Gli organi di garanzia statutaria, i metodi della legislazione
e i Consigli regionali (*)
Nicola Lupo
Abstract
L’Autore analizza gli organi di garanzia statutaria, proponendone un eventuale ruolo di “consulenza” e valorizzandone ruolo e funzioni soprat- tutto con riferimento alla crescente complessità e articolazione dei proce- dimenti legislativi. In questo senso gli organi di garanzia potrebbero trova- re un più pieno sviluppo delle proprie potenzialità rafforzando il rapporto con i Consigli regionali.
1. Introduzione: a favore del “dialogo” tra gli organi di garanzia È di gran moda, in questi anni, parlare di “dialogo” fra organi giurisdi- zionali appartenenti a diversi ordinamenti, in Europa ma non solo1. È ben noto, ad esempio, il dibattito sollevato, anche a livello istitu- zionale, dalla sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco del 30 giugno 2009 sul Trattato di Lisbona2, come era del resto giusto
(*) Rielaborazione dell’intervento nella tavola rotonda conclusiva del convegno su “Gli organi di garanzia nelle Regioni italiane”, organizzato, il 4 dicembre 2009, a Bologna, presso la sede dell’Assemblea legislativa regionale, dalla Consulta di garanzia statutaria dell’Emilia-Romagna e dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
(1) Sul “dialogo tra i giudici” cfr., tra i tanti, M.R. FERRARESE, Diritto sconfi nato. Inven- tiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, Laterza, 2006, spec. p. 121 s.; S.
CASSESE, I Tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, Donzelli, 2009, spec. p. 41 s.; G. MARTINICO, L’integrazione silente. La funzione interpre- tativa della Corte di Giustizia e il diritto costituzionale europeo, Napoli, Jovene, 2009, spec. p. 201 s.; G. DE VERGOTTINI, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna, Il Mulino, 2010, spec. p. 17 s.
(2) Cfr., per tutti, a proposito dei commenti “a caldo”, A. MANZELLA, 80 giorni dopo, intervento al Seminario di Astrid su “La sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione eu-
visti i potenti effetti che tale sentenza ha originato sulle tappe succes- sive del processo di integrazione europea. Negli ultimi due decenni è parso in costante, vigoroso sviluppo anche il “dialogo” tra Parlamenti (che include quella che in genere si chiama “diplomazia parlamenta- re”), il quale pure, se comparato con quello che si svolge tra i giudici o tra i Governi (la vera e propria “diplomazia”), risulta assai più com- plesso e faticoso3.
Credo che il “dialogo” interistituzionale che in occasione di questo convegno si è realizzato fra gli organi di garanzia statutaria – che non sono né giudici in senso proprio, né legislatori, ma che condividono alcuni caratteri degli uni e degli altri – e che ha opportunamente coin- volto anche altri organismi di carattere consultivo, operanti anch’essi a livello regionale, sia da considerarsi assolutamente positivo, tra l’altro perché incoraggia la circolazione dei modelli e delle buone pratiche sperimentate dalle singole Regioni, e perciò meritevole di essere sta- bilizzato (e altresì supportato e stimolato dall’opera degli studiosi, che sarebbe bene iniziassero a studiare e, perché no, ad annotare anche le pronunce più signifi cative rese dagli organi di garanzia statutaria).
Rispetto a quest’ultima considerazione parte della dottrina ha solle- vato un’obiezione, avanzando il dubbio che, se si decidesse di sta- bilizzare o di istituzionalizzare il “dialogo” tra organi di garanzia, si rischierebbe di violare, o quantomeno di eludere una previsione co- stituzionale: quella contenuta in particolare nell’art. 117, penultimo comma, della Costituzione, dove si disciplinano le “intese” tra Regioni per l’esercizio di funzioni comuni, richiedendo che esse siano ratifi ca- te con leggi regionali. Secondo questa obiezione, in sostanza, anche le intese che dovessero intercorrere tra le Regioni riguardo agli organi
ropea”, Roma, 21 settembre 2009 (in www.astrid.eu): “sono passati appena 80 giorni:
e la sentenza del 30 giugno, come nella fantasia di Giulio Verne, ha fatto il giro del mondo. Nel senso che ha fatto il pieno dei commenti internazionali, politici e giuridici:
insieme”.
