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La Corte di Cassazione interviene sulle preclusioni istruttorie e sui poteri del giudice nel procedimento sommario di cognizione - Judicium

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Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 17/05/2018) 05-10-2018, n. 24538 PROCEDIMENTO CIVILE

Ricorso per cassazione REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele - Presidente - Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere - Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere - Dott. POSITANO Gabriele - Consigliere - Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16575/2016 R.G. proposto da:

Q.M. E N.V., rappresente e difese dall'Avv. Giovanni Franchi e dall'Avv.

Angelo Colucci, con domicilio eletto in Roma, via Italo Carlo Falbo, n. 22, presso lo studio di quest'ultimo;

- ricorrenti -

contro

SOC. PRO.GES SOC. COOP. SOCIALE A R.L., in persona del suo rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Carlo Andrea Restano, dall'Avv. Sebastiano Guerzoni e dall'Avv. Maria Martignetti, con domicilio eletto in Roma, via Appiano, n. 40, presso lo studio di quest'ultima;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna n. 783/2016 depositata il 10 maggio 2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17 maggio 2018 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

Svolgimento del processo

1. Q.M. e N.V., eredi di Q.V., convenivano, ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., davanti al Tribunale di Parma, Pro.Ges. Cooperativa sociale Onlus, per sentir dichiarare che nulla le dovevano per il ricovero, dall'1.4.2011 al 29.9.2012, presso la Casa Protetta di (OMISSIS), di Q.P. e per ottenerne la condanna alla restituzione della somma di Euro 27.880,00.

1.1. Accertata la contumacia della Pro.ges, il Tribunale adito, con ordinanza del 6.7.2015, rigettava il ricorso, ritenendo non provata la patologia di Q.P.: prova necessaria per stabilire se egli avesse fruito di prestazioni anche sanitarie oltre che socio-assistenziali, solo le prime poste a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

2. Q.M. e N.V. proponevano appello dinanzi alla Corte di Appello di Bologna, ex art. 702 quater c.p.c., avverso l'ordinanza del Tribunale di

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Parma per ottenere l'accoglimento delle domande formulate in primo grado e per essere ammesse alla produzione di nuovi documenti.

2.1. La Corte di Appello, con sentenza n. 783/2016, depositata il 10/05/2016 - giudicando infondato il primo motivo di appello relativo all'asserita non corretta applicazione, da parte del giudice di primo grado, dell'art. 702 ter c.p.c.;

- rigettava l'appello e condannava le appellanti a rifondere alla Pro.ges le spese del grado.

2.2. In particolare, la Corte territoriale ritenne che: a) la decisione di proporre la domanda nelle forme del rito sommario era stata frutto di una scelta processuale delle attrici, perciò la possibilità di conversione del rito, ai sensi dell'art. 702 ter c.p.c., comma 3, non poteva che dipendere dalla valutazione giudiziale dei fatti allegati dalle parti e delle loro deduzioni istruttorie; b) l'inerzia delle ricorrenti, che avevano omesso tanto di allegare i fatti decisoriamente rilevanti quanto di indicare i mezzi di prova, non giustificava, dunque, la conversione del rito; c) i documenti offerti in comunicazione in appello erano già nella disponibilità delle appellanti al momento della proposizione del giudizio e comunque non avevano contenuto immediatamente decisorio.

3. Avverso detta sentenza Q.M. e N.V. propongono ricorso in cassazione, basato su quattro motivi, illustrati da memoria.

3.1. Resiste con controricorso Pro.ges. Cooperativa sociale Onlus.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo le ricorrenti lamentano, senza indicare quale delle categorie logiche di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, la corte territoriale avrebbe disatteso, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 702 ter c.p.c., comma 3.

5. Con il secondo motivo, anch'esso difettante di indicazioni quanto alla tipologia di vizio riconducibile alle categorie previste dall'art. 360 c.p.c., comma 1, le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 702 quater c.p.c..

6. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e della L. n. 833 del 1978, anche in questo caso omettendo di indicare il vizio rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1.

