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Il sistema valutativo nel settore previdenziale e delle assicurazioni sociali con specifico riferimento all’assicurazione infortuni

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Academic year: 2022

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Il sistema valutativo

nel settore previdenziale e delle assicurazioni sociali con specifico riferimento all’assicurazione infortuni

di

Pasquale Varone*

Occorre premettere che nel sistema della assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, le rendite vengono corrisposte al lavoratore infortunato o che abbia contratto una malattia professionale nel presupposto che il carattere professionale dell’evento protetto lo renda, in attuazione dell’articolo 38 della Costituzione, meritevole di una tutela differenziata - rispetto al ristoro del danno condotto con criteri civilistici - ed automatica (ed in quanto tale indifferente all’avere il datore di lavoro versato o meno i premi assicurativi (art. 67 del T.U. approvato con D.P.R. 30 giugno n. 1124).

Alla rilevanza che assume nell’assicurazione infortuni il “rischio professionale” consegue un sistema di prestazioni economiche con funzione indennitaria.

Tale prestazioni comprendono (art. 66 del precitato T.U.) una rendita per inabilità permanente, intesa come quella inabilità che priva completamente e per tutta la vita l’infortunato della attitudine al lavoro (inabilità permanente assoluta) o che la riduce in parte ma essenzialmente e per tutta la vita (inabilità permanente parziale).

In considerazione del “rischio professionale” che caratterizza l’assicurazione obbligatoria in questione, l’attribuzione della rendita presuppone una inabilità che riduce l’attitudine al lavoro.

Tale attitudine al lavoro “art. 74 del precitato T.U.), che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha confermato doversi considerare attitudine “generica” e non quindi correlata alla specifica professione od attività lavorativa svolta dal lavoratore, deve pertanto essere ponderata.

Ciò anche perché esiste una “franchigia” costituita dalle inabilità conseguenti ad infortunio che riducano l’attitudine in misura non superiore al 10 per cento (art. 74 T.U. sopra citato) le quali pertanto non danno luogo al diritto alla rendita.

La ponderazione della riduzione della attitudine al lavoro avviene sulla base di tabelle (allegate al precitato T.U.) distinte per l’industria e per l’agricoltura e nelle quali, accanto all’elenco delle menomazioni il grado percentuale di tale invalidità.

Al grado percentuale di invalidità (o meglio di riduzione della attitudine al lavoro) determinato sulla scorta di tali tabelle è correlata la rendita sulla base di aliquote della retribuzione predeterminate dalla legge (art. 74 T.U.).

Tale sistema valutativo si caratterizza pertanto per l’essere incentrato sulla ponderazione della attitudine al lavoro, vale a dire sulla valutazione di una dato di carattere sostanzialmente economico quale è quello che si correla alla capacità di svolgere una attività produttiva di reddito.

Il carattere indennitario della rendita che consegue a tale valutazione ha fatto si che nella costruzione delle tabelle di valutazione del grado percentuale di invalidità permanente si siano seguiti criteri di sostanziale larghezza per cui la valutazione ai fini dell’assicurazione infortuni delle percentuali di invalidità si rivelano superiori alle percentuali di valutazione civilistica del danno alla persona che consegua ad una analoga menomazione.

Questo si è verificato, con ogni probabilità sotto l’influsso della particolare tutela che il legislatore ha voluto accordare al rischio professionale, tutela che ha comportato un sostanziale cumulo, nella valutazione della lesione della attitudine al lavoro, anche di altre componenti lesive che non incidevano su tale attitudine bensì su altri profili ad essa connessi o comunque concomitanti.

* Avvocato Generale INAIL, Roma

Collana Medico Giuridica ADDITO SALIS GRANO

ed. Acomep, 1998

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Ciò ha indotto sia alcuni autorevoli esponenti della medicina legale che una diffusa giurisprudenza di merito a ritenere che le tabelle di valutazione della percentuale di invalidità non solo il dato relativo alla diminuzione dell’attitudine al lavoro, bensì anche, in qualche misura, quello relativo alla lesione della integrità psicofisica che non incide sull’attitudine a produrre reddito e che rientra nella nozione di danno biologico “in sé considerato”.

Ne consegue che l’INAIL - secondo tale indirizzo interpretativo delle tabelle valutative in questione - allorché eroga la rendita da infortunio verrebbe ad indennizzare, almeno in parte, anche il cosiddetto danno biologico.

Dalla sentenza n. 356/1991 della Corte Costituzionale - la quale ha affermato che “la considerazione della salute come bene e valore personale, in quanto tale garantito dalla Costituzione come diritto fondamentale dell’individuo, nella sua globalità e non solo quale produttore di reddito, impone invece di prendere in considerazione il danno biologico, ai fini del risarcimento, in relazione alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, e cioè a tutte ‘le attività realizzatrici della persona umana’ (sent. n. 184 del 1986)” - è derivato poi un altro indirizzo interpretativo che tende ad inserire anche la perdita di attitudine al lavoro nel concetto di danno biologico.

Tale indirizzo interpretativo porta a qualificare il danno preso in considerazione dalle tabelle valutative allegate al T.U. 1965 n. 1124 come una parte del danno biologico.

Ne consegue che dovendosi assoggettare - come ha suggerito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 87/1991 - ad una tutela in forma previdenziale il danno biologico prodottosi nello svolgimento ed a causa delle mansioni di lavoro, la presenza, nell’ambito della assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, di un sistema tabellare almeno nominalmente costruito sulla ponderazione della incidenza che ciascuna menomazione ha sulla attitudine al lavoro, comporta una gamma di possibili soluzioni che sono condizionate dalle diverse interpretazioni, alle quali sopra si è accennato, delle vigenti tabelle e dell’oggetto effettivo della valutazione che esse recano.

Tali possibili soluzioni sono oggi al centro di un approfondito dibattito e si spazia dalla tesi di coloro che ritengono il danno biologico, di per sé areddituale, suscettibile di una tutela i forma previdenziale mediante il ricorso alla elaborazione di nuove tabelle valutative che includano in primo luogo la ponderazione (intesa come un prius) del danno biologico, dalla quale si fa poi derivare, per le menomazioni che superino una certa soglia minima, un danno riferito alla attitudine al lavoro, alla soluzione, da altri prospettata, di enucleare dalle attuali tabelle valutative della riduzione dell’attitudine lavorativa la parte costituente il danno biologico e di aggiungere, con una tabella a parte, per le stesse voci, una valutazione riferita al danno biologico insito nella medesima menomazione.

Si tratta di una problematica vasta e complessa, influenzata anche da una notevole confusione di linguaggio e di concetti che regna in materia di danno biologico che evidenzia la delicatezza della materia della tabellazione delle conseguenze delle lesioni in ambito medico legale.

Fra l’altro tali tabelle debbono conciliare i diversi criteri di quantificazione del danno che per quanto concerne la perdita di attitudine al lavoro viene attuata con riferimento alle retribuzioni percepite, mentre per quanto riguarda la componente del danno biologico viene operata mediante l’attribuzione di un importo predeterminato e fisso per ciascun punto della valutazione civilistica.

Collana Medico Giuridica ADDITO SALIS GRANO

ed. Acomep, 1998

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