(3) Cfr., volendo, Il “dialogo” tra parlamenti: obiettivi e risultati, a cura di C. DECARO
e N. LUPO, Roma, Luiss University Press, 2009, ove cfr., per un parallelo, il contributo di M.R. FERRARESE, Il dialogo tra parlamenti e il dialogo tra corti: nuove tendenze del costituzionalismo, ivi, p. 325 s.
di garanzia statutaria e fors’anche quelle che intervengano tra tali or- gani andrebbero necessariamente ratifi cate con legge regionale. Non credo che questa obiezione, pur acuta, possa essere accolta.
In particolare, si può evocare, da un lato, il principio di leale collabo- razione, come è noto da tempo ricavato dalla giurisprudenza costitu- zionale quanto ai rapporti tra Stato e Regioni4, in nome del quale si sono realizzate incisive forme cooperative tra lo Stato e i diversi livelli di autonomie territoriali (i cosiddetti raccordi verticali, che fanno capo al “sistema delle Conferenze”), ma anche tra le autonomie regionali, tra quelle provinciali, quelle comunali, e così via (i cosiddetti raccordi orizzontali, peraltro più sviluppati in altri sistemi istituzionali)5. Ci si può richiamare, dall’altro, altresì al principio fondamentale enunciato dall’art. 5 della Costituzione, in particolare laddove richiede, con for- mula lungimirante ma rimasta purtroppo in larga parte inattuata, che i metodi della legislazione siano adeguati alle esigenze dell’autono- mia6. E questo anche perché, a mio avviso, come cercherò di mostrare nel prosieguo del mio contributo, gli organi di garanzia statutaria, per come confi gurati nella giurisprudenza costituzionale, esercitano funzioni che concernono soprattutto i metodi della legislazione re- gionale.
In questa duplice chiave si legittimano, dunque, anche le forme di cooperazione tra i legislatori, che attualmente esistono sia tra i legisla- tori regionali (il riferimento è, sul piano politico, alla Conferenza dei
(4) Su cui cfr., per tutti, S. AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e Regioni, Milano, Giuffrè, 2008.
(5) Cfr., tra gli altri, R. CARPINO, Evoluzione del sistema delle conferenze, in Istituzioni del Federalismo, 2006, p. 13 s.; I. RUGGIU, Contro la Camera delle Regioni. Istituzioni e prassi della rappresentanza territoriale, Napoli, Jovene, 2006, G. CARPANI, La Con- ferenza Stato-Regioni. Competenze e modalità di funzionamento dall’istituzione ad oggi, Bologna, Il Mulino, 2006, R. BIFULCO, Il modello italiano delle conferenze Stato- autonomie territoriali (anche) alla luce delle esperienze federali, in Le Regioni, 2006, p. 239 s. e G. RIVOSECCHI, Consigli regionali e raccordi intergovernativi, in Il Filangieri.
Quaderno 2009. Nuove regole per nuovi Consigli regionali, a cura di E. GIANFRANCESCO, V. LIPPOLIS, N. LUPO, Napoli, Jovene, 2010, p. 263 s., spec. p. 277 s.
(6) Per un tentativo di valorizzazione dell’art. 5 Cost. cfr., in dottrina, A. MANZELLA, I metodi della legislazione parlamentare, in Il Parlamento tra crisi e riforma, Milano, Angeli, 1985, p. 23 s.
presidenti dei Consigli regionali, e, sul piano tecnico, all’Osservatorio legislativo interregionale), sia tra il legislatore statale e i legislatori regionali (cooperazioni sancite, nell’ultimo decennio, da una serie di protocolli interistituzionali)7.
