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Il reclamo cautelare quale strumento di riesame dei provvedimenti attuativi resi ex art. 669 duodecies. - Judicium

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T. Sala Consilina 16 novembre 2011, Pres. Girfatti- Rel. Ciuffi- Feoli ed altri (Avv. Forte) c/ De Stefano (Avv. Guerra)

Procedimento cautelare- Istanza di fissazione delle modalità di attuazione ex art. 669 duodecies-Rigetto- Reclamo-Ammissibilità- Condizioni- Provvedimento che modifichi o disattenda il dictum da eseguire

E’ ammissibile il reclamo nei confronti del provvedimento attuativo reso dal giudice ex art. 669 duodecies che abbia modificato o disatteso il comando giudiziale che dovrebbe eseguire.

Clarice delle Donne

Il reclamo cautelare quale strumento di riesame dei provvedimenti attuativi resi ex art. 669 duodecies.

1.- La pronuncia

La pronuncia affronta un profilo particolarmente scottante della disciplina del processo cautelare al quale né il legislatore delle origini né quello del 2005, che pure vi ha apportato significative modifiche, hanno dedicato l’attenzione che avrebbe meritato: il regime di riesame dei provvedimenti resi ex art.

669 duodecies.

Il tribunale di Sala Consilina è solo uno dei tanti giudici di merito che pressanti esigenze di tutela hanno posto di fronte alla alternativa di considerare il silenzio del legislatore una lacuna da colmare o di dare ad esso il significato di precisa scelta in senso negativo.

La soluzione oggi offerta, favorevole al reclamo, è senz’altro da apprezzare perché fornisce la migliore tutela possibile nel caso di specie e tuttavia, lasciando sostanzialmente impregiudicati i nodi

interpretativi sottesi alla soluzione adottata, lascia anche i termini del dibattito come li aveva trovati. Il che, a sua volta, non è irrilevante per le ricadute su altri profili sensibili che la casistica continuamente pone.

In medias res. L’ordinanza è resa in sede di reclamo avverso un provvedimento con il quale il Tribunale, adito ex art. 669 duodecies quale giudice dell’attuazione, aveva respinto il ricorso proposto per lamentare l’ottemperanza solo parziale della controparte e per ottenere la fissazione delle modalità di attuazione di un provvedimento di reintegro in una servitù di passaggio.

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Il collegio affronta in via pregiudiziale la questione dell’ammissibilità del reclamo e la scioglie in senso positivo: passati sommariamente in rassegna i principali orientamenti emersi nella giurisprudenza di merito e nella dottrina, ritiene cioè di aderire alla soluzione positiva (“benché minoritaria”) “(…) alla luce di esigenze di giustizia sostanziale atteso che nel caso in cui il provvedimento emesso ex art. 669 duodecies finisca per modificare o disattendere il comando giudiziale che dovrebbe eseguire occorre comunque garantire ai soggetti lesi un rimedio per tutelare i propri interessi sostanziali in ossequio ad un diritto di difesa costituzionalmente garantito”.

Nel merito, l’ordinanza esamina e ricostruisce il contenuto precettivo e dispositivo del provvedimento di reintegra e lo pone a confronto sia con il verbale delle operazioni effettuate in loco dall’ufficiale giudiziario all’uopo già designato in prime cure sia con la relazione del consulente d’ufficio nominato dal giudice dell’attuazione, giungendo alla conclusione che all’ordinanza di reintegra non era stata data puntuale esecuzione. Sicché, previa revoca dell’ordinanza di rigetto emessa in prime cure, fissa

partitamene le modalità di attuazione del provvedimento di reintegra designando l’ufficiale giudiziario competente ed abilitandolo a servirsi di ausiliari ove necessario.

2.- La reclamabilità del provvedimento ex art. 669 duodecies nella dottrina e giurisprudenza

Quello dell’ammissibilità del reclamo nei confronti dei provvedimenti resi ai sensi dell’art. 669 duodecies è quesito la cui soluzione non può contare su dati direttamente ricavabili dalla disciplina del processo cautelare, ove il reclamo è previsto dall’art. 669 terdecies, come corretto prima dalla Corte costituzionale e poi dal legislatore del 2005, nei soli confronti delle pronunce che concedono o negano la misura.1 Né la diversa e generalizzante formula dell’art. 23, comma 5, del D. lgs. n. 5/2003 sul processo societario, oggi abrogato, che prevedeva invece il reclamo contro tutti i provvedimenti in materia cautelare, e quindi anche quelli attuativi, è stata, a differenza di altre soluzioni tecniche sperimentate nel rito societario, estesa anche al procedimento cautelare del cpc.

