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Il controllo del giudizio di fatto in Cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite - Judicium

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F

ABIO

S

ANTANGELI

Il controllo del giudizio di fatto in Cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite1

Sommario: Sezione prima: Letture “teoriche” sul controllo del giudizio di fatto in Cassazione. - 1. Il vizio della motivazione come oggetto diretto di ricorso dopo la modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. - 2. Il controllo della motivazione come necessario strumento per l’esame degli errori di diritto nel giudizio di fatto. - 3. L’art. 360 n. 5 c.p.c. e le refluenze sul controllo del giudizio sul fatto e sulla motivazione. Per una possibile estensione del vizio di motivazione in assenza della “doppia conforme”. - 4.

La reale portata dell’art. 384, comma 2, c.p.c. - 5. Segue. L’art. 384, comma 2, c.p.c.

ed il principio di autosufficienza nel ricorso alla luce delle intervenute modifiche.- Sezione seconda: Le prime sentenze in Cassazione sul controllo in fatto delle decisioni, e sul vizio di motivazione.- 6. Le Sezioni unite ed il principio di diritto emesso ai sensi dell’art. 384 c.p.c. - 7. La necessità di implementare e riformulare il principio di diritto perché meglio risponda all’integrale contenuto della sentenza. - 8.

Il nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. nell’interpretazione che segue le Sezioni Unite. - 9.

Sperando in una ulteriore evoluzione. Gli ulteriori esami che la cassazione è chiamata a compiere. - 10. Lo ius litigatoris come scudo dell'attribuzione alla magistratura ordinaria della funzione nomofilattica.

Sezione prima. Letture “teoriche” sul controllo del giudizio di fatto in Cassazione.

1. Il vizio della motivazione come oggetto diretto di ricorso dopo la modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c.

La precedente versione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.2 consentiva di proporre ricorso per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile

1 Questo articolo nasce dalla lettura del libro del Consigliere LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, di prossima pubblicazione nella collana La biblioteca di diritto processuale civile, Torino, 2015. Ne segue le profonde riflessioni, pur distaccandosi negli esiti.

2 Modificata con il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in l. 11 agosto 2012, n. 143.

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d’ufficio”3. Questa disposizione è stata di recente modificata, ed il nuovo testo recita: “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Si è, almeno espressamente, escluso quindi che il vizio di motivazione possa essere oggetto di contestazione in Cassazione, con evidenti refluenze anche sul controllo del giudizio di fatto dei giudici di merito avanti alla Corte di legittimità.

L’opinione degli studiosi, tuttavia, ha, seppur in modi differenti, offerto diverse e più coerenti ed affascinanti letture del complesso dei motivi di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., proprio in riferimento al controllo della motivazione e del giudizio di fatto.

Così, parte della dottrina ha ritenuto che i vizi della motivazione sul giudizio di fatto sarebbero adesso sindacabili ex art. 360 n. 4 c.p.c.; la sentenza di merito sarebbe nulla per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (ai sensi dell’art.

156 comma 2 c.p.c.), non soltanto per le ipotesi di motivazione inesistente, ma anche per la motivazione contraddittoria o insufficiente4. Ed ha certo un senso sostenere che “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” di cui all’art. 132 c.p.c. non debba essere intesa come elemento integrato dalla mera esistenza di una motivazione purchessia, ma che l’importanza del requisito, richiesto necessariamente in sentenza addirittura dall’art. 111 cost., possa dirsi soddisfatto solo dall’esistenza di una motivazione dotata di quei requisiti minimali, perché una motivazione possa dirsi tale e che impongono che la stessa sia, appunto, se non completa ed esaustiva ancorché concisa, come dovrebbe in realtà essere, quantomeno “non contraddittoria”5 ma probabilmente almeno anche “sufficiente”, e non soltanto esistente solo formalmente.

Con un esame della motivazione che sembra in sintonia con quanto di recente espresso anche in sentenze della Corte di legittimità, che sanziona la decisione oggetto di impugnazione quando “la decisione impugnata non ha reso solo una motivazione succinta (cfr. nuovo art. 118, comma 1, att. c.p.c., come modificato dalla l. n. 69 del 2009), ma addirittura una motivazione meramente apparente, ossia una non motivazione, sottraendosi all’obbligo che grava sul giudice di fornire, sia pure in modo sintetico, i criteri di lettura del

3 Secondo il testo del n. 5 dell'art. 360 del codice del 1942, il ricorso per cassazione era consentito «per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». Il testo poi modificato dalla riforma del 1950 prevedeva il ricorso per «omessa insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto della controversia prospettato dalle parti, o rilevabile d'ufficio».

4 LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit., 216-218.

5 Secondo DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell'ennesima «riforma urgente»: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l.

83/2012), in www.judicium.it, la sentenza con una motivazione inesistente, contraddittoria o illogica, sarebbe comunque sindacabile per violazione dell'art. 132 c.p.c. ai sensi dell'art. 360 n. 4.

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proprio ragionamento”; che inoltre, per la loro verifica, sembrano pretendere un riesame potenzialmente alla luce degli atti della controversia6.

2. Il controllo della motivazione come necessario strumento per l’esame degli errori di diritto nel giudizio di fatto

Altre tesi riconducono comunque seppur diversamente al sindacato della cassazione il controllo dei (supposti) errori commessi dal giudice nel giudizio di fatto. La Cassazione, in quanto giudice deputata al controllo in diritto, ha certo anche il compito di controllare che nel giudizio di fatto siano rispettate le regole giuridiche che espressamente o per desunzione il giudice di merito ha il dovere di osservare; e questo esame non può non passare anche, quando non soprattutto, dal controllo della motivazione del provvedimento.

È elemento acquisito già nel vigore della precedente disciplina che la violazione delle norme che disciplinano l’assunzione delle prove (art. 191- 266 c.p.c.) sono denunciabili in cassazione, verosimilmente ai sensi dell’art.