2. Organi di garanzia, ma anche di “consulenza”
L’asse principale intorno al quale vertono le mie argomentazioni è quello della dinamica istituzionale tra tecnica e politica. Del resto, è proprio sul crinale tra tecnica e politica che, a mio avviso, si collocano gran parte delle diffi coltà e degli ostacoli che in molte Regioni hanno fi n qui impedito una rapida e agevole partenza degli organi di garan- zia statutaria, pur previsti nei rispettivi statuti.
Una sensazione siffatta mi sembra confortata da alcune rifl essioni che scaturiscono dal diritto comparato: in particolare dal confronto con l’esperienza spagnola emerge con chiarezza come in Italia dobbiamo fare i conti con una sensibile sottovalutazione della funzione consul- tiva, che risulta non solo non adeguatamente valorizzata, ma il più delle volte mal sopportata dagli organi politici destinatari dei pareri e delle consulenze emesse da soggetti a forte connotazione tecnica.
Eppure, forse è proprio attraverso tale funzione che gli organi poli- tici, e nella specie le assemblee elettive, possono introiettare i tanti vincoli esterni che sempre più incisivamente condizionano l’operato del legislatore, quello statale e ancor più quello regionale. In altri termini, per esemplifi care con riferimento al Parlamento nazionale, con riferimento alla fase dell’istruttoria legislativa, è attraverso i pareri delle Commissioni affari costituzionali o di quelli delle Commissioni politiche dell’Unione europea che Camera e Senato sono chiamati a fare i conti con i vincoli posti dal legislatore costituzionale o da quello dell’Unione europea.
In questa chiave, mi domando se, accanto alla funzione di consulenza
(7) Cfr., come primo esempio, il documento approvato da un Gruppo di lavoro interi- stituzionale Camera-Senato-Assemblee regionali il 7 marzo 2001, dal titolo Indirizzi per migliorare i metodi della legislazione tra Stato e Regioni e, da ultimo, il Protocollo di intesa fra il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati e la Conferenza dei Presi- denti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome sottoscritto il 21 luglio 2009 (entrambi reperibili su www.parlamentiregionali.it).
“privata” non sia enucleabile altresì una funzione di consulenza che possa essere intesa come funzione pubblica. La tradizione spagnola e la tradizione francese sono parecchio diverse rispetto alla tradizio- ne italiana, nella quale sia la Corte dei conti sia il Consiglio di Stato hanno teso a privilegiare, praticamente da sempre, le loro funzioni giurisdizionali rispetto a quelle consultive. Ed è sintomatico notare, in proposito, come il Consiglio di Stato, nell’esercizio della sua fun- zione consultiva, benché tale organo sia, com’è noto, caratterizzato da una composizione fortemente centralistica, si sia auto-qualifi cato come organo non dello Stato apparato, ma dello Stato ordinamento8: nella terminologia impiegata dal nuovo art. 114 della Costituzione, si potrebbe dire, con un qualche paradosso anche alla luce della deno- minazione dell’organo in questione, come organo non “dello Stato”, bensì “della Repubblica”. In defi nitiva, dunque, da un lato, il Consi- glio di Stato non sembra aver adeguatamente valorizzato le proprie funzioni consultive, dall’altro, ha inteso togliere spazio a organi che pretendessero di svolgere a livello decentrato la medesima funzione (e analogo obiettivo sembra avere altresì la proposta di attribuire fun- zioni consultive ai Tribunali amministrativi regionali, recentemente avanzata dal neopresidente del Consiglio di Stato De Lise, che pare invero rischiare, ove attuata, di dare origini a non poche duplicazioni rispetto all’operato degli organi di garanzia statutaria)9.
Mi collego in questo modo alla questione terminologica riguardo alla denominazione più corretta da adottare per riferirsi ai componen- ti degli organi di garanzia statutaria. È chiaro, in proposito, che le espressioni “consiglieri” o “consulenti” risultano essere meno invise ai
(8) Cfr. Cons. St., sez. I, 12 gennaio 2005, 12036/2004 (relativo allo statuto della Regio- ne Emilia-Romagna) e Cons. St., sez. I, 12 gennaio 2005, 12054/2004 (relativo allo sta- tuto della Regione Umbria), nelle cui premesse il Consiglio di Stato ritiene che i pareri in questione si confi gurino come pareri consultivi, richiesti direttamente dalle Regioni, mediante i quali il medesimo Consiglio di Stato esercita la propria “funzione consultiva quale organo dello Stato-ordinamento e non dello Stato-apparato”.
