• Non ci sono risultati.

Riflessioni sul processo di nullità matrimoniale nel contesto della delibazione in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Riflessioni sul processo di nullità matrimoniale nel contesto della delibazione in Italia"

Copied!
81
0
0

Testo completo

(1)

Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Graziano Mioli (avvocato della Rota Romana)

Riflessioni sul processo di nullità matrimoniale nel contesto della delibazione in Italia

*

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. L'art. 60 del Decreto generale sul matrimonio canonico della CEI e l’obbligo di delibare - 3. La fase dell’indagine pregiudiziale e quella introduttiva - 4. La fase istruttoria e quella discussoria - 5. La fase decisoria - 5.1. Della redazione della sentenza - 5.2. Dell’interferenza delle questioni patrimoniali - 6.

Conclusioni.

1 - Premessa

Il presente contributo parte dal rovesciamento di una tradizionale prospettiva d’indagine del diritto ecclesiastico sul tema della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale - delibazione che normalmente viene presa in considerazione per valutarne le conseguenze in ambito civile, in particolar modo dal punto di vista patrimoniale - per riflettere invece su alcune sue possibili conseguenze in ambito canonistico, e specificatamente sul processo di nullità matrimoniale. Si tratta cioè di interrogarsi sul come la delibazione in Italia possa riverberarsi sullo svolgimento dell’iter che conduce a una pronuncia di invalidità del vincolo coniugale. Le riflessioni verranno sviluppate seguendo la fase dinamica del processo, dall’indagine previa fino alla sentenza, con particolare riguardo ai profili: 1) dell’acquisizione della collaborazione della parte convenuta nella fase iniziale; 2) della conduzione dell’attività istruttoria; 3) della decisione dei giudici e della redazione della sentenza. Peraltro, per delucidare meglio tali questioni, si farà anche ampio riferimento sia a fattispecie concrete oggetto di precedenti della giurisprudenza civile italiana, tanto di legittimità quanto di merito, sia a vicende matrimoniali esaminate nell’assai varia casistica giudiziaria dei Tribunali ecclesiastici, talora ricorrendo anche a esemplificazioni.

* Il contributo, sottoposto a valutazione, ha costituito oggetto di relazione all’Incontro di Studio - organizzato dall’Associazione Canonistica Italiana e dal Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Verona - nella Giornata dell’Avvocatura Ecclesiastica sul tema Il processo canonico e gli effetti civili delle sentenze di nullità matrimoniale (Verona, 18 gennaio 2019).

(2)

2 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Non è peraltro possibile addentrarsi sul tema senza prendere le mosse dall’analisi della previsione dell’art. 60 del Decreto generale sul matrimonio canonico della Conferenza Episcopale Italiana del 5 novembre 1990.

2 - L'art. 60 del Decreto generale sul matrimonio canonico della CEI e l’obbligo di delibare

“I fedeli che hanno celebrato il matrimonio canonico assicurandone gli effetti civili attraverso la procedura concordataria e hanno ottenuto da un tribunale ecclesiastico una sentenza di nullità del medesimo sono di norma tenuti, dopo che ne è stata decretata l’esecutività dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, a proporre domanda alla competente Corte d’Appello per ottenere la dichiarazione di efficacia della stessa nell’ordinamento dello Stato, ove ciò sia possibile ai sensi dell’art. 8, n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense e del relativo Protocollo addizionale.

Tale obbligo viene meno quando i fedeli interessati risultino liberi nell’ordinamento dello Stato e l’espletamento delle procedure per l’efficacia civile della sentenza comporti grave incomodo”1

.

Solitamente tale norma viene citata per ripetere, in modo un po’

tralatizio, che vi si configura un obbligo, un dovere del fedele di richiedere la dichiarazione di efficacia della sentenza canonica di nullità matrimoniale.

Se ciò da un canto è senz’altro vero, tuttavia ci pare altrettanto vero che questo dovere oggi, a distanza di quasi trent’anni dalla sua originaria formulazione, deve essere inteso in un modo assai ridimensionato.

In particolare, sono quattro gli aspetti sui quali vogliamo soffermare l’attenzione: la temperie della sua genesi, la sua qualificazione giuridica, la nozione di grave incomodo e i destinatari della previsione normativa.

Quanto al primo aspetto, l’obbligo dell’art. 60 risente dello spirito di ben altri tempi. Il Decreto generale, che entra in vigore per tutte le Chiese particolari in Italia il 17 febbraio 1991, quindi sei anni dopo la legge n. 121 del 1985 di Ratifica ed esecuzione dell’Accordo di revisione del Concordato, ha lo scopo dichiarato dalla Premessa di “completare le disposizioni attuative affidate dal codice di diritto canonico (cf. cann. 1067; 1121, par. 1; 1126; 1127, par.

2) e per assicurare una conforme applicazione della disciplina vigente e degli adempimenti disposti in materia”, di fatto coordinandosi con la nuova normativa concordataria italiana

2

. Esso quindi nasce in un clima politico,

1 Il decreto è consultabile sul sito ufficiale della Chiesa cattolica, www.chiesacattolica.it

2 Si veda N. MARCHESI, Il decreto generale sul matrimonio canonico, in Ius Ecclesiae, 1991, pp. 802-814. Sul lungo processo che condusse alla revisione del Concordato, cfr. G. DALLA

(3)

3 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

sociale, culturale - ma anche normativo e soprattutto giurisprudenziale -

‘serenamente’ concordatario, sia sul fronte civilistico, sia sul fronte canonistico. Sul fronte civilistico, perché la delibazione, anche se necessitante della domanda di parte dopo la revisione concordataria, non era certo quel percorso a ostacoli che sarebbe poi diventata per effetto degli sviluppi giurisprudenziali degli anni successivi

3

. Sul fronte canonistico, perché era ancora in qualche modo scontato che al giudizio di nullità matrimoniale avrebbe comunque ancora fatto seguito il giudizio di delibazione, anche considerato che si veniva da decenni di un meccanismo ufficioso di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche nell’ordinamento statale italiano, scalfito soltanto dalla sentenza della Corte costituzionale n.

18 del 18 febbraio 1982, che aveva costretto a introdurre il principio della domanda nel sistema pattizio. D’altronde, l'obbligo di delibare dell'art. 60 era il portato, il naturale corollario, faceva pendant, per così dire, con l’obbligo di celebrare il matrimonio canonico con effetti civili previsto dall’art. 1 del Decreto generale

4

. In altre parole, da una parte vi era l'obbligo di richiedere il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio assicurato dal Concordato, dall'altro vi era l'obbligo di richiedere il riconoscimento degli effetti civili delle pronunce di nullità di quel matrimonio (in una sorta di simul stabunt, simul cadent)

5

: entrambi questi obblighi erano a loro volta espressione dell’interesse generale della Chiesa a perseguire in Italia un regime pattizio con lo Stato in materia matrimoniale

6

. Oggi, invece, non solo

TORRE, I cattolici italiani e la riforma concordataria del 1984, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 21 del 2015, pp. 1-18.

3 Per una chiara ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale che ha portato al quadro attuale, si veda M. CANONICO, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche, ovvero il cammello per la cruna dell’ago, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 25 del 2015, pp.

1-32; cfr. anche, più recentemente, G. FATTORI, Giurisprudenza creativa, sopravvivenza e crisi del sistema matrimoniale concordatario, in Ius Ecclesiae, 2017, pp. 299-325.

4 Recita l’articolo: “I cattolici che intendono contrarre matrimonio in Italia sono tenuti a celebrarlo unicamente secondo la forma canonica (cf. can. 1108), con l'obbligo di avvalersi del riconoscimento agli effetti civili assicurati dal Concordato”.

5 Con riferimento al pregresso regime di automatismo di trascrizione e delibazione, osserva G. FATTORI, Giurisprudenza creativa, cit., p. 302: “In ultima analisi, l’efficienza del sistema matrimoniale concordatario dell’epoca è sintetizzata nel principio per cui il matrimonio valido per la Chiesa è valido anche nello Stato italiano e il matrimonio che per qualche ragione perde validità nell’ordinamento della Chiesa, cessa di avere vigore anche nel diritto italiano”.

