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Šachovskoj e i decabristi, tra letteratura civile e idea nazionale.

3.1 Šachovskoj e il dibattito letterario negli anni 1816-1820: innovazione e conservazione.

Šachovskoj, rientrato dal viaggio in Italia a fine 1816, attraversa nel decennio successivo, approssimativamente fino al 1825, un periodo di grande effervescenza culturale. Passato il diluvio di epigrammi canzonatori causati da Urok koketkam e scritti nella quasi totalità da autori vicini alla cerchia di Arzamas, il nostro drammaturgo si ritrova tuttavia al centro di una nuova serie di polemiche, riguardanti proprio la natura e la composizione della commedia di costume, il suo potenziale satirico e lo stile con cui deve essere scritta. Il viaggio dall’Italia aveva forse reso più chiaro al commediografo tutta l’ambivalenza e le contraddizioni dell’epoca, lacerata tra un istinto alla conservazione, incarnato dalla letteratura classicista, e una spinta al rinnovamento, che si realizzava nelle poetiche, ancorché variegate, del romanticismo, che Šachovskoj aveva cominciato a saggiare, come abbiamo visto, con la Corinne di Madame de Staël. Tale contraddizione, del resto, come abbiamo accennato, era insita persino nella Beseda ljubitelej russkogo slova, dove si confrontavano fautori di un classicismo immutato e alquanto reazionario e sostenitori di una moderata apertura ad alcuni temi romantici, come lo studio del folklore e delle tradizioni popolari. Šachovskoj si era finora attenuto, benché con qualche licenza, agli insegnamenti classicisti, e tuttavia, dopo lo spartiacque del 1815, il suo modo di approcciare la materia teatrale si fa sempre meno vincolato, sempre meno conforme a norme obsolete, rimanendo però, almeno fino al 1820, nell’alveo della commedia di costume satirica. Citando Ivanov, possiamo effettivamente dire che “летом 1818, [...] начинается новый расцвет его творчества.[...] Шаховской получает, наконец, возможность для эспериментов с формой, для поведения некоторых итогов и переосмысления собственной репутации”1 [Ivanov 2009a: 84]. L’annus mirabilis 1818, in cui per Šachovskoj avviene un vero terremoto dal punto di vista artistico, fu un anno di furiosi dibattiti sul teatro e sulla commedia,

1 “Nell’estate del 1818, […] inizia una nuova fioritura della sua opera. […] Šachovskoj riceve la possibilità,

che ebbero ripercussioni anche sulla vita privata del nostro drammaturgo. Il direttore generale dei teatri imperiali, Naryškin, si trasferisce definitivamente all’estero e dopo sedici anni lascia il posto a un poco oculato successore, M. Tjufjakin. Šachovskoj, rimasto direttore del repertorio, non vede di buon occhio la nomina: la gestione finanziaria dei teatri subisce immediatamente un forte passivo [Pogožev 1906, I: 210-211], ma, quello che più conta, è che il nuovo direttore ha visioni estetiche pressoché agli antipodi del nostro drammaturgo. Uno dei suoi primi atti, infatti, sarà quello di ricostituire a inizio 1819 la troupe francese, dispersa nel 1812 a seguito dell’invasione francese, per riportare in scena pièce provenienti dall’Europa Occidentale, che il direttore considerava di gran lunga più pregiate delle pièce originali russe. Una scelta che non poteva andare a genio a un autore che aveva lottato strenuamente per la formazione e lo sviluppo di un teatro nazionale e per lo sradicamento della gallomania, imperante tra gli spettatori teatrali russi. Šachovskoj, capite le intenzioni del direttore, reagisce con un gesto clamoroso, rassegnando le dimissioni il 12 luglio 1818 e rimanendo fuori dalla gestione dei teatri fino alla nomina del successore di Tjufjakin, V. Majkov, nel gennaio 1821 [Jarcev 1896: 3], che lo reinsedierà sulla poltrona della direzione repertoriale. Lo strappo, peraltro, sembrò non interrompere affatto le precedenti attività del drammaturgo, che in questi due anni continuerà a lavorare come istruttore e regista per gli attori e a pubblicare anche diverse nuove pièce, due delle quali, di cui andiamo a parlare, crearono un notevole dibattito letterario. L’allontanamento dai teatri, inoltre, fu anche la causa collaterale dell’apertura di un salotto letterario e di intrattenimento nell’attico della villa di Šachovskoj sulla Bol’šaja Morskaja, il Čerdak (attico, appunto), dove l’autore conosce Puškin e molti dei futuri decabristi. Dall’incontro con essi si consoliderà una nuova poetica e il nostro autore compirà un serie di primi passi in direzione di nuovi valori estetici e tematici, di cui parleremo nei paragrafi successivi.

