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Sardegna – Pag. 4 1 ottobre 2007

DAI LABORATORI EDX DIAGNOSTIC UN INNOVATIVO TEST SALVACUORE DEL FETO

Sardi e svedesi a caccia di anticorpi

NATO NEL PARCO TECNOLOGICO DI PULA, TRA QUALCHE SETTIMANA L’APOC 200 VERRÀ DISTRIBUITO IN TUTTO IL MONDO

Due giovani biologhe sono indaffarate con un test di immunologia tra pipette, reagenti, peptidi sintetici ingegnerizzati, vetrini, sieri, microscopi e tutto ciò che deve esserci in un laboratorio scientifico.

Sono Maria Luisa Tavera di Ittiri e Cinzia Melis di Cagliari. Camici bianchi, cuffie, copriscarpa in plastica celeste per lavorare in un ambiente igienicamente consono. Su una piastra “viene depositata la proteina” e l’esame inizia il suo corso. Uno dei tanti esami per arrivare e perfezionare un test salvacuore del feto. Test rivoluzionario, nel segno vero della prevenzione. Con una tecnologia medica si può infatti stabilire se una donna incinta può trasmettere al proprio figlio, attraverso la placenta, un auto-anticorpo di tipo reumatico che provoca quello che gli studiosi chiamano blocco cardiaco fetale.

Meno di due anni di prove, di controlli, ed ecco il test Apoc 200. Il bimbo in seno alla mamma non viene per nulla coinvolto nell’esame. Bastano cinque millilitri di sangue prelevato alla madre in un centro specializzato (per adesso l’ospedale microcitemico e il Brotzu di Cagliari), i conseguenti esami e si conosce il risultato. La terminologia si fa specialistica perché - prima della “sentenza” - si parla di «dosaggio degli anticorpi e di sensori molecolari» per segnalare la presenza o l’assenza proprio di quegli stessi auto- anticorpi di cui si è detto. Un esame innovativo, unico al mondo, riservato in particolare alla donne affette da due malattie autoimmuni, il Les (lupus eritematoso sistemico) e la sindrome di Siogren. Un successo diviso tra la Sardegna e la Svezia dove (a Mora, 400 chilometri da Stoccolma) ha sede la Meadowland che sbarca nell’Isola e si insedia nel Parco tecnologico di Pula, a Sardegna Ricerche, padiglione 3, al centro dei boschi di Piscina Manna. Un test che tra poco, dall’insenatura del Golfo degli Angeli, viaggerà nel mondo. Dietro questo traguardo ci sono scelte politiche di ieri, visioni moderne della società nuragica, ma soprattutto storie esaltanti di eccellenze sarde che hanno studiato all’estero e, acquisito un bagaglio di competenze vere, sono tornate in Sardegna. Hanno attuato il back dopo il master. Ma ci sono anche imprenditori stranieri che hanno capito che in Sardegna si poteva arrivare per investire. Ecco l’integrazione. Ed ecco allora i protagonisti di questa storia scientifica e industriale sardo-svedese in un’azienda biotech di nome Edx Diagnostics. Non è la sola, certo. Ma è sufficiente per capire come anche le nozze fra il Mar Baltico e il Mediterraneo possono portare al successo. Per riverire l’ospitalità ecco il ritratto di uno svedese doc, anche col nome riporta a quelli ai quali ci ha abituato Ingmar Bergman con i suoi film e i suoi attori. Si chiama Per Harry Rutger Lindstrom, ha 53 anni, biologo molecolare, baffi pizzetto e capelli scarmigliati sale e pepe. È nato a Burea. Nel 2003 una delegazione sarda del Parco di Pula va a presentare Polaris a Uppsala, nella delegazione c’è una psichiatra sarda, Monica Mameli che collabora con la nostra ambasciata a Stoccolma. Nel pubblico c’è anche Lindstrom nella sua veste di presidente della Meadowland Business Partners AB. È fra ai massimi esperti scandinavi nella commercializzazione di innovazioni nel campo della biomedicina. Sente parlare dei progetti della Regione, del Parco, dei laboratori, delle agevolazioni che può fornire la finanziaria Sfirs. Si va subito a nozze dopo il necessario periodo di corteggiamento. E il 27 luglio del 2005, nello studio cagliaritano di un notaio, nasce EDX Diagnostic, 77 per cento del capitale è svedese, il restante 23 per cento è della Sfirs che concede un finanziamento da 1,5 milioni di euro. Dice Lindstrom: «Noi - che abbiamo 32 brevetti - abbiamo investito circa 17 milioni di euro in proprietà intellettuale e oggi siamo pronti a presentare al mercato il primo dei nostri prodotti diagnostici, Apoc 200 appunto». Nel frattempo Lindstrom si innamora della Sardegna. Da cuoco provetto impara a cucinare anche il maialetto arrosto, coltiva i suoi hobby nel progettare e rinnovare case, legge libri storici e ama i thriller scientifici, scia e fa trekking. Anche