6 Scrive A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60 del Decreto della C.E.I. sul matrimonio di chiedere la delibazione delle sentenze canoniche di nullità, in Monitor ecclesiasticus, 1994, IV, p.

142 s.: “È interesse primario della Chiesa, e in essa di ogni battezzato, per quanto concerne il matrimonio, di vedere nella legislazione pattiziamente concordata non un mero riconoscimento da parte dello Stato di una forma di celebrazione fra le tante possibili:

(4)

4 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

l’orizzonte della delibazione sembra scomparso dallo sguardo del legislatore delle nuove norme introdotte con il Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (d’ora innanzi, per brevità, MIDI), in particolare di quelle del processus brevior

7

, ma autorevole dottrina, pur non ritenendo di rinunciare al primo obbligo, quello della trascrizione agli effetti civili del matrimonio canonico, apre alla possibilità di rinuncia agli effetti civili delle pronunce di nullità matrimoniale, abbandonando il “laborioso sistema della delibazione”

8

e spezzando quindi quell’originario legame tra i due obblighi.

Dunque, in Italia nel 1990 la temperie politica-culturale, ancor prima che giuridica, era assai differente da quella odierna, tanto nella Chiesa quanto nello Stato.

Quanto alla qualificazione giuridica dell’obbligo, esso deve ritenersi a tutti gli effetti un dovere giuridico. Depone in tal senso innanzitutto il tenore letterale della norma (“sono di norma tenuti”), peraltro identico a quello usato nell’art. 1 per l’obbligo del cattolico italiano di celebrare il matrimonio unicamente secondo la forma canonica, avvalendosi del riconoscimento degli effetti civili, sulla cui natura di dovere giuridico nessuno dubita. Inoltre milita in questa direzione la considerazione sistematica che essendo corollario dell’art. 1, l’obbligo dell’art. 60 dovrebbe partecipare della medesima natura giuridica del primo, da cui discende.

l’interesse sta nel vedere assicurato al fedele il sistema matrimoniale proprio della Chiesa anche nell’ordine secolare, o comunque, quando ciò non sia pienamente attuabile, a far conseguire al coniugio un regime civile tale per cui le linee fondamentali di questo non si discostino in grado eccessivo dalla disciplina canonica. E ciò, fondandosi sull’idea che presupposto necessario per un incontro reale, e non meramente estrinseco e accidentale, fra ordine della Chiesa e ordine dello Stato in materia matrimoniale, è la convinzione del possibile riscontro e ricerca di una sostanziale omogeneità e unitarietà del coniugio in entrambi gli ordinamenti”.

7 Lo annota, non senza stupore, G. BONI, La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 9 del 2016, p. 75, secondo la quale “forse si potrebbe leggere in controluce nei Motu Proprio l’intentio di soprassedere, di più, di affossare ogni contatto con gli ordinamenti giuridici statuali, dismettendo ogni confoederatio al riguardo, e cessando di ‘rincorrere’ la legislazione secolare”.

8 Si tratta della posizione espressa da J.I. ARRIETA, Possibili sviluppi nel diritto canonico matrimoniale e processuale alla luce dei lavori del Sinodo straordinario, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2015, p. 1018, che sottolinea l’opportunità di “evitare confusioni con l’idea di

«unioni matrimoniali» talvolta proposta e legittimata dagli ordinamenti statuali, in modo da proteggere meglio l’identità dell’istituto matrimoniale e della famiglia secondo l’ordine della creazione e la struttura sacramentale della Chiesa”. Non si può non notare il radicale mutamento di prospettiva, poiché si passa dalla precedente ricerca di una sostanziale omogeneità e unitarietà alla ipotesi della differenziazione come strumento di tutela identitaria.

(5)

5 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Infine nell’ermeneutica della norma non si può prescindere dalla considerazione che, diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione che la Chiesa italiana avrebbe lasciato al fedele la libertà di adire anche la sola via della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario: il che appare sicuramente inconcepibile nel 1990 per il legislatore CEI e comunque contraddetto dal secondo comma dell’art. 60, come vedremo meglio fra poco.

La dottrina che, muovendo dai principi della teoria generale del diritto statale, esclude correttamente il carattere di ‘obbligo giuridico’, ne disconosce però anche la natura di ‘dovere giuridico’, argomentando che per esservi un dovere giuridicamente inteso vi debbano essere in corrispondenza dei poteri destinati ad assicurarne l’adempimento e che nel Decreto generale de quo la CEI “non ha affatto previsto un istituto sanzionatorio e coercitivo in caso di mancato adempimento del contenuto della situazione giuridica configurata dall’art. 60”

9

. Tuttavia l’obiezione non pare pertinente non soltanto perché la coercibilità diretta o indiretta non è in realtà strettamente necessaria per la configurazione di un dovere giuridico

10

, ma soprattutto perché, quand’anche la si ritenesse necessaria, una coercibilità indiretta sicuramente sussiste ed è espressa dall’art. 44, n.

4) del Decreto generale

11

. Da tale previsione infatti si evince, a contrariis, che nelle situazioni ordinarie di una pronuncia di nullità matrimoniale, relativamente alla quale la domanda di delibazione potrà essere accolta in quanto non vi sono elementi contrastanti con l'ordine pubblico

12

, oppure relativamente alla quale vi saranno tempi anche eccessivamente lunghi per

9 A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 142.

10 Precisa E. BETTI, voce Dovere giuridico (teoria generale), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1965, vol. XIV, p. 58: “In generale è da ritenere che la coercibilità, diretta o indiretta, sia carattere tendenziale e normale, ma non costante né necessario del dovere giuridico”.

11 “Richiesta di matrimonio solo canonico da parte di persone religiosamente libere a seguito di sentenza canonica dichiarante la nullità del matrimonio oppure di provvedimento di dispensa da un matrimonio rato e non consumato. /Nel primo caso, la richiesta non può essere accolta se non quando: /- è certo che la sentenza canonica non potrà essere resa esecutiva nell’ordinamento italiano dalla competente Corte d’Appello; /- si prevede fondatamente che la sentenza dichiarante l’esecutività sopravverrà in tempi eccessivamente lunghi e vi siano serie ragioni di urgenza pastorale. /Nel secondo caso, essendo certo che il provvedimento di dispensa non viene riconosciuto agli effetti civili, la richiesta può essere accolta. /In ambedue i casi spetta all’Ordinario del luogo provvedere alla rimozione di eventuali clausole vincolanti apposte alla sentenza canonica o al rescritto di dispensa e dare le indicazioni opportune perché si provveda ad assicurare la rilevanza anche civile del matrimonio contratto in forma canonica”.

12 Cfr. V. ZOBOLI, L’ammissione al matrimonio solo canonico, in Monitor ecclesiasticus, 1994, IV, p. 166.

(6)

6 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

l’accoglimento della domanda ma nessuna ragione di urgenza pastorale, l'ordinamento impone al fedele la delibazione, ‘pena’ la mancata celebrazione delle nuove nozze in Chiesa (attraverso il rifiuto all’autorizzazione del matrimonio solo canonico)

13

.

Comunque, ove si volesse denegare all’obbligo previsto dall’art. 60 la natura di dovere giuridico, non gli si potrebbe negare perlomeno quella di dovere morale, non solo in quanto “non reputiamo che un fedele, in coscienza, possa godere nello Stato dei diritti, e soggiacere ai doveri, derivanti da un rapporto ora inesistente nell’ordine in cui è nato”

14

, ma anche e soprattutto perché si tratterebbe di un dovere morale gravante sul fedele in Italia quale membro della societas ecclesiale che “in hoc mundo” (cfr.

can. 204, § 2 CIC-83) è portatrice di un interesse generale, come si è detto, a perseguire una logica concordataria di riconoscimento del suo istituto matrimoniale da parte dello Stato, di cui la delibazione costituisce una delle espressioni. In buona sostanza, lo si potrebbe equiparare alla categoria dei doveri morali civici negli ordinamenti statali, cui appartiene ad esempio il diritto di voto: diritto che il soggetto, dal punto di vista giuridico, è libero di non esercitare, ma il cui esercizio, dal punto di vista morale, è comunque un “dovere civico”, come ricorda l’art. 48 della Costituzione italiana, in quanto rispondente all’interesse generale dello Stato a che i cives partecipino, sia pure indirettamente, al governo della res publica per mezzo del voto. Allo stesso modo il fedele, membro del popolo di Dio che vive nel secolo nel territorio italiano, allorquando adempie all’obbligo di delibazione, soddisfa il summenzionato interesse primario della Chiesa cattolica italiana.