7. Con il quarto motivo deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione alla L. n. 833 del 1978, senza indicare il vizio rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1.

8. In via preliminare, va esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla resistente per mancata esposizione sommaria degli elementi di fatto e violazione del principio di autosufficienza, di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 (pp. 3-5 del controricorso).

8.1. Benchè nel ricorso manchi una parte destinata expressis verbis alla esposizione del fatto, l'esplicazione dei motivi consente comunque di desumere il fatto sostanziale e processuale in modo sufficiente allo

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scrutinio del ricorso. Il ricorso non è, dunque, inammissibile, e questa Corte reputa che abbia raggiunto il suo scopo. Risultano, infatti, seppure non dall'esposizione formale a ciò finalizzata, percepibili tanto il fatto sostanziale quanto quello processuale, garantendo quella completezza enunciativa altrimenti mancante (Cass. 8.7.2014, n. 15478).

9. Altra e distinta questione, riguardante la formulazione di tutti i motivi di ricorso e che per questo viene scrutinata a monte, è quella relativa alla mancata rubricazione, cioè al difetto di riconduzione al paradigma dell'art. 360 c.p.c.. Vero è, però, che. la mancata indicazione dei motivi non conduce automaticamente ad un giudizio di inammissibilità del motivo di ricorso, giacchè occorre accertare se esso abbia oppure non raggiunto il suo scopo, stante che l'indicazione delle norme violate è richiesta al fine di circoscrivere il quid dispuntandum (Cass. sez. un.

24.7.2013, n. 17931).

9.1. Va tenuto altresì conto che, benchè tutti i vizi siano stati proposti facendo riferimento alla medesima formula - quella della "violazione e falsa applicazione" - alcuni risultano riconducibili ad altrettanti errores in procedendo, trattandosi evidentemente di asserite violazioni relative a norme processuali, altri, invece, indirizzati verso la violazione di norme sostanziali, sono rubricabili quali vizi rilevanti ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Questa Corte, però, ritiene che, quando come nel caso di specie si fa valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia, è ammissibile anche il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art.

360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'"error in procedendo", di cui al n. 4 del citato art. 360 (in tal senso: Cass.

06/10/2017, n. 23381; Cass. sez. un. 24/07/2013, n. 17931).

10. Si può passare ora allo scrutinio dei motivi.

10.1. Il primo motivo risulta infondato.

10.2. Le censure formulate riguardano due profili della sentenza impugnata: 1) il giudice a quo, ritenuto che le difese svolte dalle parti richiedevano una istruzione non sommaria, avrebbe dovuto disporre la conversione del rito; 2) il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere non provata la circostanza che Q.P. avesse bisogno di prestazioni di tipo sanitario, perchè l'onere di cui all'art. 163, comma 3, nn. 4 e 5, era stato assolto, sia pure parzialmente, dalle ricorrenti che avevano dimostrato che Q.P. aveva bisogno di cure mediche "superiori alla metà" (p. 6 del ricorso).

10.3. Quanto al primo profilo, la tesi delle ricorrenti che dell'art. 702 ter c.p.c. comma 3, vada inteso "anche" nel senso che il passaggio alla trattazione con rito sommario debba disporsi quando il giudice adito ritenga non provata la domanda è non solo contraria alla lettera della norma, la quale suppone che la necessità della cognizione piena derivi dal tenore delle difese del convenuto, ma anche manifestamente in

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contrasto con il comma 5 della norma stessa, là dove si allude al dar corso agli atti di istruzione rilevanti e lo si fa supponendo che ve ne siano da compiere; ciò implica, in assenza di previsione di un potere d'ufficio di disporre mezzi di prova diverso da quello limitato previsto per il rito ordinario, che essi siano quelli oggetto delle richieste probatorie proposte dalle parti, non essendovi deroga all'onere della prova.

