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L’ACCO G LIEN ZA PROMOZIONALE COME ANTICIPAZIONE DI VITA NUOVA

Nel documento LA VOCAZIONE SALESIANA (pagine 21-31)

La riflessione teologica sulla natura linguistica dell’evangeliz­

zazione e la proposta di un modello in cui realizzarne la comu­

nicazione, mi hanno portato a concludere sulla necessità di pro­

durre nelle comunità educative esperienze di vita nuova, come anticipazione concreta di quella promessa nella storia di Gesù.

Per non lasciare nel generico le cose, mi chiedo: quale espe­

rienza può rappresentare questa anticipazione significativa? Cer­

to la risposta non può essere unica. La salvezza di Gesù investe così intensamente e globalmente la storia personale e collettiva,28 che ogni sussulto di vita risulta nel suo orizzonte. C’è però qual­

cosa di particolarmente significativo per i giovani di oggi e di specifico in ordine alla missione vocazionale della comunità edu­

cativa salesiana? Come si nota, cerco di ritagliare nel generale un ambito particolare, utilizzando come criterio il problema che questa relazione mette sul tappeto. Chi è del mestiere, si accorge che sto applicando un approccio di tipo ermeneutico.

La mia riflessione e il confronto con molte esperienze mi portano a concludere che la vita nuova anticipata dalla storia di Gesù consiste in una accoglienza promozionale.

23 L. Ga l l o, La salvezza in Cristo oggi, in A . Am ato - G . Ze v in i (ed.), Annunciare Cristo ai giovani, cit., 235-249.

Accoglienza significa « l’attenzione ai giovani reali, alle loro vere esigenze, agli interessi attuali e ai compiti di vita che li attendono; la simpatia verso il loro mondo, la capacità di acco­

glienza e di dialogo », come ricorda il CG21 riprendendo una in­

dicazione importante del CGS.29 E cioè « la convinzione, uma­

namente e cristianamente incoraggiante, che “in ogni giovane, anche il più disgraziato, havvi un punto accessibile al bene; do­

vere primo dell'educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile e trarne profitto” ».30

Accoglienza promozionale significa, per dirlo ancora con il CG21, « l ’impegno di sollecitare l’adesione ai valori non attra­

verso l’imposizione forzata, ma tramite le vie della persuasione e dell’amore ».31 E cioè la capacità di superare ogni pedagogia troppo liberalizzante o agnostica rispetto ai valori, mentre si rifiuta ogni pedagogia autoritaria e direttiva, proprio all'interno dell’accoglienza, a partire da essa e senza sconfessarla mai.

In un tempo di morte, come è per molti versi il nostro,32 i giovani possono esperimentare che la storia di Gesù è buona notizia, se si sentono accolti incondizionatamente da coloro che gliela narrano. E sono sollecitati a giocare tutta la loro vita per continuare questo servizio, solo se l’hanno direttamente esperi- mentato nei momenti difficili della loro esistenza. Così, del re­

sto, ha fatto don Bosco, come ho già ricordato in apertura: l’han­

no seguito per aiutarlo i giovani che hanno esperimentato il suo cuore di padre generoso ed esigente.

Per approfondire la proposta

Ho indicato una prospettiva. Devo precisarne meglio il signi­

ficato, perché essa non rappresenta un punto marginale del mio progetto, ma ne costituisce il punto decisivo.

Su di esso la comunità può valutare l’autenticità e la fedeltà

29 CG21 101 e CGS 360-365.

30 CG21 101.

31 Ibidem.

32 E. Be r s e g h i, Condizione giovanile e problematica educativa, Firenze 1980, 37.

L’accoglienza promozionale: una esigenza salesiana

della sua missione. Nella comunità ogni giovane deve poter av­

vertire di essere accolto per quello che è. Nella accoglienza sco­

pre di possedere una dignità radicale, che nessuna degradazio­

ne, culturale, morale o sociale, può distruggere. Anzi, proprio coloro che sono valutati “senza dignità”, per tante ragioni che la logica mondana potrebbe giustificare, risultano i più accolti, i

“primi” nella passione liberatrice che la comunità trova nella storia del suo Signore.

Solo operando così, essa potrà continuare a raccontare, in una esperienza che si fa messaggio, la storia di Gesù: « Il compor­

tamento di Gesù con i peccatori e con tutti coloro che erano ri­

fiutati o emarginati dalla società e dalla religione, gli valse la riprovazione di chi si considerava il detentore della dignità mo­

rale, civile, religiosa e ne controllava minuziosamente il rispetto.

