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a cura di mario baggio e maria cristina gatti

Nel documento View of Vol. 18 No. 2 (2010): Issue 2/2010 (pagine 168-174)

f.m. dovetto, Silenzio vs parola fonica. Co-strutti metalinguistici opposti o integrati?,

“stu-di italiani “stu-di linguistica teorica e applicata”, xxxix, 2010, 1, pp. 63-79

il silenzio non è da intendersi come pura assen-za di suono o come antonimo della parola. esso va piuttosto considerato come parte integrante dell’interazione linguistica, ovvero come un fe-nomeno in praesentia e come tale significativo.

l’analisi strettamente fonico-acustica del silen-zio si concentra su quelle manifestasilen-zioni della catena fonica denominate “disfluenze”, che comprendono fenomeni come pause ed esita-zioni. tale analisi cerca di stabilire occorrenze, caratteristiche e correlazioni tra il livello fone-tico del silenzio, il livello sintatfone-tico e quello les-sicale. la costruzione di una tassonomia delle manifestazioni del silenzio, tuttavia, è difficile a causa della sua poliedricità e polifunzionalità e va dunque ricompresa all’interno di una gene-rale teoria della comunicazione.

Andrea Sozzi

h. schuchardt, La lingua franca, trad. it.

di federica venier, “linguistica e filologia”, xxix, 2009, pp. 7-31 (ed. orig. Die lingua franca, “zeitschrift für romanische philologie”,

xxxiii, 1909, pp. 441-461); f. venier, Cen-t’anni dopo. Nota al testo di Schuchardt e note bibliografiche, “linguistica e filologia”, xxix,

2009, pp. 33-60

per lingua franca si intende la lingua veicolare a base prettamente romanza (principalmente ita-liano e spagnolo), parlata per circa otto secoli, grosso modo dal medio evo fino all’invasione francese di algeri del 1830, sulle coste del me-diterraneo meridionale, occidentale e orientale. nata per soddisfare esigenze di natura commer-ciale, nel tempo si è estesa a tutti i campi della vita quotidiana, garantendosi in tal modo una certa longevità. il saggio di schuchardt, di cui

f. venier propone la prima traduzione italia-na a cent’anni dalla sua pubblicazione (1909-2009), introduce il lettore allo statuto proprio di questa lingua, indagandone strutture e testi-monianze letterarie e vagliando le principali posizioni critiche al riguardo. nella nota al te-sto, l’a. ripercorre i punti salienti del dibattito teorico in ambito creolistico e filologico della seconda metà del novecento, periodo in cui l’interesse per il saggio di schuchardt si rinno-va. venier rimarca l’ipotesi portante del saggio di schuchardt, ovvero che la lingua franca, sem-plificata come tutte le lingue di mediazione, sia nata da un processo di autosemplificazione messo in atto dagli stessi parlanti romanzi per renderla fruibile dalle popolazioni di lingua araba. ella rileva che l’attenzione di schuchardt per i fatti di parole, per la lingua come attività

del parlante “che precede qualunque possibilità di distinguere tra sistema e sua attualizzazione” (p. 43) si concretizza in particolare nel saggio sulla lingua franca, e conclude che questa po-sizione testimonia una ripresa, in schuchardt, della distinzione humboldtiana tra ergon ed enérgeia.

Maria Paola Tenchini

e. hajičová, Rhematizers revisited,

“lingui-stica pragensia”, xx, 2010, 2, pp. 57-70 in questo articolo l’autrice rivisita criticamente la riflessione linguistica relativa a un gruppo di “particelle”, note per lo più come “rematizzato-ri”, “focalizzatori” o “particelle focalizzatrici”. i termini usati per la denominazione di queste entità evidenzia il loro nesso con il rema o fo-cus dell’enunciato. ma in che cosa consista più precisamente il rapporto di questi elementi con la “prospettiva funzionale” dell’enunciato è ciò che eva hajičová si propone di approfondire in questa sede.

in una prima parte dell’articolo la studiosa presenta i principali lavori dedicati all’analisi

delle “particelle focalizzatrici” nell’ambito della linguistica ceca, fra i quali compaiono gli impor-tanti apporti di firbas – a lui si deve fra l’altro l’introduzione del termine “rematizátor” – di daneš e di sgall. per la linguistica americana si ricordano in particolare le analisi di Jackendoff, riprese poi negli studi di semantica formale di math rooth, al quale dobbiamo l’introduzione della denominazione di “focalizer”. essa inten-de sottolineare la funzione individuativa inten-del fo-cus anche prosodico dell’enunciato svolta dalle

particelle focalizzatrici.