10.3.1. Appare, dunque, condivisibile la statuizione della corte territoriale secondo cui "la decisione di proporre una domanda nelle forme del rito sommario, ex art. 702 bis c.p.c., è la conseguenza di una scelta processuale della parte che agisce, la quale, ha pur sempre l'onere di fornire le indicazioni di cui all'art. 163, comma 3, nn. 4) e 5). La conversione del rito, ex art. 702 ter c.p.c., comma 3, invocata dalle appellanti, si ha quando il giudice ritenga che non possa farsi luogo ad un giudizio sommario sulla scorta delle difese svolte dalle parti, tenuto conto cioè dei fatti allegati dalle parti e delle loro dedusizio istruttorie già enunciate in limine litis".

10.3.2. La specificità del rito sommario ex art. 702 bis c.p.c., risiede anche nella necessità che le parti, ma soprattutto il ricorrente, deducano negli atti di costituzione tutte le istanze istruttorie che ritengono di formulare per adempiere al loro onere probatorio ex art. 2697 c.c.. Solo attraverso le concrete allegazioni del thema decidendum e probandum delle parti il giudice può, infatti, valutare nell'ambito di quel processo se la causa possa o meno essere decisa con una istruzione sommaria e in caso di valutazione negativa disporre il mutamento del rito ex art. 702 ter c.p.c..

10.3.3. Se la valutazione del thema decidendum e delle "prove" dedotte dalle parti è tale da far ritenere non provata la domanda il giudice è tenuto a rigettarla, perchè, sulla base delle prove dedotte, essa risulta non fondata. La valutazione in merito alla conversione del rito non può essere, quindi, condotta sulla base dell'insufficienza o dell'inidoneità delle prove dedotte a fondamento della domanda, altrimenti la conversione del rito consentirebbe di rimettere nei termini la parte ricorrente per le allegazioni istruttorie, aprendo ad ipotesi di conversione del rito determinate non dalla natura non sommaria dell'istruttoria da compiere, ma da carenze nelle deduzioni delle prove: ipotesi di conversione del rito non contemplata affatto dall'art. 702 ter c.p.c..

10.3.4. Tantomeno può pretendersi che, in applicazione dell'art. 702 ter c.p.c., comma 5, il giudice superi, avvalendosi dei propri poteri istruttori, eventuali carenze od omissioni probatorie. La disposizione non depone affatto per un superamento o un'attenuazione, nell'ambito del procedimento sommario, dell'onere della prova, come del principio di disponibilità delle prove (Cass. 25/11/2014, n. 4485).

10.3.5. Va considerato che il rito sommario mira a definire la lite con rapidità, in ragione della più o meno manifesta fondatezza o infondatezza della domanda e della dipendenza del relativo accertamento da poche e

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semplici acquisizioni probatorie. La scelta del giudice di merito di esercitare gli ampi poteri d'iniziativa istruttoria, concessigli dall'art. 702 ter c.p.c., comma 5, esprime una valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione esente da vizi di logica giuridica, restando nel contempo esclusa la sola possibilità di decidere la controversia mediante l'applicazione dell'art. 2697 c.c., quale regola di giudizio, nel senso che il giudice non può dare per esistenti fonti di prova decisive e nel contempo astenersi dal disporne l'acquisizione d'ufficio.

10.4. In merito alla seconda censura, prospettata con il primo motivo, va rilevato che essa non soddisfa il principio di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, giacchè, pur menzionando una certificazione della Pro.ges da cui emergerebbe la necessità che Q.P. venisse assistito anche dal punto di vista sanitario (p. 6 del ricorso), non indica in quale sede processuale tale documento sia stato prodotto, nè si fa cenno alcuno al fatto che già in sede di appello le ricorrenti si fossero dolute della sua mancata considerazione da parte del giudice d'appello che infatti non se ne occupa (Cass. sez. un. 02/12/2008), n. 28547) 11. Il secondo motivo è inammissibile e, anche se non lo fosse, risulterebbe infondato.

11.1. La ricorrente elenca una serie di documenti non ammessi dal giudice di appello senza fornirne neppure la loro necessaria indicazione contenutistica contravvenendo al requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, stante che chi si duole dell'omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito ha l'onere, non solo di produrlo agli atti, ma anche di indicarne il contenuto, pena l'inammissibilità del motivo di ricorso (Cass. 04/09/2008, n. 22303;

Cass. 03/07/2009, n. 15628).