La commedia Svoja sem’ja, ili zamužnjaja nevesta [La propria famiglia, o la fidanzata maritata] è senza dubbio una delle più piacevoli e divertenti del repertorio šachovskoiano. Presentata al pubblico la prima volta il 24 gennaio del 1818, è frutto della collaborazione di Šachovskoj con Chmel’nickij e con il giovane Griboedov, che scrivono rispettivamente la scena III dell’atto terzo e le scene I-VI dell’atto secondo.

La trama, come si evincerà facilmente, fa ancora parte appieno di un repertorio “classicheggiante”: il giovane e baldanzoso Ljubim ha sposato il gran segreto la fidanzata Nataša, all’insaputa persino dei parenti di lui, una famiglia di nobili di provincia costituita da un campionario umano piuttosto eccentrico ed eterogeneo. Ljubim conduce allora la ragazza alla tenuta dei familiari, spacciandola ancora per fidanzata e rivelando la verità solo alla zia Varvara. L’anziana zia avvisa i giovani che i familiari di Ljubim, accetteranno per il nipote solo una sposa che risponda ai loro desiderata: consiglia pertanto alla giovane di incarnare, di volta in volta, nel colloquio che avrà con gli anziani familiari del fidanzato, la ragazza avara e avida (con la zia Fekla), la fanciulla sdolcinata e sentimentale (con la vedova Raisa), la fervente patriota (con il maggiore Iskrin) e la ragazza colta interessata alla cultura e al sapere (col pedante Birjulkin). La giovane Nataša, attrice provetta, riesce a farsi amare da tutti e solo a quel punto il giovane rivela ai familiari che il matrimonio era già stato celebrato in precedenza. I familiari, ciascuno rassicurato dal colloquio avuto con la fanciulla, non possono che approvare la scelta fatta dal giovane nipote.

Ora, anche a un’occhiata superficiale è evidente che i temi e i personaggi siano ancora una volta ascrivibili alla commedia molieriana: il cambiamento rispetto a Urok koketkam è, tuttavia, decisamente percepibile anche a un lettore frettoloso. Innanzitutto, i “tipi” umani rappresentati non sono più incarnazioni di personaggi reali della vita culturale russa, come era stato con Fialkin e Ugarov nelle pièce precedente: qui i personaggi sono realmente “tipi” in tutto e per tutto, rappresentano una categoria umana in toto, non un singolo individuo. Ciò significa che Šachovskoj, a partire da questo testo, rinuncia (o almeno mitiga) alla satira “na lico” di ascendenza aristofanea, per concepire una satira più universale e generale. Satira che, per giunta, assume un aspetto profondamente diverso rispetto ai testi fin qui nominati: non più un amaro e sarcastico attacco a certe politiche o poetiche, bensì un’ironia più bonaria, una presa in giro più leggera. Persino la sentimentale e sdilinquita Raisa Savvišna, che nelle pièce precedenti sarebbe stata ferocemente umiliata, è qui un personaggio sì ridicolo, ma simpatico, con cui il lettore può persino solidarizzare e verso il quale, alla fine della commedia, non vi è alcun tipo di castigo o punizione. Il percorso di Šachovskoj è a mio avviso piuttosto chiaro: l’autore si allontana dalla commedia satirica personale in direzione della cosiddetta

