta una combinazione di due o più tipi di movi- mento. In riferimento al tipo di materiale coinvolto nel movimento e facendo sempre riferimento a Varnes (1978) sono stati distinti: scorrimento di terra o roccia, scorri- mento di roccia in blocco, colata di terra o detrito, colata di roccia o Sackung (Tab. 1). Con il termine Sackung si intendono dunque i fenomeni gravitativi di grandi dimen- sioni ed assegnabili alla categoria delle DGPV (Dal Piaz, 1936; Jahn, 1964; Zischinsky, 1969; Nemčok, 1972;

Guerricchio & Melidoro, 1973; Ter-Stepanian, 1974;

Radbruch-Hall et al., 1976; Sorriso-Valvo, 1979; Dramis, 1984) ed assimilabili ai colamenti in roccia (rock flow) di Varnes (1978).

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Sono stati cartografati 119 movimenti in massa che inte- ressano principalmente i terreni sedimentari. I tipi di movimenti in massa più diffusi sono gli scorrimenti e gli scorrimenti-colata, con la stessa percentuale pari al 43%;

seguono le colate con una percentuale del 14%.

Si rileva, in particolare, una concentrazione di “Grandi Frane” (Sorriso-Valvo, 1995), alcune delle quali già individuate da Sorriso-Valvo & Tansi (1996), nella por- zione centrale dell’area in studio, mentre gli unici due fenomeni di DGPV coinvolgono le rocce metamorfiche affioranti nella porzione settentrionale dell’area.

Infine, è stato riconosciuto e cartografato un solo feno- meno di sprofondamento che non è stato considerato nell’analisi dei dati.

Se si considera il grado di attività delle frane (attivo, quiescente, stabilizzato) la maggior parte dei fenomeni cartografati sono risultati quiescenti; relativamente al grado di evoluzione (stato di sviluppo: incipiente, avan- zato, esaurito) la maggior parte dei fenomeni cartografa- ti sono risultati in una fase di sviluppo evoluta (Carrara

& Merenda, 1974; 1976). Nella Carta i fenomeni frano- si cartografati non sono stati distinti in base al grado di attività, ma tale dato è stato inserito nel data base.

DATI ESTRATTI DALLA CARTA E LORO ANALISI Nella Tab. 2 sono identificati e descritti gli elementi desunti direttamente ed indirettamente dalla Carta. Per ogni fenomeno franoso è stata compilata una scheda nella quale, oltre al numero di identificazione ed alla localizza- zione (comune e provincia), sono state inserite informa- zioni relative alla tipologia del fenomeno, al grado di atti- vità, allo stato di sviluppo, all’esposizione, alla pendenza del versante interessato dalla frana, alla larghezza, alla distanza in pianta tra la corona e l’unghia della frana, alla superficie in pianta, alle quote minima e massima.

Relativamente alle strutture tettoniche, classificate per come riportato nella Tab. 3, sono state individuate le possibili posizioni delle stesse rispetto all’instabilità cui possono essere riferite, Fig. 3. In particolare è stata anche individuata la distanza minima della struttura tet- tonica più vicina alla corona di frana utilizzando due modalità di misura: per distanze minori o uguali a 500 m si prende in considerazione il punto di massima curvatu- ra della corona (Fig. 4a) (DIC), per distanze superiori a 500 m la distanza cercata è individuata esaminando tutti i punti della corona di frana (Fig. 4b) (DMC).

Carta al 50.000 Tipo di movimento

Definizione generale (da Varnes, 1978)

Scorrimento di terra o roccia

Scorrimento di roccia in blocco

SCORRIMENTO

Il movimento comporta uno spostamento per taglio lungo una o più superfici, oppure entro un “livello” abbastanza sottile.

Queste superfici di scorrimento sono visibili o possono essere ragionevolmente ricostruite.

Colata di terra o detrito

Il fenomeno si esplica con movimenti entro la massa spostata, tali per cui o la forma assunta dal materiale in movimento o la distribuzione apparente delle velocità e degli spostamenti sono simili a quelle dei fluidi viscosi. Le superfici di scorrimento nella massa che si muove non sono generalmente visibili, oppure hanno breve durata.