(9) Cfr. P. DE LISE, Intervento nella cerimonia di insediamento, 22 settembre 2010, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 12 s., ove si sottolinea l’“esigenza che le accresciute competenze regionali (amministrative, ma anche normative) siano dotate di un soste- gno tecnico e neutrale, in grado di assicurare la legittimità dell’esercizio di tali poteri autonomi: il che potrebbe avvenire estendendo le funzioni consultive ai TAR”.
politici, perché tendono a mettere in rilievo la loro funzione servente rispetto alla decisione politica. Più felice mi sembra la scelta di adot- tare la terminologia di “garanti”, alla luce di una classifi cazione estre- mamente accurata. Del resto, anche la Corte costituzionale, nelle sue due sentenze sul tema (12/2006 e 200/2008), fa espresso riferimento agli “organi di garanzia”. Ecco perché tenderei ad optare per quest’ul- tima espressione, pur nella consapevolezza che tali organi esercitano anche e fors’anche in prevalenza una funzione di tipo consultivo.
3. Organi di garanzia e sistema delle fonti
La funzione svolta dagli organi di garanzia statutaria risulta una fun- zione estremamente utile al legislatore regionale, anzi necessaria. Ri- spetto alle recenti evoluzioni del sistema delle fonti occorre conside- rare, infatti, che l’attività legislativa è cambiata assai profondamente negli ultimi decenni: è un’attività che è diventata incredibilmente più complessa rispetto a prima, assai più delimitata e vincolata. Si pensi, in particolare, agli elementi di complessità derivanti dal trovarsi all’in- terno di un sistema “multilivello”, dal fatto cioè che contestualmente svolgono la loro attività molteplici legislatori a diversi livelli; per cui ciascun legislatore, lungi dall’essere libero nella scelta dei fi ni e dei contenuti della sua attività, è profondamente condizionato da questa.
Invece, le regole del procedimento legislativo nelle Camere come nei Consigli regionali sono rimaste grosso modo immutate; e la stessa ar- ticolazione in commissioni permanenti dei deputati è sostanzialmente rimasta, nelle sue linee di fondo, quella del 1920 e, nelle competenze materiali, quella del 1987 (prima, cioè, della ri-articolazione dei Mi- nisteri operata dal decreto legislativo 300/1999 e, soprattutto, della revisione del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001).
Rispetto a questi potenti fattori evolutivi, che hanno reso assai più complessa l’attività legislativa, le risposte fi nora date quanto ai metodi della legislazione risultano molto parziali e insoddisfacenti. Si pensi, tra l’altro, al sostanziale fallimento dell’istruttoria legislativa nel pro- cedimento legislativo statale10. In questo quadro, il livello regionale
(10) Su cui cfr., volendo, N. LUPO, Il procedimento legislativo parlamentare dal 1996 ad oggi: ovvero, del fallimento di una “rivitalizzazione”, in Osservatorio sulle fonti 2006.
mostra un maggiore tasso di innovatività, fors’anche perché meno legato alla retorica della sovranità, e gli organi di garanzia statuta- ria possono costituire uno strumento indubbiamente indiretto, anche perché agisce necessariamente a posteriori, ma comunque assai utile per rafforzare gli elementi tecnici che vengono evidenziati nel corso dei procedimenti legislativi regionali.
Da questo punto di vista, trovo emblematico il fatto che da parte di alcuni tra coloro che stanno svolgendo il ruolo di garanti sia emerso il dubbio sul fatto se sia giusto che gli organi di garanzia statutaria si occupino anche del rispetto della normativa costituzionale e delle norme dell’Unione europea: in qualche modo, questo dubbio ci pa- lesa che l’esigenza del legislatore e di chi sta svolgendo la funzione di garanzia in questo momento è proprio questa. Tenderei, perciò, a sciogliere tale dubbio in senso positivo e ad incoraggiare un’evolu- zione in questa direzione del ruolo degli organi di garanzia statutaria.