In un nutrito filone della giurisprudenza di merito, così come della dottrina, la reclamabilità si rivela tuttavia soluzione ampiamente sperimentata e per lo più basata sulla premessa sistematica della inscindibilità/unitarietà della fase di concessione e di quella di attuazione della cautela, e dunque della

1 Anche se poi la giurisprudenza è oggi in parte favorevole alla reclamabilità dei provvedimenti di modifica-revoca resi ex art.

669 decies, sull’assunto della loro natura squisitamente cautelare. V., ad esempio, T. Padova 12 novembre 1998, in Giur. It., 2000, 87, con Nota di Corsini; T. Milano 20 giugno 1997, in Giur. It., 1998, 1625; T. S.M.Capua Vetere 5 novembre 1996, in Foro It., 1997, I, 1634, con Nota di Mutarelli; T. S. Angelo dei Lombardi 5 maggio 2002, in Giur. mer., 2002, 936; T.Torino 20 novembre 2001, in Giur. It., 2002, 1405; v. invece contra T. Messina 29 novembre 2005, in Giur. mer., 2007, 377; T. Milano 29 agosto 2002, in Giur. It., 2003, 2087.

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intima compenetrazione tra quest’ultima ed il provvedimento attuativo, entrambi sottoposti allo stesso regime2.

La giurisprudenza ha perciò ritenuto la reclamabilità del provvedimento di diniego della determinazione delle modalità di attuazione,3nonché la irreclamabilità del provvedimento positivo reso ex art. 669 duodecies ma già in sede di reclamo, attesa la inoppugnabilità di quest’ultimo,4e la non revocabilità- modificabilità ai sensi dell’art. 669 decies, in assenza, nel caso di specie, dei presupposti previsti da quest’ultima norma.5

La medesima idea ispira quella dottrina per la quale il giudice, nel dettare i parametri attuativi e nel rendere i provvedimenti opportuni all’esito di difficoltà e contestazioni, incide sempre, pur in mancanza dei mutamenti richiesti dall’art. 669 decies, sul contenuto precettivo della cautela, atteso che nel processo cautelare non è distinguibile la fase di cognizione da quella di attuazione.6

La reclamabilità è stata sostenuta con particolare forza nell’ipotesi di rigetto del ricorso ex art. 669 duodecies, ove la giurisprudenza di merito ha avvertito intuitivamente che il giudice, pur non pronunciandosi formalmente sulla sussistenza dei presupposti di concedibilità del provvedimento finisce, nella sostanza, per incidervi perché, privandolo della coercitività, lo rende tamquam non esset.7, mentre la dottrina è arrivata ad equiparare il rigetto del ricorso ex art. 669 duodecies ad una sostanziale revoca della cautela stessa8.

Per converso, i detrattori dell’ammissibilità del reclamo fanno leva sulla diversità tra il provvedimento che concede o nega la tutela cautelare, che incide sul “merito” della pretesa cautelare stessa, e quello reso in sede di attuazione, meramente ordinatorio perché limitato alla fissazione delle modalità di attuazione ed alla risoluzione di difficoltà materiali e contestazioni. La diversità dei regimi imposti ai due provvedimenti, in buona sostanza corrispondente alle diverse impugnazioni previste per il titolo

2 Si tratta di un’idea che affonda le radici nella storia, risalendo agli anni cinquanta del novecento il breve quanto intenso saggio di Liebman, Unità del procedimento cautelare ,pubblicato in Riv. dir. proc, 1954, nel quale veniva illustrato il rapporto inscindibile tra cognizione ed attuazione cautelare riscontrabile nei sequestri. Qui infatti la cognizione del giudice sfociata nel provvedimento di autorizzazione del sequestro, riflette l’A., non è in grado di dare al beneficiario alcun risultato utile, questo derivando solo dalla concreta esecuzione, intesa come apposizione del vincolo. L’interesse ad agire del beneficiario, il

“risultato utile” cui egli aspira, si realizza perciò, a differenza che nella tutela ordinaria, solo attraverso l’ “attuazione” della cautela. La dottrina successiva a Liebman (in particolare Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, Napoli, 1955) applica progressivamente questo tipo di impostazione anche alle cautele anticipatorie, giungendo a consolidare l’idea dell’inscindibilità che ancora oggi, come rilevato nel testo, trova proseliti nella dottrina e nella giurisprudenza di merito.

V. amplius, per gli sviluppi successivi dell’idea e le critiche progressivamente aggregatesi intorno ad essa Vullo, Op. loco ult. cit.

