• Non ci sono risultati.

Πρότερον ζητητέον Il vantaggio che si ottiene facendo dell’esame dell’anima il

2. Alessandro di Afrodisia e Plotino sul pensiero di sé della ragione umana

2.1 Πρότερον ζητητέον Il vantaggio che si ottiene facendo dell’esame dell’anima il

punto di partenza della ricerca è reso esplicito in IV 3 [27], 1.6-12, dove Plotino afferma che l’indagine relativa all’anima deve essere intrapresa soprattutto perché «fornisce la conoscenza sia sulle cose di cui l’anima è principio, sia su quelle da cui essa deriva. Ed eseguendo l’esame su questo argomento obbediremo anche alla prescrizione del dio che ci prescrive di conoscere noi stessi. E dal momento che vogliamo ricercare e trovare le altre cose e desideriamo cogliere l’amata visione dell’intelletto, sarà giusto che ricerchiamo che cosa mai sia ciò che ricerca». Come indicato nell’Apparatus fontium di H-S2, l’allusione al precetto delfico è ripresa da Alex. Aphr. De an. 1.4-2.4 Bruns; l’idea di sottoporre a indagine il soggetto stesso che intraprende l’indagine è presente già in V 1 [10], 1.30-33 (citato per esteso qui sotto nel commento a 2.1-2) e torna in I 1 [53], 1.9-11. Qui in V 3 [49] Plotino organizza l’indagine sulla conoscenza di sé secondo il consueto ordine espositivo ascendente (su cui cfr. D’Ancona, “Plotin”, pp. 996sg.), ispirato al mito platonico dell’uscita caverna (Plat. Resp. VII, 514 A-516 E) ed esplicitamente tematizzato in VI 9 [9], 5 (cfr. anche I 3 [20], 1.12-18), che muove di volta in volta dalla considerazione della realtà inferiore e derivata al suo principio, quindi al principio di questo principio, sino ad arrivare al principio ultimo di tutta la realtà. Nel trattato viene considerata infatti dapprima la condizione dell’anima (capitoli 2-4), quindi quella dell’Intelletto (5-9), infine la natura dell’Uno (10-17). Il medesimo schema struttura i trattati VI 9 [9], V 1 [10], 1-7 e III 8 [30]; una sequenza di argomenti parzialmente corrispondente si trova inoltre in I 6 [1] (dalla bellezza sensibile al κάλλος ἀμήχανον del primo principio, passando per la bellezza della virtù, propria dell’anima) e V 6 [24] (dalle differenti forme di pensiero che hanno luogo nell’anima e nell’Intelletto all’assenza di pensiero nell’Uno). Anche Porfirio si è attenuto a questo criterio espositivo nella sua edizione degli scritti di Plotino, raccogliendo nella prima enneade i trattati che hanno per oggetto l’uomo e l’ambito etico (cfr. VP 24.16-17 e 36-37), nella seconda e nella terza quelli sul cosmo e la natura (cfr. VP 24.37-39 e 59-60), nella quarta quelli sull’anima (cfr. VP 25.10-11 e 31-32), nella quinta quelli sull’Intelletto e sull’Uno (25.32-35) e ponendo il trattato Sul Bene o sull’Uno a conclusione dell’ultima, in cui sono radunati i trattati rimanenti (cfr. VP 26.2-3). – L’anima di cui si parla è certamente l’anima individuale umana incarnata (su cui cfr. soprattutto Blumenthal, Plotinus’ Psychology. His Doctrine of the Embodied Soul). Ciò risulta evidente dal fatto

86

che le facoltà psichiche prese in considerazione nel seguito dell’indagine sono la percezione sensoriale e la ragione discorsiva (cfr. qui sotto i commenti a 2.2 e a 2.23): come Plotino stabilisce in IV 4 [28], 23.1-42, part. 31-33, l’esercizio della prima di queste due facoltà richiede l’impiego di organi sensoriali corporei; la seconda è assente dall’anima del cosmo, dal momento che quest’ultima ha una conoscenza stabile e compiuta dell’intelligibile e non è perciò costretta a ragionare per conoscere (IV 4 [28], 12, part. rr. 16-18). Le operazioni della ragione sono inoltre esplicitamente connesse con quelle della percezione qui in V 3 [49], 2.7-8 e 4.1-2. Nella sezione 3.23-32, infine, il sostantivo ψυχή e il pronome ἡμεῖς sono impiegati in modo interscambiabile: cfr. qui sotto il commento a 3.23-24.