Se il ruolo di tali organi è interpretato così, tra l’altro, ci si avvede che le resistenze indubbiamente riscontrabili nei soggetti che attualmente operano nel procedimento legislativo e a fi anco di esso non hanno poi grande ragion d’essere: i “tecnici”, infatti, hanno la possibilità di leggere gli organi di garanzia statutaria come un’occasione di raffor- zamento della loro funzione.
Per esemplifi care, è risaputo che la prospettiva del possibile rinvio di una legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica river- bera i suoi effetti nel corso del procedimento legislativo: nel senso che, ad esempio, i pareri delle Commissioni bilancio di Camera e Se- nato, specie allorquando – sulla base di un’accurata istruttoria svolta dagli uffi ci tecnici delle Camere e del Governo – segnalano possibili violazioni dell’obbligo di copertura fi nanziaria di cui all’art. 81, quarto comma, della Costituzione, tendono ad essere rispettati anche perché si teme che altrimenti vi sia un’elevata probabilità che la legge in que- stione venga poi rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica.
Altra questione è se tale infl uenza preventiva debba essere utilizzata
Le fonti statali: gli sviluppi di un decennio, a cura di P. CARETTI, Torino, Giappichelli, 2007, p. 32 s.
dalla Presidenza della Repubblica, attraverso canali informali di con- fronto con il Parlamento e con il Governo o se non sia più opportuno che il Capo dello Stato si riservi una valutazione a testo ormai chiuso:
si discute a lungo sulla questione11, non a caso riaffacciatasi con forza nell’ultima fase della storia repubblicana, in cui le istituzioni di garan- zia sono state sottoposte a pressioni e tensioni assai signifi cative, ma non è questo il punto, almeno in questa sede.
Oppure si pensi all’esperienza del Comitato per la legislazione, ope- rante dal 1998 alla Camera dei deputati, che, se non altro, costituisce una sede in cui le esigenze tecniche, legate alla qualità della legisla- zione, possano essere messe in circolo all’interno del procedimento legislativo12. O ancora, forse in maniera ancora più convincente, può ricordarsi che a partire dal 2001 le Camere, seppure in via dichiarata- mente sperimentale, senza avere mai codifi cato questo procedimen- to nei regolamenti parlamentari (una sperimentazione che si avvia a raggiungere, ormai, il decennio), hanno introdotto una sede in cui i parlamentari – anche qui, sulla scorta di un lavoro tecnico svol- to soprattutto con riferimento alla giurisprudenza costituzionale – si pongono espressamente il problema del titolo in base al quale stanno esercitando la funzione legislativa in quel momento: lavoro che con- duce all’espressione di pareri da parte delle Commissioni affari costi- tuzionali, sia della Camera che del Senato, che tendono naturalmente ad individuare, perlopiù, argomenti volti a giustifi care l’esercizio della funzione legislativa13. Questi argomenti, a loro volta, trovano spesso
(11) Cfr., per tutti, A. PUGIOTTO, “Veto players” e dinamiche istituzionali nella vicenda del “lodo Maccanico”, in Quaderni costituzionali, 2004, p. 255 s., spec. p. 264 s., e I.
PELLIZZONE, Il potere di rinvio come istanza di rifl essione, in Quaderni regionali, 2010, p. 589 s., spec. p. 594 s.
(12) Su questa esperienza cfr., per tutti, L. LORELLO, Funzione legislativa e Comitato per la legislazione, Torino, Giappichelli, 2003, spec. p. 207 s.
(13) Cfr., tra gli altri, C. DI ANDREA, L’attuazione del nuovo Titolo V in Parlamento: la verifi ca della “competenza legislativa” nel procedimento di approvazione delle leggi statali, in Le Regioni, 2002, p. 249 s.; U. ZAMPETTI, Potere legislativo e giustizia costitu- zionale con riferimento al rapporto Stato-Regioni, in Rassegna parlamentare, 2006, p.