3 T. Latina 5 dicembre 1997, in Foro It., 1999, I, 2117; T. Bari 29 febbraio 1996, in Foro It., 1996, I, 2914.

4 T. Roma 17 aprile 1997, in Nuovo dir, 1998, 53, con Nota di Tatarelli

5 T. Padova 16 agosto 2002.

6V., per tutti, Montesano-Arieta, Il nuovo processo civile. Legge n. 353/1990, Napoli, 1991, 147.

7 Aspetto messo limpidamente in evidenza da T. Pisa 29 agosto 1994, in Giust. Civ., 1995, I, 1375, con Nota di Ferroni, e da T. Latina 5 dicembre 1997, cit., che ha definito il diniego delle modalità attuative come revoca del precedente provvedimento di reintegra nel posto di lavoro; v. altresì T. Bari 29 febbraio 1996, in Foro It., 1996, I, 2914.

8 V. ad esempio, ex multis, Corsini, Il reclamo cautelare, Torino, 2002, 236; Ferroni, in Nota, cit., 1381

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esecutivo-sentenza e per il provvedimento esecutivo ex art. 612, sarebbe dunque imposta addirittura da esigenze di armonia sistematica.9

Alla soluzione della reclamabilità si allinea oggi anche il tribunale campano, il quale affida però la motivazione della scelta alla generica e sfumata affermazione che “nel caso in cui il provvedimento emesso ex art. 669 duodecies finisca per modificare o disattendere il comando giudiziale che dovrebbe eseguire occorre comunque garantire ai soggetti lesi un rimedio per tutelare i propri interessi sostanziali in ossequio ad un diritto di difesa costituzionalmente garantito”.

L’evanescente riferimento alla capacità del provvedimento reso ex art. 669 duodecies di modificare o disattendere il dictum da eseguire, non supportato da una adeguata indagine sul fondamento di tale interazione, sembrerebbe ascrivere anche questa pronuncia al novero di quelle basate sull’inscindibilità del provvedimento concessivo da quello di attuazione.

Di siffatta inscindibilità non vi è tuttavia traccia nella disciplina del processo cautelare, la cui analisi conduce anzi in direzioni opposte e foriere di risultati applicativi molto proficui sotto il profilo dell’effettività della tutela cautelare.

3.- Il fondamento della reclamabilità del provvedimento ex art. 669 duodecies nel contesto dell’attuazione cautelare

Il discorso va necessariamente collocato nel contesto dell’art. 669 duodecies , che disegna l’attuazione come una fase del processo cautelare basata su presupposti, inaugurata da un atto ed avente regole, autonomi e diversi da quelli che governano la fase di concessione del provvedimento e che per le cautele “anticipatorie”10 è un vero e proprio processo di esecuzione forzata.

Ed è proprio nella prospettiva dell’esecuzione forzata che vanno ricostruiti i problemi, e le possibili soluzioni, emergenti in questo delicato snodo della tutela cautelare, a partire dall’interesse del ricorrente ex art. 669 duodecies che è quello, che qualifica ogni istanza di tutela esecutiva (diretta), di ottenere la

9 Così T. Napoli 2 febbraio 2001, in Giur. Nap., 2001, 155 ss.

10Occorre infatti considerare che il termine “attuazione” presente nell’art. 669 duodecies assume un significato diverso a seconda che si applichi ai sequestri o ai provvedimenti a struttura anticipatoria.

Per i primi il termine rimanda al perfezionamento della sequenza procedimentale da parte dello stesso beneficiario del sequestro che, se non lo perfeziona in un termine di perenzione (v. l’art. 675 cpc), vede il provvedimento di autorizzazione perdere di efficacia. Ciò deriva dal fatto che i sequestri sono per loro natura vincoli pubblicistici sui beni della controparte, e dunque non raggiungono il loro scopo se il vincolo stesso, una volta autorizzato, non viene apposto dallo stesso beneficiario.

Non così invece per le cautele a struttura “anticipatoria” (e per i provvedimenti possessori cui la relativa disciplina si applica in quanto compatibile, ai sensi dell’art. 703, c. 2, cpc), ove l’esecuzione del provvedimento compete esclusivamente

all’obbligato, solo in assenza di sua collaborazione scattando l’esecuzione forzata surrogatoria. V. Vullo, L’attuazione dei provvedimenti cautelari, Torino, 2000.