l’autrice si sofferma poi sulle funzioni comunicative attribuite comunemente ai “fo-calizzatori” e ravvisa in un accostamento alla negazione la possibilità di individuare in modo più completo il ruolo di questi elementi in rap-porto alla articolazione dell’enunciato in topic

e focus. per analogia con la negazione, che può

selezionare con il suo scope elementi in sede sia

rematica che tematica, anche i “focalizzatori” possono comparire, oltre che in posizione re-matica, nel topic dell’enunciato. si dovrà in tal

caso distinguere tra focus globale dell’enunciato

e focus locale, coincidente con lo scope della

par-ticella focalizzatrice.

chiude l’articolo una ricca esemplificazio-ne, in prospettiva contrastiva, dell’uso dei fo-calizzatori in due corpora di testi in lingua ceca

(prague dependency treebank) e in lingua in-glese (prague english dependency treebank). la tesi avanzata dalla haijčová circa l’opportu-nità di una diversificazione delle funzioni dei focalizzatori rispetto alla “prospettiva funzio-nale” dell’enunciato trova ampia conferma nella rilevazione del dato empirico.

Maria Cristina Gatti

e. lombardi vallauri, La linguistica. In pratica, il mulino, 2010, pp. 280

il volume propone un corso di linguistica assai vasto e articolato, che spazia da elementi di fo-netica e fonologia alla semantica, dalla varietà linguistica alla pragmatica e alla teoria dell’ar-gomentazione. l’aspetto più originale del lavo-ro riguarda tuttavia la finalità che si prefigge, esplicitamente enunciata: “Questo libro [scrive l’autore] nasce per motivare i suoi lettori a una

disciplina” (p. 9). nel corso dell’opera viene così puntualmente sottolineata l’utilità pratica ed esistenziale degli argomenti trattati. vista la destinazione prioritaria del libro, viene ribadita soprattutto l’efficacia delle nozioni fondamen-tali della linguistica nell’apprendimento delle lingue straniere, ma sono numerosi i riferimenti anche ad altri campi di applicazione. ne con-segue, soprattutto, un’organizzazione generale dell’esposizione sostanzialmente diversa rispet-to a quanrispet-to si può osservare nella maggior parte dei manuali di linguistica, strutturati sulla base dei tradizionali livelli di analisi del linguaggio. nella prima parte dell’opera, l’a. affronta una serie di tematiche particolarmente adatte a sot-tolineare le relazioni fra la linguistica e la vita. egli parla infatti anzitutto del rapporto fra lin-guaggio e realtà e di come usare con abilità lo strumento lingua, riferendosi alla teoria degli atti linguistici di austin, alla teoria delle impli-cature conversazionali di grice e ai principi fon-damentali di una teoria dell’argomentazione.

Mario Baggio

K. fløttum, EU discourse: Polyphony and un-clearness, “Journal of pragmatics”, xlii, 2010,

pp. 990-999

l’articolo propone di utilizzare il concetto di

polifonia per spiegare l’ambiguità e la vaghezza

che spesso caratterizzano la comunicazione nel contesto politico. i testi presi in considerazione sono due discorsi del primo ministro britan-nico tony blair, che mettono a tema l’europa e l’unione europea e che vengono definiti ‘di-scorsi visionari’. l’analisi della polifonia all’in-terno di questi discorsi permette di rivelare il complesso rapporto tra testo e contesto nel-l’ambito politico.

Sarah Bigi

b. mortara garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, editori laterza,

2010, pp. xii-179

già autrice del noto Manuale di retorica

(bom-piani 2003), b. mortara garavelli ripropone ora l’argomento in forma più snella e