11.2. In aggiunta, va considerato che la Corte di appello non ha accolto la richiesta del ricorrente di produrre nuovi documenti, sulla scorta di due ragioni: i documenti non rispondevano al requisito della indispensabilità richiesto dall'art. 702 quater c.p.c.; tali documenti erano già nella disponibilità delle parti.

11.3. In particolare i documenti prodotti - certificazioni sanitarie e pareri erano, a giudizio della corte territoriale, inidonei a conferire la certezza diagnostica ricercata. E' vero, infatti, che, anche sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, trattandosi di dichiarazioni di scienza (Cass.

1/8/2017, n. 19089), non erano tali da eliminare ogni possibile incertezza circa le condizioni di salute di Q.P.. Non soddisfacevano, dunque, il requisito della "indispensabilità" richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 702 quater c.p.c.; indispensabile è, infatti, "quella prova di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria

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negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado" (Cass. Sez. Un., 4/05/2017, n. 10790).

11.4. Per di più la Corte ha accertato che i documenti che la parte ricorrente aveva chiesto di produrre per la prima volta in appello erano già nella sua disponibilità.

11.5. La ragione tranciante per le quale le ricorrenti non sono state ammesse a produrre nuovi documenti, tuttavia, non risiede (solo) nella possibilità per la parte di produrli, ma (soprattutto) nella carenza di decisività. E' quanto emerge dalla più recente giurisprudenza di legittimità - Sez. un. n. 10790/2017 citata che fa leva sulla prevalenza della verità materiale, capace di temperare i sistemi di preclusione in astratto concepiti per essere più rigorosi, per cui il giudice - a fronte di una prova, per così dire, chiara e lampante - sia pure tardivamente acquisita per causa imputabile, deve privilegiarne la decisività a scapito della tardività.

11.6. Le Sezioni unite, infatti, hanno affermato che "il regime delle preclusioni istruttorie non è un carattere tanto coessenziale al sistema da non ammettere alternative, essendo soltanto una tecnica elaborata per assicurare rispetto del contraddittorio, parità delle parti nel processo e sua ragionevole durata, tecnica che ben può essere contemperata (secondo modalità pur sempre rimesse alla discrezionalità del legislatore) con il principio della ricerca della verità materiale".

11.7. E' stata dunque la natura non decisiva dei documenti ad aver orientato la decisione del giudice. E' vero, infatti, che i certificati sono atti che, pur provenendo da pubblici funzionari e pur essendo destinati anch'essi alla prova, o hanno natura di documenti "secondari" o

"derivati" (perchè contengono dichiarazioni di scienza cioè l'attestazione di fatti e dati che sono noti al pubblico ufficiale in quanto provengono da altri documenti ufficiali o dalle sue conoscenze tecniche) ovvero implicano giudizi e valutazioni che, come tali, non possono essere oggetto di documentazione fidefaciente. E' condivisibile la conclusione del giudice a quo che essi non integrassero i caratteri della prova decisiva perchè non eralo tali da dissipare lo stato incertezza in ordine condizioni di salute di Q.P.. Del resto, è indubbio che spetti al giudice di merito valutare l'efficacia dimostrativa delle prove dedotte in giudizio (Cass. 04/12/2015, n. 24754).

12. Gli ultimi due motivi di ricorso, il terzo e il quarto, sono inammissibili, perchè risultano privi di specifica attinenza con il decisum della sentenza impugnata (Cass. sez. un., 20/03/2017, n. 7074). Il ricorso in Cassazione deve contestare la ratio o le rationes decidendi (Cass.

10/08/2017, n. 19989). I motivi, così come formulati e dedotti, sono, dunque, nulli per inidoneità a raggiungere lo scopo, sono propriamente

"non motivi" (Cass. 03/08/2007, n. 17125; Cass. 17/07/2007, n.

15952).

13. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

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14. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018

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