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predisposizione dei modi dell’invasione forzosa della sfera giuridica dell’obbligato inottemperante o comunque la sua surrogazione forzata. Ciò spiega la comune affermazione che, a differenza di quanto accade nella determinazione del contenuto precettivo del provvedimento dichiarativo, ove opera il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 cpc), qui i poteri del giudice sono ampiamente discrezionali.11

Accogliendo il ricorso ex art. 669 duodecies egli può dunque (ri)disegnare le modalità esecutive anche in modo completamente diverso dalle (peraltro solo) eventuali indicazioni di parte, scegliendo autonomamente quelle che ritiene più consone al concreto dictum da realizzare e senza che di ciò le parti abbiano uno specifico interesse a dolersi.

E’ verosimilmente questa la ragione per la quale l’art. 669 duodecies non prevede alcun riesame del provvedimento che si limiti a fissare le modalità di attuazione, ritenendo sufficiente ad accogliere le osservazioni e proposte delle parti la sede dell’audizione preventiva del giudice dell’attuazione.

Lo scenario muta invece significativamente quando si esce dalla dinamica appena illustrata, ciò che accade in due ordini di ipotesi.

La prima di esse, cui è ascrivibile anche il caso di specie, è quella del rigetto dell’istanza di fissazione delle modalità di esecuzione motivata dall’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata per (asserito) difetto di uno qualunque dei suoi presupposti: ad esempio perché non sussiste l’inottemperanza, come nel caso deciso o, come spesso si legge in materia di reintegra nel posto di lavoro, per incoercibilità dell’obbligo12. Qui l’interesse del ricorrente al riesame non può misconoscersi se egli intende dimostrare che i presupposti per procedere ad enforcement invece esistono.

La seconda ipotesi è speculare alla precedente e si verifica se il ricorso è accolto ma sia l’obbligato a contestare il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata, o siano invece il ricorrente e/o l’obbligato a lamentare una errata/aberrante interpretazione del dictum da parte del giudice dell’attuazione.

L’interesse al riesame del provvedimento attuativo, assente se oggetto di contestazione sono le modalità di esecuzione solo in quanto tali, risorge dunque ove tale contestazione (non sia fine a sé stessa ma) veicoli quella di una aberrante interpretazione del provvedimento o se si intenda dimostrare (per il ricorrente) o contestare (per l’obbligato) l’esistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata (sub specie di attuazione ex art. 669 duodecies).

11 Così Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza,Padova, 1983. Lo stesso non appare escluso neppure nelle esecuzioni del Libro III del cpc, come dimostra il singolare caso risolto da Cass. 2 settembre 1982 n.4798, in Giust. Civ. Rep., 1982, v. Esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, 9, ove la Corte ha ritenuto superfluo il ricorso alla procedura prevista dall’art. 612 cpc., perché già nella sentenza era stata disposta, in caso di esecuzione forzata, la nomina di un tecnico.

12V., ad esempio, T. Benevento 22 marzo 2001, in Lav.Pubbl .Amm., 2001, n. 2.

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Ed è in riferimento a tali ipotesi che il silenzio serbato dall’art. 669 duodecies impone la ricerca di adeguate soluzioni sul piano dell’ermeneutica.

Le altre esecuzioni forzate note all’ordinamento risolvono questi ordini di problemi in modo diversificato.

Partendo dall’ipotesi in cui si intenda dimostrare (per il ricorrente) o contestare (per l’obbligato) il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata, ci si avvede che nei processi esecutivi del Libro III del cpc tali contestazioni (non trovano spazio all’interno della procedura13 ma) sono oggetto di separata fase dichiarativa nelle forme dell’opposizione ex art. 617 se è il ricorrente a contestare il rigetto dell’istanza di tutela esecutiva, o in quelle ex art. 615 se è invece l’obbligato a ritenere che l’esecuzione non avrebbe dovuto essere promossa o proseguita.

Nel giudizio di ottemperanza alle sentenze amministrative14 tali contestazioni sono invece veicolate dall’appello che, ai sensi dell’art. 114, c. 9 del Codice del processo amministrativo, è mezzo generale di controllo delle sentenze, e quindi anche di quelle rese in sede di ottemperanza15.

Si profila dunque, netta, una conclusione: il provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia affrontato e risolto (in un modo o nell’altro) la questione dell’esistenza dei presupposti processuali speciali e delle condizioni legittimanti l’accesso o il successivo svolgersi della procedura è oggetto di riesame (in forma impugnatoria nell’ottemperanza; in forma contenziosa ex art. 617, con l’appendice del ricorso ex artt. 111 Cost., comma 7 e 360, u.c.; o anche ex art. 615, con l’appendice dell’appello, nell’esecuzione civilistica).