Tuttavia, lo ribadiamo, tale interpretazione ha carattere soltanto subordinato; in realtà, per i motivi già esposti, riteniamo si tratti di dovere senz’altro giuridico, anche se non fondamentale, al quale tutti i fedeli cattolici italiani sono tenuti in forza delle previsioni dei cann. 209, § 2, 29 e

13 Così come, d’altronde, l’ordinamento canonico italiano impone ordinariamente al fedele il dovere giuridico generale di rispettare le formalità per la celebrazione di un matrimonio concordatario, secondo l’obbligo ex art. 1 del Decreto generale CEI, ‘pena’, in caso di inadempimento, la mancata celebrazione delle stesse in Chiesa (fatte salve le eccezioni enunciate nel Decreto per l’autorizzazione di un matrimonio solo canonico).

14 In questo senso A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 148, il quale ulteriormente osserva: “Venuta meno la causa, proprio per l’unitarietà dell’istituzione matrimoniale di cui si discorreva sopra, tutti gli effetti, anche quelli mere civiles, vengono in sé meno, essendo mancato il loro titolo di efficacia, l’idoneità a produrre gli esiti loro specifici. La sentenza della Corte d’Appello dichiara, formalmente, ciò che, sostanzialmente, era già, la nullità di un coniugio da cui non può derivare più alcuna conseguenza giuridica (fatti salvi gli effetti del matrimonio putativo e le eventuali prestazioni di carattere patrimoniale stabilite nella pronuncia)”.

(7)

7 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

455, § 1 CIC-83 e che è radicato sulla conditio activa del fedele (laico), per ricorrere a una categorizzazione tipica della scienza canonistica

15

.

Quanto alla nozione di grave incomodo, che esenta il fedele dall’obbligo, essa deve essere letta alla luce degli influssi della successiva giurisprudenza civile italiana, che di fatto ha finito per operare un forte ridimensionamento del relativo dovere giuridico.

Sicuramente l’obbligo inizialmente era stato concepito dal legislatore CEI del 1990 in modo assai cogente, come si evince soprattutto dalla lettura del secondo comma dell’art. 60. Infatti, dopo avere previsto al primo comma, che i fedeli “sono di norma tenuti” a delibare, al secondo comma dispone: “Tale obbligo viene meno quando i fedeli interessati risultino liberi nell’ordinamento dello Stato e l’espletamento delle procedure per l’efficacia civile della sentenza canonica comporti grave incomodo”. L’uso della congiunzione “e”

implica che l’obbligo sussiste anche per i divorziati, ossia per i fedeli che, medio tempore, pendente il giudizio di nullità matrimoniale, avevano chiesto - magari semplicemente perché avevano urgente necessità di definire questioni patrimoniali connesse allo scioglimento civilistico del vincolo - e ottenuto dal Tribunale statale italiano una pronuncia, eventualmente anche non definitiva, di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario

16

; salvo appunto un “grave incomodo”. Non si può certo ritenere che il legislatore CEI del 1990 pensasse, con quella clausola di esenzione, ai costi del giudizio di delibazione davanti alla Corte d’appello, sebbene oggi indubbiamente sia molto difficile, se non forse impossibile, far comprendere e accettare a un fedele italiano divorziato - il quale potrebbe addirittura avere ottenuto, davanti all’Ufficio di Stato civile, con un accordo fra le parti senza avvocato e a costi zero, sfruttando le sopravvenute possibilità offerte dall’art. 12 della legge n. 162 del 2014, una separazione legale prima e poi, dopo soli sei mesi, la cessazione degli effetti civili, con definizione di tutti gli aspetti economici con l’ex-coniuge - il fatto che soltanto per ossequio a una ‘logica concordataria’ della Chiesa italiana dovrebbe sostenere ulteriori esborsi allo scopo di ottenere una dichiarazione di efficacia nell’ordinamento statale della pronuncia di nullità matrimoniale (dichiarazione che, ai fini pratici, non gli arrecherebbe alcun

15 Si legge in E. CAPARROS, Derecho y obligaciones de los laicos, in Diccionario general de Derecho Canónico, Aranzadi, Navarra, 2012, vol. III, p. 238: “cada fiel, como miembro del pueblo de Dios está llamado a participar en ámbitos de su desarollo personal -su vida- que tienen una acusada dimensión social o que incluyen manifestaciones de su función social”.

Per una ricostruzione dei criteri di classificazione dei diritti (e quindi anche dei doveri), si veda in particolare M. DEL POZZO, La classificazione dei diritti fondamentali dei fedeli nella dottrina canonistica, in Ius Ecclesiae, 2014, pp. 535-554.

16 Sul punto concorda A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 150.

(8)

8 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

vantaggio e per la quale quindi non avrebbe alcun interesse

17

), quand’anche tali esborsi fossero relativamente contenuti, quantomeno in una delibazione introdotta con ricorso a firma congiunta, che necessita però pur sempre del ministero di un avvocato e quindi della corresponsione di compensi (oltre alle modestissime spese vive processuali)

18

.

17 Proprio in quanto l’art. 60 contiene un’imposizione anche contro l’interesse del fedele o comunque a prescindere dal suo interesse particolare e quindi in ossequio soltanto all’interesse generale della Chiesa al riconoscimento delle sue sentenze (interesse evidente peraltro nel modello precedentemente concordato nel 1929 con lo Stato italiano, basato sull’automatismo officioso di quel riconoscimento), non si può accettare la prospettazione della stessa come di un onere giuridico, proposta da A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 147 nella necessità di offrire un inquadramento giuridico della posizione del fedele una volta esclusi l’obbligo e il dovere. L’onere giuridico infatti è la situazione giuridica soggettiva di chi è tenuto a un dato comportamento nel proprio interesse, poiché in mancanza non si produrrebbe un effetto giuridico a lui favorevole; si legge in P. GELATO, Onere, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile, Utet, Torino, 1995, vol. XIII, p.

62: “Funzione primaria dell’onere consiste dunque nel tutelare l’interesse del soggetto titolare della situazione passiva”. Ma se la norma obbliga sempre il fedele, salvo grave incomodo, a proporre domanda per ottenere la dichiarazione di exequatur e quindi a conseguire gli effetti civili di una nullità anche in casi nei quali egli non è più portatore di interesse a conseguirli, visto che ha già ottenuto lo stato libero nell’ordinamento statale, è chiaro che la previsione prescinde completamente dalla considerazione del suo interesse particolare e si è quindi fuori dalla fattispecie legale dell’onere. L’autore pare aver confuso il mezzo (la proposizione della domanda giudiziale di exequatur davanti alla Corte d’appello) con il fine (il riconoscimento degli effetti civili della pronuncia di nullità matrimoniale), che è il reale oggetto dell’‘obbligo’ normativo, a prescindere dalla formulazione letterale della norma.