Colata di roccia (Sackung)

COLATA

Il movimento, generalmente molto lento e con la distribuzione delle velocità apparentemente simile a quella dei fluidi viscosi, può avvenire lungo più superfici di taglio che apparentemente non sono collegate e provocare piegamenti e/o rigonfiamenti.

Scorrimento-colata COMPLESSO

Il movimento risulta dalla combinazione di due o più dei tipi di movimento.

Tab. 1 - Classificazione tipologica utilizzata per i movimenti in massa cartografati a scala 1:50.000 ed altre indicazioni connesse.

– Types of mass movement phenomena mapped at the 1:50,000 scale, and related indications.

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Alle frane presenti nella Carta è stata associata una o più Unità Lito-Tecniche (ULT) elencandole, nel caso siano più di una, in successione stratigrafica dall’alto verso il basso. Le ULT sono state individuate raggrup- pando i tipi litologici riportati nella Carta in base al loro comportamento meccanico indicativamente omogeneo alla scala delle instabilità di riferimento (Tab. 4). A tal fine è stata condotta un’analisi dei caratteri descrittivi delle formazioni e dei tipi litologici definiti, delle carat- teristiche dimensionali e cinematiche delle instabilità (Gullà et al., 2002). Le ULT sono state pertanto identifi-

cate come segue: roccia sciolta a comportamento preva- lentemente attritivo (RSA); roccia sciolta a comporta- mento prevalentemente coesivo (RSC); roccia tenera a comportamento prevalentemente fragile (RTF); roccia tenera a comportamento prevalentemente duttile (RTD);

roccia lapidea fratturata a comportamento prevalente- mente fragile (RLF); roccia lapidea fratturata e degrada- ta a comportamento prevalentemente duttile (RLD).

Considerando inoltre le informazioni contenute nella Carta geologica della Calabria alla scala 1:25.000, è stato possibile individuare per ogni frana riportata nella Identificazione Descrizione

Numero di identificazione (N) Associato ad ogni instabilità

Comune (COM) Comune nel cui territorio ricade l’instabilità Provincia (PRO) Provincia nel cui territorio ricade l’instabilità Esposizione (ESP) Del versante su cui insiste l’instabilità

Formazione (FOR_25) Quella/e coinvolta/e nell’instabilità e rilevata/e dalla Carta geologica alla scala 1:25.000 (di seguito CaGeo25)

Faglia (FAG_25) Quella rilevabile dalla CaGeo25

Litologia (LIT) Definita dall’insieme di formazioni della CaGeo25 che alla scala delle instabilità considerate hanno indicativamente un comportamento meccanico omogeneo

Struttura Geologico Tecnica (SGT) Definite sulla base dei rapporti geometrici con cui si dispongono le LIT coinvolte nell’instabilità Tipologia (TIP) Individuata sulla base dei caratteri cinematici delle

instabilità

Pendenza (PEN) Quella media del versante su cui insiste l’instabilità Larghezza (LAR) Massima dimensione trasversale dell’instabilità Distanza Corona Unghia (DCU) Distanza tra i punti di massima curvatura della

corona e dell’unghia dell’instabilità Area in Pianta (ARE) Superficie in pianta dell’instabilità Quota massima (QMA) Quota massima dell’instabilità

Quota minima (QMI) Quota minima dell’instabilità

Differenza Quote mass e min (DQU) Differenza fra le quote massima e minima Grado di Attività (GAT) Grado di attività dell’instabilità

Stato di Sviluppo (SSV) Stato di sviluppo dell’instabilità Tipo di Struttura (TIS) Codice identificativo del tipo di struttura,

individuato dai rilievi condotti, che interessa l’instabilità

Distanza dalla Corona (DIC) Distanza in metri tra la struttura tettonica ed il punto di massima curvatura della corona dell’instabilità per valori fino a 500m

Posizione della Struttura (POS) Posizione della struttura che interessa l’instabilità rispetto alla stessa identificata da codici

Distanza Minima dalla Corona (DMC)

Distanza in metri fra un qualsiasi punto della corona dell’instabilità e la struttura tettonica più vicina alla stessa per distanze superiori a 500m Manufatti Interessati (MAI) Manufatti e strutture antropiche direttamente

interessate dalle instabilità

Tab. 2 - Elementi relativi alle instabilità di pendio desumibili direttamente ed indirettamente dalla Carta alla scala 1:50.000.