E ciò alla luce dell’unitaria ratio di tutela del diritto di procedere ad esecuzione forzata16 in quanto pretesa giuridicamente rilevante cui corrisponde l’obbligo dell’ufficio di dar corso all’esecuzione in presenza delle condizioni legittimanti. Il che, evidentemente, esclude sia che il giudice possa rifiutare tout court la tutela esecutiva, sia che i provvedimenti resi all’esito della relativa domanda restino privi di riesame su istanza di chi vi abbia interesse, la pretesa allo svolgimento dell’enforcement trovando il suo

13 Occorre considerare che ci si trova nell’ambito di procedure esecutive basate sul titolo esecutivo, ove non vi è spazio per la decisione delle questioni di rito attinenti ai presupposti processuali. Il giudice dell’esecuzione si limita allora a delibare sull’esistenza di questi ultimi al fine di stabilire se concedere la tutela esecutiva oppure no. In caso ritenga inesistenti le condizioni per la messa in moto dell’esecuzione, rigetta il ricorso. La vera decisione sull’esistenza dei presupposti processuali specifici è dunque assunta all’interno di quel giudizio dichiarativo esterno ma funzionalmente collegato che è inaugurato dall’opposizione ex art. 617 o 615: v. amplius Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2011, spec. 58 ss.

14 Anche in tal caso occorre contestualizzare. Il giudizio di ottemperanza è storicamente il frutto dell’interpretazione creatrice della giurisprudenza e non ha ricevuto, fino al Codice del processo amministrativo del 2010, compiuta preregolamentazione legislativa, come invece è accaduto nell’ambito del processo civile e della relativa fase di esecuzione forzata.

15 Sulla scia della soluzione pretoria forgiata dalla giurisprudenza: v., solo per qualche esempio tra i più recenti, C. Stato 10 agosto 2000, n.4459, in Foro Amm., 2000, 2638; C. Stato 13 dicembre 1999, n. 2106, in Foro Amm., 1999, 2510; C. Stato 5 maggio 1998, n. 632, in Foro Amm., 1998, 1460.

16 In termini di “diritto all’esecuzione” si esprime, ad esempio, Tar Veneto, 10 gennaio 2001, n. 464; v. anche C. Stato 3 febbraio 1996, n. 120, che mette in evidenza la rilevanza costituzionale del giudizio di ottemperanza, intesa come necessità che vi sia uno strumento di giustizia effettiva che permetta il conseguimento reale del bene o dell’utilità riconosciuti dal giudicato in assenza di un comportamento in tal senso del soccombente.

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limite proprio nell’assenza delle condizioni di legge, cui corrisponde la pretesa del (presunto) obbligato di ottenere la chiusura della procedura (e l’obbligo dell’ufficio di disporla).

Tornando in particolare al rigetto dell’istanza di tutela esecutiva, si può dunque concludere che la sua potenzialità lesiva non risieda in una presunta idoneità a revocare o disattendere, secondo il lessico immaginifico dell’ordinanza in commento e di molta giurisprudenza di merito, il provvedimento che impartisce la tutela dichiarativa. Si tratta infatti di una costante di tutti i processi esaminati, ove il rifiuto di tutela è soggetto a riesame perchè, precludendo l’enforcement e rendendo il provvedimento in concreto ineseguibile senza la collaborazione dell’obbligato, priva il beneficiario di quel diritto di procedere ad esecuzione che invece gli compete. Che ciò si traduca in un’elisione dell’effettività della tutela è conseguenza della ratio ascrivibile alla predisposizione, da parte dell’ordinamento, di una fase di esecuzione forzata, dotata di copertura costituzionale, che assiste le pronunce giurisdizionali.

Nulla autorizza dunque a credere, alla luce delle esperienze processuali illustrate;17 e della struttura dell’attuazione cautelare, fase distinta sia strutturalmente che funzionalmente da quella di concessione della cautela; che i provvedimenti resi ex art. 669 duodecies siano integrativi di quelli resi in sede di cognizione; o che nel procedimento cautelare non sarebbero nettamente distinguibili la fase di cognizione da quella di attuazione, in virtù dell’unità del procedimento; e poi, per questa via, a concludere che, partecipando della stessa natura di quelli concessivi, essi siano sottoponibili al medesimo mezzo di riesame.

E di ciò è riprova appunto la circostanza che i medesimi problemi si pongono anche in un ambito in cui nessuno mai ha adombrato contaminazioni tra tutela dichiarativa ed esecutiva: quello dei processi esecutivi del Libro III del cpc.

Stessi problemi, stessa esigenza di riesame quale soluzione, dunque.

Le peculiarità del processo cautelare vanno considerate perciò sotto il solo profilo dell’individuazione della tecnica di riesame, che deve considerarsi proprio quella impugnatoria del reclamo, in applicazione estensiva dell’art. 669 terdecies.