18 Diversi anni or sono, l’Ufficio di stato civile del Comune di Ferrara rifiutava la celebrazione di un nuovo matrimonio concordatario di soggetto che risultava, per lo Stato italiano, aver soltanto ottenuto una pronuncia di cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio concordatario, non essendo stato richiesto l’exequatur della pronuncia ecclesiastica di nullità matrimoniale. L’Ufficio dichiarava che avrebbe autorizzato soltanto un nuovo matrimonio civile. L’argomentazione per il rifiuto era l’assenza dello stato libero per la Chiesa. A nulla valevano le obiezioni che la condizione della libertà di stato, di cui all’art. 86 c.c., andasse accertata, da parte dello Stato italiano, relativamente al proprio ordinamento, non dovendosi porre alcun problema l’Ufficiale di stato civile, che non avesse avuto contezza ufficiale della sentenza di nullità matrimoniale, delle ragioni in forza delle quali la Chiesa autorizzava nuove nozze. Per aggirare il problema, si prospettavano tre soluzioni: la celebrazione del matrimonio concordatario in altro Comune che non avesse tale interpretazione restrittiva; la celebrazione, nel Comune di Ferrara, dapprima del matrimonio civile e in seguito di uno meramente canonico; la presentazione di domanda di delibazione avanti alla Corte d’appello. La scelta dei soggetti interessati, per motivi di mero risparmio economico, cadeva solitamente sulla prima o sulla seconda soluzione, con esclusione della terza, non intendendo gli stessi sostenere i costi processuali di un procedimento per l’esecutività.

(9)

9 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Posto che l’incomodo deve essere inteso quale “causa scusante derivante al soggetto dalla grave difficoltà nell’osservare una legge, una gravità che deve essere valutata nel singolo caso, senza poter essere aprioristicamente e astrattamente determinata”

19

, non è peraltro impossibile operare delle categorizzazioni esemplificative.

Per individuarle peraltro, e quindi sostanziare il contenuto del “grave incomodo” nell’ottica del legislatore CEI del 1990, si può provare a ragionare per analogia con riguardo alle altre situazioni nelle quali nel Decreto generale si autorizza il matrimonio solo canonico, nel senso che se vi sono situazioni in presenza delle quali si può autorizzare un matrimonio senza effetti civili, quelle stesse situazioni - stante lo stretto legame intercorrente tra i due obblighi, quello di trascrivere il matrimonio e quello di delibare la sentenza - potranno anche ‘autorizzare’, nel senso di consentire, che vi sia un nullità matrimoniale senza effetti civili e quindi dispensare di fatto dall’obbligo di delibare.

La norma utile per sviluppare il nostro ragionamento appare l’art.

40.

Nel primo comma esso prevede l’ammissione al matrimonio solo canonico di persone vedove “per giusta causa, quando esse siano anziane e veramente bisognose”: il caso di scuola esemplificativo è quello nel quale il nuovo matrimonio, qualora fosse anche concordatario, farebbe perdere la pensione di reversibilità di cui gode uno di essi

20

.

Ragionando quindi per analogia, possiamo ipotizzare che così come il rischio di perdere la pensione di reversibilità legittima la mancata richiesta di trascrizione del matrimonio canonico, così quello stesso rischio potrebbe legittimare la mancata richiesta di delibazione. Pensiamo a un caso nel quale da un canto il marito abbia chiesto il divorzio dalla moglie,

“vittima innocente” per usare l’espressione del Catechismo della Chiesa

19 A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 150.

20 Cfr. V. ZOBOLI, L’ammissione al matrimonio, cit., p. 161. Fra l’altro, secondo Cass., 21 aprile 2010, n. 9464, “nel caso in cui una vedova, beneficiaria di pensione di reversibilità del coniuge deceduto, contragga nuovo matrimonio in forma canonica ed effettui la trascrizione tardiva dello stesso nei registri dello stato civile, l'Inps ha diritto di ripetere le somme erogate a quest'ultima dal momento della celebrazione del matrimonio a quello della trascrizione. Infatti, il principio desumibile dall'art. 8, 5° e 6° co., legge 25 marzo 1985, n. 121, è che il matrimonio religioso trascritto, anche se in modo tardivo, ha effetti civili dal momento della celebrazione, con il solo limite dei diritti acquisiti dai terzi. In conseguenza della retroattività, l'eventuale stato vedovile di uno o di entrambi i coniugi viene meno dal momento della celebrazione del matrimonio religioso. Ciò determina, ai sensi del D.

Lgs.Lgt. 18 gennaio 1945, n. 39, la perdita del diritto alla pensione ed il conseguente obbligo della vedova di restituire i ratei di pensione percepiti in maniera indebita”.

(10)

10 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Cattolica

21

, e si sia già risposato in sede civile con una nuova compagna, e dall’altro la moglie percepisca, come unica fonte di sostentamento, un assegno divorzile, sulla base di sentenza definitiva di divorzio passata in giudicato, per effetto oltretutto di un lunghissimo matrimonio.

Quand’anche fosse stata la donna, per motivi di coscienza, ad avere promosso, relativamente al matrimonio naufragato non per sua colpa, il giudizio di nullità risoltosi affermativamente, non le si potrebbe imporre di agire in sede di delibazione (pur se non corresse concreti rischi di perdere il suo assegno divorzile in base agli orientamenti giurisprudenziali della Cassazione ormai consolidatisi

22

), perché in caso di premorienza dell’ex- coniuge potrebbe vedere il nuovo coniuge ‘civile’ chiedere all’ente previdenziale il versamento dell’intera pensione a lei con l’argomento, pur oggi opinabile alla luce della suddetta giurisprudenza, che il precedente matrimonio era stato dichiarato nullo e quindi non possa trovare applicazione la previsione dell’art. 9 della legge sul divorzio, come modificato con legge n. 74 del 1987, sulla pensione di reversibilità da attribuire pro-quota, tenuto conto della durata del rapporto, anche all’ex- coniuge titolare di assegno divorzile

23

. In siffatta situazione dunque la donna, richiedendo la delibazione, si esporrebbe a un grave, sia pur potenziale, pregiudizio di carattere patrimoniale quale appunto la possibile perdita futura della pensione di reversibilità, un ‘incomodo’ tale da dispensarla sicuramente in modo legittimo dal domandare la dichiarazione di esecutività.

Il secondo comma dell’articolo 40 precisa che, al di fuori delle circostanze delle persone vedove, anziane e bisognose, la licenza per il matrimonio solo canonico “può essere data solo per ragioni gravi, e a condizione che le parti si impegnino a chiedere la trascrizione del matrimonio agli effetti civili,

21 Art. 2386: “Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C'è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un matrimonio canonicamente valido [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 84].”

(Catechismo della Chiesa Cattolica, consultabile online all’indirizzo http://www.vatican.

va/archive/ITA0014/__P86.HTM).

22 Si tratta dell’orientamento inaugurato da Cass., 23 marzo 2001, n. 4202, in forza del quale una volta formatosi il giudicato sulla sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio attributiva di un assegno divorzile, il passaggio in giudicato della successiva sentenza di delibazione di una pronuncia di nullità matrimoniale di un Tribunale ecclesiastico non travolge le statuizioni inerenti l’assegno stesso in forza della stabilità del suddetto giudicato.

23 Si veda C. FELISEO, Le conseguenze in ambito civile della delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale: casi pratici, in Famiglia e diritto, 2009, p. 743 s.

(11)

11 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

non appena vengano meno le cause che hanno motivato la licenza medesima”. La dottrina non esita a individuare tali ragioni gravi, a titolo esemplificativo, anche in situazioni di carattere economico dalle quali possa derivare un pregiudizio patrimoniale

24

.

Quindi, procedendo nell’argomentazione, si può ragionevolmente ritenere che per il legislatore CEI del 1990 così come un rilevante pregiudizio patrimoniale conseguente agli effetti civili di un matrimonio concordatario può legittimare, in quanto ragione grave, un matrimonio solo canonico, senza che sorga l’obbligo di fargli conseguire gli effetti civili, allo stesso modo un rilevante pregiudizio patrimoniale consequenziale all’accoglimento della domanda di delibazione può legittimare, in quanto grave incomodo, una pronuncia di nullità matrimoniale senza che sorga l’obbligo di richiedere l’exequatur alla Corte d’appello

25

.

Sennonché l’evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza della Corte di Cassazione degli ultimi vent’anni è venuta a creare nuovi, inediti e per certi aspetti paradossali scenari che il legislatore CEI del 1990 non poteva certo prevedere.