discorsi-va. la peculiarità di questa nuova proposta sta nel modo di presentazione della materia: l’a. non adotta l’impostazione semasiologica del dizionario classico, bensì opta per la direzione inversa e procede “dalla conformazione degli oggetti ai loro nomi” (p. xi). raggruppa quin-di, con ricchezza di esempi originali tratti da diversi ambiti, figure e tropi a partire dalla loro realizzazione testuale, ne spiega l’uso, la fun-zione, il significato e le varianti, concludendo i diversi paragrafi sempre con i debiti riferimenti etimologici e la traduzione dei termini greci e latini. il volumetto è diviso in diciotto capitoli che aggregano per aree tematiche e funzionali realizzazioni testuali specifiche manifestate da diverse strutture retoriche, spesso affini per qualche aspetto e negli esiti, ma ovviamente mai perfettamente sovrapponibili o intercam-biabili. i titoli dei capitoli e dei paragrafi, che l’a. paragona “a insegne di negozi” (p. xii), introducono il lettore al particolare rapporto che si stabilisce tra usi retorici ed effetti testuali, ad esempio “come creare significati complessi”, “effetti speciali della sinonimia”, “il parlare in breve”, “drammatizzare il discorso”, “raffigura-re con i suoni”. per ave“raffigura-re un’idea, nel “negozio” dove si analizzano le tecniche retoriche per la costruzione di significati complessi, il lettore/ cliente trova illustrazione ed esempi di metafo-ra, sineddoche, metonimia, metalessi, antono-masia, perifrasi, iperbole, enfasi, allusione, an-tifrasi, eufemismo, ironia, ossimoro, allegoria e prosopopea.

Maria Paola Tenchini

J.a. barnden, Metaphor and metonymy: mak-ing their connection more slippery, “cognitive

linguistics”, xxi, 2010, 1, pp. 1-34

l’articolo prende in esame la distinzione quan-to mai problematica tra metafora e mequan-tonimia. dopo aver ripercorso i principali punti di vista sul problema nella letteratura, l’autore giunge alla conclusione che non esista di fatto un cri-terio univoco per distinguere le due figure. in particolare, relativamente al criterio di distin-zione tra metafora e metonimia, l’articolo si sofferma su due punti principali, che emergono anche nella letteratura: 1) il fatto che la meta-fora si basa su un rapporto di similarità,

men-tre la metonimia su un rapporto di contiguità o su nessi semantico-pragmatici; 2) il fatto che la metonimia conserva un nesso con l’ambito concettuale di partenza, mentre la metafora no. nell’articolo questi punti vengono considerati anche alla luce di nuove prospettive, osservan-do per esempio se metafora e metonimia mo-strino un comportamento differente rispetto all’interazione con frames, modelli cognitivi o

altre strutture astratte di organizzazione del-l’informazione.

l’approccio adottato dall’autore dell’arti-colo non prende le mosse da una definizione in particolare di metafora o metonimia, ma si con-fronta innanzitutto con le affermazioni propo-ste da altri studiosi in merito alla ‘metaforicità’ o ‘metonimicità’ di alcune espressioni. in ogni caso è chiara la prospettiva cognitivista alla base dell’articolo, nel quale metafora e meto-nimia sono considerate strumenti dei processi cognitivi di rappresentazione e non quindi ele-menti del livello superficiale della produzione testuale.

Sarah Bigi

z. Kövecses, A new look at metaphorical crea-tività in cognitive linguistics, “cognitive

lingui-stics”, xxi, 2010, 4, pp. 663-697

lo studio di Kövecses prende le mosse da una domanda: “Where do we recruit novel and unconventional conceptual materials from when we speak, think and act metaphorically, and why?” (p. 664). l’autore si propone di ri-spondere a questa domanda in maniera nuova rispetto alle risposte già date da altri studiosi in lavori precedenti. l’obiettivo dell’autore è soprattutto quello di mettere a fuoco con mag-gior precisione la dinamica della creatività me-taforica, ossia la produzione e l’uso nuovi o non convenzionali di metafore concettuali e/o delle loro manifestazioni linguistiche. Questo studio è in parte provocato da alcune critiche mosse agli studi sulla metafora concettuale, secondo le quali questi ultimi si basano su esempi creati

ad hoc e ignorano le metafore così come si

ma-nifestano nei testi reali, in questo modo man-cando di spiegare gran parte del processo che le genera. in questo articolo Kövecses dichiara di voler prendere sul serio queste critiche per

vedere come e quanto sia possibile modificare la teoria ‘tradizionale’ sulla metafora concet-tuale. rispetto ad altri lavori precedenti sulla creatività metaforica, in questo studio l’autore compie un passo in più, presentando un ulte-riore tipo di creatività: quella indotta dal conte-sto nel quale la concettualizzazione metaforica avviene (“context-induced creativity”, p. 665). l’autore distingue cinque fattori contestuali che tipicamente producono metafore nuove o non convenzionali: il contesto fisico immedia-to; ciò che si conosce riguardo alle principali entità coinvolte nel dialogo; il contesto cultu-rale immediato; il contesto sociale immediato; infine, lo stesso contesto linguistico immediato. nell’articolo si dimostra che questi stessi fattori contestuali che inducono i partecipanti a pro-durre metafore nuove e non convenzionali in contesti discorsivi quotidiani sono all’opera an-che nella poesia e nella letteratura in generale.