17 Può rivelarsi illuminante in proposito Cass. S. U. 24 dicembre 2009, n. 27365 che, recependo l’orientamento già espresso da Cass. 23 gennaio 2009, n. 1732, afferma, ai fini del computo della durata irragionevole del processo, la dualità e non sovrapponibilità tra giudizio di cognizione amministrativo e susseguente giudizio di ottemperanza, le cui durate non possono sommarsi. Tale distinguibilità del processo amministrativo dichiarativo da quello di ottemperanza è analoga, per la Corte, a quella tra processo di cognizione davanti al giudice civile e processo esecutivo ex Libro III del cpc, anche se qui appaiono più evidenti le differenze strutturali. E così come è impensabile creare un legame tra la decisione passata in giudicato del giudice ordinario e la conseguente azione esecutiva, così deve riconoscersi la differenza tecnica ed ontologica tra giudizio amministrativo di cognizione e susseguente processo di ottemperanza.

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Thema decidendum ne sarà però non il riesame della cautela (o l’esame degli eventuali vizi del provvedimento concessivo o del procedimento) ma quello del (diverso) provvedimento reso ex art. 669 duodecies sotto il profilo dell’errata valutazione dei presupposti legittimanti il ricorso all’enforcement.

Si tratterà cioè di un reclamo “esecutivo”.

Impostazione e conclusioni analoghe valgono per il diverso profilo dell’errata/aberrante interpretazione del dictum compiuta dal giudice dell’attuazione ai fini della determinazione delle relative modalità.

Anche qui l’interesse, di entrambe le parti, a dedurre che la direzione data all’esecuzione è errata perché frutto di tale aberratio va salvaguardato attraverso il riesame del provvedimento, che nel nostro caso assume ancora la forma del reclamo. Ed anche qui la giustificazione non risiede in presunte peculiarità della tutela cautelare sub specie di capacità del provvedimento attuativo di modificare quello concessivo in virtù di una sua compenetrazione con esso, ma in una ben precisa caratteristica dell’esecuzione forzata in quanto tale. I provvedimenti resi dal giudice dell’enforcement (giudice dell’esecuzione, dell’ottemperanza, ma anche dell’attuazione) sono infatti naturalmente funzionalizzati ad interpretare il provvedimento da eseguire e possono perciò incorrere in errore proprio sotto il profilo della corretta individuazione della sua portata precettiva.

Il che è dimostrato, ancora una volta, da quanto accade sia nei processi del Libro III del cpc che nel giudizio di ottemperanza. Nei primi l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione fissa, ex art. 612 cpc, le modalità esecutive è infatti, per diritto vivente, ritenuta appellabile quando si lamenta che abbia travalicato i limiti precettivi della sentenza da eseguire.18 Nel secondo è ritenuta del pari appellabile la sentenza pronunciatasi, tra l’altro, sulla portata precettiva della sentenza di annullamento dell’atto illegittimo19.

Le conclusioni raggiunte non sono smentite dall’eventualità che le modalità di attuazione siano già fissate nel provvedimento cautelare.20 In tale ipotesi diviene infatti superflua un’apposita istanza al giudice dell’attuazione, ma resta intatto il ruolo del processo esecutivo (sub specie di attuazione cautelare)

18 La giurisprudenza di legittimità applica il consolidato principio, di cui essa stessa ha delineato i contorni, della prevalenza della sostanza sulla forma: poiché l’ordinanza che il giudice dell’esecuzione ha reso ex art. 612 ha in concreto assunto un contenuto che va la di là di quello suo proprio perché ha travisato la portata precettiva della sentenza da eseguire, essa assume la sostanza di una sentenza; e precisamente della sentenza resa all’esito del giudizio (strutturalmente di cognizione ma funzionalmente esecutivo) deputato all’interpretazione del dictum da eseguire, cioè l’opposizione ex art. 615. Come tale va dunque trattata quanto a regime di impugnazione: Cass. 18 marzo 2003, n. 3992, in REF, 2004, 251; Cass. 18 marzo 2003, n.

3990, in Foro It., 2003, I, 2034; Cass. 1 febbraio 2000, n.1071, in Foro It., 2001, I, 1028, con Nota di Fabiani; Cass. 27 agosto 1999, n.9012; Cass. 10 febbraio 1994, n. 1365; Cass.10 aprile 1992, n.4407, in Foro It., 1994, I, 2864, con Nota di Fabiani;

Cass. 14 maggio 1991, n. 5370, in Foro It., 1992, I 1868; Cass. 21 agosto 1991, n.8776; per il regolamento necessario di competenza se l’ordinanza detti le modalità esecutive rigettando l’eccezione di incompetenza si è invece pronunciata Cass.