Il fatto che Gesù abbia voluto attribuire il primo posto a coloro che avevano diritto solo all’ultimo, fu una delle cause della sua condanna a morte, essendo stato considerato blasfemo, quanto le cose che Gesù diceva su Dio. Infatti, il comportamento di Gesù nei confronti dei senza-dignità non era unicamente sugge­

rito da una generosità e da una filantropia eccezionali, perché Gesù voleva innanzitutto che, proprio a causa di ciò che era il suo Dio, i poveri, i peccatori avessero diritto alla dignità che il Padre suo riconosceva loro. Per Gesù, la dignità del Padre suo passava attraverso la dignità dei senza-dignità ».33

L ’educatore non dà dignità alle esperienze dei giovani per as­

sicurarsi la loro simpatia e accondiscendenza. Riconosce una di­

gnità che preesiste, che spesso è minacciata proprio dalla logica moralistica e discriminatrice. Questa dignità ha una ragione tra­

scendente: è fondata sull’amore di Dio in Gesù Cristo per tutti.

L ’educatore e la comunità la riconosce nella fede e nella spe­

ranza; e la testimonia nello stile educativo che privilegia. In que­

sto consiste 1’“assistenza” salesiana, così come è stata riformu­

lata nell’attuale autocoscienza della Famiglia salesiana.34 L ’atteg­

33 J . P o h i e r - D . M i e t h , La dignità di Dio passa attraverso la dignità dei “senza dignità”, in “Concilium” 15 (1979) 1625-1626.

34 CGS 363. Si veda anche G. Dho, L'assistenza come “presenza* e rapporto personale, in II sistema educativo di don Bosco tra pedagogia antica e nuova. Atti del convegno europeo salesiano sul sistema educa­

tivo di don Bosco, Leumann 1974, 104-125.

giamento dell'accoglienza ricorda, in ultima analisi, la priorità del giudizio di fede sul giudizio morale, la priorità del dono di Dio che fa nuove le persone sulla fragile e sempre incompleta risposta deiruomo.35

Certo, l’accoglienza non è fine a se stessa. Ho sempre par­

lato di accoglienza promozionale e liberatrice. L ’accoglienza è quindi il luogo in cui si sviluppa quel processo di educazione li­

beratrice che restituisce ad ogni giovane la propria vita, lo libera dall’alienazione e lo rende protagonista della propria e altrui li­

berazione. L’accoglienza è il luogo in cui si opera per la sal­

vezza. La comunità accoglie incondizionatamente per testimo­

niare con i fatti la radicale dignità di ogni persona. E sollecita, nella accoglienza, a vivere la dignità riconquistata come respon­

sabilità nei confronti di sé, degli altri e della storia. L ’accoglien­

za è il luogo e la condizione della formazione: il luogo di una intensa, affascinante, esperienza vocazionale, fino alla sua even­

tuale radicalizzazione nella consacrazione e nel ministero ordina­

to. In questo assumiamo come normativa la prassi di Gesù.

« (Gesù) diventa amico dei peccatori e dei pubblicani nella sua gioia per la libertà comune: il futuro di Dio. Ma quando la buona società lo chiama “amico dei peccatori e dei pubblicani”, vuole soltanto denunziarlo e comprometterlo. Secondo le leggi che regolano questa società, essa identifica gli uomini con i loro errori, e così parla di peccatori. Essa identifica gli uomini con le loro professioni, e così parla di lebbrosi e di minorati. Attraverso questa società parla la legge che inchioda sempre gli uomini ai loro errori. Gesù, invece, in quanto Figlio dell’uomo, libero da questa legge disumana, diventa amico degli uomini peccatori e malati. Rimettendo loro i peccati, restituisce loro la dignità di uomini. Accogliendo i lebbrosi, li guarisce. Così diventa amico nel senso vero della parola ».36

Ma questa non è anche, esattamente, la prassi di don Bo­

sco?

Ri c c a r d o To n e l l i

35 G. Ru g g i e r i, La compagnia della fede, cit., 116.

36 J. M o l tm a n n , Nu o v o stile di vita. Piccoli passi verso la “comunità”, Brescia 1979, 60.

DISCUSSIONE

In generale, i partecipanti hanno espresso la loro soddisfazione per gli « stimoli offerti da don Tonelli » (formula del gruppo I, relatrice:

Giovanna Martinelli). Tuttavia, la relazione parve a qualcuno « di ca­

rattere troppo generale » e « prendere le cose da molto lontano ». Il problema del colloquio, cioè della pastorale delle vocazioni salesiane, non era abbordato se non indirettamente (parere del gruppo III, rela­

tore: J. Aubry).