– Elements related to slope instability phenomena that can be obtained either directly or indirectly from the 1:50,000 scale map.

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Carta la relativa Struttura Geologico-Tecnica (SGT) (Sorriso-Valvo & Tansi, 1996), Fig. 5.

Per le aree direttamente coinvolte dai movimenti in massa sono stati infine rilevati gli elementi vulnerabili dalla carta topografica a scala 1:50.000 dell’IGMI, aggiornata al 1986. Per la definizione delle diverse tipo-

logie di elementi relativi alle abitazioni si è fatto riferi- mento alle definizioni utilizzate dall’ISTAT (1995) per i censimenti.

La base di dati utilizzata nella presente nota è relativa ad instabilità di pendio che ricadono in un’area pari a poco più del 6% del territorio della Calabria. Sono in

Codice Descrizione Note

1 Limiti di sovrascorrimento (ANTICHE)

2 Faglie normali a rigetto elevato (RECENTI)

Rigetto maggiore di qualche decina di metri

3 Faglie normali a rigetto limitato (RECENTI)

4 Faglie normali attive o molto recenti e rigetto elevato (RECENTI – ATTIVE o MOLTO RECENTI)

Rigetto maggiore di qualche decina di metri

5 Faglie normali attive o molto recenti e rigetto limitato (RECENTI – ATTIVE o MOLTO RECENTI)

6 Faglie trascorrenti (tra ANTICHE e RECENTI)

Tab. 3 - Classificazione delle faglie riportate nella Carta per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana.

– Classification of faults mapped for the evaluation of landslide hazard and risk.

Fig. 3 - Possibili posizioni della struttura (POS) rispetto alla corona, al piede ed al fianco dell’instabilità.

– Possible position of tectonic structures (POS) with respect to a landslide.

Fig. 4 - Modalità di misura della distanza della struttura tettonica più vicina dal punto di massima curvatura della corona della frana (DIC) per val- ori fino a 500 m (A), e della distanza minima tra la corona e la struttura tettonica più vicina (DMC) per distanze superiori a 500 m (B).

– Procedure for measuring the minimum distance between a tectonic structure and the point of maximum curvature of the landslide crown (DIC) for dis- tance up to 500 m (A), and the minimum distance between the crown and the tectonic structure (DMC) when the distance is greather than 500 m (B).

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particolare 105 le frane della Carta di cui si dispone completa informazione e che sono state considerate nel- l’analisi di seguito illustrata.

L’analisi dei dati è stata condotta riferendosi alle dis- tribuzioni in dieci classi di frequenza ottenute suddivi- dendo in parti uguali gli intervalli di variazione delle variabili esaminate.

Le frane rispetto alla loro estensione, ad esclusione di una sola instabilità (superficie pari a 4.000.000 m2), si distribuiscono nelle prime tre classi, la prima delle quali contiene il 93% dei fenomeni, Fig. 6a. I versanti coinvol- ti sono caratterizzati da inclinazioni variabili da circa 7°

a circa 32°, la cui distribuzione di frequenza è bimodale (moda nelle classi 9-11.5° e 16.5-19°), Fig. 6b. La lar- ghezza delle frane si colloca nel 96% dei casi nelle clas- si da 0-250 m a 750-1000 m, con una distribuzione asim- metrica ed unimodale, Fig. 6c. Ancora unimodale, ma con una asimmetria meno pronunciata, è la distribuzione della lunghezza che si colloca nelle classi da 0-200 m a 800-1000 m, con il 48% dei casi concentrati nella classe 200-400 m, Fig. 6d.

Le frane considerate, come tipo di movimento, sono riferibili a: scorrimento-colata, 41%; scorrimento, 44%;

colata, 15%. Le instabilità esaminate coinvolgono 14 tipi litologici, 13 combinazioni di due tipi litologici e 5 com- binazioni di tre tipi litologici, Fig. 7. La percentuale più alta di frane, il 24%, coinvolge il tipo litologico costitui- to da depositi prevalentemente argillosi (ARG).

Per quanto attiene l’assegnazione delle Strutture Geologico Tecniche (SGT), l’analisi condotta evidenzia che il 76% delle instabilità è riferibile a cinque delle dodici SGT definite, Fig. 5.