360 c.p.c. n. 4, come errores in procedendo7. Ed altrettanto è a dirsi per

6 Cfr. Cass. sez. I, 28 gennaio 2015, n. 1631. La prima sezione della Corte Suprema ha cassato la decisione della Corte d'appello di Milano, la quale aveva respinto gli appelli principale ed incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale di Monza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, che poneva a carico dell'ex coniuge un assegno divorzile di Euro 300,00 mensili. La Corte di legittimità nel ribadire il principio che l’assegno di divorzio è indipendente dagli obblighi di mantenimento operanti nel regime di separazione, per cui l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un mero indice di riferimento per fornire utili elementi di valutazione, ma non può far venir meno l'obbligo motivazionale sulla esistenza dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno di divorzio, censura la decisione impugnata in quanto priva dell'accertamento richiesto dall'art. 5, co. 6, della l. n. 898 del 1970, in ordine alla sussistenza in concreto dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno di divorzio.

La Corte evidenzia che la motivazione della sentenza di merito si è limitata ad affermare che: “Già con la sentenza di separazione emessa il 18/7/06 era stato riconosciuto un assegno di mantenimento a favore della M. di Euro 500,00 mensili in considerazione del fatto che era casalinga sfornita di redditi propri”. In tal modo, la decisione impugnata non ha reso solo una motivazione succinta (cfr. nuovo art. 118 att. c.p.c., comma 1, come modificato dalla L. n. 69 del 2009), ma addirittura una motivazione meramente apparente, ossia una non motivazione, sottraendosi all'obbligo che grava sul giudice di fornire, sia pure in modo sintetico, i criteri di lettura del proprio ragionamento. In particolare, la sentenza omette qualsiasi valutazione del tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio e qualsiasi considerazione circa l'impossibilità della M. di procurarsi per ragioni oggettive i mezzi di sostentamento adeguati a conservare detto regime di vita, nè spiega come i dedotti problemi di salute si conciliano con l'attività di badante svolta gratuitamente; non chiarisce la natura effettiva della convivenza instaurata dalla medesima con tale S., quale fatto potenzialmente incidente sulla stessa spettanza dell'assegno; non spiega come si concili l'acquisto di una vettura (e le relative spese) con il ritenuto stato di indigenza economica”.

7 LOMBARDO,La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit., 221.

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quelle decisioni del giudice di merito relative al giudizio di fatto (in particolare, ma non soltanto, il giudizio di ammissione della prova) che non costituiscono frutto di scelte discrezionali, ma pretendono il rispetto di disposizioni che regolano in maniera vincolante questo ambito di quel giudizio e che sono state così efficacemente riassunte8: “a) la mancata pronuncia del giudice sulla istanza istruttoria avanzata dalla parte; b) la violazione delle diverse norme che regolano l’ammissibilità delle prove, purché si tratti di norme che non lasciano spazio al giudice per valutazioni discrezionali9; c) il diniego di ammissione di una prova per irrilevanza della stessa, qualora il giudice di merito abbia travalicato i limiti della discrezionalità concessagli10; d) l’esercizio dei poteri probatori d’ufficio, allorquando il giudice abbia violato i confini della discrezionalità riconosciutagli; e) la violazione delle norme che dettano l’efficacia delle c.d.

prove legali; f) la violazione delle norme che ripartiscono gli oneri probatori tra le parti”, sovente ricondotte all’interno della violazione delle norme di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c..

Per certi versi, similmente ci si può riferire quanto al margine del controllo in cassazione in riferimento al rispetto del principio di non contestazione11, anche esso caratterizzato da un vincolo normativo che il giudice di merito ha l’onere di rispettare e che può essere oggetto di controllo in cassazione.

Una riflessione più sofferta va invece riferita a tutte le ipotesi in cui nel giudizio di fatto il giudice pronunci in situazioni cui va ascritta necessariamente un margine di discrezionalità alla determinazione del giudice sull’esistenza o no dei fatti principali di segno positivo o negativo posti a fondamento delle richieste e delle contro difese delle parti; la regola, del

8 Cfr.LOMBARDO, op. ult. cit., 221.

9 Nelle ipotesi in cui residui invece al giudice un margine di discrezionalità, residua il diverso e ben più limitato ambito del controllo sulla (quantomeno) logicità del ragionamento e sull’esistenza delle massime di esperienza adottate.

10 Si distingue tradizionalmente da un giudizio di pertinenza della prova, per definizione esistente se riferito a provare l’esistenza di un fatto principale, sottoposto ad una valutazione discrezionale nel caso in cui si verta sulla prova di un fatto secondario; e il giudizio sulla rilevanza concreta del mezzo di prova dedotto, in relazione alla sua idoneità ed alla non superfluità, anche queste esercizio del potere discrezionale del giudice di merito.

Discrezionalità sindacabile in cassazione negli (stretti) limiti di cui alla nota precedente, come sarà spiegato esaustivamente più avanti nel prosieguo del paragrafo.

11 V.SANTANGELI, La non contestazione come prova liberamente valutabile, 2010, in www.judicium.it; TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2011, 76 ss.;SASSANI, Commento all'art. 115, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile (Legge 18 giugno 2009, n. 69), a cura di A. Saletti, B. Sassani, Torino 2009, 71; TARUFFO, Commento art. 115 c.p.c., in Carratta e Taruffo, Poteri del giudice.

Commentario del codice di procedura civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 2011, 483 ss.;

RICCI, Questioni controverse in tema di onere della prova, in Riv. dir. proc., 2014, 321 ss.;

FRUS, Il principio di non contestazione tra innovazioni normative, interpretazioni dottrinali e applicazioni giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. proc., 2015, 65 ss.

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resto, nel nostro processo non è certo quella della disciplina delle prove legali come fonte di convincimento. E tuttavia, nel dettare gli art. 115 e 116 c.p.c., il legislatore chiaramente afferma che, anche in riferimento al giudizio di fatto, il giudice è tenuto a conformarsi a criteri che vanno ben oltre al proprio esclusivo e personale convincimento. Dall’art. 115 c.p.c. si desume, tra l’altro, il divieto della c.d. scienza privata del giudice ed il c.d. diritto alla prova delle parti12. Dall’art. 116 c.p.c. si precisano i confini del libero convincimento del giudice: “….Dall'art. 116, comma 1, cod. proc. civ. e dal metodo del «prudente apprezzamento» da esso dettato, scaturiscono essenzialmente due canoni fondamentali che il giudice deve osservare nel ragionamento col quale valuta le prove: 1) la “validità logica”, nel senso che la valutazione delle prove deve essere compiuta mediante inferenze che per un verso, ab interno, osservino le regole della logica, per l'altro, ab externo, siano coerenti rispetto al thema probandum e al contenuto degli elementi di prova acquisiti; 2) la “ragionevolezza” secondo il sensus communis e le conoscenze umane generalmente riconosciute, nel senso che la valutazione delle prove non può essere arbitraria, ma deve osservare le c.d. “regole d'esperienza” generalmente accettate nell'ambito della cultura della collettività sociale. In altri termini, il metodo del «prudente apprezzamento»

implica che il giudice, nel valutare le prove, osservi due ordini di regole: le

"regole della logica" e le "regole offerte dalla comune esperienza13. Ed è assolutamente condivisibile ascrivere ai canoni ora richiamati la natura di vera e propria norma giuridica; sicché, laddove il giudice decidesse in contrasto con la logica o con le massime di esperienza la sentenza risulterà affetta da “errori di diritto”, e sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.