blagorodnaja komedija, o commedia di salotto, il cui rappresentante più celebre, almeno in questi anni, è proprio Chmel’nickij, che coadiuva il nostro drammaturgo nella stesura dell’esilarante colloquio tra Nataša e il pedante Birjulkin nell’atto terzo. Chmel’nickij del resto vive un momento di grande successo, e proprio nel 1818 la commedia Vozdušnye zamki [Castelli in aria] ottiene uno strepitoso successo; i critici più smaliziati lessero nella richiesta di collaborazione da parte di Šachovskoj un tentativo più o meno aperto di mettere a tacere le voci che volevano i due drammaturghi in lotta per il dominio delle scene in quegli anni. Fatto sta che in questa pièce Šachovskoj decide di allontanarsi parzialmente dallo schema della commedia alta dai risvolti ideologici per introdurre un’ironia più bonaria e “chmel’nickiana”, concentrata più su una trama vivace e un dialogo brillante che non sulla denuncia sociale, qui pressoché assente. Resta però da aggiungere che il nostro drammaturgo non rinuncia, come invece fa spesso il collega, più incline ad adattamenti e traduzioni di testi stranieri, a presentare commedie dal contenuto “nazionale” e dal linguaggio profondamente russo, addirittura in taluni casi “prostonarodnyj”, come lo definisce Mordovčenko [Mordovčenko 1959: 240]. Proprio la questione della lingua è il nocciolo duro attorno cui infurierà la polemica riguardante questa commedia. In questi anni la critica di indirizzo liberale, coagulata attorno a Orest Somov e al giornale “Syn otečestva” considera il linguaggio salottiero e ben levigato di Chmel’nickij l’esempio del linguaggio più adatto da utilizzare per i testi teatrali, additando invece le asperità e le espressioni popolane dei drammaturghi ex besedčiki e dei loro successori (Zagoskin, Griboedov, Katenin) come esempi di rozzezza e di mancanza di tatto. Proprio su “Syn otečestva” Somov loda la scena di Svoja sem’ja scritta da Chmel’nickij e critica le espressioni di Šachovskoj considerate inadatte a un pubblico colto e raffinato, nonché l’abitudine di chiamare le persone solo col nome e senza patronimico sul palcoscenico [Mordovčenko 1959: 240-241]. Sempre il recensore dello stesso giornale sottolinea la ripetitività di inserire attacchi al sentimentalismo ancora nel 1818, evidentemente non percependo la diversità di tono che contraddistingue questo testo, ad esempio, dal Novyj Stern: “Неужели можно укорить время наше излишною чувствительностью? Лет за пятнадцать пред сим вышли два или три

чувствительные путешествия, и наши сатирики до сих пор только на них и выезжают.”2 [Mordovčenko 1959: 239]

Siamo del resto ancora vicini temporalmente alla disputa linguistica che nel decennio precedente aveva visto contrapporsi aspramente le due fazioni degli arcaisti e dei karamzinisti: Arzamas conclude la sua esistenza proprio nel 1818, ma il linguaggio raffinato e salottiero propagandato dai sodali di Karamzin è ancora il punto di riferimento degli intellettuali di estrazione liberale, nonostante si sia ormai formato all’altezza del 1818 anche un nuovo gruppo di letterati ideologicamente progressisti ma che attuano una politica linguistica ereditata direttamente dalla Beseda, ormai scomparsa già dal 1815. Questi letterati, chiamati da Tynjanov archaisty- novatory nell’omonimo saggio, comprendono essenzialmente Katenin, Kjuchel’beker e Griboedov. Lo studioso formalista, tuttavia, introducendo le politiche linguistiche e ideologiche di questo ristretto gruppo di scrittori, vi inserisce anche Šachovskoj, senza però poi approfondire nello studio l’analisi delle opere del nostro drammaturgo [Tynjanov 1929: 7]. Non sottovaluterei, in ogni caso, la presenza di Šachovskoj in questo elenco provvisorio stilato da Tynjanov, spia della sempre crescente vicinanza (estetica e mai politica) tra il più anziano drammaturgo e il gruppo dei giovani innovatori, che si risolverà, come vedremo in un paragrafo successivo, in un percorso comune di ricerca e sperimentazione anche in ambito drammaturgico e non solo linguistico.