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quando è a Pula inizia la giornata leggendo le email poi passa ai quotidiani on line, Wall Street Journal, New York Times ed Herald Tribune, in Svezia legge il quotidiano di economia Dagens Industri. In Svezia ha cinque cavalli («io con loro ci parlo», e si vola con la fantasia al film di Robert Redford e Scarlett Johansson). Quando è in Sardegna ama vedere i cavallini della Giara e ha seguito l’Ardia di Sedilo. Dice: «Siamo molto contenti di aver scelto l’Isola, la qualità della vita è onorata, e poi in Sardegna Ricerche abbiamo trovato un supporto valido, qui abbiamo personale specializzato con preparazione di altissimo livello». Direttore medico di ADX Diagnostic è Monica Mameli, la psichiatra che lavorava all’ambasciata italiana. La sua è un’altra di quelle pagine belle da leggere. E non solo perché è uno dei cervelli rientrati a lavorare in Sardegna. Monica ha 41 anni, nasce a Domusnovas, il padre Luigi commerciante, la madre casalinga, è la terza di quattro figli, il fratello Giancarlo lavora in un’azienda di giardinaggio, Efisio fa l’impiantista a Cuneo, Anna Rita è assistente all’infanzia a Iglesias. A Monica gli orizzonti si aprono già in terza elementare perché la maestra Maria Rosaria Peddis «ci insegnava l’inglese e ci diceva che bisognava conoscere e amare il nostro paese ma anche il resto del mondo». Liceo scientifico all’Asproni di Iglesias, alla maturità sceglie il tema sul pessimismo cosmico di Giacomo Leopardi ma è il poeta di Recanati che le dà la spinta per indagare, scrutare la mente umana. Un po’ di pessimismo le arriva anche da alcune vicende mediche, a Cagliari sbagliano del tutto una diagnosi e Monica non esita a iscriversi in Medicina e Chirurgia, ma alla Sapienza di Roma. Le piace la psichiatria, tesi sulla «melatonina in pazienti schizofrenici», 110 e lode ottenuto da Paolo Panchieri. Inizia la specializzazione e così sperimenta la validità del consiglio di maestra Peddis e passa tre mesi al Bronx di New York, «dove trovavo tanta umanità disperata e trascurata, abbandonata del tutto, Sì, c’erano i farmaci, ma quanti effetti collaterali producevano. È in questa fase newyorkese che decido di approfondire la ricerca di base sugli effetti dei farmaci nei pazienti. E penso di studiare e produrre un farmaco col minor numero possibile di effetti collaterali». C’è da fare il dottorato. Dove? Intanto a Roma. Che ha ottimi rapporti col Dipartimento di Neuroscienze “Bernard Brodie” di Cagliari diretto da Gian Luigi Gessa. La scelta va fatta fra gli Stati Uniti, il Regno Unito o la Svezia. Monica sceglie il vento del Nord e approda a Stoccolma, al Karolinska Institutet che ha i collegamenti internazionali giusti: negli Usa l’Albert Einstein University, il Montefiore Medical Center-Bronx Schizophrenia Unit a New York. Il Karolinska, tanto per intenderci, è quell’istituto che assegna ogni anno i Nobel per la Medicina. C’è poi il National Institute of Mental Health a Bethesda dove alcuni sardi hanno studiato a lungo (fra gli altri Mario Pirastu, direttore del Cnr di Tramariglio e del Parco Genos dell’Ogliastra). Il Karolinska è in contatto stretto con l’Istituto Pasteur di Parigi. «Stoccolma rappresentava l’espressione migliore, più avanzata della ricerca di base applicata alla clinica. Ero abituata a vedere nel mondo i pazienti schizofrenici sporchi, trascurati, talvolta maltrattati. Al Karolinska li vedevo puliti, seguiti, amati, passeggiavano in giardini fioriti. Là c’erano le case-famiglia, i pazienti venivano seguiti a domicilio, venivano incoraggiati a tornare alle loro case dove l’assistenza era comunque garantita. Io conoscevo già bene il metodo Basaglia molto apprezzato anche in Svezia. Ma là c’erano i mezzi per attuare quella rivoluzione, da noi no». A Stoccolma Monica si trova bene. Conosce il marito, Per Engvall, medico pure lui, primario dell’emergenza psichiatrica. Si sposano ma non hanno figli. Spiega: «Ero un po’