21 novembre 1995, n. 12022.

19 C. Stato 6 ottobre 1999, n. 1329, in Foro Amm., 1999, 2069; C. Stato 10 febbraio 1998, n. 153, in Foro Amm., 1998, 412.

20 V., per questo rilievo nelle prime ricostruzioni dottrinali successive a Liebman, Montesano, I provvedimenti d’urgenza, cit., 118, che riguardo al contenuto del provvedimento d’urgenza ex art. 700 cpc affermava che “(…) il contenuto del provvedimento del giudice corrisponde non soltanto a quello di una sentenza di condanna, ma anche a quello dell’ordinanza con la quale il pretore, a norma dell’art.

612 cpc, determina le modalità dell’esecuzione forzata di un obbligo di fare o di non fare. (…)”.

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e dei provvedimenti ivi assunti quale sede e strumento della verifica della completa ed esatta esecuzione della cautela.

Il fatto che essa possa esibire una struttura così analitica da non aver bisogno di ulteriori determinazioni concrete da parte del giudice dell’attuazione, ancora una volta, non concretizza una peculiarità del processo cautelare e non basta ad assimilarla o a renderla indistinguibile dai provvedimenti esecutivi, che sono e restano diversi per oggetto e finalità (la verifica della coincidenza tra ordine giudiziale e comportamento ottemperante dell’obbligato). L’evidenza di questa conclusione emerge sol che si rifletta su quanto accade nell’esecuzione per consegna-rilascio disegnata dagli artt. 605 ss cpc: qui la struttura dell’obbligo consacrato nel provvedimento di condanna nasce autosufficiente, sicché non è prevista alcuna fase esecutiva deputata alla fissazione delle modalità di esecuzione (come accade invece nell’esecuzione per obblighi di fare, ove la maggiore indeterminatezza strutturale del dispositivo rende fisiologica, ancorché non necessaria, la determinazione del quomodo esecutivo ex art. 612 cpc21).

Nondimeno, nessuno ha mai contestato che l’esecuzione forzata resti necessaria in presenza di inottemperanza spontanea e che nel suo alveo possano verificarsi tutti i problemi già illustrati.

4.- La rilevanza del fondamento della reclamabilità “esecutiva” e le sue ricadute sulla ricostruzione della disciplina applicabile

La ricostruzione dell’attuazione cautelare (dei provvedimenti anticipatori) in termini di fenomeno tecnicamente esecutivo consente dunque di concludere che i provvedimenti resi ex art. 669 duodecies debbano considerarsi oggetto di (riesame nella forma del) reclamo “esecutivo”, se si assume che abbiano travalicato la portata precettiva del dictum da eseguire, o se si intende dimostrare (se il provvedimento rigetti il ricorso ex art. 669 duodecies, come nel caso deciso) o contestare (se il provvedimento è invece di accoglimento) il diritto dell’istante di procedere ad esecuzione forzata.

Quella che l’ordinanza in commento definisce capacità del provvedimento attuativo di modificare o disattendere il dictum da eseguire è dunque null’altro che il proprium di ogni esecuzione forzata che, se illegittimamente rifiutata o condotta sulla base di una aberrante interpretazione del provvedimento da eseguire, lede il diritto di azione costituzionalmente garantito ed impone una forma di riesame.

21Anche il Codice del processo amministrativo consente che il provvedimento dichiarativo rechi alcuni contenuti tradizionalmente tipici del giudizio di ottemperanza: l’art. 34 del Codice prescrive infatti che la sentenza dichiarativa possa recare, oltre ai suoi contenuti tipici, anche l’indicazione delle misure idonee a consentire la realizzazione del decisum da parte della PA e la nomina del commissario ad acta. Ciò non basta però a rendere superfluo il giudizio di ottemperanza, come la casistica già edita mostra inequivocabilmente. Prima ancora l’opzione risultava già praticata anche all’art. 342 ter c.c. sugli ordini di protezione contro gli abusi familiari, ove è prevista una analitica indicazione delle disposizioni direttamente funzionali all’esecuzione dell’ordine di protezione.

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E non della lesione di un generico diritto di difesa si tratta, come invece sostiene l’ordinanza in commento, ma di vero e proprio vulnus al diritto di azione, che comprende anche la tutela esecutiva.

Proprio per questo l’applicabilità dell’art. 669 terdecies deve ritenersi solo analogica (e non diretta) perché relativa ad un provvedimento diverso, per oggetto e finalità, da quello che decide sull’istanza di tutela cautelare per cui il reclamo, e le regole processuali che lo assistono, sono stati concepiti.