Innanzitutto, a partire dalla giurisprudenza sopracitata sul giudicato divorzile, introdotta con la arcinota sentenza del 23 marzo 2001, n. 4202 e poi sempre seguita dalla Cassazione

26

, appare evidente che il coniuge avente diritto a un assegno, costituente l’unico suo mezzo di sostentamento, si trova a dover ‘correre’ per arrivare quanto prima al passaggio in giudicato di una sentenza definitiva di divorzio se vuole scongiurare l’evenienza che la futura delibazione di una sentenza di nullità matrimoniale travolga quanto gli fosse stata eventualmente riconosciuto sul

24 Nell’elenco di V. ZOBOLI, L’ammissione al matrimonio, cit., p. 162 s., si rinviene: “- la presenza di un mutuo o di altri gravosi impegni finanziari, che esigono per qualche anno il mantenimento anche di una pensione di reversibilità; - il pericolo di coinvolgimento del patrimonio del futuro coniuge in una situazione economica compromessa; - l’onere derivante dall’avere entrambi diversi figli a carico, nati da un precedente matrimonio”.

25 In altre parole, come il dovere giuridico di chiedere gli effetti civili del matrimonio canonico viene meno quando dalla sua osservanza, per tutela di un interesse primario generale della Chiesa a che il fedele celebri sempre un matrimonio concordatario, deriverebbe però a un singolo fedele, nel caso concreto, un reale pregiudizio patrimoniale (le ragioni gravi di cui all'art. 40) e quindi egli abbia un interesse particolare in senso contrario, così il dovere giuridico di chiedere gli effetti civili della pronuncia di nullità viene meno quando dalla sua osservanza, per tutela di un interesse primario generale della Chiesa a ottenere il riconoscimento dell’efficacia delle sue pronunce, deriverebbe a un singolo fedele, nel caso concreto, un reale pregiudizio patrimoniale (il grave incomodo) e quindi egli abbia un interesse particolare in senso contrario.

26 Fra le sentenze confermative dell’orientamento, si vedano Cass., 4 marzo 2005, n.

4795; Cass., 20 aprile-5 giugno 2009, n. 12982; Cass., 18 settembre 2013, n. 21331.

(12)

12 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

piano economico dai Tribunali statali. Quindi da un canto, per questo coniuge il ricorso al divorzio “può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale” (secondo l’espressa previsione del Catechismo della Chiesa Cattolica

27

), in quanto - parafrasando le parole usate da San Giovanni Paolo II nella nota Allocuzione alla Rota Romana del 28 gennaio 2002

28

- non indirizzato alla rottura del matrimonio, bensì a ottenere l’effetto legittimo di salvaguardare un contributo al mantenimento dalla successiva delibazione della sentenza ecclesiastica, effetto che soltanto mediante tale via giudiziaria, grazie al nuovo orientamento giurisprudenziale, può essere conseguito in Italia. Dall’altro canto, la possibile perdita, al sopravvenire del passaggio in giudicato della sentenza di delibazione, dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione, o di quello divorzile, corrisposto senza che vi sia ancora una sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili passata in giudicato, ove fosse l’unica fonte di sostentamento del coniuge accipiens, di solito la donna , legittimerebbe senz’altro quest’ultimo non soltanto a non introdurre una domanda di delibazione ma, in caso di proposizione da parte dell’altro coniuge, anche a opporvisi ove abbia argomenti giuridici per farlo, in quanto, per l’appunto, tale possibile perdita costituirebbe un esiziale pregiudizio patrimoniale e quindi non grave, ma addirittura gravissimo incomodo. In altri termini, alla

27 Art. 2383: “La separazione degli sposi con la permanenza del vincolo matrimoniale può essere legittima in certi casi contemplati dal Diritto canonico [Cf. Codice di Diritto Canonico, 1151-1155].

/Se il divorzio civile rimane l'unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale”

(Catechismo della Chiesa Cattolica, consultabile on line all’indirizzo http://www.vatican.va/archive/ITA0014/__P86.HTM).

28 “D'altra parte, gli operatori del diritto in campo civile devono evitare di essere personalmente coinvolti in quanto possa implicare una cooperazione al divorzio. Per i giudici ciò può risultare difficile, poiché gli ordinamenti non riconoscono un'obiezione di coscienza per esimerli dal sentenziare. Per gravi e proporzionati motivi essi possono pertanto agire secondo i principi tradizionali della cooperazione materiale al male. Ma anch'essi devono trovare mezzi efficaci per favorire le unioni matrimoniali, soprattutto mediante un'opera di conciliazione saggiamente condotta. Gli avvocati, come liberi professionisti, devono sempre declinare l'uso della loro professione per una finalità contraria alla giustizia com'è il divorzio; soltanto possono collaborare a un'azione in tal senso quando essa, nell'intenzione del cliente, non sia indirizzata alla rottura del matrimonio, bensì ad altri effetti legittimi che solo mediante tale via giudiziaria si possono ottenere in un determinato ordinamento (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2383). In questo modo, con la loro opera di aiuto e pacificazione delle persone che attraversano crisi matrimoniali, gli avvocati servono davvero i diritti delle persone, ed evitano di diventare dei meri tecnici al servizio di qualunque interesse”: SAN GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2002, consultabile online all’indirizzo http://w2.vatican.va/content/john-paul- ii/it/speeches/2002/january/documents/hf_jp-ii_spe_20020128_roman-rota.html.

(13)

13 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

luce di quella giurisprudenza civile sopra citata, in Italia il fedele da un canto, proprio in pendenza di una causa di nullità matrimoniale davanti al Tribunale ecclesiastico (e in ciò non si può non cogliere l’aspetto paradossale), ha facoltà di ricorrere al divorzio, in quanto strumento di tutela patrimoniale di un diritto al mantenimento, sebbene in generale non dovrebbe ricorrervi, dall’altro è dispensato dal ricorrere (o eventualmente è

‘autorizzato’ a opporsi) alla delibazione, ogniqualvolta quel diritto potrebbe essere dalla stessa pregiudicato, sebbene in generale dovrebbe ricorrervi (o comunque non opporvisi). Anzi, stante l’insistenza che la Chiesa pone, come vedremo meglio più avanti, sul carattere morale, prima ancora che giuridico, dell’obbligazione di sostentamento dell’ex-coniuge nonostante una declaratio nullitatis matrimonii, si può ritenere che l’obbligo di delibare gravante sul coniuge solvens l’assegno stabilito in sede civile possa già oggi intendersi come sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza definitiva di divorzio: d’altro canto, un coniuge che non agisse in sede di delibazione per consentire la cristallizzazione dei diritti all’assegno dell’altro coniuge non potrebbe certo essere oggetto di biasimo per inadempimento del dovere di cui all’art. 60, quanto piuttosto di lode e apprezzamento per l’attenzione verso i diritti della precedente comparte.

Non solo. Il principio di diritto introdotto dalle pronunce gemelle delle Sezioni Unite della Cassazione del 17 luglio 2014, nn. 16379 e 16380 - in forza del quale la convivenza ‘come coniugi’, intesa come

“consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo ed esteriormente riconoscibile, [...] protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario regolarmente trascritto […] è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell’ordine canonico nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale” –

induce a ritenere che l’obbligo di delibazione venga parimenti meno

quando la pronuncia di nullità matrimoniale intervenga per l’appunto in

vicende nelle quali la comunione di vita materiale e spirituale tra i coniugi

abbia avuto durata ultratriennale e si abbia la certezza che la parte

convenuta del giudizio di nullità non solo non aderirà a una richiesta

congiunta davanti alla Corte d’appello, ma addirittura si opporrà

coltivando tale eccezione nel giudizio di delibazione introdotto dall’attore

con citazione. Infatti, con un ragionamento speculare a quello svolto in

precedenza, posto che, come abbiamo visto, la richiesta di un matrimonio

solo canonico da parte di persone religiosamente libere a seguito di

sentenza canonica dichiarante la nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 44,

n. 4) del Decreto generale CEI, può essere accolta soltanto quando “è certo

(14)

14 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

che la sentenza canonica non potrà essere resa esecutiva nell’ordinamento italiano dalla competente Corte d’Appello”, ossia quando le sentenze di nullità contengano disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano, non vi è dubbio che in una situazione di certezza di non accoglimento della domanda di delibazione, quale quella sopra prospettata, si potrà non intraprendere tale via anche al di fuori delle ipotesi nelle quali non si abbia già in animo di chiedere successivamente l’autorizzazione al matrimonio solo canonico. È pur vero che nella situazione di una convivenza coniugale ultratriennale con opposizione della convenuta alla richiesta di exequatur, non di ‘certezza assoluta’ di rigetto della stessa si tratta, ma di ‘certezza relativa’, in quanto legata al convincimento della stabilità di un dato orientamento giurisprudenziale; peraltro, il suo futuro superamento appare una vera chimera, stante il doppio pronunciamento a Sezioni Unite della Cassazione e le molteplici decisioni confermative emanate negli anni successivi da parte delle Sezioni semplici

29

nonché le sottostanti ragioni di equità sostanziale che hanno indotto i magistrati civili a introdurre questo revirement rispetto alle pregresse consolidate posizioni.

