Capitolo 3. Dobryj Angel Smerti
3.3 Ševčenko e Kurkov
Il poeta Taras Ševčenko è tra i più importanti cantori della sua terra, e con le sue opere ha contribuito alla sua formazione culturale, storica e linguistica. La figura dell’intellettuale dissidente, che ha una forte valenza simbolica, rimane sempre al centro del romanzo di Kurkov. Egli ha sempre riconosciuto l’importanza del ruolo che ha avuto Ševčenko per la storia dell’Ucraina, e ha ritenuto la sua biografia di straordinaria rilevanza, soprattutto perché Ševčenko, nato da una famiglia povera, è stato ridotto in schiavitù per poter studiare ed è riuscito ad acquistare la libertà soltanto attraverso la sua arte. Secondo Kurkov, la poesia e la prosa di Ševčenko sono importanti soprattutto dal punto di vista storico, per le sue descrizioni della società ucraina e russa al tempo dell’impero189. La sua grandezza sta nel fatto che sia stato un grande innovatore della lingua ucraina. Il poeta ha infatti scommesso, come fa notare Pachlovska, sulla capacità rigenerativa della nazione ucraina, mentre ad esempio Gogol’, suo contemporaneo, si è sempre trovato in sospeso tra i suoi due mondi, la Russia e la Piccola Russia, ed ha finito per diventare il disincantato enunciatore del loro disfacimento. Ševčenko si è fatto cantore nazionale e profeta del popolo con il mitico cantastorie Kobzar, che è proprio il volume che il protagonista de L’angelo del Caucaso trova dentro Guerra e pace, su cui un intellettuale dissidente aveva scritto le proprie ricerche e memorie. A Kobzar è legata l’immagine più patriottica di Ševčenko, è grazie al cantastorie che la figura del poeta è stata spesso indicata come icona nazionale ucraina.
Il nazionalismo di Ševčenko però è da comprendere come uno slancio patriottico non circoscritto unicamente alla propria nazione. Egli rappresenta infatti una voce di ribellione comune a tutti i popoli assoggettati all’impero russo. Ha voluto rivendicare, per tutti i paesi compresi nel regno dello zar una dignità politica e culturale, sconvolgendo così il disegno della “Grande Russia” che vedeva l’impero come la culla dell’intera civiltà slava. Secondo la definizione di Pachlovska:
Ševčenko è una figura emblematica dell’Ottocento, e non è circoscritta alla sua nazione. Dice “lottate – e vincerete!” non solo all’Ucraina, ma alla Polonia, ai Paesi Baltici, alla Finlandia, alla Moldova, ai popoli del Caucaso e dell’Asia, alla Russia stessa190.
Anche il patriottismo presente ne L’angelo del Caucaso risponde a questi precisi princìpi. Lo spirito nazionale, che è uno dei temi centrali nel racconto, travalica i confini nazionali ed è in grado
189 A. Rachmanina, Tri vzgljada na tvorčevstvo Tarasa Ševčenko, “Domik.ua”, 10/3/2011, reperibile in: <
http://domik.ua/novosti/tri-vzglyada-na-tvorchestvo-tarasa-shevchenko-n119495.html >, (13/9/2014)
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di unire russi, kazaki e ucraini, compresi i più fondamentalisti tra loro. Si noti lo stesso Petr, che preso dall’estasi della sabbia magica, dichiara:
“Ty ne rozumieš,” neožidanno mjagko proiznec Petr. “Ce zapach ne naciji, a ducha! Ce prosto značyt’, ščo cej duch jakos’ i tebe torknuvsja, i togo evreja Geršoviča. Duch vyšče za naciju!” […] “V kožnij naciji e durin i rozumni, angely j bandjugy, ale duch torkaet’sja svojim krylom til’ky najkraščych, i vin ne dyvyt’sja u tvij pasport, ne perevirjae nacional’nist’, a perevirjae dušu… Jakščo v tebe garna duša, to nechaj ty za pochodžennjm uzbek čy rosijanyn, ale ž za dušoju ty spravžnij ukrajinec’!”191
“Non capisci,” rispose Petr in tono insolitamente paziente. “Non è l’odore della nazione, ma dello spirito! Significa semplicemente che questo spirito è penetrato anche in te, e nell’ebreo Geršovič. Lo spirito supera le nazioni!” […]
“In ogni nazione ci sono gli stupidi e i saggi, gli angeli e i banditi, ma lo spirito sfiora con la sua ala soltanto i migliori e non guarda il passaporto, non controlla la nazionalità, ma l’anima… e se hai un’anima buona, allora puoi anche essere di provenienza uzbeka, oppure russa, ma in fondo al cuore sei ucraino!...”192