Più specificatamente, si è puntualizzato: “errori nella valutazione degli elementi di prova" (violazione dell'art. 116, 1, cod. proc. civ.), i quali, a loro volta, possono distinguersi in: B1) "errori di logica", che possono dipendere da: 1) "contraddittorietà interna", ossia tra più parti del ragionamento del giudice; 2) "contraddittorietà esterna", che riguarda il contrasto logico tra le premesse del ragionamento del giudice e il thema probandum ovvero gli elementi di prova acquisiti (c.d. probatum) (potendo, in quest'ultimo caso, aversi o "travisamento di prova decisiva" o "omessa valutazione di prova decisiva"). B2) "errori di ragionevolezza", che ricorrono quando il ragionamento del giudice non adotti come premesse le c.d. regole d'esperienza ovvero adotti regole d'esperienza false o inesistenti, ponendosi così oltre il plausibile14.

12 Ex plurimis, TARUFFO, Commento art. 115 c.p.c., cit., 447.

13 Cfr. LOMBARDO, op. ult. cit., 177.

14 Sull'utilizzo nel giudizio di fatto delle regole di esperienza da parte del giudice, si veda LOMBARDO, op. ult. cit., 182; GRASSO, Dei poteri del giudice, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da ALLORIO, Torino, 1973, 1318; BOVE, Il sindacato della

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In quest’ambito, secondo questa tesi, si collocano i limiti del controllo del giudizio di fatto ad opera della Cassazione. “La Corte è chiamata a controllare solo se il giudice di merito abbia osservato le regole della logica e le regole d'esperienza, che costituiscono i limiti giuridici "strutturali" della sua discrezionalità e che garantiscono la ragionevolezza e la plausibilità del giudizio di fatto; non è chiamata a condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né è chiamata a procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito: essa, pertanto, non può, senza tradire la sua missione nomofilattica, sindacare la scelta del giudice di merito di dare prevalenza ad una prova o all'altra, di valorizzare taluni caratteri di una prova o di trascurarne altri, di scegliere la regola di esperienza più appropriata per valutarne l'attendibilità. È sindacabile in cassazione solo il giudizio di fatto che si pone al di là del ragionevole e del plausibile, per il fatto di fondarsi su un ragionamento che non osserva le regole della logica o che è fondato su asserite regole d’esperienza in realtà “inesistenti” come regole sociali o addirittura “false” nel senso che sono ripudiate dal sensus communis (ad es.

sulla falsa regola d'esperienza per cui il teste che sia cittadino europeo è più credibile del teste cittadino extracomunitario oppure su quella per cui l'acqua fredda scotta); non è, invece, sindacabile in cassazione il giudizio di fatto che, per essere stato posto in essere dal giudice di merito secondo il metodo previsto dalla legge e, quindi, senza violare i limiti posti alla sua discrezionalità, si mantiene entro i limiti del plausibile. Il ragionamento plausibile è qualcosa in più di un ragionamento purchessia, perché esso è tale solo se osserva le regole della logica e le regole della comune esperienza; ma è anche qualcosa in meno di un ragionamento condiviso, perché è plausibile anche ciò che non si condivide ma a cui si riconosce la dignità della ragionevolezza”15.

Sono sindacabili in cassazione, pertanto, sotto il profilo della violazione di legge (art. 115-116 c.p.c.) gli errori di metodo del giudice di merito, non anche gli errori di merito commessi nel giudizio di fatto.

“Al di fuori di questi possibili errori di diritto, v'è il vasto il vasto campo della discrezionalità del giudice, cui è rimesso il giudizio di fatto; tale campo è governato dalle regole di esperienza, e non da norme giuridiche, cosicché gli eventuali errori commessi dal giudice nell'uso di tali regole (c.d. "errori di merito"), purché di vere regole d'esperienza si tratti e purché non siano violate le regole della logica, rimangono sul piano meramente opinativo e assiologico, su un piano cioè che - per definizione - è sottratto al controllo

Corte di Cassazione, Milano, 1993, 214; NOBILI, Nuove polemiche sulle “massime d'esperienza”, in Riv. dir. it. proc. pen., 1969, 142 ss.

15 LOMBARDO,op. ult. cit., 185-187.

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della legalità delle sentenze affidato alla Corte di Cassazione. Si tratta di quegli errori che una volta, nella pratica giudiziaria, venivano sindacati come vizio di "insufficienza" della motivazione, ma che oggi non possono più essere sindacati, avendo la novella del 2012 espunto dai motivi di ricorso il vizio in questione”16.

In definitiva, con simili letture rimane fermo un margine di controllo sul giudizio di fatto in cassazione per violazioni di legge; e tuttavia, questo riesame si palesa meno intenso rispetto a quello possibile prima della riforma del 2012.

3. L’art. 360 n. 5 c.p.c. e le refluenze sul controllo del giudizio sul fatto e sulla motivazione. Per una possibile estensione del vizio di motivazione in assenza della “doppia conforme”.

Il controllo in cassazione del giudizio di fatto, tuttavia, deve essere determinato tenendo anche conto del disposto di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che individua un ulteriore motivo di ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il nuovo motivo di ricorso, ai fini che ci occupano, quantomeno, rappresenta qualcosa che richiama elementi, “il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, che devono il più delle volte ricavarsi al di fuori della motivazione della sentenza impugnata. Così legittimando ed imponendo vieppiù la estensione del sindacato della Corte di Cassazione oltre la sentenza e fino al controllo extratestuale della legittimità della sentenza impugnata, similmente a quanto da tempo attuato, con analoga modifica, nel codice di rito penale”17.