Le conseguenze applicative di questa lettura non sono di poco conto.

Il reclamo deve infatti ritenersi esperibile, se ricorrono le condizioni appena indicate, non solo nei confronti dei provvedimenti attuativi resi dal giudice di prime cure ma anche nei confronti di quelli resi dal giudice del reclamo in ipotesi di sua competenza a gestire l’attuazione cautelare22. Risvolto di non poco conto, dato che le esigenze sottese alla reclamabilità sussistono, identiche, anche se la cautela è stata resa solo in sede di riesame! Risultato, questo, che resterebbe invece precluso ove di ricostruisse il provvedimento ex art. 669 duodecies come integrativo della cautela e perciò sottoposto allo stesso regime di riesame.

Poiché infatti il provvedimento ex art. 669 duodecies è diverso dalla cautela, non può ritenersi reso in sede di riesame (e dunque inimpugnabile) solo perché adottato dal giudice del reclamo, sicché competente sarà il giudice che l’art. 669 terdecies indica per i provvedimenti emessi da un giudice collegiale (quale è sempre quello del reclamo): e cioè, in alternativa, altro collegio dello stesso tribunale o tribunale più vicino23..

La premessa adottata in ordine ai rapporti tra cautela e provvedimento attuativo ex art. 669 duodecies consente poi di escludere che, una volta sottoposto a reclamo quest’ultimo, l’ulteriore gestione globale dell’enforcement passi automaticamente al giudice del reclamo. Infatti il “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare” di cui discorre l’art. 669 duodecies è e resta sempre quello di prime cure che ha reso la cautela, il riesame svolgendosi rispetto ad un diverso provvedimento (quello ex art. 669 duodecies) ed avendo un diverso oggetto (l’interpretazione che l’ordinanza attuativa ha dato della cautela o la sussistenza del diritto di agire in executivis)24.

Nei casi come quello deciso, in cui al rigetto del ricorso ex art. 669 duodecies in prime cure corrisponde l’accoglimento del reclamo e la fissazione delle modalità di attuazione, la gestione della fase attuativa ritorna, dopo la parentesi impugnatoria esecutiva, al giudice di prime cure, il quale sarà vincolato alle

22 Non va infatti dimenticato che, almeno per una consistente parte degli interpreti, ove il “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare” sia quello del reclamo, la gestione dell’attuazione sia proprio di competenza del giudice del reclamo, in applicazione dell’art. 669 duodecies: v., per la ricostruzione dei termini del problema, ancora Vullo, Op. loco ult. cit.

23 Va peraltro segnalato che la Cassazione, con ord. 24 giugno 2009, n. 14819, in www.cortedicassazione.it, ha statuito che la Corte d’appello divisa in più sezioni è competente a decidere il reclamo contro la cautela in controversia di lavoro emessa dalla sezione lavoro della medesima Corte d’appello.

24 L’autonomia del giudizio e delle sentenze di ottemperanza rispetto al giudizio di cognizione ed alle sentenze conclusive dello stesso è affermata da Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, V ed., 2000, 356 ss e passim, che proprio su questa base ritiene debba affermarsi la generale appellabilità delle sentenze rese all’esito del giudizio di ottemperanza stesso. V. anche N.

Saitta, Sistema di giustizia amministrativa , Milano, 2004, 333 ss.

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modalità fissate dal collegio (che neppure le parti potranno più mettere in discussione) ed al quale competerà altresì il controllo sull’attuazione e l’ulteriore potere di risolvere (altre eventuali) difficoltà e contestazioni.

Nelle ipotesi di provvedimento attuativo che abbia fornito una aberrante interpretazione della cautela, ritengo invece che, accolto il reclamo e fornita la corretta interpretazione della cautela, la fissazione delle modalità di attuazione spetti comunque al giudice dell’attuazione, che ritorna competente a gestire quest’ultima sia pure nei confini tracciati dal giudice del riesame (ed anch’essi non più discutibili dalle parti).

Infine, la gestione globale dell’attuazione tornerà all’alveo del giudice del reclamo che debba, nel caso di specie, considerarsi “giudice che ha emanato il provvedimento cautelare”25, dopo la parentesi del reclamo esecutivo esperito contro il provvedimento reso ex art. 669 duodecies.

25 Stiamo parlando dunque del diverso fenomeno del provvedimento cautelare reso dal giudice del reclamo (inteso nel senso proprio di impugnazione del provvedimento dichiarativo), caso nel quale l’art. 669 duodecies impone che sia proprio il collegio del reclamo, come già accennato, a gestire la fase di attuazione cautelare.

Riferimenti

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