141 s. e G. RIZZONI, Il “seguito” parlamentare della giurisprudenza costituzionale sul riparto di competenze Stato-Regioni dopo il nuovo Titolo V: il punto prospettico delle Commissioni affari costituzionali, in “Effettività” e “seguito” delle tecniche decisorie
un’eco nella giurisprudenza costituzionale: è infatti più che compren- sibile che la Corte costituzionale, quando si tratta di individuare una
“etichetta” materiale all’interno del catalogo di cui all’art. 117 della Costituzione, vada a guardare anzitutto quale etichetta si è dato il legislatore stesso.
In qualche misura, gli organi di garanzia statutaria potrebbero inco- raggiare lo sviluppo di processi analoghi, e fors’anche più incisivi, da parte del legislatore regionale, garantendo loro quel rafforzamento a posteriori che gli orientamenti della Corte costituzionale sulla sinda- cabilità del procedimento legislativo rendono assai diffi cile a livello nazionale. Da ultimo, si pensi alla sentenza 246/2010, in cui la Corte si è guardata bene dal valorizzare il disposto dell’art. 132, secondo comma, Cost., laddove richiede che siano “sentiti i Consigli regionali”
ai fi ni del passaggio di Province o Comuni da una Regione all’altra14. Quindi, ne dovrebbero uscire soddisfatti sia i tecnici, che hanno più sedi e argomenti più forti per introdurre queste limitazioni, sia gli stessi politici, posto che in qualche modo ne risultano decisioni più solide, sia nel contenuto sia, in senso ampio, nella legittimazione. An- che qui per esemplifi care, forse un po’ brutalmente: se i giudici costi- tuzionali si trovano a supporto di una legge regionale un’argomenta- zione favorevole espressa, nel corso del suo procedimento formativo, da un autorevole giurista che sia anche membro di un organismo di garanzia è plausibile immaginare che siano più restii a dichiararne la illegittimità costituzionale. Ad averla avallata, infatti, non è solo un
della Corte costituzionale, a cura di R. BIN, G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO e P. VERONESI, Na- poli, ESI, 2006, p. 473 s.
(14) In particolare, la Corte ha negato che gli organi parlamentari debbano rendere
“conoscibili le specifi che ragioni in forza delle quali si siano eventualmente determinati in senso difforme rispetto ai punti di vista espressi dalle Regioni interessate, o che abbiano, in proposito, oneri motivazionali, in quanto ciò “equivarrebbe ad inserire un ulteriore aggravamento della procedura non richiesto dalla disposizione che si assume violata”. E, con formulazione piuttosto netta, ha affermato che “le modalità di predispo- sizione della documentazione relativa ai lavori delle Commissioni e dell’Aula rientrano pienamente negli interna corporis delle Assemblee parlamentari” (così Corte cost., 246/2010, su cui cfr., criticamente, La perdurante insindacabilità del procedimento legislativo e la sua impermeabilità alle istanze esterne: i pareri dei Consigli regionali ex art. 132, comma 2, Cost. “sentiti” ma non... ascoltati, in Giur. cost., 2010, p. 2969 s.).
anonimo legislatore regionale, ma uno studioso, che ha previamente valutato, in base a criteri logico-giuridici, la conformità allo statuto (o, eventualmente, alla normativa dell’Unione europea) di quella norma che è l’oggetto di giudizio della Corte costituzionale.
È vero che il ruolo degli organi di garanzia non è tutto qui: c’è anche una funzione in qualche misura necessariamente “anti-maggioritaria”.
C’è, in altri termini, una funzione che è a disposizione pure delle minoranze, e pure degli enti locali in alcuni ordinamenti regionali; a tali organi spetta, quindi, non solo una funzione consultiva, ma altre- sì una qualche funzione di garanzia intesa in senso forte (anche se, evidentemente, non certo paragonabile a quella esercitata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, che è considerata, da molti, l’istituzione counter-majoritarian per eccellenza)15.