In conclusione, le evoluzioni della giurisprudenza della Cassazione degli ultimi vent’anni hanno finito per ampliare notevolmente le ipotesi di esenzione dall’obbligo di cui all’art. 60 e quindi per attenuarne fortemente la cogenza. Se sin dall’origine esso era nato come non assoluto

30

, oggi si potrebbe addirittura parlare, ci si passi l’espressione metagiuridica, di un

‘semi-obbligo’ o di una ‘quasi-doverosità’.

Senza dubbio, una siffatta previsione alberga meglio in sistemi concordatari, come ad esempio quello spagnolo

31

, ove il riconoscimento nell’ordinamento civile della sentenza ecclesiastica è privo di ricadute patrimoniali, e continua ad avere un senso in Italia in vicende nelle quali non vi siano tra le parti, non ancora divorziate, questioni economiche di sorta, magari perché già regolate al momento della precedente separazione legale. Comunque, fintantoché permane in vigore il presente quadro normativo, con quest'obbligo dobbiamo continuare a confrontarci.

Quanto infine al destinatario dell’obbligo, a esserne gravato direttamente è soltanto il singolo fedele, una volta terminato il processo di

29 Ad esempio, soltanto fra le più recenti, si vedano Cass., 15 maggio 2018, n. 11808;

Cass., 29 agosto 2017, n. 20524; Cass., 19 aprile 2017, n. 9925.

30 Cfr. A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 161.

31 Sui diversi sistemi matrimoniali vigenti nei paesi Occidentali cfr. J. FERRER ORTIZ, La eficacia civil del matrimonio canónico en una sociedad secularizada, in Ius Ecclesiae, 2018, pp.

101-124; nonché, specificatamente nell’Unione Europea, cfr. J.T. MARTÍN DE AGAR, Rilevanza del matrimonio religioso nei Paesi dell’Unione Europea, in AA. VV., Matrimonio canonico e ordinamento civile, LEV, Città del Vaticano, 2008, pp. 125-163.

(15)

15 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

nullità matrimoniale e ottenuto il decreto di esecutorietà da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica

32

. Quindi si potrebbe essere portati a ritenere che si tratti di questione extravagans rispetto al giudizio canonico, che non si riverbera in alcun modo sulle fasi del suo svolgimento, e relativamente alla quale avvocati e giudici che intervengono nello stesso non sono in alcun modo interessati con riferimento alle rispettive attività di competenza.

In verità riteniamo non sia così.

Se senza dubbio sul fedele grava, quale situazione giuridica soggettiva passiva, il dovere giuridico, o secondo taluni soltanto morale, di chiedere la dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità matrimoniale - dovere che poi si configura, dal lato attivo, anche come facoltà (poiché in base a un assioma della logica deontica, il dovere di tenere un comportamento implica la facoltà di tenerlo) o meglio ancora come diritto

33

-, si deve allora ritenere che anche su giudici e avvocati operanti nei Tribunali ecclesiastici italiani parimenti gravi un dovere, peraltro solo morale e privo di espressa previsione normativa (che però per l’avvocato può divenire pure strettamente giuridico, come vedremo), di tenere nelle varie fasi processuali una serie di comportamenti ‘virtuosi’ non solo per non precludere la possibilità futura della delibazione, ma anzi per favorirla al massimo. Si tratta di un dovere morale equiparabile a quelli ‘civici’ degli ordinamenti statali, ossia che incombe su giudici e avvocati ecclesiastici italiani in quanto membri della Chiesa cattolica, società costituita e ordinata in questo mondo nel quale essa coltiva l’interesse primario a un regime concordatario con lo Stato in materia matrimoniale; l’obbligo del singolo fedele di delibare è una delle espressioni di questo interesse e quindi essi, con le loro condotte, sono moralmente tenuti ad adiuvarne il più possibile l’adempimento.

In altri termini, lo sbocco, potenziale e ancora doveroso, della sentenza di nullità matrimoniale in un giudizio delibativo non potrà non

32 Va ricordato peraltro che non vi è solo l’obbligo di proporre domanda alla competente Corte d’appello per ottenere la dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità di matrimonio nell’ordinamento dello Stato, ma anche, ex art. 62 del Decreto generale CEI, l’obbligo, una volta ottenuta tale dichiarazione, di notificarne copia all’Ordinario del luogo, perché questi possa disporne l’annotazione nei libri parrocchiali.

33 Come talora lo qualifica la giurisprudenza civile: si veda in proposito la nota 127.

Parla invece di ‘potere’, A. BETTETINI, Sull’obbligo ex art. 60, cit., p. 146 s., ma ciò è evidentemente conseguenza dell’aver qualificato la situazione giuridica soggettiva come

‘onere’; infatti “l’onere diventa mezzo per la soddisfazione dell’interesse del soggetto titolare del potere, ma solo in via mediata e secondaria perché tale funzione, in via primaria, è svolta dal potere stesso”: P. GELATO, Onere, cit., p. 61 s.

(16)

16 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

influenzare il loro operato, che dovrà ispirarsi al cercare di raccogliere più elementi utili possibili in vista del futuro exequatur.

Vediamo allora come ciò possa avvenire lungo le varie fasi nelle quali si snoda l’iter che conduce sino alla dichiarazione di invalidità del vincolo coniugale.

3 - Fase dell’indagine pregiudiziale e fase introduttiva

Come noto, ai sensi dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 121 del 1985, la dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale interviene “su domanda delle parti o di una di esse”, nel primo caso con atto di citazione e rito ordinario di cognizione, nel secondo con ricorso congiunto e rito camerale.

Va rammentato che oggi, in base agli orientamenti costanti della giurisprudenza di legittimità, la presentazione di un ricorso congiunto, nel pieno accordo quindi fra le parti, elimina tutte le problematiche in ordine agli eventuali profili di contrarietà all’ordine pubblico che potrebbero determinare un possibile rigetto della domanda, profili ormai delineati con chiarezza dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione, in particolare con la pronuncia del 18 luglio 2008, n. 19809 e quelle sopra citate del 2014.

Quanto a quelli delineati nella pronuncia del 2008, vale la pena

concentrarsi sui capi delle simulazioni ex art. 1101, § 2 CIC-83 o delle

incapacitates ex can. 1095, §§ 2-3 CIC-83, tenuto conto che la stragrande

maggioranza delle sentenze di nullità matrimoniale pronunciate dai

Tribunali ecclesiastici italiani si fonda su questi motivi. Ebbene, nelle ipotesi

di simulazione, quand’anche dal coniuge simulante la riserva non fosse

stata manifestata all’altro coniuge o da questi comunque conosciuta o al

limite conoscibile con l’ordinaria diligenza, rientra nella facoltà di

quest’ultimo l’esercizio del diritto di optare per la non conservazione del

rapporto viziato per fatto dall’altro, eventualmente proponendo la

delibazione oppure aderendo alla domanda introdotta con citazione

dall’altro coniuge simulante o comunque non opponendosi oppure

sottoscrivendo il ricorso unitamente allo stesso; e tutto questo, nonostante

si ritenga che il principio di tutela della buona fede e dell’affidamento

incolpevole del coniuge vittima dell’„inganno”, che legittimerebbe lo stesso

a opporsi, abbia carattere di ordine pubblico e quindi dovrebbe considerarsi

sottratto alla disponibilità delle parti.