Il 92% delle frane considerate sono quiescenti, il 5%

sono attive e per il 3% delle situazioni l’indicazione sul grado di attività non è chiaramente identificabile come attivo o quiescente. Per i fenomeni considerati lo stato di sviluppo è stato classificato avanzato nel 62% circa dei casi.

L’analisi può essere approfondita riferendosi ai casi compresi nei tre tipi di movimento.

Le distribuzioni delle inclinazioni dei versanti eviden- ziano delle specificità: per le colate la frequenza percen- tuale più alta è nella classe 12-14° (33%), mentre la maggior parte delle instabilità ha un’inclinazione varia- bile da 10° a 16°; i fenomeni di scorrimento-colata sono presenti in ognuna delle classi definite (da 7° a 27°) ma sono decisamente più numerosi nelle classi 9-11° (26%) e 17-19° (16%); per gli scorrimenti non si rileva nessu- na marcata concentrazione nell’intervallo complessivo da 8° a 32°.

Il rapporto distanza corona-unghia su larghezza, indi- cativo della forma planimetrica, assume valori da circa 0.3 a poco più di 7. Per le colate e per gli scorrimenti- colata il rapporto è generalmente maggiore di uno, in particolare: le colate presentano maggiori concentrazio- ni nelle classi 1.8-2.5 (27%) e 3.2-3.9 (20%); gli scorri- menti-colata mostrano un picco in corrispondenza della classe 2.15-2.70 (30%). Per gli scorrimenti, una percen- tuale complessiva del 57% presenta valori del rapporto

minori o uguali a 1.35. In definitiva le instabilità relati- ve alle tipologie colata e scorrimento-colata sono, come è ragionevole attendersi, di forma generalmente più allungata rispetto alla tipologia scorrimento.

Per le instabilità esaminate si possono rilevare alcune significative concentrazioni di fenomeni in alcuni dei tipi litologici individuati: per le colate e per gli scorrimenti- colata si rileva una netta prevalenza di fenomeni nel tipo litologico indicato come ARG (depositi prevalentemente argillosi); per gli scorrimenti si evidenzia invece una dis- tribuzione articolata con il 14% dei fenomeni nel tipo litologico CGL (depositi prevalentemente conglomerati- ci) e con altre tre concentrazioni (9-12%) nei tipi litolo- gici AS (depositi prevalentemente sabbiosi ed arenacei), CAS (gneiss) e STG (graniti e granodioriti).

I fenomeni classificati come colate sono prevalente- mente concentrati in ambiti caratterizzati dalla struttura geologico tecnica identificata come “ammasso roccioso prevalentemente costituito da roccia sciolta a comporta- mento indicativamente coesivo”. Per gli altri due tipi di movimento si rileva quanto segue: gli scorrimenti-colata interessano con una maggiore frequenza ambiti in cui sono presenti le strutture geologico tecniche “ammasso roccioso prevalentemente costituito da roccia sciolta a comportamento indicativamente coesivo” (circa il 29%) e “ammasso roccioso prevalentemente costituito da roc- cia lapidea fratturata ed a comportamento indicativa- mente duttile” (16%); gli scorrimenti, invece, non evi- denziano alcuna particolare concentrazione relativamen- te alle SGT identificate.

VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ E DEL RISCHIO DA FRANA

Generalità

Nella letteratura sono ormai numerose le proposte metodologiche per la valutazione areale della pericolosi- tà e del rischio da frana (Gullà, 2002). Fra queste, giusto per citarne alcune, si ricordano quelle formulate da Brabb (1984), Varnes (1984), Einstein (1988). L’esame di tali proposte, rappresentative di un ampio ventaglio di solu- zioni presenti in letteratura, consente di rilevare una sostanziale convergenza sugli aspetti che in termini ope- rativi portano alla stima della pericolosità e del rischio (Canuti & Casagli, 1996; Gullà, 2002; Sorriso-Valvo, 2002).