In proposito, credo comunque che negli ordinamenti regionali ci sia, oggi, assolutamente bisogno di una funzione siffatta. L’organo di ga- ranzia statutaria può rappresentare uno degli elementi di riequilibrio della forma di governo regionale, essendo una delle novità che sem- bra andare nella giusta direzione, in un sistema di tipo maggioritario o bipolare: sia nelle Regioni che sperimentano un’alternanza fra diverse maggioranze, sia nelle Regioni che registrano meno frequentemente tale alternanza (o che fi nora non l’hanno mai registrata). In entrambi i casi c’è bisogno di momenti e istituti di riequilibrio rispetto ad un Presidente assistito da una forte e diretta legittimazione popolare.
Forse, da questo punto di vista, le Regioni possono persino risultare
“più avanti” dell’ordinamento statale: perché da un lato vi sono nuovi statuti regionali in molti casi assai attenti a dettare regole precise sul procedimento legislativo e sui contenuti del prodotto legislativo; e perché, dall’altro, l’organo di garanzia statutaria può quantomeno for- nire assicurazioni quanto al rispetto delle regole dettate dallo statuto sul procedimento legislativo, intervenendo necessariamente, secondo
(15) Sull’ampio dibattito tra i costituzionalisti statunitensi sulla c.d. counter-majorita- rian diffi culty cfr., in lingua italiana, C. PINELLI, Il dibattito sulla legittimazione della Corte suprema, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Annuario 2006. La circo- lazione dei modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa, Napoli, Jovene, 2010, p. 21 s.
quel che è stato richiesto dalla sentenza 200/2008 della Corte costi- tuzionale, in un momento anteriore all’entrata in vigore della legge16. A mio avviso, la mancanza di un sindacato preventivo sulle leggi, in questa chiave, costituisce un punto di debolezza del nostro sistema di giustizia costituzionale, con specifi co riferimento al sindacato sul pro- cedimento legislativo. È infatti noto, ad esempio, che – diversamente dal Conseil Costitutionnel, che invece sul potere di emendamento è andato elaborando una giurisprudenza molto stringente, almeno in parte a causa del fatto che il Conseil può essere chiamato ad espri- mersi prima che la legge entri in vigore17 – la Corte costituzionale ha deciso di far fi nta di nulla, o quasi, su una palese violazione della Co- stituzione quale è quella determinata dai maxi-emendamenti, anche perché ha un’evidente diffi coltà, pronunciandosi spesso a distanza di anni, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale, per esempio, di intere leggi fi nanziarie o di decreti-legge omnibus18. Ecco allora che un organo di garanzia che si situa a ridosso della conclusione del pro- cedimento legislativo regionale può rappresentare un punto di forza del sistema regionale, e non un punto di debolezza, ove comparato alle limitate forme di accesso al sindacato della Corte costituzionale.
Infi ne, sempre in questa logica, i Consigli regionali potrebbero ave- re interesse ad una piena valorizzazione, e non certamente ad una
(16) Secondo quanto affermato dalla Corte, con riferimento alla Regione Calabria, “le competenze della Consulta statutaria, per non invadere la sfera di attribuzioni del giu- dice delle leggi e degli organi giudiziari, devono avere soltanto carattere preventivo ed essere perciò esercitate nel corso dei procedimenti di formazione degli atti. Ogni valutazione sulla legittimità di atti, legislativi o amministrativi, successiva alla loro pro- mulgazione o emanazione, è estranea alla sfera delle attribuzioni regionali” (così Corte cost., 200/2008).
(17) In proposito, cfr. G. PICCIRILLI, I maxi-emendamenti alla prova della giustizia co- stituzionale in Italia e in Francia: tendenze opposte nel sindacato dei vizi del procedi- mento legislativo, in Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, a cura di E. GIANFRANCESCO e N. LUPO, Roma, Luiss University Press, 2007, p. 363 s.