Tornando un attimo alle polemiche linguistiche di questo anno 1818, è necessario aggiungere che esse non cessarono con la pubblicazione di Svoja sem’ja. Nell’ottobre dello stesso anno esce la commedia Ne ljubo ne slušaj, a lgat’ ne mešaj [Se non ti piace non ascoltare, ma non impedirmi di mentire]. La breve pièce, stavolta in un solo atto (la precedente era in tre atti) fu in un certo senso rivoluzionaria dal punto di vista proprio linguistico e metrico: l’autore decide di abbandonare, per la prima volta per quanto riguarda una commedia, il verso alessandrino a favore del giambo anisopodico, libero da rime e finalmente più mimetico e simile al linguaggio reale, in modo da poter compiere un passo decisivo verso una rappresentazione teatrale più realistica e vivida, finalmente svincolata da un verso talvolta pesante e

2 “Davvero è possibile perdere il nostro tempo a castigare il superfluo sentimentalismo? Quindici anni fa sono

artificioso, percepito peraltro come “occidentale”. L’idea non piacque tuttavia all’establishment vicino a “Syn otečestva”, in particolare al purista Soc, che tornò ad attaccare sarcasticamente Šachovskoj: “некоторые сочинители комедий в стиках дошли до такого совершенства, что трудно различать версификацию их с обыкновенною прозою”3 [“Syn otečestva” 1818: 40]. L’attacco peraltro si concentrava appunto su tematiche di tipo linguistico, poiché, a una attenta lettura, è palese che dal punto di vista tematico Šachovskoj arretri abbastanza significativamente rispetto alle innovazioni della pièce precedente, virando verso la più regolamentare delle commedie di carattere, incentrata qui sul personaggio del bugiardo incallito, il signorotto Zarnickin, che con la sua indefessa abitudine di vantarsi raccontando frottole rischia di mandare a monte il matrimonio tra il candido fratellastro Meseckij e la principessa Lidina, se non fosse per l’intervento della cameriera dell’anziana Principessa Chandrina, Dašen’ka, tipica figura di servetta scaltra davvero poco innovativa.

La polemica linguistica attorno a questi due testi e, più in generale, attorno alle politiche linguistiche di Šachovskoj non accenna a placarsi: dopo la riapertura degli spettacoli della troupe francese, un anonimo recensore, B. Kl-nov, che si spacciava per un invalido rimasto senza un braccio a seguito della campagna napoleonica (in modo da non poter essere tacciato di francofilia) deprecò duramente lo stato della commedia in Russia, lodando la leggiadria e la soavità del teatro francese e contrapponendolo alla rozzezza e all’inciviltà del teatro proprio di Šachovskoj: “Что за комедии! Что в них за стихи! Что за проза! Тупые или, лучше сказать,

частым употреблением притупленные остроты, площадные шутки,

бесхарактерные характеры, давно известные, можно сказать древние интриги составляют их существо и свойство”4 [“Syn otečestva 1819: 275].

A tutto queste polemiche il nostro drammaturgo scelse di non replicare, forse anche a causa del suo carattere mite, ma quello che più interessa fu il grande numero di interventi critici, soprattutto sullo stesso “Syn otečestva”, a difesa della commedia e, più in generale, del teatro russo di quegli anni e in particolare del teatro di

3 “Alcuni compositori di commedie sono giunti a una tale perfezione che è difficile distinguere la loro

versificazione dalla comune prosa”.

4 “Che commedie! Che versi in esse! Che prosa! Sciocche, o forse per meglio dire insulse sagacità dall’utilizzo

frequente, scherzi da fiera, personaggi senza carattere, intrighi conosciuti da lungo tempo, quasi antichi rappresentano la loro essenza e la loro caratteristica” [Corsivo dell’autore N.d.A.].