Anche Ševčenko, come Kurkov, si è occupato di satira politica. Il poema Son, del 1844, ne è un chiaro esempio: nel sonno il poeta si alza in cielo e contempla la terra dall’alto. La visione è raccapricciante: da ogni angolo della terra sorgono esseri dall’anima corrotta, come assassini, ergastolani, fuorilegge e usurai che riversano oro nella bocca avida dello zar dell’universo, marchiato in fronte dal peccato, che domina un mondo devastato e degradato. Ševčenko fu l’unico dei poeti dell’epoca che in questo modo mise in discussione l’apparato imperiale, e se si prende in esempio il poema Kavkas, scritto nel 1845, si può osservare come il poeta “svela i meccanismi di una colonizzazione all’insegna dell’Ortodossia.”193
All’epoca, la colonizzazione del Caucaso che era stata messa in atto da parte dell’impero russo veniva giustificata e glorificata dai grandi geni della letteratura russa. Quella che era una colonizzazione vera e propria veniva chiamata liberazione, e l’educazione forzata dei popoli sottomessi era vista come una rieducazione. Ad esempio, Lermontov in Izmail-bej raccontava che la conquista del Caucaso sarebbe stata vissuta persino come un lieto evento delle popolazioni indigene. Esse sono state conquistate e domate, ma dallo zar russo, lo zar dell’universo194
:
Smiris’, čerkes! i zapad i vostok, Byt’ možet, skoro tvoj razdelit rok Nastanet čas – i skažeš’ sam nadmenno:
Puskaj ja rab, no rab carja vcelennoj!195 China il capo, circasso! Oriente e occaso
191 A. Kurkov, Dobryj angel …, cit. p. 193 192 A. Kurkov, L’angelo del Caucaso…, cit. p. 173 193 O. Pachlovska, Civiltà letteraria ucraina…, cit., p. 548 194
Ivi, p. 547
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Dividerà il tuo fato, forse, presto. Giorno verrà che altero tu dirai: Schiavo son pure, ma del re del mondo!196
Anche Puškin in Kavkazskij plennik (Il prigioniero del Caucaso), poemetto romantico scritto nel 1821, esalta il condottiero Ermolov, sanguinario conquistatore delle terre caucasiche settentrionali. Il poeta dallo spirito romantico e rivoluzionario ama la ribellione e il carattere esotico dei caucasici, ma sostiene in primis la causa zarista invitando il popolo del Caucaso a sottomettersi: “Ponikni snežnoju glavoj / Smiris’, Kavkaz: idet Ermolov!”197
(Piega la testa nevosa, / Caucaso, sottomettiti: Ermolov ecco viene! 198).
Dunque il poeta Ševčenko risulta, con le sue opere, una voce fuori dal coro, non risparmiando i regnanti e le autorità dalla satira e denuncia politica. Nel poema Son, un volo notturno porta il poeta fino a una Pietroburgo degradata e squallida, dove tutto è corrotto dal potere sanguinario dello zar. La città è una pozza colma di sangue ucraino, polacco, lituano; il monumento a Pietro I risulta un’assurda caricatura del potere dispotico e brutale. Pietro è quel primo che ha crocifisso l’Ucraina, Caterina la seconda che ha annientato del tutto la sua povera patria, riducendola a una vedova- orfana.
L’autorità costituita dunque non intimoriva il poeta, e perciò la sua figura ribelle e fiera ben si presta ad accompagnare la scrittura di Kurkov nelle pagine de L’angelo del Caucaso. Egli è sia il simbolo dell’Ucraina oppressa nella sua tradizione e cultura, sia la rappresentazione di quel patriottismo che va al di là dei confini nazionali e che inneggia all’indipendenza di tutti i popoli, senza nutrire intenti aggressivi, ma basandosi sul principiò di libertà e autodeterminazione che dovrebbe essere proprio di ciascuna nazione.
Ševčenko, con la sua costante presenza nel romanzo assicura ulteriormente una continuità tra l’eredità culturale ucraina del passato e la descrizione della realtà attuale che Kurkov si impegna a raccontare, continuando testimoniare la realtà del suo paese senza dover mai chinare la testa di fronte alle minacce dei potenti e dell’autorità, come ha sempre fatto il suo maestro.
196 M. Lermontov, Liriche e poemi, traduzione di T. Landolfi, Adelphi, Milano, 2006, p.375 197 A. Puškin, Kavkazkij plemjannik, “Sobranie sočinenij v 10 tomach”,18/11/2013, reperibile in: <
http://rvb.ru/pushkin/01text/02poems/01poems/0785.htm > (15/9/2014)
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