2.1-2 εἰ…ἑαυτῆς - Benché la possibilità che l’anima conosca se stessa sembri esclusa in

V 6 [24], 1-2, dove la distinzione fra Intelletto ed anima viene fatta corrispondere a quella fra pensiero di sé e pensiero di altro (cfr. qui sopra il commento a 1.1 τὸ νοοῦν

ἑαυτὸ), in altri contesti Plotino attribuisce espressamente all’anima una certa

conoscenza di sé. In V 1 [10], 1 la condizione dell’anima che ha dimenticato la propria origine divina e si trova in uno stato di ignoranza di sé a causa della propria audacia (1.1-8) è paragonata a quella dei figli che, sottratti ai genitori sin dalla nascita, ignorano la propria identità e la nobiltà dei propri natali (1.8-10; cfr. anche VI 9 [9], 7.32-33): come questi, essa disprezza se stessa a causa della propria ignoranza e si trova ad ammirare tutto ciò che la circonda, come se le fosse superiore (1.11-15, 17-19). Essa ha pertanto bisogno di un discorso che le insegni e le rammenti da che stirpe essa discenda e quale sia il suo valore (1.27-28 [sc. λόγος] διδάσκων καὶ ἀναμιμνήσκων τὴν ψυχὴν οἷον τοῦ γένους καὶ τῆς ἀξίας), «perché ciò che indaga è l’anima, ed essa deve sapere che cosa è lei, che indaga (καὶ τί ὂν ζητεῖ γνωστέον αὐτῇ), per apprendere dapprima se abbia la capacità di indagare tali questioni, e se possieda un occhio adatto a vedere, e se la ricerca le si addica» (1.30-33). L’anima può dunque acquisire consapevolezza della propria natura, della propria origine (cfr. anche VI 9 [9], 7.33-34 ὁ δὲ μαθὼν ἑαυτὸν εἰδήσει καὶ ὁπόθεν) e delle proprie potenzialità cognitive per mezzo dell’indagine filosofica sulla natura dell’anima stessa, come risulta ancor più chiaramente da IV 3 [27], 1.6-12, citato per esteso qui sopra nel commento a 2.1; cfr. inoltre qui V 3 [49], 4.15-20. In VI 9 [9], 8.1-8 la consapevolezza così raggiunta (Εἴ τις οὖν ψυχὴ οἶδεν ἑαυτὴν…) costituisce la prima tappa necessaria della risalita dell’anima verso il proprio

87

principio divino nell’Intelletto e verso il principio ultimo di tutta la realtà (cfr. anche ibid., 5.5-7; in V 1 [10], 1.15-22 l’ignoranza di sé è causa per l’anima del fatto che essa ignori dio). L’anima esegue questa risalita e giunge a conoscere i principi che la precedono assimilandosi ad essi (cfr. VI 9 [9], 11.31-32) fino ad identificarsi dapprima con l’Intelletto e infine con l’Uno (ibid. 9.11-24 e 50-55). Plotino tende a caratterizzare l’unione cognitiva dell’anima con i principi ad essa superiori nei termini di una conoscenza di sé da parte dell’anima che si è trasfigurata nel principio. Così in VI 9 [9], 9.55-58, descrivendo lo stato di unione dell’anima con l’Uno, Plotino afferma che «lì è possibile vedere sia quello [sc. l’Uno] sia se stesso, nel modo in cui è lecito vedere (ὁρᾶν δὴ ἔστιν ἐνταῦθα κἀκεῖνον καὶ ἑαυτὸν ὡς ὁρᾶν θέμις): se stesso glorificato, pieno di luce intelligibile, o piuttosto luce pura esso stesso, privo di peso, leggero, essendo divenuto, o piuttosto essendo, un dio»; cfr. anche ibid. 10.9-11; 11.43, 46-47 e il commento di Hadot, Traité 9, p. 200. Per il caso analogo dell’unione dell’anima con l’Intelletto cfr. qui V 3 [49], 4.23-31 e la chiara spiegazione del rapporto fra conoscenza di sé e conoscenza della totalità degli intelligibili all’interno di questa unione in IV 7 [2], 10.30-37 e IV 4 [28], 2.31-32, citati qui sotto rispettivamente nei commenti a 3.29-

32 e 4.4-10. Similmente in I 6 [1] Περὶ τοῦ καλοῦ, 9.6-36 chi voglia vedere la bellezza

propria di un’anima virtuosa è esortato a purificarsi e, secondo il celebre paragone con l’attività dello scultore, a «non cessare di scolpire la [propria] statua» fino a che non sia divenuto egli stesso un’anima bella e virtuosa; solamente allora, vedendo se stesso divenuto tale (9.22 εἰ τοῦτο γενόμενον σαυτὸν ἴδοις…; cfr. anche ibid. 5.5), sarà in grado di risalire al livello dell’Intelletto – dal momento che solo ciò che è bello può contemplare la bellezza, 9.32-34 – e vedrà la totalità delle Forme, in cui riconoscerà la bellezza stessa. In V 8 [31], 11 l’esperienza del bello intelligibile conferisce all’anima, oltre a questa stessa percezione di sé nell’identificazione con l’Intelletto (rr. 21-24), una percezione di sé in quanto distinta dall’Intelletto: ἐν δὲ τῇ ἐπιστροφῇ κέρδος τοῦτ' ἔχει· ἀρχόμενος αἰσθάνεται αὑτοῦ, ἕως ἕτερός ἐστι rr. 9-10; questo passo è tradotto e commentato qui sotto nel commento a 4.14-15.