Sarah Bigi

f. macagno – d. Walton, What we hide in words: Emotive words and persuasive definitions,

“Journal of pragmatics”, xlii, 2010, pp. 1997-2013

l’obiettivo degli autori è di studiare il ruolo svolto dalle cosiddette ‘parole emotive’ o ‘pa-role cariche’ in relazione alle definizioni per-suasive. Queste vengono viste in una prospet-tiva pragmatica come mezzi che modificano il contenuto emotivo di un termine persuasivo attraverso l’uso di un implicito ‘argument from values’. in questo risiede la loro natura persua-siva. in particolare gli autori si soffermano su quattro domande: qual è la struttura semantica e argomentativa di una parola emotiva? perché le parole emotive sono strumenti così potenti quando sono utilizzate come mezzi per argo-mentare?; perché e a quali condizioni si posso-no considerare legittime le definizioni persuasi-ve che si basano su parole emotipersuasi-ve?

Sarah Bigi

a. allora, Variazione diamesica generale nelle comunicazioni mediate dalla rete,

“rasse-gna italiana di linguistica applicata”, 2009, 3, pp. 147-170

nell’articolo viene presentato un nuovo modello di analisi – quantitativa e qualitativa, testuale e pragmatica, umana e automatica – applicabile alle varie forme di comunicazione mediata dal computer (ad esempio, lo spam e

i social network). i parametri presi in

conside-razione sono spazio, tempo e accessibilità, che combinati tra loro danno origine a specifici in-dici, quali la competizione per l’attenzione e la connessità, definita come la quantità di materia verbale destinata a garantire coerenza e coesio-ne al singolo messaggio. pur restituendo dei numeri, che devono poi essere spiegati qualita-tivamente, gli indici mostrano concretamente come i diversi canali di comunicazione incido-no sulla produzione verbale. ci si allontana dal-la storica dicotomia tra oralità e scrittura, in fa-vore di una ‘diamesia generale’, che tiene conto della natura prettamente numerica, binaria, dei testi mediati dalla rete. la ricerca continuerà, a detta dell’a., con l’elaborazione di altri indici linguistici.

Nicoletta Iannino

f. cummins, Rhythm as an Affordance for the Entrainment of Movement, “phonetica”, 2009,

66, pp. 15-28

l’articolo propone un’analisi del rapporto tra ritmo e comportamento umano. secondo l’au-tore il ritmo è lo stimolo che un segnale forni-sce per sincronizzare il movimento fisico dei percettori. se si pensa a un gruppo di persone che ballano, il ritmo è quel legame in grado di coordinare la loro azione e di generare stabilità nella loro organizzazione temporale del com-portamento. È il collante che rende possibile il sincronismo dei movimenti di entità indipen-denti, rendendole un gruppo organizzato. Que-sto assunto è supportato dalla spiegazione dei concetti centrali di affordance e entrainment.

il ritmo è un’affordance, ovvero relazione tra

la capacità di movimento di un individuo e la struttura di un segnale acustico. il termine e

n-trainment si riferisce all’unione e coordinazione

di due sistemi indipendenti. da questa prospet-tiva, il ritmo si rivela la corretta chiave di lettura per spiegare il comportamento coordinato in una vasta varietà di situazioni, tra cui il ballo e la produzione musicale. al contrario, il discor-so sembra essere discor-solo marginalmente ritmico in questo senso, benché vari studi sperimentali abbiano rilevato il suo ruolo nell’uniformare il movimento.

il discorso, infatti, possiede una funzione coor-dinativa, perché è un comportamento volonta-rio in grado di coordinare il modo di agire e la comprensione di due o più individui; ad esem-pio, in una folla di manifestanti il ritmo degli slogan determina l’organizzazione collettiva dei singoli.

rassegna di glottodidattica

Nel documento View of Vol. 18 No. 2 (2010): Issue 2/2010 (pagine 168-174)

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