Si tratta di una disposizione che, peraltro, non si applica a tutte le ipotesi di ricorso per cassazione; la riforma del 2012, infatti, ha introdotto l’art. 348 ter c.p.c. che al quarto18 e quinto comma specifica come, quando la sentenza

16 LOMBARDO, op. ult. cit., 244.

17 LOMBARDO, La natura del sindacato della Corte di Cassazione, cit.. L’art. 8 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha sostituito la lett. e dell’art. 606 c.p.p. prevedendo ora che il vizio della motivazione non è più censurabile soltanto quando risulti “dal testo del provvedimento impugnato”, ma anche quando risulti “da altri atti del provvedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”.

18 Come noto, la novella del 2012 ha introdotto un filtro di inammissibilità dell'appello, basato sul preliminare vaglio di «non ragionevole probabilità di accoglimento», formulato dal giudice competente dell’appello (art. 348 bis c.p.c.). Esperito tale controllo, che ha luogo nella prima udienza di trattazione, alla presenza delle parti, se non ricorre una ragionevole probabilità di accoglimento, il giudice emette un'ordinanza di inammissibilità succintamente motivata, anche «mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e ai precedenti conformi». Tale filtro di inammissibilità non opera con

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d’appello confermi la decisione di primo grado, e si fondi sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, questa non possa essere impugnata per il motivo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.19. Anche per questo, è verosimile ritenere come sia ermeneuticamente opportuno, forse anche in ossequio al criterio dell’interpretazione costituzionalmente orientata (per il sostanziale rispetto dell’art. 111, comma 7, cost.), evitare di ascrivere (esclusivamente) al n. 5 fattispecie che oggi ben potrebbero essere inquadrate anche nei n. 1, 2, 3, 4 dell’art. 360 c.p.c.. Ad esempio, nell'“omesso esame di fatto decisivo”, si può ricondurre l’omesso esame di un fatto costitutivo, o di una eccezione; questo vizio è, a mio avviso, probabilmente inquadrabile esegeticamente nel n. 5, ma al tempo stesso, trattandosi di una omissione di pronuncia, potrà essere oggetto di impugnazione ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. per lesione dell’art. 112 c.p.c. Ciò significa semplicemente che il vizio potrà essere fatto valere con due motivi20 in cassazione quando l’impugnazione sia “piena”; solo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. quando la sentenza d’appello abbia confermato quella di primo grado mantenendo le stesse ragioni sulla ricostruzione del fatto.

riferimento alle cause in cui è previsto l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, e nel caso in cui il giudizio di primo grado si sia svolto secondo le forme del rito sommario di cognizione. I nuovi articoli 348 bis e ter c.p.c. non prevedono alcun mezzo di impugnazione avverso l'ordinanza di inammissibilità dell'appello, ma stabiliscono la possibilità del ricorso in cassazione contro il provvedimento di primo grado per i motivi previsti dall'art. 360 c.p.c., eccetto il motivo di cui al numero 5, se l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a fondamento della sentenza impugnata.

Sul tema dell'inammissibilità dell'appello a norma dell'art. 348 bis c.p.c. e sul ricorso per cassazione contro il provvedimento di primo grado, da ultimo, POLI, Forma ed ogetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, ex 348 ter, comma 3°, c.p.c.., in Riv. dir. proc., 2015, 220 ss.; BENVEGNÙ, Inammissibilità dell'atto di appello: questioni pratiche nei casi di pronuncia con sentenza e ordinanza, in Giur. it., 2014, 2867 ss.;

MONTELEONE, L'inammissibilità dell'appello ex artt. 348 bis e ter c.p.c.. Orientamenti e disorientamenti della giurisprudenza, in Giusto processo, 3/2014, 675 ss.; CARTUSO, “Filtro di ammissibilità dell'appello e impugnazioni incidentali”, in Giusto processo civ., 2014, 1175 ss.; VERDE, La riforma dell'appello civile: due anni dopo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 97 ss.; SANTAGADA, Il giudizio d'appello riformato e l'introduzione del filtro, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2014, 611 ss.; BOVE, La pronuncia di inammissibilità dell'appello ai sensi degli articoli 348 bis e 348 ter c.p.c. in Riv. dir. proc. civ., 2013, 389 ss.; PANZAROLA, Tra filtro in appello e «doppia conforme»: alcune considerazioni a margine della l. n. 134 del 2012, in Giusto processo civ., 2013, 89 ss.; SCARSELLI,Note sulla ricorribilità per cassazione dell’ordinanza che dichiara inammissibile l’appello, in www.questionegiustizia.it.;CAPONI, Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, in www.judicium.it.

19 Il che potrebbe indurre il giudice a non discostarsi dalla ricostruzione del giudice di primo grado, appunto per ridurre il rischio della riforma della sentenza. E ciò mi fa dare un giudizio negativo sulla doppia conforme per come realizzata nel nostro ordinamento.

20 A mio avviso, sotto il profilo grafico, anche all’interno di una unica

“macrocensura”.

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Così ritenendo, si può procedere nel definire la portata della disposizione, che richiede un 1) omesso esame, circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato 2) oggetto di discussione tra le parti.

Questa ultima espressione va probabilmente intesa nel senso di escludere dalla fattispecie le ipotesi di “non contestazione”, facendosi riferimento ad una necessaria controversia tra le parti sull’esistenza o no di un fatto21 o di una massima di esperienza.

L'omesso esame del “fatto decisivo”; una espressione che è immediato riferire ai fatti principali, costitutivi o impeditivi, modificativi, o estintivi che siano:

ma può valere anche per quei fatti secondari, utili all’accertamento probatorio del fatto principale, da cui possano ricavarsi indicazioni sull’esistenza o no del fatto principale. E che potrebbero pretendere dalla Cassazione un penetrante esame sull'intera materia istruttoria, per valutare se l'omesso esame assuma o no carattere potenzialmente decisivo. Situazioni, comunque, talora già diversamente aggredibili in Cassazione con gli altri motivi di ricorso.