(18) Indicazioni al riguardo, volendo, in N. LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fi ducia nelle legislature del maggioritario, in Le regole del diritto parlamen- tare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, cit., p. 45 s. e nei contributi ricom- presi in Maxi-emendamenti, questioni di fi ducia, nozione costituzionale di articolo, a cura di N. LUPO, Padova, Cedam, 2010.
marginalizzazione, degli organi di garanzia statutaria. Riscontro con grande piacere che, dopo anni di pressoché completa stasi, molti Consigli regionali hanno inaugurato una stagione di revisione o di riscrittura integrale dei propri regolamenti interni, alla ricerca di una riconfi gurazione del loro ruolo nella forma di governo regionale e di un aggiornamento di procedure spesso obsolete, sagomate sul testo originario dei regolamenti parlamentari del 197119. Segnalo, per esem- pio, che nell’ultimo anno sono stati approvati in Lombardia, in Pie- monte e in Abruzzo regolamenti consiliari integralmente nuovi e non privi di elementi di notevole interesse20. In questa chiave, non nella logica della concorrenza tra Giunta e Consiglio, ma della valorizza- zione delle partecipazioni al procedimento legislativo regionale, oltre che in quella del rafforzamento del legame con la società civile, sia i Consigli delle Autonomie locali, sia gli organi di garanzia statutaria, sia ulteriori organi consultivi possono essere utilmente integrati nei procedimenti consiliari attraverso apposite previsioni regolamentari.
4. Conclusioni
La mia conclusione, che spero sia almeno in parte emersa da quel che si è osservato fi nora, è che vada privilegiato per quanto possibile il rapporto dei neonati organi di garanzia statutaria con i Consigli regio- nali. Credo che anche l’idea degli organi di garanzia statutaria come una seconda Camera “di garanzia” abbia un fondo di verità. Certo,
(19) Cfr., anche per ulteriori riferimenti, Nuove regole per nuovi Consigli regionali. Il Filangieri. Quaderno 2009, a cura di E. GIANFRANCESCO, V. LIPPOLIS, N. LUPO, cit.
(20) Il nuovo regolamento del Consiglio regionale della Lombardia è stato approvato il 9 giugno 2009 ed è entrato in vigore il 1° settembre 2009 (su di esso cfr., tra gli al- tri, E. GRIGLIO, Il nuovo regolamento consiliare lombardo: la riscoperta del ruolo delle commissioni consiliari quale antidoto alla “crisi” delle assemblee elettive regionali?, in www.osservatoriosullefonti.it, 1/2010). Quello del Piemonte è stato approvato il 24 luglio 2009 ed è entrato in vigore nel 2010, con la nuova legislatura. Per un quadro cfr.
Ordinamenti regionali: innovazioni dopo la riforma del Titolo V e attuazione dei nuovi statuti, a cura dell’Osservatorio legislativo interregionale-gruppo di lavoro “Attuazione degli statuti”, Consiglio regionale della Toscana, Firenze, febbraio 2009, spec. p. 13 s.
e, ancor più di recente, Le riforme dei regolamenti consiliari, numero monografi co di Studi parlamentari e di politica costituzionale, a cura di E. GIANFRANCESCO e N. LUPO, 1°-2° trimestre 2010.
lungi da me lo sposare fi no alle sue ultime conseguenze questa tesi, che sarebbe evidentemente scorretta e non rispondente alla realtà, ma è bene considerare che, tra le varie valenze presenti all’interno del DNA di tali organi, c’è anche questa.
In questo senso può essere letta, del resto, anche la giurisprudenza costituzionale, laddove afferma – nella già ricordata sentenza 12/2006 – che la previsione del parere degli organi di garanzia statutaria “rien- tra nella disciplina del procedimento legislativo regionale” (a sua vol- ta “ricompresa indubbiamente nei ‘principi fondamentali di organizza- zione e funzionamento’ attribuiti dall’art. 123, primo comma, Cost. alla potestà statutaria delle Regioni”). Se è così, allora evocare, come ho provato a fare all’inizio di questo intervento, l’articolo 5 della Costitu- zione sui “metodi della legislazione” non è, forse, del tutto improprio.