L’analisi della letteratura fornisce una cornice nel cui ambito è possibile individuare riferimenti metodologici da utilizzare per affrontare efficacemente la problematica

“pericolosità e rischio da frana” e suggerisce, nel contem- po, l’opportunità di sviluppare le procedure di valutazio- ne ancorandole all’impianto formale proposto da molti Autori. Quanto evidenziato permette di: mantenere una congrua flessibilità nella valutazione areale, consigliata dalla necessità di dover calibrare le procedure alle carat- teristiche dei dati disponibili e di garantire affidabilità e tempi accettabili nel conseguimento dei risultati; utilizza-

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Roccia

Sciolta Tenera Lapidea

Attritiva

(RSA)

Coesiva

(RSC)

Fragile

(RTF)

Duttile

(RTD)

Fratturata e fragile

(RLF)

Fratturata Degradata e

Duttile (RLD)

OL ARG CGL FR STC PCOP

PLC EV BAG DOL STG

PLM GIM CAS STM

COL AS

Identificazione e denominazione dei Tipi Litologici raggruppati nelle ULT.

a) Roccia sciolta a comportamento prevalentemente attritivo (RSA)

OL: Depositi prevalentemente ghiaiosi ed, in subordine, depositi sabbiosi e limosi. Depositi conglomeratici con livelli sabbiosi.

PLC: Conglomerati tipicamente rossastri costituiti da ciottoli di rocce cristallino-metamorfiche immersi in matrice sabbiosa grossolana, con occasionali livelli sabbiosi a grana grossolana.

PLM: Conglomerati e sabbie di colore bruno che tendono a diventare rossastri nelle porzioni sommatali.

COL: Depositi residuali.

AS: Sabbie ed arenarie giallastre in prevalenza a grana da fine a grossolana, talora bioclastiche, con intercalazioni siltose ed argilloso-siltose.

b) Roccia sciolta a comportamento prevalentemente coesivo (RSC)

ARG: Argille da grigio-chiaro a grigio-scuro, localmente siltose o sabbiose con intercalazioni di sabbie, silt, marne, gessi e calcari evaporitici.

c) Roccia tenera fragile (RTF)

CGL: Conglomerati poligenici immersi in una matrice sabbiosa e con intercalazioni sabbiose.

EV: Gessi macrocristallini biancastri e calcari evaporitici grigio-chiari vacuolari, questi ultimi con sottili intercalazioni siltose ed argilloso-siltose. Calcari organogeni compatti di colore da grigio a bruno chiaro.

GIM: Lave a pillow e brecce di pillow su cui poggiano coperture d’età titonico neocomiana.

d) Roccia tenera duttile (RTD)

FR: Argilloscisti e filladi grigie con frequenti intercalazioni quarzitiche e occasionalmente con intercalazioni di calcari cristallini. Metamorfismo alpino caratterizzato da alta pressione e bassa temperatura.

BAG: Filladi contenenti intercalazioni di metareniti, porfiroidi. Metamorfismo in facies scisti verdi.

CAS: Gneiss occhiadini a due miche, spesso fortemente foliati. Paragneiss biotitici minuti a muscovite e localmente a sillimanite. Micascisti granatiferi con cloritoide. Frequenti associazioni di masse pegmatitiche e granitoidi. Metamorfismo prealpino in facies da scisti verdi profonda ad anfibolica.

e) Roccia lapidea fratturata fragile (RLF)

STC: Calcari neritici, dolomie, conglomerati ed arenarie di tipo “Verrucano” con intercalazioni di argille rosse e verdi e locali livelli carboniosi.

DOL: Dolomie e brecce dolomitiche localmente associate a calcari dolomitici. Le rocce appaiono fortemente fratturate.

f) Roccia lapidea fratturata e degradata duttile (RLD)

PCOP: Gneiss e fels a granato e sillimanite, frequentemente biotitici. Gneiss tonalitici e quarzo-dioritici.

Intercalazioni di masse di anfiboliti e peridotiti. Metamorfismo prealpino in facies granulitica.

STG: Graniti e granodioriti spesso a microcristalli di k-feldspato, microgranodioriti, tonaliti, micrograniti a due miche. Filoni di porfidi rossi e verdi.

STM: Filladi, metagrovacche e metacalcari; paragneiss biotitici, localmente granatiferi, gneiss biotitico- anfibolici.

Tab. 4 - Unità Lito-Tecniche (ULT) definite per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana.

– Engineering Geological Units (EGU) defined for the evaluation of landslide hazard and risk.

(14)

Fig. 5 - Strutture Geologiche Tecniche (SGT) definite per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana.