Mentre invece, esclusivamente al n. 5 vanno probabilmente riferite quelle ipotesi in cui la critica attenga alla insufficiente valutazione operata da parte del giudice di merito degli elementi di giudizio, fatti o massime di esperienza, la cui esistenza, validità, e applicabilità avrebbero potuto rivelarsi fondamentali per una decisione migliore, resa invece con grave leggerezza e superfluità; a quei (supposti) errori di “merito”, e non di “metodo”, cioè, compiuti dal giudice di merito ma che non possono essere oggetto del ricorso per il motivo di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., che si ferma alla sanzione degli errori di metodo.

Sono questi gli errori che prima sarebbero stati presumibilmente censurati quali vizi che avrebbero condotto a valutare la motivazione come

“insufficiente”, e che oggi si traggono principalmente sempre dall’esame della motivazione e dagli atti del processo, da cui si ricava la scarsa attenzione a degli elementi potenzialmente essenziali per ottenere una attenta decisione; siamo, cioè, al di fuori degli errori sull’uso di massime di esperienza inesistenti o vizi clamorosi di logica (impugnabili anche ai sensi del n. 5) che sono già aggredibili con i motivi di cui al n. 3 art. 360 c.p.c., di cui al paragrafo precedente. Siamo al di fuori della “violazione di legge”, probabilmente, ma non dei compiti della Corte di Cassazione, che si desumono principalmente dalle disposizioni, e che non vedono necessariamente una penalizzazione dello ius litigatoris nella riforma del 2012, quanto piuttosto una diversa individuazione del ruolo della Suprema corte, con una limitazione dei poteri della Corte sull’operato dei giudici di merito, ma tuttavia con una modifica incisiva ma non così invasiva.

La lettura che in questo articolo si propone, infatti, non tende a porre nel nulla la riforma del 2012, ma a inquadrarla in giusti confini, che non cancellino

21 Cfr.LOMBARDO, op. ult. cit., 232, nota 91.

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l’imprescindibile presidio sul giudizio di fatto svolto dalla Corte di Cassazione. Senza il quale, sotto un profilo non formale ma sostanziale, lo stesso successivo controllo del giudizio di diritto, che sul giudizio di fatto pur tuttavia poggia le basi, rischia di rivelarsi come un esercizio teorico.

La soluzione proposta, del resto, non è identica alla situazione precedente alla riforma del 2012; la possibilità di contestare in cassazione un giudizio di fatto

“superficiale” sarebbe oggi riservata solo a quelle sentenze d’appello che abbiano sul giudizio di fatto preso una posizione diversa da quella presa nel giudizio di primo grado. Gli errori “di merito”, dunque, rimangono oggetto del giudizio della cassazione solo quando i giudici di merito dei due gradi di giudizio abbiano dato risposte contrastanti sulla ricostruzione del fatto;

invece, quando i due giudici abbiano condiviso il giudizio, si elimina la possibilità che la Cassazione operi all’interno di un ambito che certo ha margini di indubbia discrezionalità, contentandosi l’ordinamento del giudizio condiviso di due giudici del merito.

Il giudizio di fatto operato nei giudizi di merito dunque è sempre soggetto a riesame se irragionevole o irrazionale (360 n. 3); è soggetto a riesame quando si contesti la superficialità o le lacune nel ragionamento del giudice manifestato con la motivazione, solo laddove i giudizi di merito abbiano sul punto dato esiti contrastanti (360 n. 5). Non è comunque mai soggetto a cassazione quando il giudice di merito abbia fatto uso delle regole di logica e di esperienza, ed al giudice di cassazione si chieda di sovrapporre il proprio giudizio laddove con il corretto uso delle regole siano possibili più differenti ricostruzioni del fatto, anche quando in ipotesi il giudice di legittimità preferisca una diversa soluzione; in queste ipotesi, dunque, il giudice di legittimità non ha il potere di legittimità di sovrapporre il proprio giudizio sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice di merito.

4. La reale portata dell’art. 384, comma 2, c.p.c.

La ricostruzione adottata nei paragrafi precedenti può incidere anche sulla potenziale ulteriore attività della Corte di Cassazione, dopo che questa abbia esercitato positivamente la propria classica funzione rescindente. Si deve, cioè, valutare, specie dopo la riforma adottata nel 2006, che oggi, almeno esegeticamente, l’art. 384 comma 2 c.p.c. non pone più limiti alla possibilità (o, al vero e proprio onere) per la Corte di decidere la causa nel merito

“qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”, potendosi così riferire il momento rescissorio ai n. 3, 4, 5 dell’art. 360 c.p.c. L’estensione della c.d. cassazione sostitutiva discende dalla volontà del legislatore della

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riforma del 1990 prima, e poi in maniera ancora più incisiva appunto con la riforma del 2006, di attribuire ulteriori compiti ed obblighi alla Corte di Cassazione anche quale giudice chiamato di fatto a decidere nel merito delle controversie, invece che limitarsi a rinviare in corte d’appello; il che, poi, anche sotto altro profilo, sta ulteriormente a dimostrare che anche l’evoluzione normativa della Corte di Cassazione conduce ad esaltare ulteriori compiti che certo nulla hanno a che vedere con una supposta esclusiva funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

E, tuttavia, l’ampiezza della portata della nuova disposizione va naturalmente definita; d’altro canto, in dottrina si confrontano diverse letture della norma, che talora viene ritenuta nella pienezza del dato esegetico22, mentre da altri viene variamente circoscritta23.