Šachovskoj, intenzionato a portare il vero linguaggio russo parlato tutti giorni sulla scena. A difesa del drammaturgo si schiera la società della Zelenaja lampa (La lampada verde), circolo culturale dalle vedute liberali e mirante a creare una letteratura russa impegnata sul fronte civile: D. Barkov e Ja. Tolstoj, due tra i più celebri lampisty, criticano duramente la scelta di attaccare chi aveva tentato, pur con le molte imperfezioni, di russificare finalmente il teatro, proponendo ambientazioni e linguaggio finalmente russi. A difesa del drammaturgo, e quindi, per traslazione, anche del teatro nazionale, intervengono anche i giovani arcaisti, Katenin, Griboedov e Žandr: scrive ad esempio Katenin a proposito della polemica sull’invalido di guerra, che invitava a comporre ispirati dalla commedia francese: “подражанием ли чужому возвышается дарование? – дело спорное; но, кажется, мы и слишком подражаем. Неужели не довольно иностранных сочинителей, всем известных?”5 [Mordovčenko 1959: 244]. L’anonimo invalido replica sottolineando la bontà proprio della parte del teatro russo che si basa sugli eleganti rifacimenti del repertorio francese: il teatro, cioè, di Chmel’nickij. R. Zotov, grande conoscitore del teatro di quegli anni ed estimatore del teatro di Šachovskoj, provò a chiudere la polemica, denunciando gli estremismi di entrambe le parti in causa: “в суждениях своих обе стремятся к двум противным крайностям”6 [“Syn otečestva” 1820: 43].

Šachovskoj reagì apparentemente continuando sulla strada della commedia di costume, provando a cercare nuove vie e scrivendo, nel 1819, quella che viene unanimemente definita dagli studiosi come la sua dichiarazione di poetica: Predislovie k “Polubarskim zatejam”, uscita su “Syn otečestva” nel marzo 1820. Come spiega Ivanov, che ha studiato di recente in modo molto approfondito questo testo, la prefazione diviene il luogo di difesa strenua della “commedia di costumi”, fatta risalire non a Menandro, come viene spesso fatto da altri autori a lui contemporanei, bensì ad Aristofane: la commedia di costumi, quindi, diventa un modo di denunciare le storture sociali, che può liberamente far uso anche della cosiddetta satira na lico per mettere alla berlina i rappresentanti del potere: il riferimento è certamente a quello che Caterina II aveva scritto nel suo Nakaz, stabilendo che il teatro comincia

5 “Imitare un altro aumenta la bravura? La cosa è opinabile. Ma mi sembra che imitiamo anche troppo.

Davvero non ne abbiamo abbastanza di buoni compositori stranieri, già noti a tutti?”.

la sua attività educativa laddove tace il potere delle leggi, divenendo mezzo esso stesso di correzione sociale “законы, по словам Наказа, должны отмняться и исправляться законами, а обычаи обычаями. Обязанность комедии начинается там, где умолкает власть законов”7 [Šachovskoj 1820: 11].

Tuttavia Šachovskoj sembra aver messo questo tipo di satira da parte sin dal 1815, da Urok koketkam, e vedremo come gli stessi decabristi a lui vicini deprecheranno questa tipologia di commedia, definendola come limitata, essendo comprensibile al pubblico solo per un periodo di tempo limitato e solo in una precisa nazione. Šachovskoj, però, nega nella prefazione diritto di cittadinanza a quella che viene riconosciuta come “commedia di carattere”, dove ci si limita a ridicolizzare un particolare aspetto della psiche o del comportamento umano: il Misanthrope di Molière, ad esempio, rappresenta per il nostro commediografo non una commedia di carattere, bensì una vera e propria commedia di costumi, mirante a rappresentare sul palcoscenico l’ipocrisia e la frivolezza della società francese all’epoca del Re Sole, in contrapposizione alla nobiltà d’animo del perseguitato Alceste: “Мольер выводит на сцену не один частный порок, а нравы своего века. […] сей род комедии, к которому принадлежит Мизантроп получил название комедии нравов”8 [Šachovskoj 1820: 20]. Il drammaturgo giunge ad annoverare tra gli autori di commedie di carattere anche Shakespeare, che giocherà un ruolo importante nella fase successiva della carriera di Šachovskoj, soprattutto per quanto riguarda la tecnica di tratteggiare i caratteri, come vedremo nel capitolo 4: “его Виндорские невесты, почти также как Облаки и Всадники Аристофановы, могут служить памятником понятий и нравов его века”9 [Šachovskoj 1820: 21].