La relazione

Propensione all’irrazionalità?

L ’insistenza del conferenziere sull’esperienza promozionale lo faceva accusare di un certo “antintellettualismo” (formula del gruppo II, rela­

tore: S. De Pieri) e di « soggettivismo pericoloso, mentre l’importante è l’oggettività integra del messaggio » (gruppo III). « A proposito della duplice prospettiva narrativa e argomentativa, alcuni hanno avuto l’im­

pressione (ma è forse un problema di espressione) di posizione unila­ del narrare comporta per se stesso un elemento intellettivo-didattico e perciò argomentativo » (gruppo II).

Il modello “esperienziale” era criticato. « Si vedrebbero dei pericoli nel modello “esperienziale”, perché sarebbe sottoposto a emotività. Per questo esso — che viene riconosciuto un modello utile — andrebbe integrato razionalmente, attraverso una elaborazione critica, che libera l’intelligenza stessa, dai suoi aspetti di ambiguità. I rischi del modello esperienziale-evocativo si troverebbero oggi presenti nello stile pasto­

rale di molti Salesiani, FMA e Cooperatori, dove viene posta in modo unilaterale l’accentuazione sugli aspetti del vissuto, dimenticando il tri­

nomio di don Bosco: ragione, religione e amorevolezza, che risulte­

rebbe più equilibrato » (gruppo II).

Il conferenziere si difese dall’accusa di irrazionalismo con un esposto sistematico delle sue idee sulla specificità dell’evangelizzazione. Eccone i principali capisaldi: « ... L ’aspetto che specifica l’evangelizzazione è l’annuncio di un progetto sul quale la persona è chiamata a prendere una decisione libera e responsabile in termini di creatività. Se io devo spiegare il teorema di Pitagora, non posso evocare gli elementi, ma devo ragionare in termini di freddezza logica. L ’annuncio di Gesù nella sua specificità, secondo me, va giuocato invece in termini di chiamata della persona alla sua responsabilità personale nel mistero intimo del suo esistere, senza pensare che il dire di sì a Gesù seguendo la sua

vita possa essere il frutto della razionalità delle proposte. Altrimenti

Esperienza e messaggio nella proposta di fede

Era evidente che il termine "esperienza” era preso dagli uditori in

fettività, è una concezione riduttiva di esperienza. Esperienza comprende fattori conoscitivi, fattori affettivi, fattori di impegno (di azione) e fattori di tipo sapienziale. Vedere la letteratura sull’esperienza sia in campo filosofico, sia in campo di teologia spirituale o pastorale. Penso che la sua relazione parla di quest’ambito, quindi dell’esperienza di questa comunità, che può diventare messaggio».

Il conferenziere proseguì: « Nell’attuale situazione giovanile, che cosa può più facilmente produrre questa esperienza di vita? Un mes­

saggio presentato nella sua logicità? Oppure una esperienza colta, in­

telligente, riflettuta, dunque fatta messaggio? Questa è la domanda che mi pongo. E io credo che, soprattutto se penso ai giovani poveri, la risposta non possa essere che nella seconda ipotesi. Nella situazione at­

tuale si produce esperienza di vita soltanto quando è un'esperienza che si fa proposta ... ».

La proposta vocazionale per mezzo della comunità

La proposta evangelizzatrice e, eventualmente, vocazionale mediante la comunità era stata criticata in certi suoi aspetti. « Anche la media­

zione comunitaria delle esperienze viene sottoposta a critiche, aveva detto il relatore del gruppo II. Non sempre i giovani seguono la co­

munità educativa, ma talvolta delle persone significative in essa... Poi si fa presente che il modello esperienziale non sempre è efficace, perché sovente non produce ciò che narra, in quanto esistono precomprensioni talora insuperabili. Il modello, in quanto tale, risulterebbe teorico, ideale, troppo lontano dalla realtà, anche se occorre fare molto per santa per chiederle di fare evangelizzazione... ».