È vero, da una parte, che per il principio di economia dei giudizi una lettura ampia dell’art. 384 sarebbe auspicabile, oltre che, appunto, più conforme al dato letterale; va riconosciuto, però, che l’attribuzione di un compito alla Corte di cassazione di provvedere anche alla rivalutazione delle prove, quando previamente la Corte abbia cassato la valutazione operata dalla corte di merito (ad es. per illogicità o per uso di massime di esperienza inesistenti) rende effettivamente il giudice di cassazione, anche per questi profili un vero e proprio giudice di terza istanza. E, allo stesso modo, va chiarito che sotto il profilo dei poteri tra giudice di secondo e terzo grado, il cambiamento è evidente; si tratta proprio di valutare se, quando la corte di merito abbia operato in maniera erronea tale da vedere il suo giudizio sul fatto cassato (per le ragioni spiegate nei paragrafi precedenti), l’onere di decidere di nuovo nel

22 Taluna dottrina, anche sulla base del dato letterale dell'art. 384 c.p.c., comma 2, c.p.c., ritiene che la possibilità per la Corte di decidere la causa nel merito si estenda a tutte le ipotesi di accoglimento del ricorso per i motivi di cui all'art. 360 c.p.c., costituendo unico limite alla cassazione sostitutiva la necessità di assumere nuovi mezzi di prova. In tal senso ex plurimis, BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, IV ed., Torino, 2012, 389 ss.; LA TERZA, Il giudizio di rinvio (Ammissibilità e limiti), in Il nuovo giudizio di cassazione, a cura di Ianniruberto e U. Morcavallo, II ed., Milano, 2010, 644 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol. I, V ed., Padova 2009, 686 ss.; IMPAGNATIELLO, La cassazione civile dopo la riforma: una nuova nomofilachia?, in Giusto proc. civ., 2008, 1030; VIDIRI, Il nuovo giudizio di rinvio: la Cassazione giudice di terza istanza?, in Corr. giur., 2006, 1158 ss.; MOROZZO DELLA ROCCA, Le modificazioni in materia di processo di Cassazione tra nomofilachia e razionalizzazione dell'esistente, in Corr. giur., 2006, 450.

23 Seconda altra parte della dottrina, l'ambito di applicazione dell'art. 384, comma 2, c.p.c. è invece limitato all'accoglimento del ricorso ai sensi del n. 4 e n. 3 dell'art. 360 c.p.c., e in quest'ultimo caso solo per vizi attinenti alla quaestio iuris sostanziale. V. RICCI G.F., Il giudizio civile di cassazione, Torino, 2013, 557 ss.; TROIANO, Il nuovo giudizio di cassazione: osservazioni in tema di principio di diritto e cassazione sostitutiva, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2009, 357 ss.; CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, II ed., Padova, 2008, 233 ss.; POLI, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. dir. proc., 2007, 23 ss.; TEDOLDI, La nuova disciplina del procedimento di cassazione: esegesi e spunti, in Giur. it., 2006, 2013.

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merito, effettuando un giudizio caratterizzato da margini di discrezionalità tradizionalmente affidati al giudice d’appello e non alla Cassazione, sia o no passato al giudice della Cassazione.

Una lettura nell’un senso o nell’altro, dunque, risente inevitabilmente della più generale riflessione sui rapporti tra le corti di merito e la Corte di cassazione. Sicché, per chi ad esempio ritenga esistere uno specifico del giudizio di fatto assegnato necessariamente nel nostro ordinamento alle corti di merito, è coerente ritenere che l’art. 384, comma 2, vada riferito alle ipotesi in cui l’accoglimento afferisca al giudizio di diritto, poiché l’accertamento del fatto resterebbe quello del giudice di merito; come coerentemente la Corte di cassazione potrebbe decidere la causa nel merito se l’accoglimento del ricorso discenda da un error in procedendo (art. 360 n. 4 c.p.c.), poiché nel giudicare i vizi processuali ha cognizione piena, e può rinnovare la decisione; però, quando invece il ricorso è accolto per vizi propri del giudizio di fatto, la Corte di Cassazione non potrebbe provvedere ad un accertamento ex novo dei fatti, se non sulla base di un attività di giudizio vincolata (ad es. una prova legale erroneamente non valutata)24. Sul punto, si segnala poi come la soluzione che nega alla Corte di legittimità di, ad esempio, valutare discrezionalmente le prove ai fini della ricostruzione del fatto debba, a mio avviso, piuttosto ricavarsi dalla necessità in questi casi di assicurare alle parti in causa l’esercizio del diritto di contraddittorio e difesa (come certamente potrà essere fatto nel giudizio di rinvio), cosa che non potrebbe essere garantita data la struttura del giudizio di cassazione, che prevede una udienza unica e non sul nuovo thema decidendum, che si apre solo dopo l’annullamento del ricorso, e data l’inapplicabilità al caso in specie della c.d. riserva di decisione di cui al terzo comma dell’art. 384 c.p.c.25.

Ed effettivamente il rischio della compressione del diritto di difesa a ritenere che la Corte decida sul fatto, dopo avere annullato il precedente giudizio sul fatto della corte di merito, è tema di grande impatto che non va sottovalutato;

perché è certo vero che nel giudizio di rinvio le parti, chiamate a dibattere esclusivamente sulla riformulazione del giudizio di fatto, avranno una possibilità di dibattere in misura nella maggioranza dei casi più efficace rispetto a quanto hanno potuto fare nel giudizio di cassazione (laddove la trattazione del merito è solo eventuale, subordinata all’ipotesi della previa cassazione del ricorso per accoglimento dei motivi di ricorso). Elemento di particolare importanza; ancora di più per chi ritenga che la dialettica tra le parti aiuti, come io credo, il giudice a decidere meglio, soprattutto quando il giudice sia chiamato a prendere una decisione quasi per definizione contrassegnata da margini di opinabilità.

24 LOMBARDO, op. ult. cit., 264 ss.

25 LOMBARDO,op. ult. cit., 269-270.

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5. Segue. L’art. 384, comma 2, c.p.c. ed il principio di autosufficienza nel ricorso alla luce delle intervenute modifiche

Ultime riflessioni, quanto alla disciplina dell’art. 384, comma 2, c.p.c. vorrei dedicare al principio di autosufficienza, che richiede, a pena di inammissibilità, che già dal ricorso sia possibile ricavare integralmente con sinteticità e completezza le doglianze fatte valere; un compito che si palesa viepiù complesso quando il ricorrente chieda una rivalutazione nel merito, un nuovo giudizio di fatto che, quasi per definizione, dovrà fondarsi in teoria su tutti gli accertamenti resi nel corso delle controversie di merito. Tuttavia, il principio di autosufficienza, a mio avviso è inapplicabile alle fattispecie di cui all’art. 384 comma 2 c.p.c. L'autosufficienza si fonda sull’art. 366 n. 4 c.p.c.

che richiede, a pena di inammissibilità, che il ricorso contenga l’indicazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, ma questo a mio avviso non può applicarsi all’art. 384 c.p.c laddove la Corte prima cassa la sentenza e poi decide la causa nel merito, sicchè i motivi fanno riferimento alla sola funzione rescindente; al 384, comma 2, c.p.c, dunque, non si applica il principio di autosufficienza e la conseguente sanzione dell’inammissibilità.