– Engineering Geological Structures (EGS) as defined for the assessment of landslide hazard and risk.

(15)

Fig. 6 - Distribuzione di frequenza di area, inclinazione, larghezza e lunghezza delle 105 instabilità considerate nella Carta.

– Frequency distribution of area, slope angle, width and length of 105 mapped instability phenomena.

(16)

re compiutamente il quadro conoscitivo disponibile in termini generali e specifici per l’area di interesse; indivi- duare la scala di rilievo e di rappresentazione più idonea per acquisire gli elementi che, coerentemente con il livel- lo conoscitivo, si ritiene di poter impiegare per la valuta- zione di pericolosità e rischio (Einstein, 1988).

Il percorso delineato impone di tenere chiaramente distinti gli aspetti areali e puntuali e, nel contempo, di promuovere azioni di convergenza ed integrazione al fine di migliorare in maniera significativa le loro potenzialità.

Ciò può essere ottenuto sia riferendo la “valutazione areale della pericolosità e del rischio da frana” a contesti geo-ambientali omogenei rispetto a specifiche tipologie di instabilità di pendio, sia associando la “valutazione puntuale della pericolosità e del rischio da frana” alla tipizzazione geotecnica delle instabilità di pendio.

A quanto precedentemente esposto fa riferimento in termini generali la procedura di seguito illustrata, calibra- ta rispetto ad elementi di valutazione della pericolosità e del rischio estratti dalla Carta.

Nella trattazione si farà riferimento alle seguenti defi- nizioni generali:

- Rischio (R): è il prodotto della Pericolosità (H) e del Danno (D).

- Pericolosità (H): è la probabilità che una frana poten- zialmente distruttiva di determinata intensità (I) si veri- fichi in un determinato intervallo di tempo ed in una data area.

- Intensità (I): è la severità geometrica e meccanica di una frana potenzialmente distruttiva.

- Danno (D): è il prodotto del Valore degli elementi a rischio (E) per la loro Vulnerabilità (V) ed esprime quin- di l’entità dei danni che l’evento può produrre.

- Valore degli elementi a rischio (E): riferisce dell’enti- tà degli elementi a rischio ed è misurato in modo diverso a seconda della loro natura (esp. numero di persone a rischio, valore economico dei beni monetizzabili, ecc.).

- Aree vulnerabili: sono zone che possono essere poten-

zialmente interessate da eventi di frana e su cui insistono elementi a rischio.

- Vulnerabilità (V): esprime in termini adimensionali l’attitudine dell’elemento a rischio a subire danneggia- menti per effetto della frana e si esprime, in particolare, come aliquota dell’elemento a rischio che subisce dan- neggiamento: 0 (nessun danneggiamento), 1 (perdita to- tale). La vulnerabilità necessita di approfondimenti tali da consentire, in presenza di un quadro conoscitivo ade- guato, la valutazione del danneggiamento di uno specifi- co elemento a rischio prodotto da una frana di caratteri- stiche note e che, evidentemente, è funzione del potenzia- le distruttivo della frana e della resistenza globale dell’e- lemento a rischio.

Metodologia proposta

Esaminando gli elementi che si possono estrarre dalla Carta, e considerando le indicazioni precedentemente illustrate, si possono selezionare quelli utilizzabili per le finalità della presente nota.

Nella proposta formulata indichiamo in particolare come “elementi base” quelli correlabili alle caratteristi- che cinematiche, considerando il comportamento mec- canico indicativamente attribuito ai volumi di materiale coinvolti nelle instabilità.

A tal fine un “elemento base” utilizzato è rappresenta- to dalle sei Unità Lito-Tecniche (ULT) ottenute, conside- rando il quadro conoscitivo disponibile e la scala del rilevamento, raggruppando opportunamente i 17 tipi litologici previsti nella legenda della Carta, Tab. 4.

Nella procedura proposta, la superficie dell’instabilità utilizzata nella valutazione della pericolosità e del rischio è posta in conto solo nella definizione delle aree vulnerabili.

Coerentemente con i contenuti informativi impiegati sono di seguito proposte le definizioni utilizzate nella metodologia.

Fig. 7 - Distribuzione di frequenza di tipo litologico delle 105 instabilità considerate nella Carta.

– Frequency distribution of type of rock of 105 mapped instability phenomena.

Riferimenti

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