Šachovskoj non nega affatto la necessità di doversi ispirare a testi teatrali stranieri, tenendo ben presente però la necessità di adattarli alle circostanze della propria patria, dotandoli di un linguaggio consono e di personaggi credibili nella cultura cui questo testo viene presentato: “надо обрусить все, что найдется

7 “Le leggi, secondo le parole dell’Editto, devono essere cambiate o corrette per mezzo delle leggi, i costumi

per mezzo dei costumi. Il dovere della commedia comincia laddove tace il potere delle leggi”.

8 “Molière mette in scena non un vizio personale, ma i costumi della propria epoca. […] Questo tipo di

commedia cui appartiene il Misantropo ricevette il nome di commedia di costumi”.

9 “Le sue Allegre comari di Windsor, quasi come Le nuvole o I cavalieri di Aristofane, possono servire come

хорошаго в чужих театрах”10 [Šachovskoj 1820: 24]. È in un certo senso un tentativo di legittimare le scelte fatte da lui stesso e da altri commediografi, in primis Chmel’nickij, fermi sostenitori dell’idea di un teatro autenticamente russo ma profondamente ancorato all’interno dell’establishment letterario europeo.

È in questo panorama che Šachovskoj pubblica, nel 1820, la sua ultima commedia di costumi autenticamente satirica, Pustodomy. Il testo è probabilmente il più reazionario di tutta la carriera di Šachovskoj, ed è tuttora incerto il motivo per cui l’autore, in questi anni in stretto contatto con i circoli più liberali, decida di dare alle stampe una commedia di orientamento così conservatore. Innanzitutto nella forma: si tratta infatti di una commedia che segue pedissequamente le regole classiche dei cinque atti e delle tre unità, con l’utilizzo del verso alessandrino. La trama è incentrata attorno alle sventure dei conti Radugin, già apparsi, all’interno del repertorio di Šachovskoj, nel 1815, in occasione dell’opera comica Puzin, ili prodaža sela, di cui abbiamo brevemente parlato alla fine del primo capitolo. Proprio come in quel testo, che sembra essere per molti aspetti un antesignano di Pustodomy, i Radugin sono una famiglia di possidenti scellerati: il marito, proprio come nel testo del 1815, ha la fissazione delle riforme agronomiche all’inglese, ed è riuscito a rovinare i raccolti e a impoverire i suoi contadini. Il nobile è inoltre molto interessato alla filosofia e allo studio della cultura occidentale; per questo si fa consigliare dal saccente e sedicente bibliotecario Inkvartus, personaggio ispirato alla figura del pedante della commedia cinquecentesca. La moglie del principe è una svenevole e frivola gallomane, intenta solo a sperperare soldi in abiti e gioielli a spese della famiglia, istigata dalla maldicente e truffaldina serva Maša, presa, come recita la lista delle dramatis personae, “iz modnoj lavki”11 [Gozenpud 1961: 352], creando così un parallelo con l’omonima pièce di Krylov del 1805. Completa il quadro dei personaggi negativi il gerente delle campagne del principe, Caplin, che si è arricchito truccando i conti e mandando in rovina i servi della gleba. A questa nutrita schiera di personaggi risibili e negativi si contrappone una altrettanto popolosa schiera di personaggi positivi, come al solito nelle commedie di Šachovskoj più esangui e sbiaditi, che si esprimono per frasi fatte e tirate retoriche:

10 “È necessario russificare tutto ciò che si trova di buono nei teatri stranieri”. 11 “da una bottega alla moda”.

l’avveduta principessa Natal’ja, sorela del principe, il fidanzato Bel’skij, il saggio starosta del villaggio Foma, licenziato dal principe, fino ad arrivare al conte Radimov, vero raisonneur della pièce, zio di Natal’ja e di Radugin. Il testo è un vero concentrato

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