(17)

17 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Invece, nelle ipotesi di incapacitates, il profilo della conoscenza- conoscibilità delle problematiche psichiche antecedenti alla celebrazione delle nozze è considerato irrilevante

34

.

Viceversa, la mera contumacia nel giudizio di delibazione del convenuto che ignorava o poteva ignorare senza colpa la simulazione del coniuge attore non è ritenuta sufficiente dalla giurisprudenza di legittimità a integrare quella nozione di non opposizione che legittimerebbe la Corte d’appello ad accogliere la domanda, senza ulteriori accertamenti

35

.

Per quanto riguarda invece il profilo dell’eventuale comunione di vita materiale e spirituale instauratasi tra i coniugi dopo le nozze e perdurata oltre i tre anni, a prescindere dal motivo della nullità matrimoniale pronunciata in sede ecclesiastica, essendo la questione, pur ritenuta di ordine pubblico, sollevabile solo su eccezione di parte e non rilevabile d’ufficio

36

, l’introduzione della domanda in forma congiunta, o

34 Espressamente Cass., 23 novembre 2007, n. 24412; si vedano, nello stesso senso, Cass., 8 luglio 2009, n. 16051; Cass., 19 maggio 2009-15 settembre 2009, n. 19808; Cass., 26 marzo 2010 n. 7253; Cass., 6 luglio 2015, n. 13883.

Di particolare interesse è App. Cagliari, 24 aprile 2018, n. 368, nella quale la rilevanza del suddetto profilo torna in considerazione dal diverso punto di vista dell’instaurazione di un’intima communio vitae et amoris, nel senso che dalla piena consapevolezza dell’uomo prima delle nozze dei problemi di salute psichica della donna si fa discendere anche la consapevole accettazione del rapporto matrimoniale e della gestione di esso con tutte le problematicità che la condizione psico-fisica di quest'ultima comportava, ossia la volontà di creare una comunione di vita materiale e spirituale, la quale poi risultava confermata dal fatto che nel primo periodo del matrimonio i coniugi intendessero mettere al mondo un figlio, tanto che la moglie si era sottoposta a trattamenti che prevedevano la sospensione dei farmaci antidepressivi, e che nel corso della coabitazione l’uomo l’abbia assistita nella malattia non recandosi in certi periodi neppure a lavorare, tutti elementi peraltro emergenti anche dalla sentenza ecclesiastica.

35 Con un orientamento introdotto a partire da Cass. 28 marzo 2001, n. 4457, in Famiglia e diritto, 2001, pp. 482-491, con nota di G. Pignataro, e poi andato consolidandosi: si vedano Cass., 31 maggio 2003, n. 8764; Cass., 16 luglio 2003, n. 11137; Cass., 11 novembre 2005, n.

21865; Cass., 18 febbraio 2009, n. 3899.

36 La Cassazione, nonostante l’apparente contraddittorietà logico-giuridica, insiste in materia di delibazione su tale tesi, ribadita dalle pronunce delle Sezione Unite del 2014.

Non sono mancate acute e vigorose voci di dissenso nella giurisprudenza di merito, che rilevano l’incongruenza di una questione di ordine pubblico non rilevabile d’ufficio: si veda, in particolare Appello Firenze, sentenza 26 gennaio 2016, n. 111, nella cui parte motiva si legge: “Sotto il profilo processuale, alla stregua degli insegnamenti scolastici è certo che la contrarietà all’ordine pubblico sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in quanto il concetto tende per definizione a garantire la tutela di interessi misconosciuti dalle parti. […] Del resto, in tutte le altre materie di cui ha avuto modo di occuparsi, la giurisprudenza della Suprema Corte è sempre stata granitica nel confermare tale principio, sicché la deroga mostrata nei confronti delle sentenze emesse nell’ordinamento della Chiesa Cattolica si pone come unicum di ardua spiegazione

(18)

18 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

comunque la successiva costituzione adesiva nel giudizio di delibazione introdotto con citazione da uno dei due, senza quindi che venga coltivata la relativa eccezione dall’altra parte, oppure, in questo caso, anche la mera contumacia del convenuto (stante la suddetta non rilevabilità d’ufficio della questione)

37

porterebbero all’accoglimento della domanda.

Per tutte queste ragioni risulta di palmare evidenza che l’acquisizione della collaborazione dell’altra parte

38

, già ritenuta preziosa dall’ordinamento processuale canonico al fine dell’accertamento della

giuridica”. D’identico tenore, App. Firenze, 15 aprile 2016, n. 601, in Diritto e religioni, 1- 2016, pp. 669-672, con nota di M. CANONICO, Oscillazioni giurisprudenziali in tema di pretesa disponibilità dell’ordine pubblico, pp. 673-683.

37 Si vedano, da ultimo, Cass., 8 ottobre 2018, n. 24729 e Cass., 31 gennaio 2017, n. 2486.

Un profilo di interesse di queste pronunce è rappresentato dal fatto che era stato il Procuratore Generale della Corte di Cassazione a proporre l’impugnazione avverso le sentenze della Corte d’appello (rispettivamente di Lecce e di Bologna) che, nella contumacia della convenuta, avevano delibato nonostante una convivenza ultratriennale.

38 Sul tema, si vedano in dottrina F. CATOZZELLA, Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e alcune attese sul processo canonico di nullità matrimoniale (brevità, prossimità, gratuità):

un primo confronto dalla prospettiva dell’avvocato, in La riforma del processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, a cura del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico - Associazione Canonistica Italiana, Edizioni Glossa, Milano, 2018, pp. 337-353; M.

MOSCONI, La fase previa all’introduzione del libello e la consulenza tecnica, in Ius et Matrimonium II. Temi processuali e sostanziali alla luce del Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, a cura di H. Franceschi, M.Á. Órtiz, Edusc, Roma, 2017, pp. 65-96; P. MONETA, La procedura consensuale nelle cause di nullità di matrimonio canonico, maggio 2015 (consultabile online all’indirizzo https://www.olir.it/areetematiche/73/documents/Moneta_Procedura_consen suale.pdf); F. FALCHI, Collaborazione e corresponsabilità delle parti nell’accertamento della verità nelle cause di nullità matrimoniale, in Veritas non auctoritas facit legem. Studi di diritto matrimoniale in onore di Piero Antonio Bonnet, a cura di G. Dalla Torre, C. Gullo, G. Boni, LEV, Città del Vaticano, 2012, pp. 255-268; G.P. MONTINI, La partecipazione della parte convenuta al processo di nullità matrimoniale tra diritto e realtà, Prolusione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese, 10 febbraio 2007 (consultabile online all’indirizzo http://www.terpuglia.it/inaugurazione2007.html).

(19)

19 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

verità nel giudizio di nullità matrimoniale

39

, in particolare dopo il MIDI

40

, e addirittura condizione per l’introduzione del processus brevior ex can. 1683, 1° CIC-83, lo diviene ancor più nell’ottica dell’ottenimento di una futura pronuncia delibativa, in quanto il suo comportamento processuale, in particolare se sarà disponibile a firmare un ricorso congiunto, può risultare determinante per l’accoglimento della relativa domanda davanti alla Corte d’appello

41

.

39 Insegna SAN GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 1989 (consultabile online all’indirizzo https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1989/ja nuary/documents/hf_jp-ii_spe_19890126_roman-rota.html): “Occorre subito aggiungere qualche precisazione riguardo alle cause matrimoniali. Anche se una delle parti avesse rinunziato all’esercizio della difesa, rimane per il giudice in queste cause il grave dovere di fare seri tentativi per ottenere la deposizione giudiziale di tale parte e anche dei testimoni che essa potrebbe addurre. Il giudice deve ben valutare ogni singolo caso.