Sezione seconda. Le prime sentenze in Cassazione sul controllo in fatto delle decisioni, e sul vizio di motivazione.

6. Le sezioni unite ed il principio di diritto emesso ai sensi dell’art. 384 c.p.c.

Le Sezioni Unite sono intervenute sul controllo in fatto delle decisioni e sul vizio di motivazione con le sentenze n. 8053 e 8054 del 201426. Le pronunce sono state sollecitate dal rinvio della sezione “tributaria”27, e risolvono con grande attenzione il problema della applicabilità del nuovo o del vecchio art.

360 n. 5 c.p.c. nei riguardi delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie, ritenendo applicabili le nuove disposizioni28.

26 Cfr. Cass. Sez. Un., 7 aprile, 2014, n. 8053, in Corr. giur., 1241 ss. con nota di GLENDI, At ille murem peperit (a proposito di un altro “non grande” arresto delle Sezioni unite); e la coeva conforme Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8054.

27 Con ordinanza interlocutoria del 14 ottobre 2013, n. 23273.

28 La portata delle due sentenze delle Sezioni Unite va oltre l'individuazione del vizio denunciabile ai sensi del nuovo art. 360, primo comma, n. 5; esse chiariscono infatti che le

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Insieme, danno una interpretazione delle nuove disposizioni, su come e quando sia ancora aggredibile il vizio di motivazione, con conclusioni che devono essere oggetto di attento esame.

Una prima considerazione: le due decisioni non consentono di vedere all’opera le Sezioni Unite su fattispecie concrete. Nella sentenza n. 8053, infatti, i due motivi del ricorso in cassazione, di fatto, non vengono valutati dalla Corte di cassazione, perché in pratica dichiarati inammissibili per carenza del requisito dell’autosufficienza29. Nella sentenza n. 8054, i tre

modifiche sul ricorso per cassazione (sia per quanto riguarda l'art. 360 n. 5 c.p.c., sia per quanto concerne la proponibilità del ricorso per cassazione solo per i motivi di cui all'art. 360 n. 1, 2, 3, e 4, ove la sentenza di appello abbia confermato la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione appellata), apportate dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, trovano applicazione anche con riferimento ai ricorsi avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale, atteso che nell'attuale sistema normativo il giudizio di legittimità in materia tributaria non è caratterizzato da elementi di specialità rispetto a quello ordinario. Sul tema tra i tanti, PERROTTA in Diritto & Giustizia, 2014; RUSSO, Filtro al ricorso in cassazione avverso le sentenze del giudice tributario: i principi di diritto, in Boll. Trib., 2014, 1656; MARINELLI, Valgono anche per il processo tributario le recenti modifiche apportate alla cassazione civile, in Riv. giur. trib., 241 ss. Sull'applicabilità o no della modifica normativa dell'art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c., in relazione ai ricorsi per la cassazione delle sentenze tributarie, prima delle pronunce delle Sezioni Unite, si veda MERONE, La riforma del giudizio di cassazione e la sua applicabilità al processo tributario, in Riv. dir. trib., 2013, I, 243 ss.; TRISORIO LIUZZI, Il ricorso in Cassazione. Le novità introdotte dal d.l. 83/2012, in www.judicium.it, 2013, § 9; PEVERINI, Recenti modifiche all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., limiti all'impugnazione in caso di «doppia conforme» e nozione di «processo tributario», in Rass. Trib., 2015, 1295 ss.; ad avviso di SASSANI, Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sula sua (in)controllabilità in Cassazione, in Corr. giur., 849 ss., sebbene il giudizio di cassazione contro le sentenze tributarie possa essere considerato un processo tributario in senso molto improprio, una forzatura interpretativa dell'art. 54, comma 3 bis, della l. n.

134/2012, secondo cui «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546», permetterebbe l'applicazione del testo anteriore dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Tale lettura, secondo l'Autore, appare ragionevole alla luce del fatto che l'accertamento tributario è imperniato sul meccanismo dell'inversione dell'onere della prova e sulle presunzioni a favore del fisco, il che impone

“alla Corte di fare uso molto cauto del giudizio di incensurabilità dei giudizi relativi alla sufficienza e/o idoneità del tentativo del privato di dare la prova contraria”.

29 Ad avviso della Corte anche a voler ritenere il primo motivo del ricorso formulato nel rispetto del nuovo art. 360 n. 5, esso è comunque inammissibile per violazione del principio di autosufficienza sancito dall'art. 366 c.p.c., poiché l'amministrazione ricorrente non ha riportato “testualmente nel ricorso i “contenuti” dell'atto impositivo che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di giudicare sulla congruità della valutazione del giudice a quo esclusivamente in base al ricorso medesimo”. Ne consegue l'infondatezza del secondo motivo del ricorso, con cui l'amministrazione aveva denunciato una nullità processuale, per aver il giudice di appello ritenuto nuova e tardiva la contestazione di non inerenza dei costi documentati nelle fatture;

al riguardo la Corte afferma che la mancanza del contenuto dell'atto impositivo (non riportato nel ricorso), “rende conclamata la novità dell'istanza non proposta in secondo grado

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motivi oggetto del ricorso sono diversamente declinati. Il primo, un problema di interpretazione di una disposizione legislativa, che nulla ha a che vedere con problemi di motivazione, viene dichiarato fondato; da ciò discende l’assorbimento del terzo motivo, che sarebbe stato interessante vedere affrontato ai nostri fini dalla Corte. Il secondo motivo, erroneamente qualificato e declinato dal ricorrente come vizio ex n. 5, viene ricondotto dalla Cassazione alla errata interpretazione di una disposizione di legge, e dunque dichiarato inammissibile30.

Le affermazioni delle Sezioni Unite, dunque, si declinano in via quasi esclusivamente teorica e generalizzante, senza purtroppo potere osservare come in concreto il giudicante applichi ad una fattispecie concreta le proprie osservazioni; che tuttavia sono da valutare con grande attenzione, anche perché il principio di diritto espressamente dichiarato dallo stesso giudice non corrisponde integralmente, io ritengo, alle precise affermazioni della sentenza.