« Quale esperienza? — si domandò il conferenziere — . Voi giusta­ i grandi modelli. Se dovessimo veramente produrre esperienze perfette, dovremmo stare zitti e ritorneremmo alla sicurezza dei ragionamenti, alla logica del Fariseo. Ecco il retropensiero di tipo teologico-pastorale, che stava alle spalle delle cose che ho cercato di dire ».

La comunità assicura, spiegò ancora, 1’“accoglienza promozionale”

nel contesto generale della pastorale vocazionale. « Ho collocato in fondo l’accoglienza promozionale. Insisto nel dire, come voi avete giu­

stamente sottolineato, che si deve trattare di un’accoglienza promozio­

nale ».

Un partecipante francese fece notare: « Mi sembra molto interes­

sante l’ultima cosa che ha detto sulla povertà del messaggio. In questa linea dovremmo cessare, se si fa ancora, di dire che abbiamo le voca­

zioni che meritiamo. Perché non siamo degni, non abbiamo più vo­

cazioni... ». E circa il criterio che il numero delle vocazioni sarebbe il “termometro della santità” di una ispettoria o di una comunità, rac­

contò un aneddoto che conchiuse così: « È assurdo! ». Uno dei respon­

sabili della pastorale giovanile in Spagna ritorse: « Non so se la san­

tità sia il termometro di una comunità o no, però ricordo che il papa Giovanni Paolo II ha detto a Puebla che le vocazioni sono il prodotto di comunità che testimoniano il Vangelo. È il punto importante della conferenza di don Tonelli. La comunità è capace di convertirsi, essa è il luogo dove si risolvono i problemi dei giovani. A mio parere, una pastorale delle vocazioni non può essere opera di persone singole, di franchi tiratori, ma opera di tutta la com unità».

La narratività

Parecchi uditori erano stati interessati dal contesto narrativo della proposta vocazionale. « A questo riguardo — aveva detto il gruppo II — , si fa osservare che nel Bollettino Salesiano, ciò che, all'inizio, ha più influito, anche in senso vocazionale, è stato il racconto della storia dell'oratorio primitivo di Torino e delle missioni. Don Bosco curava molto questo stile informativo-narrativo. Anche oggi le redazioni del Bollettino Salesiano (eccetto qualche caso) si attengono a questo cri­

terio ». E il rappresentante jugoslavo intervenne: « Babin e Mac Luhan hanno diffuso un libro intitolato: Uomo nuovo, cristiano nuovo nel tempo dell’elettronica. Altro uomo, altro cristiano che capiscono niente dei nostri ragionamenti teologici, perché sono formati dalle immagini. Il nostro procedimento di spiegare le tesi, di dire: questa dottrina è il cristianesimo..., non vale per loro, è impossibile per la generazione che ha meno di vent’anni ed è cresciuta nel mondo della televisione, dei mezzi elettronici. Io avevo l'impressione che Tonelli «leggesse Babin e Mac Luhan. Mi pare che si va proprio in questa direzione. Fra venti anni, quello che ha detto sarà accettato da tutti... Sono cose nuove che dovremo accettare ».

Altri tipi di interventi nella pastorale delle vocazioni:

proposte esplicite, mediazioni sociali...

Questo tipo di riflessione orientava la discussione verso una delle questioni che il conferenziere aveva posto ai gruppi: « Quali altri in­

terventi possono essere progettati nella pastorale vocazionale e come può aiutare a realizzarli il modello offerto nella relazione?».

La proposta vocazionale deve essere esplicita e personale, aveva ri­

sposto il gruppo I. E aveva insistito sulla « necessità di una proposta esplicita che, perché tale, diventa anche differenziata, certamente espli­

cita in senso personale e individuale ». Le mediazioni sono innumere­

voli, ma di preferenza “evocative” : « La seconda domanda posta dal

relatore si giustifica con l'intenzione di voler richiamare l’attenzione

cazionale: la catechesi organizzata; i sacramenti, e specialmente il sa­

cramento della riconciliazione e la direzione spirituale; l’appello espli­

cito al giovane a un’eventuale donazione totale al Signore, e l’offerta di elementi perché possa formarsi e scegliere un chiaro progetto di vita;

le esperienze forti degli esercizi spirituali, campi-scuola, ecc.; l’offerta di impegni sociali o apostolici », senza tuttavia aver potuto situare

storale, il modello dell’esperienza-narrazione dev’essere propositivo e connotato con promozione vocazionale esplicita. Noi accogliamo tutti, ma con chiarezza di proposta, senza restare nell’ambiguità. Il progetto educativo salesiano viene proposto, perché sia liberamente scelto. Bi­