avvolta dal pessimismo cosmico. Dovevo decidere se avrei potuto dare tutta me stessa a un figlio o meno. Non me la son sentita, ero piena di dubbi, eppure sono una femminista convinta, sostengo le mamme lavoratrici». Casa e professione. Dieci anni tra i malati mentali, in Svezia e negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra. Pensa sempre a quei farmaci che non siano “pesanti” per i malati di mente. Collabora soprattutto col Pasteur di Parigi, crea un set-up di elettrofisiologia in vivo. «Al Pasteur avevano i topolini transgenici, noi al Karolinska no, creiamo un trait-d’union e la ricerca va avanti». Monica passa dalla teoria alla pratica, dai laboratori all’assistenza diretta agli schizofrenici. I suoi studi vengono pubblicati su Nature e Neuron. E in questa fase che arriva a Stoccolma la delegazione di Polaris che vuol calamitare investimenti in Sardegna. Monica è tra gli

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speaker scientifici. Molte aziende ascoltano. Tra i più attenti c’è Per Lindstrom. Da cosa sta per nascere cosa. Quand’ecco che proprio su Nature, anno 2005, Polaris pubblica un bando con una selezione per assegnisti di ricerca e borse di studio. A Monica non sembra vero. Invia il curriculum e la chiamano. La seguono a ruota Maurizio Olla dall’Australia, altri giovani ricercatori sardi dal Canada e dagli States. Tra Monica Mameli e Lindstrom si saldano i rapporti. Ed ecco il back, direttore medico a Pula. La prima sperimentazione è riservata alla prevenzione dell’infarto congenito del feto. «Siamo gli unici a farlo - dice Monica -. La produzione avviene in Svezia, la sperimentazione è in parallelo al Karolinska Institutet, tra qualche settimana partirà l’applicazione in Sardegna». Edx Diagnotics si avvale di trenta professionisti tra dipendenti e consulenti. Il sessanta per cento sono sardi come Maria Luisa Ravera e Cinzia Melis. Cinzia ha lavorato tre anni all’estero, a Clermonnt in Francia, Maria Luisa ha fatto i suoi stage a Bergamo e Milano. «Qui ci troviamo bene», dicono. Massimo Magno è napoletano, ha sposato Monica Musio di Barumini, è dell’area manager: «Fra due, tre settimane il nostro test sarà disponibile sul mercato. Stiamo sensibilizzando le persone a questo tipo di patologia, stiamo creando - per dirla con i francesi - un mouvement d’eprit, la prevenzione ne ha bisogno». In un ufficio discutono Lindstrom e Monica Mameli. Quale è il futuro della ricerca in Sardegna?

Monica: «Siamo già nel futuro, i cervelli ci sono, occorre poter arrivare al prodotto finale, occorre non chiudersi, dialogare e confrontarsi col mondo, pronti ad accogliere le critiche altrui per crescere insieme». Lindstrom: «La Sardegna è bella, vivibile dodici mesi all’anno, deve continuare a investire nella ricerca, nella valorizzazione dei cervelli, è la strada giusta». Ma Monica Mameli Engvall sta meglio in Svezia o in Sardegna? «In Svezia ci vorrebbe un po’ di Sardegna, in Sardegna ci vorrebbe un po’, anzi più di un po’ di Svezia, sarebbe stupendo».

Giacomo Mameli

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