Ma è dal principio di diritto che occorre prendere le mosse: “si può quindi affermare il seguente principio di diritto: a) La riformulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l'"omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di

dall'ufficio finanziario”, in quanto “solo la prova dello specifico contenuto dell'atto di accertamento può escludere la “novità” della questione dedotta in appello.

30 Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8054, con riferimento al secondo motivo osserva che “si tratta di una formulazione che si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della "insufficienza" della motivazione, limitando il controllo di legittimità all'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, "omesso esame" che non costituisce nella specie oggetto di censura. Si prospetta in realtà un vizio di violazione di legge che dovrebbe essere risolto alla luce dell'orientamento espresso da questa Corte, secondo cui: In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all'ufficio del Ministero delle finanze (oggi ufficio locale dell'Agenzia delle entrate) nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze, senza necessità di speciale procura; ne discende che, nel caso in cui non sia contestata la provenienza dell'atto d'appello dall'ufficio competente (e nel caso di specie non lo è), questo deve ritenersi ammissibile, ancorchè recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque, l'usurpazione del potere d'impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l'atto provenga dall'ufficio e ne esprima la volontà (Cass.

n. 874 del 2009). Ma poichè non è in questo senso formulata la censura alla sentenza impugnata, il secondo motivo di ricorso deve essere ritenuto in ogni caso inammissibile”.

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legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". b) Il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

c) L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. d) La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il

"come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso”31.

7. La necessità di implementare e riformulare il principio di diritto perché meglio risponda all’integrale contenuto della sentenza

Il principio, o meglio i principi espressi, esprimono efficacemente le più ampie considerazioni della sentenza, evidenziando così anche le zone d’ombra del provvedimento; ma ne tacciono altri assunti, altrettanto importanti per definire la portata della decisione.

Condivisibilmente o no è altro discorso, il sindacato sulla motivazione per la Suprema Corte si converte in violazione di legge (non è chiaro se sindacabile ai sensi del n. 3 o del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.) solo per le ipotesi di inesistenza o contraddittorietà della motivazione, o apparenza della stessa, desumibili dal testo della sentenza. L’ampiezza del controllo per le Sezioni Unite, nel principio di diritto richiamato, sembra fermarsi del tutto ingiustificatamente all’esame di un provvedimento svincolato dalla sua genesi, che è invece termine ineliminabile per il confronto. Tuttavia, con riferimento ad esempio

31 I principi e tutte le considerazioni sono esattamente gli stessi nelle due sentenze.

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alla censura relativa alla motivazione apparente, il riesame pur sempre pretende il controllo sul supporto argomentativo, essendo imposto al giudice del merito di fornire esaustivamente i criteri di lettura del proprio ragionamento decisorio sulla quaestio facti, concretandosi altrimenti la motivazione in una non motivazione, in una motivazione apparente.

Ma, quel che è più importante, la pronuncia delle Sezioni Unite non si esaurisce qui.

Le Sezioni Unite aggiungono una ulteriore indicazione di importanza fondamentale, che definisce diversamente il controllo sul giudizio di fatto ad opera della Suprema Corte, sempre avendo ad oggetto un motivo di violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., che testimonia come residui integralmente alla Corte di cassazione anche un diverso e necessitato uso della motivazione del giudice del merito. È opportuno trasporre integralmente queste considerazioni: “Per quanto riguarda specificatamente il processo tributario la descritta riforma del 2012 non ha sottratto al controllo di legittimità le questioni relative al "valore" e alla "operatività" delle presunzioni, che nel predetto processo hanno una loro specifica e particolare rilevanza. Infatti, la peculiare conformazione del controllo sulla motivazione non elimina, sebbene riduca (ma sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo sulla sussistenza degli estremi cui l'art. 2729 c.c., comma 1, subordina l'ammissione della presunzione semplice. In realtà è in proposito possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò non solo nell'ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell'art. 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della "fattispecie astratta", ma erroneamente applicata alla "fattispecie concreta". In altre parole, poichè la sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze. L'implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell'apparenza della motivazione, quanto nell'omesso esame di un fatto che interrompa l'argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l'omesso esame è il "tassello mancante" alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario. Ciò non significa che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis mutandis, il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: "in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare

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che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell'argomentazione (fatto probatorio - massima di esperienza - fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l'interferenza probatoria non sia da essa necessitata, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione"32.

Il controllo della motivazione33 e per suo tramite del giudizio di fatto, dunque, si colora assai più intensamente di quanto ricavabile dalla mera lettura del

32 Cfr. Cass. Sez. Un., 7 aprile, 2014, n. 8053, che richiama un principio espresso precedentemente nella sentenza n. 14953 del 2000.

33 Le Sezioni unite, del resto, non mancano almeno espressamente di manifestare l’importanza della motivazione nella decisione della controversia, anche nelle decisioni in cui apparentemente potrebbe sembrare che l’importanza di questo elemento sia ridimensionata; e le Sezioni unite manifestano giustamente, a mio avviso, la necessità di una completezza della motivazione, perché la stessa non sfoci in una motivazione apparente, che si raffronta all’intera vicenda processuale, e non solo all’atto-sentenza, e che , ritengo, intendono come riferite tanto alla motivazione sul giudizio di fatto che alla motivazione sul giudizio di diritto . Così, ad esempio le Sezioni unite, in una recente pronuncia che ha affermato come "Nel processo civile - ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 - non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata. È inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti". Proprio in questa decisione, le sezioni unite ribadiscono che, se quindi una sentenza con una motivazione siffatta non potrebbe per ciò solo definirsi meramente apparente, tuttavia “Alla luce dell'excursus che precede (necessariamente non completo, ma utile a tratteggiare sia pure in grandissime linee il contesto giurisprudenziale nel quale deve essere valutata la problematica in esame) deve riconoscersi una tendenziale coerenza del giudice di legittimità nell'interpretare il contenuto dell'obbligo costituzionale di motivazione al di là di ogni formalismo, riconducendo sul piano esegetico ad unità le diverse previsioni processuali riguardanti la materia attraverso una lettura delle medesime ispirata a principi di effettività e funzionalità.

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