sogna però stare attenti a salvaguardare tale libertà, perché il nostro tuttavia non esclude altri tipi di intervento per la proposta evangelizza­

trice, pastorale e vocazionale. Anzitutto, si fa appello all’efficacia e potenza dei mezzi di comunicazione sociale, ai quali è doveroso rivol­

gersi più ancora oggi, nella nostra pastorale vocazionale. Tanto più che ci provengono ragazzi e ragazze desiderosi di abbracciare la vocazione salesiana, anche senza essere passati attraverso i nostri ambienti edu­

cativi (non hanno conosciuto nessuna comunità educante). Il carisma salesiano è più grande di noi, delle nostre strutture, delle nostre me­

diazioni. Appartiene alla Chiesa e può agire come esperienza profonda, anche indirettamente vissuta, come agente di promozione vocazionale.

Quali altri accorgimenti allora scegliere? Oltre al già ricordato Bollet­

tino Salesiano — più riportato però alla sua origine esperienziale-evo- cativa — si potrebbe contare, negli ambienti al di fuori delle opere sa­

lesiane, su mezzi di informazione di massa, audiovisivi, e anche sulla presenza di Salesiani come cappellani universitari, ecc. In conclusione, si ritiene che il modello narrativo-evocativo potrebbe essere articolato a tre livelli: 1) dell'esperienza diretta, attraverso la mediazione e l’ani­

mazione delle comunità educative di accoglienza; 2) della narrazione scritta, tipo Bollettino Salesiano e simili (audiovisivi e mass media com­

presi) per un annuncio di valori che ugualmente fanno riferimento ad una esperienza vissuta e interpretata; 3) dell’esperienza indiretta, pro­

fonda, di natura carismatica, che si riferisce allo spirito salesiano pre­

sente e diffuso nella Chiesa, fonte e origine di vocazioni salesiane, senza la mediazione diretta di strutture salesiane specifiche ».

Questo genere di considerazioni ricomparve nella discussione stessa.

Queste altre “spinte” non dovrebbero mettere in causa il primato delle comunità nella nascita delle vocazioni, giudicò un intervenuto spagnolo:

« Comprendo che Dio, per chiamare le vocazioni, si può servire di me­ conto, senza tuttavia ridurre unilateralmente la pastorale ». Un teologo romano richiamò il senso della conferenza: « Collegandomi a questo, penso che una comunità che progetta una pastorale vocazionale deve tenere presente, nel momento di individuazioni di eventuali vocazioni, tutto questo ventaglio. Possono arrivare delle vocazioni attraverso con­

tatti personali, attraverso la comunicazione... Molte cose! Non si tratta di eliminarle, perché, altrimenti, non c ’è pastorale. Quando si elimina qualcosa che invece si può raggiungere... si fa una pastorale monca ...

Ma il discorso in concreto qui non è tutta la pastorale vocazionale, ma solo di vedere come una comunità, nell’ambito della pastorale voca­

zionale, compie la sua missione specifica di accoglienza dei giovani...».

Uno degli italiani presenti non era tuttavia soddisfatto: « Queste comunità vagheggiate, di cui parla don Tonelli, sono comunità dell’av­

venire. Nelle comunità attuali, che non sono affatto evangelizzatrici in molti casi, la testimonianza di un Salesiano singolo, la lettura della casa del Padre, mentre l’evangelizzazione è compito nostro, del nostro

essere gente povera. Secondo me, lì sta l'idealismo: nel dire che le comunità debbono essere perfette per potere realizzare. Io credo invece che è il realismo che fa dire: la comunità evangelizza per quello che è. vocazionale nella direzione giusta. Una volta ci dicevano che dovevamo partire con tutto. Adesso abbiamo scoperto che basta camminare verso.

Noi viviamo la nostra esperienza vocazionale nella direzione giusta sol­

tanto quando viviamo il nostro servizio come servizio per il Regno di

Non tutta l’assemblea, anche dopo questi chiarimenti, era comple­

tamente convinta. Tuttavia, uno di quelli che nei gruppi di lavoro era stato dei più critici riconobbe che il rimprovero di irrazionalità non era veramente fondato. « Adesso, vedo che non è un messaggio facile... ».

« Un po’ di mistero ci vuole sempre per far vedere che la conversazione successiva è utile », gli rispose il conferenziere.

Nel documento LA VOCAZIONE SALESIANA (pagine 21-31)

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