Talvolta la parte convenuta non vuole presentarsi in giudizio non adducendo alcun motivo idoneo, proprio perché non capisce come mai la Chiesa potrebbe dichiarare la nullità del sacro vincolo del suo matrimonio dopo tanti anni di convivenza. La vera sensibilità pastorale e il rispetto per la coscienza della parte impongono in tale caso al giudice il dovere di offrirle tutte le opportune informazioni riguardanti le cause di nullità matrimoniale e di cercare con pazienza la sua piena cooperazione nel processo, anche per evitare un giudizio parziale in una materia tanto grave”.

Osserva I. ZUANAZZI, La disponibilità dell’azione di nullità del matrimonio nel processo canonico, in AA. VV., Studi in onore di Carlo Gullo, LEV, Città del Vaticano, 2017, vol. III, p.

616 s.: “Gli sposi sono i protagonisti del connubio e la loro collaborazione nel processo, sia nell’allegazione dei fatti, sia nell’indicazione delle prove, sia nella discussione degli argomenti a favore o contro la nullità, risulta indispensabile per un accertamento più accurato e obiettivo del modo in cui si è svolta la vicenda matrimoniale. Per questo, l’istruzione Dignitas connubii prevede una serie di norme dirette a sollecitare la partecipazione personale al giudizio non solo dell’attore ma anche del convenuto”.

40 Fra le previsioni significative in tal senso si pensi, ad esempio, alla nuova formulazione del can. 1676, § 2 CIC-83 che consente al Vicario giudiziale, se e in quanto lo ritenga opportuno, di ammonire nuovamente la parte convenuta a manifestare la sua posizione, qualora sia rimasta silente trascorsi quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione; all’art. 15 delle Regole Procedurali (d’ora innanzi, per brevità, RP) del MIDI che facoltizza il Vicario giudiziale, al quale sia stato presentato il libello per introdurre un processo ordinario ma che ritenga che la causa possa essere trattata con il processo più breve, a invitare la parte che non lo abbia sottoscritto a comunicare al tribunale se intenda associarsi alla domanda presentata e partecipare al processo; all’art. 138, § 2 DC, che stabilisce, nei casi nei quali vi sia una dichiarazione di assenza in giudizio, che il presidente o il ponente debbono adoperarsi affinché la parte convenuta receda dall’assenza. Più in generale, dispone l’art. 95, § 1 DC: “Ad veritatem facilius detegendam et ius defensionis aptius tutendum, valde expedit ut uterque coniux processui nullitatis matrimonii intersit”.

41 Stanti le recenti impugnative da parte del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, in presenza di una convivenza ‘come coniugi’ durata più di tre anni, la sola disponibilità dell’altra parte a non opporsi nel giudizio di delibazione, restando contumace, non garantisce in modo assoluto che esso si concluda definitivamente davanti

(20)

20 Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 13 del 2019 ISSN 1971- 8543

Quindi, in Italia, la previsione specifica dell’art. 4 delle RP del MIDI relativa alla fase dell’indagine pregiudiziale - “Si indaghi se le parti sono d’accordo nel chiedere la nullità” - andrebbe riletta, stante la persistente doverosità della delibazione ex art. 60 del Decreto generale CEI, con l’aggiunta dell’integrazione “ed eventualmente la delibazione della stessa”.

È sin da tale momento iniziale, infatti, che occorre attivarsi per la ricerca dell’accordo pure per questa fase ulteriore davanti all’ordinamento statale e sarebbe un grave errore postergarla al momento successivo della preparazione del procedimento di delibazione. Un errore che, per l’avvocato

42

, potrebbe perfino essere fonte di responsabilità professionale

alla Corte d’appello.

Per quanto riguarda il rapporto intercorrente tra conoscenza-conoscibilità dell’esclusione di uno dei bona matrimonii, iniziativa processuale in sede di giudizio di delibazione e accoglimento della domanda, una chiara e completa ricostruzione si rinviene in Cass., 28 gennaio 2005, n. 1822, nella cui parte motiva, con rinvio ad altro precedente delle Sezioni Unite, si legge: “La sentenza n. 6128 del 1985 ha quindi esemplificato la tipologia delle fattispecie, così individuandole: a) ‘il primo caso è quello della nullità pronunciata per l'intentio contraria ad uno dei bona matrimonii riferibile ad uno solo degli sposi, ma conosciuta o conoscibile dall'altro. La delibazione è sempre ammessa’ e ‘pertanto non è necessario dare rilievo all'iniziativa della parte sia in sede canonica che civile, dato che entrambe sapevano (o potevano sapere) fin dall'origine di contrarre un matrimonio nullo’; b) ‘il secondo caso è quello della nullità pronunciata per la causa di cui supra non conosciuta nè conoscibile da una parte’ nel quale, dovendo aversi riguardo, per quanto precisato, ‘al rispetto della libertà dell'altro soggetto’ sono ipotizzabili le seguenti ipotesi:

1) ‘se il soggetto che ha manifestato una volontà valida si oppone (anche soltanto nella sede della delibazione, per i motivi che già si sono enunciati) si deve applicare il principio di ordine pubblico della protezione del suo affidamento nella validità del vincolo’ e ‘la delibazione non è ammessa’; 2) ‘se il soggetto che ha avuto l'intentio contraria ai bona matrimonii si oppone alla delibazione, a cui invece l'altra parte, nelle condizioni di questa ipotesi sub b), aderisce, non potrà darsi rilievo all'opposizione del primo, perché egli non può invocare un affidamento che, sotto entrambi gli aspetti qui sottolineati, riguarda la controparte’. E ciò in quanto ‘l'ordinamento non può proteggere il soggetto che ha emesso una dichiarazione viziata da riserva mentale non manifestata nè conoscibile e non può attribuirgli la tutela di quell'affidamento altrui che proprio lui ha leso a suo tempo: la delibazione è ammessa’; 3) ‘se infine […] la parte che ha manifestato una volontà valida non si oppone (o richiede, secondo il nuovo ordinamento concordatario) alla delibazione della sentenza di nullità basata sull'intentio contra bona matrimonii dell'altra parte, la pronuncia canonica non viola in concreto l'ordine pubblico’ (ed è questo appunto il caso deciso dalle Sezioni unite nella sentenza n. 6128 del 1985)”.

42 Specificatamente sull’importanza del ruolo dell’avvocato nella fase dell’indagine pregiudiziale, si vedano F. CATOZZELLA, Il motu proprio Mitis Iudex, cit., pp. 337-353; P.

MONETA, Il ruolo dell’avvocato nel nuovo ordinamento processuale, in AA.VV., La riforma del processo matrimoniale ad un anno dal Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, LEV, Città del Vaticano, 2017, pp. 153-171; C.-M. FABRIS, Indagine pregiudiziale o indagine pastorale nel Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus. Novità normative e profili critici, in Ius Ecclesiae, 2016, pp. 479-504; P. BIANCHI, Dinamiche e attenzioni nel reperimento e nella raccolta delle

Riferimenti

Documenti correlati

Facendo riferimento alle concrete previsioni legislative che differenziano i due regimi, nel caso di sentenza affermativa la previsione di un giudizio preliminare

Si trattava di vicenda nella quale la Corte di Cassazione cassava con rinvio una sentenza della Corte d'appello di Milano che, in un caso di nullità matrimoniale per difetto di

Ciò è già accaduto più volte, ad esempio, per quelle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di

È comunque una strada pericolosa?” (il contributo non ha numeri di pagine, si tratta comunque delle conclusioni, p. BESSO, Il procedimento sommario di cognizione, cit., p. 725,

Nemmeno, realisticamente, si possono dimenticare le dinamiche per così dire interpersonali nelle quali il Vescovo è inserito, soprattutto nelle diocesi più piccole:

Non sorprende, quindi, che il combinato disposto del nuovo processus brevior e della relativa ratio procedendi sia sembrato nei primi commenti apparsi sulla

E così (come già riportato sempre nella parte prima) nella Dichiarazione dei Vescovi Lombardi del 15 gennaio 2016 si legge: “I Vescovi Lombardi, riuniti così in un unico

104 Ricordiamo ancora che i vicari giudiziali (e i vicari giudiziali aggiunti) devono essere sacerdoti, di integra fama, dottori o almeno licenziati in diritto